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26 ottobre 2023

I Marchiani di Ortona, Ignazio e Francesco Paolo, pittori del tardo classicismo abruzzese, con un appendice su Serafino Giannini e le sue pitture a San Valentino in Abruzzo Citeriore.

Francesco Paolo Marchiani, Sacra Famiglia, chiesa madre di Villamagna. Altare di patronato famiglia De Palma

I Marchiani di Ortona, Ignazio e Francesco Paolo, pittori del tardo classicismo abruzzese, con un appendice su Serafino Giannini e le sue pitture a San Valentino in Abruzzo Citeriore
di Angelo Iocco

La famiglia Marchiani si inserisce in un contesto abruzzese a cavallo tra tardo classicismo accademico settecentesco, e nuove influenze artistiche della capitale partenopea, che porteranno alla istituzione della Scuola di Posillipo. Precursori di quei pittori dalla pennellata vivida, a tinte accese e iper-naturalistiche dei pittori vastesi alla Palizzi, e del teramano alla Pagliaccetti e Celommi, i Marchiani furono tra gli ultimi rappresentanti di quella tradizione della pittura sacra in Abruzzo, che seppe trovar, a fasi alterne , spesso a fenomeni isolati, una propria strada, seguendo sempre le influenze della scuola napoletana e romana, ora del Solimena, ora di De Mura, ora del Preti.

Parliamo di un contesto artistico in cui, specialmente nella provincia di Chieti, che nel pescarese (mi riferisco a quella fascia che in quei tempi comprendeva nel chietino ancora i paesi della Majella occidentali quali Serramonacesca, Bolognano, Abbateggio, San Valentino), operava la bottega di Guardiagrele. Erano attivi soprattutto l’anziano Nicola Ranieri con le sue pitture ridotte ormai a imitazioni di sé stesso e delle sue tele antecedenti al 1799, quando i francesi, stando alle cronache, distrussero il suo studio con le stampe dei Santi a cui si ispirava per i quadri, e del suo fido discepolo Francesco Maria de Benedictis. Non c’è chiesa maggiore o minore nei paesi d’Abruzzo del chietino e del pescarese, almeno al sud del fiume Pescara, i di cui parroci o arciconfraternite non avessero commissionato a Ranieri o de Benedictis una tela, un santino, un trittico a un santo patrono, come nel caso della chiesa madre di Bucchianico. Ma quale palese imitazione di un concetto artistico ormai cristallizzato nel bozzetto! Quali stanche e solite ripetizioni in 3 o 4 quadri dello stesso tema, magari per chiese a pochi km di distanza l’una dall’altra! I Marchiani in un primo momento seppero dare una risposta a questa guazza. E lo vediamo con il capostipite della scuola.

Ignazio Marchiani nacque a Ortona alla fine del ‘700, studiò disegno e pittura, a Napoli, tornando poi in città, dove ebbe varie commissioni per palazzi e chiese ortonesi. Ebbe contatti anche con l’anziano Nicola Ranieri da Guardiagrele, che gli dette alcuni rudimenti, e probabilmente anche qualche stampa da cui trarre spunto. Ma le qualità delle opere dei due artisti sono assai differenti. In un quaderno dell’Associazione Ortonese di Storia Patria del 2004 sugli uomini illustri di Ortona, è riportato che Ignazio dipinse una veduta di Ortona dal colle di San Vito, con le principali chiese e palazzi, e San Tommaso benedicente (1824), collezione privata; nel 1832 dipinse per la chiesa della Madonna delle Grazie una Madonna col Bambino. Anche se non firmati, di lui si riconoscono dei quadri provenienti dalla demolita chiesa di San Domenico a Terravecchia, allestiti oggi nella biblioteca diocesana che sorge al posto della chiesa.

Ignazio Marchiani, veduta di Ortona e la processione di S. Tommaso, 1824

Ignazio si trasferì nei primi dell’800 a Chieti per insegnare disegno, ebbe vari allievi, tra cui Francesco Paolo Michetti, e fu lodato per il suo disegno preciso, la caratterizzazione corretta dei tratti anatomici, e l’originalità dell’uso del colore a tinte calde. Resta di lui anche un ritratto di Don Ludovico Del Giudice nella galleria degli Arcivescovi del palazzo vescovile a Chieti. La Madonna di Ortona è abbastanza statica, ma ha un candore nel viso, e nelle braccia del Bambino eretto sul ginocchio; l’accavallamento delle gambe della Vergine per mostrare il piede è una convenzione abbastanza usuale.

17 ottobre 2023

Olindo Jannucci alla conquista delle Maggiolate abruzzesi.

Olindo Jannucci alla conquista delle Maggiolate abruzzesi
di Angelo Iocco

Nacque a Città Sant’Angelo il 17 novembre 1891, e morì a Pesaro il 22 marzo 1977.
Studiò musica con Bozzi e Ildebrando Pizzetti, si diplomò al Conservatorio di Pesaro in strumentazione per banda. Tornato nel suo paese, diresse per vari anni la locale banda civica, esibendosi in turnè. Insegnò contrappunto e musica presso il Conservatorio “Luisa d’Annunzio” di Pescara, e negli ultimi anni tornò al Conservatorio di Pesaro, fino al ritiro per raggiunti limiti di età e alla morte.
Scrisse anche musica da camera, per canto e per pianoforte. Purtroppo al momento, a parte queste brevi notizie desunte da alcuni giornali e dalla biografia scritta da Ottaviano Giannangeli per il volume “Canzuna nustre” a cura di Virgilio Sigismondi, che raccoglie l’opera omnia del padre Giulio (1893-1966), non siamo in grado ancora di fornire ulteriori ragguagli sull’attività musicale di Jannucci, specialmente sui pezzi per banda che scrisse, o i brani di musica da camera. Suo figlio fu presidente della provincia di Pescara per vari anni, ma non si occupò di scrivere qualcosa sul padre, così come attualmente non esiste un articolo che succintamente raccolga materiali sulla sua vita e produzione artistica. I libretti e gli articoli di giornale parlano attualmente per Olindo, insieme a qualcuno che lo ha conosciuto personalmente, come il M° Antonio Piovano e il M° Francesco Paolo Santacroce.
Piovano ricorda di averlo conosciuto personalmente alle Settembrate abruzzesi di Pescara degli anni ’60, così come Santacroce ricorda che nel 1957 circa Jannucci era presente con Antonio Di Jorio, celeberrimo musicista e suo amico, a un convegno sulla canzone a Lanciano, e ricorda il fare molto gentile ed elegante di questo personaggio, sempre ben vestito e molto in avanti nel vedere il futuro della canzone, rispetto a vari altri che si limitavano a proporre le solite canzonette per i vari concorsi. Jannucci iniziò la sua carriera nel mondo delle Maggiolate abruzzesi di Ortona. Alla 10° edizione del 1929, scrisse la canzone “‘N ti pozze vidè” su versi di Nicola Farinelli. Farinelli scriverà altre canzoni con Jannucci, nel 1930 pubblica “Li guè che mi de’ mojeme”, nel 1933 la canzone “Funtanella chiuse”. La seconda canzone di questo elenco è stata ripresentata varie volte dal Coro di Crecchio, sotto la direzione del M° Rosanna Meletti, ed è stata anche registrata su audiocassetta. Fa parte di quel filone delle canzone “di gusto fascista”, sulla scia di “Vivere senza malinconia” di Carlo Buti, in cui il marito cerca di evadere dalla monotonia di casa, ma la moglie riesce sempre a beccarlo e fargliela passare male! Jannucci sarà sempre molto vicino al M° Guido Albanese, l’anima vera delle Maggiolate, comparirà spesso tra i membri della commissione, e nel secondo dopoguerra, dopo la parentesi della direzione di Siro Garzarelli nei primissimi anni ’50, anche lui collaboratore dell’Albanese e compositore di varie canzoni alle Maggiolate, Jannucci dal 1955 prenderà in mano il timone delle famose Maggiolate, le quali purtroppo in quel periodo stavano attraversando una grave decadenza. Gli autori dei periodi d’oro degli anni ’20 e ’30 iniziavano a morire, non c’erano più Eduardo Di Loreto, don Evandro Marcolongo, le “anime” della Maggiolata; tuttavia entrarono nuove leve, come Cristo Sorrentino, Antonio Del Pizzo, Aniello Polsi, Domenico Ceccarossi, Plinio Silverii, a cercare di dare una ventata fresca ai vuoti che la morte aveva lasciato….vuoti che troppo spesso, come nell’edizione del 1958, venivano riempiti da riproposizioni e omaggi di varie altre canzoni che ebbero successo nelle prime edizioni. L’edizione del 1958 si ricorderà per il grande omaggio di pezzi che furono scritti da Di Loreto e Liberati, De Titta e Di Jorio, Marcolongo e Di Jorio, De Titta e Albanese, Dommarco e Albanese, e via dicendo. Questo fu il compito di Jannucci fino al 1966, quando diresse l’ultima volta la Maggiolata, che definitivamente, anche per contrasti con il comitato organizzatore, cadde inesorabilmente dopo oltre 40 anni di onorata attività; un’ultima edizione ci sarà nel 1976, ma il canto di Ortona era già morto da un pezzo.


5 ottobre 2023

Antonio Maranca e la Istoria Diplomatica di Lanciano. Parte seconda, la Cronaca della Visita di Ferdinando II a Lanciano nel 1832.

Ferdinando II d’Aragona


Antonio Maranca e la Istoria Diplomatica di Lanciano. Parte seconda, la Cronaca della Visita di Ferdinando II a Lanciano nel 1832.
di Angelo Iocco

Qui segue la trattazione, col transunto dei diplomi, lettere, privilegi dei re di Napoli concessi a Lanciano, fatta dal Maranca. Il Maranca, come detto, riassunse quanto già ricercato dall’Antinori nel suo manoscritto Istoria critica di Lanciano, parte 1, ampiamente usata dal Romanelli per il capitolo nominato “Lanciano”, il più grande blocco dei 3 che compongono le Antichità storico critiche dei Frentani, 1790, come abbiamo potuto constatare (ma se ne accorse illo tempore già Michele Scioli, facendolo notare in una sua introduzione al Libro di memorie dell’Antinori, 1995); materiale dunque saccheggiato da Romanelli, e Maranca, per una sua memoria personale su Lanciano, da comporre? Incompiuta? Non lo sapremo, fatto sta che anche il Maranca, stuzzicato dalle carte manoscritte dello zio Antinori, nonché dal Bocache, fece man bassa, trascrivendo una parte dei documenti che riguardano la corrispondenza tra Lanciano e la Corona di Napoli. Omettendo altre situazioni, specialmente dalla metà del 1500 sino a tutto il 1600, quelle situazioni tristi in cui Lanciano stava scivolando, perdendo proprietà e privilegi, specialmente nella controversia dell’assedio del 1528 del conte di Lautrec, per cui fu accusata di fellonia e di doppio gioco da Carlo V d’Asburgo.

Il Maranca dunque riporta solo i diplomi in cui Lanciano viene arricchita e investita di questo e di quell’altro privilegio. Notiamo, leggendo queste carte, il rito solito di umiliazione della delegazione dei sindaci al nuovo re, per avere conferma delle precedenti carte, notiamo la conferma dei vari feudi del circondario lancianese, che Lanciano alla fine vendette, esempio di Castelnuovo, senza l’autorizzazione regia, come prescritto nei privilegi, notiamo le conferme, specialmente quelle di Ferdinando o Ferrandino II del 1495 di tutti i privilegi passati, notiamo un ennesimo tentativo di Ortona di istituire la sua Fiera con l’usurpazione di Carlo VIII, privilegio immediatamente cancellato da Ferdinando I e poi da Federico III ribadito nel suo annullamento; notiamo il tentativo di Chieti di istituire una sua Fiera presso la Pescara, puntualmente bloccato dalla regia corte…fino ad un arresto improvviso dei privilegi, soltanto qualcuno del 1608 di Filippo IV e la menzione di una lettera del re Carlo VI del 1729. Eppure altri documenti ce ne sono! Specialmente documenti e dispacci per quanto riguarda la gestione delle Fiere, tanto che molti di questi sono raccolti nel volume Fiere e consigli (gli unici che si sono degnati di studiarli, per sommi capi, finora sono stati Corrado Marciani e Luigi Russo nel suo libro postumo sulle Fiere lancianesi), presso l’Archivio storico comunale; insieme ad altre carte di un volume senza titolo, che ha utilizzato carte di scarto, con diversi conteggi di bestie vendute e invendute, risalente al XVII secolo, che si conserva nella sezione Manoscritti della biblioteca comunale lancianese. Ma tempo al tempo, avremo modo di integrare ulteriori notizie con questi documenti inediti.

Lettera di re Ferdinando dell’ottobre 1464 scritta da Chieti ai sindaci di Lanciano, acciocché il tesoriere regio facesse il suo conto per lo sposalizio di Eleonora d’Aragona sua figlia. Segue la trascrizione della lettera, in cui Re Ferdinando, ai sindaci di Lanciano, condona le collette per lo sposalizio della figlia Eleonora, in quanto la città si è sempre dimostrata fedele e retta verso la Corona. Dato nella Città di Chieti, 11 ottobre 1464; lettera citata anche da Fella.

Al num. 173, c’è una lettera spedita da Caramanico il 20 ottobre, il re Ferdinando rinnova le grazie a Lanciano, ricordando di come fu bene trattato quando fu ospitato in città, e manifesta il desiderio di ritornarvi; fa inoltre intendere delle cattive condizioni di salute della regina Giovanna d’Aragona, per cui si vede costretto a rientrare a Napoli, e a rimandare la visita in Lanciano. Segue il testo della lettera. Dato in Caramanico, 20 ottobre 1464.

Segue il privilegio del re Ferdinando del 1465, in cui nomina cavaliere Denno Riccio di Lanciano, donandogli dei beni per i meriti. Segue una lettera del re al Preside d’Abruzzo del 10 giugno 1470, in cui gli comunica di reprimere le ribellioni dei paesani di Castel Nuovo (Castelfrentano)[1].

Il 17 novembre 1467 il re fece differire il pagamento della gabella del vino sino ad aprile, perché gli introiti della Città maturavano a maggio con la Fiera, nel documento questa Fiera viene detta antica “di mille anni” e tra le più antiche del regno, ricordando ed accordando la franchigia per i mercanti partecipanti, anche dall’estero; dalle mercanzie provenienti alle Fiere, il re ordinò che il regio fisco riscuotesse il 3 e mezzo percento, il re ricordò la proroga della franchigia di 3 anni nei confronti di Paglieta, nel circondario lancianese, e relativa diminuzione della tassa.

Al num. 175 del 18 dicembre 1468, il re ordinò ai sindaci di Lanciano che vi alloggiasse la squadra di Nicola di Turali, e che le altre truppe di passaggio andassero altrove, onde impedire danni pecuniari alla Città.

Al num. 176: lettera del re Ferdinando al Preside d’Abruzzo, del 10 giugno 1470, già citata, di reprimere i disordini dei Castellini a Lanciano. Ne segue un’altra, in cui concede poteri al Preside per il modo e il come reprimere la rivolta. Lettera data in Castel Nuovo di Napoli, 10 agosto 1470.

Num 178: Il Re Ferdinando accorda a Lanciano, il 1 maggio 1471 il permesso, con il pagamento di 200 ducati, di acquistare i castelli di Turri e Moggi (oggi zona Rizzacorno), incamerati nel Regio Demanio dopo esser stati espropriati al Conte Orsini.

Num 179: il 4 agosto 1472, Lanciano ottenne favori col possesso di Ari.

Num. 180: il diploma del 1 maggio 1476, con regio assenso, si ottiene la vendita di metà del castello di Moggio da Giacomo di Cicco a beneficio della città.

Num. 181: nel 1480 re Ferdinando e la moglie Isabella accordano che alle Fiere della città non vi potessero essere, nel momento dello svolgimento, rappresaglie  e arresti per debiti.

Num. 182: il 18 aprile del 1480 il re, dagli accampamenti presso Taranto, dà ordine a Carletto Caracciolo suo ciambellano, di comunicare a Lanciano il possesso dei castelli di S. Venera e Castel Nuovo, di Aregio (Arielli), Ocrecchio, di Vasto inferiore e superiore, e S. Amato, e di esercitarvi i propri diritti, giusta la convenzione di re Ladislao del 20 marzo 1406.

Num. 183: il 20 giugno 1480 il re ordinò che si ottenesse la franchigia alla Fiera per i mercanti, affinché potessero ottimamente esercitare i commerci, per le mercanzie provenienti dal porto di San Vito, e di pagare la tassa del 3 e mezzo percento per lo scalo portuale; che gli ufficiali regi rispettassero i Capitoli e i Privilegi accordati a Lanciano, affinché non ci fossero disturbi durante lo svolgimento, e che il Capitano regio non si intromettesse negli affari municipali, e che solo i deputati avessero il diritto di tenere il sigillo pubblico, come da protocollo.

Num. 184: nel diploma regio, Denno Ricci ebbe l’indulto generale nel parlamento del 7 novembre 1481, e fu reintegrato nella Città con i beni e gli onori, re Ferdinando commissionò l’osservanza del privilegio ad Alfonso II suo figlio, vicario del Regno.

Num. 185: una lettera reale del 3 dicembre 1487, in cui Lanciano può usare 200 ducati per la riparazione delle mura, con l’intervento del Tesoriere regio e del Capitano. La concessione durerà 5 anni, nel fondaco regio verrà stimata la quantità tale da prelevare 200 ducati ad anno, con la condizione detta di riparare le mura. Dato in Foggia, 3 dicembre 1487.

Num. 186: privilegio da Castel Nuovo, il 22 maggio 1488, dove il re ordina la cacciata da Lanciano degli ebrei, schiavoni, ed epiroti per i disordini e gli scandali; Maranca desume queste brevi note sempre dalla ms. Istoria critica di Lanciano, vol. 1 , di Antinori, un tempo presso la sua biblioteca a Lanciano, e poi confluita nei manoscritti della Biblioteca nazionale “Vittorio Emanuele III” di Napoli. Segue la trascrizione in latino della lettera di re Ferdinando, in cui per questi scandali, multa di 1000 denari chi avrebbe cercato di far rientrare costoro nella città. Dato a Paglieta 5 luglio 1489.

Carlo V

Num. 187: 14sime calende di dicembre 1489, il re con una lettera da Sulmona, rinnova il bando verso gli epiroti, di non rientrare a Lanciano, la circolare è indirizzata al Duca d’Amalfi preside d’Abruzzo, con una lettera che lo raggiunge a Francavilla, data il 5 luglio 1490. Maranca aggiunge un commento. Che fino al 1471 la polizia del Governo era affidata alla prudenza dei decurioni e magistrati di Lanciano, la stessa condotta era osservata dal Preside della Provincia d’Abruzzo per conto del Re, fino a che l’equilibrio non si ruppe per gli scandali degli ebrei, come riportato anche nell’Opera di Fella al cap. 19.

Num 188: privilegio di Ferdinando del 1488 in cui approva gli Statuti lancianesi per un Collegio di Artieri, di aghi e di fusari.

Num. 189: lettera del nuovo re Alfonso II ai “magnifici e diletti uomini lancianesi fedeli alla Corona”, in cui invita i lancianesi a non dolersi per i passaggi delle truppe regie, promettendo di ampliare i privilegi già in possesso della Città, per conto del patrizio Denno Ricci, ma al momento “che non semo per mancare un pelo da quando lo Signoro Re comanda, e questo fatto sia subito, perché detti homini di armi stanno qua’ e tuttavia si querelano”. Dato in Ortona, 28 marzo 1489.

Num. 190: lettera di Alfonso duca di Calabria dell’11 luglio 1489 a suo figlio Ferdinando II principe di Capua, che staziona in Paglieta, affinché scacciasse gli schiavoni e gli epiroti per disordini..

Num. 191: privilegio di Ferdinando da Foggia, il 3 dicembre 1489, che concede 2000 ducati per riedificare le mura, i torrioni, le antemurali, i rinforzi della parte meridionale (ovvero la zona sud del Torrione aragonese). Commenta Maranca che in quel momento Lanciano diventò una Piazza, e inizierà a subire diversi assedi, celeberrimo quello che avverrà per mano del Conte di Lautrech.

Num. 192: Alessandro VI Papa per evitare dissidi tra chietini e lancianesi, smembrò il territorio diocesano, e dichiara la Chiesa Lancianese direttamente sottoposta alla Santa Sede, e non più alla Diocesi Teatina; il breve apostolico è del  9 ottobre 1492.

Num. 193: altro protocollo di re Ferdinando  del 18 febbraio 1494 in cui concede a Denno, Giovanni Riccio 200 ducati sulla bagliva di Laniano, confermando a loro il possesso di Fossaceca, Pietraferrazzana e S. Apollinare.

Num. 194: il nuovo re Alfonso II riceve la delegazione dei sindaci lancianesi per l’omaggio di rito, il 15 marzo 1494, e conferma tutti i passati privilegi in protocollo, sottoscritti anche dal suo figlio Ferdinando II duca di Calabria.

Napoli, piazza Mercato

6 settembre 2023

Giuseppe Lamberti, un tardo-solimenesco in Abruzzo.

Giuseppe Lamberti, La Madonna e San Girolamo eremita, 
chiesa di San Gaetano (oggi in Arcivescovado), Chieti.

Giuseppe Lamberti, un tardo-solimenesco in Abruzzo
di Angelo Iocco

Giuseppe Lamberti, nato a Ferrara intorno al 1700 e morto nel 1763, fece parte di quella schiera di pittori della scuola del Solimena, che si sparpagliarono, per committenze varie, nelle varie province del Regno di Napoli. 
Dopo aver dipinto qualche tela nella sua provincia d’origine, Lamberti si spostò nel chietino, insieme ad altri pittori stranieri, quali Giambattista Gamba e Nicola Maria Rossi, ma anche Ludovico e Paolo de’ Majo, Paolo de Mattheis, Francesco de Mura, molto più vicini all’Abruzzo, originari del napoletano. 
In quel tempo le due principali diocesi dell’Abruzzo Citeriore, quella di Chieti nel periodo di Mons. Michele de Palma, e quelle di Lanciano e Ortona-Campli, rette rispettivamente da:
· Giuseppe Falconi † (20 dicembre 1717 - 16 marzo 1730 deceduto)
· Giovanni Romano † (11 settembre 1730 - 26 settembre 1735 nominato vescovo di  Catanzaro)
· Marcantonio Amalfitani † (26 settembre 1735 - 11 novembre 1765 deceduto)
· Arcangelo Maria Ciccarelli, O.P. † (30 aprile 1731 - 19 dicembre 1738 nominato arcivescovo, titolo personale, di Ugento)
· Domenico De Pace † (26 gennaio 1739 - marzo 1745 deceduto)
Risultavano tra le più influenti, insieme alle locali Confraternite, nel territorio. 
Memori dei rinnovamenti pittorici apportati nel napoletano da Luca Giordano, Mattia Preti (anch’egli attivo in Abruzzo), Domenico Antonio Vaccaro e seguaci, nonché appunto seguaci della lezione solimenesca, Lamberti e la cerchia degli altri pittori citati si misero al servizio dei vari committenti, per la realizzazione di qualche dipinto, a richiesta di un vescovo o di un priore.

Giuseppe Lamberti, da Ferrara in Abruzzo

Poche sono le opere attribuite a questo pittore, operante in Abruzzo e del quale sono note alcuni dipinti collocati in chiese di Guardiagrele, Penne e Lanciano dove nella chiesa del Suffragio è conservata, proveniente dalla Cattedrale, una tela raffigurante l’Incoronazione della Vergine. 
Questa pittura è collocata nel secondo altare di destra, voluto dalla Confraternita della Madonna del Suffragio, il Lamberti, come erano soliti fare altri pittori minori, riciclò un quadro precedentemente commissionato da Mons. De Palma a Chieti per la chiesa di San Gaetano da Thiene, di cui affrescò anche il cupolino: “Visione di San Girolamo e la Vergine Maria”, nell’altare maggiore sormontato dallo stemma in stucco della famiglia Frigerj-Durini, che aveva il diritto di patronato; nel cupolino affrescò invece la “Gloria di San Gaetano in Paradiso tra schiere angeliche”, molto simile alla cupola del cappellone del Sacramento della Basilica di Santa Maria di Pescocostanzo, con rimandi alla pittura del Gamba. 
L’ultima tela incastonata nell’altare a macchina templare greco-classica con ai lati le Allegorie delle Virtù a guardia, opera dell’architetto Giambattista Gianni del Canton Ticino (il quale progettò diversi altri altari delle chiese teatine, all’attuale San Domenico al Corso, a San Francesco al Corso, alla Cappella del Sacro Monte dei Morti del Duomo, ecc.), risulta “San Girolamo eremita”.

Giuseppe Lamberti, Gloria di San Gaetano, cupola della chiesa di San Gaetano, Chieti. Foto Marco Vaccaro

La chiesa del Purgatorio di Lanciano, nel rione Borgo, possiede la già citata opera di Lamberti, che risente di parecchi ricicli del dipinto della chiesa di San Gaetano di Chieti, cui Michele De Palma era assai devoto, essendosi fatto seppellire proprio nella cappella del braccio destro del transetto del Duomo, dove figura un ulteriore dipinto della “gloria di San Gaetano” di Ludovico de’ Majo; altra pittura nella chiesa lancianese, si trova nella cappella privilegiata del SS.mo Rosario, e raffigura la “Vergine del Rosario, tra San Giuseppe, San Gennaro con le ampolle del sangue, e Papa Pio V”, che volle la Lega Santa per la celeberrima Battaglia di Lepanto, 1570, anno in cui fu solennizzata la festa del Rosario. 
Questo dipinto risente di alcune imperfezioni, la Madonna troppo schematica e rappresentata in proporzioni più piccole, per comunicare l’effetto di spazialità della scena, rispetto alle figure in primo piano di San Gennaro e Pio V, il cui volto di quest’ultimo è un ulteriore prestito del Lamberti da un suo dipinto di Chieti.

31 agosto 2023

Cesare De Horatiis e la sua Poesia patriottica.


Figlio di Nicola e di Maria de Francesco, primogenito di una delle principali famiglie del paese. 
Era destinato a succedere al padre nell'amministrazione dell'azienda di famiglia ma rinunciò a favore del fratello e preferì intraprendere gli studi al seminario arcivescovile di Chieti. 
Finiti gli studi, fu nominato parroco di una piccola curia della provincia e scelse il posto di prefetto di camerata nel Regio Collegio Sannitico di Campobasso. In quel periodo, si avvicinò alle idee del Risorgimento, coltivando amicizie negli ambienti mazziniani, fino a iscriversi alla Giovine Italia.
Ospite di un parente a Napoli, iniziò a frequentare la scuola di lingua italiana del letterato Basilio Puoti e divenne amico di Francesco De Sanctis e di Silvio Spaventa. Tornato a Furci, insegnò al seminario di Montecassino, dove conobbe Vincenzo Gioberti e dove iniziò a stampare L'Ateneo Italiano, una rivista di scienza e letteratura, in seguito soppressa dal governo napoletano dopo l'insurrezione del 15 maggio 1848. 
De Horatiis, abbandonata Montecassino, successivamente condusse una vita itinerante nei paesi della zona, predicando e tenendo al contempo discorsi contro il re di Napoli. Questa attività ne causò l'arresto e il trasferimento prima a Napoli e poi a Campobasso, dove trascorse due anni in carcere insieme ad altri mazziniani molisani.
Uscito dal carcere, tornò a Furci ma sia il vescovo che la polizia gli vietarono le partecipazioni in pubblico e il ritorno a Montecassino. 
De Horatiis, però, era divenuto un personaggio popolare per le sue idee e le sue attività e veniva spesso invitato a tenere prediche nelle solenni ricorrenze religiose dei paesi vicini. A causa di ciò, le autorità presero verso di lui provvedimenti ancora più restrittivi ma fu salvato dall'arcivescovo di Lanciano Giacomo De Vincentiis, chiamandolo ad insegnare nel locale seminario.
Nel 1860, dopo l'ingresso di Giuseppe Garibaldi a Napoli, il sindaco di Lanciano Ignazio Napoletani, riunita la giunta, dichiarò la decadenza della famiglia borbonica e fece sventolare la bandiera italiana: il primo nel Meridione a compiere un gesto tanto clamoroso. 
De Horatiis fu nominato segretario del sottoprefetto di Lanciano, Camillo del Greco.
In seguito divenne parroco di Ortona, dove finì i suoi giorni.

Vito Olivieri, un musicista abruzzese delle Maggiolate.

 

VITO OLIVIERI (1865-1941) di San Vito chietino, le Canzoni abruzzesi

Vito Olivieri, un musicista abruzzese delle Maggiolate

di Angelo Iocco

Nella storia della musica abruzzese d’autore, occorre necessariamente parlare di Vito Olivieri di San Vito chietino (1865-1941). Poco si sa delle sue origini, e molte notizie, come mi ha confidato il ricercatore delle sue memorie, lo storico Pietro Cupido di San Vito recentemente scomparso, sono di tradizione orale. Ad esempio chi lo conobbe ricorda che svolgeva in gioventù la professione di calzolaio, e che si dilettava di musica. Non si sa come studiò e dove perfezionò i suoi rudimenti musica, dato che, come possiamo vedere dagli spartiti manoscritti conservatisi di alcune sue canzoni, il nostro Olivieri era ben ferrato nel contrappunto. Resta un mistero, sicché non giungano in futuro documenti a supporto delle nostre ipotesi; una situazione analoga dicasi per il musicista Arturo Colizzi (1885-1964) di Rocca San Giovanni, che lavorò nelle canzoni abruzzesi con il sanvitese Giulio Sigismondi e altri, e scrisse la celebre Voga voghe (1922) per il Concorso delle canzoni di Lanciano. Grazie alle informazioni raccolte da Cupido sull’Olivieri, che si spera siano in fururo pubblicate, e sono lettere, corrispondenze, documenti, fotografie, tra cui il ritratto del musicista, sono riuscito a trarre queste poche righe.

L’Olivieri sicuramente, come dimostrano le ricerche di Cupido, fu influenzato nelle sue compoisizioni dai canti popolari del paese, dato che,  scrisse una ballata di Sant’Antonio abate. Sant’Antonio è celeberrimo in Abruzzo, non c’è paese che non lo festeggi il 17 gennaio, e che non abbia un repertorio di canti popolari o d’autore a lui dedicati. In effetti il Sant’Antonio sanvitese, ancora oggi eseguito da qualche compagnia spontanea, ha molto a che fare con i testi delle varie versioni che il 17 gennaio sono cantate da compagnie allegre a Mozzagrogna, Treglio, Torre Sansone di Lanciano, Castelfrentano, Ortona ecc.

Anche in questa versione sanvitese, il cui testo era ben noto all’Olivieri già negli anni ‘20, ad esempio abbiamo il simpatico ritornello:

S.Antonio

Ecco il vostro S.Antonio,

fier nemico del demonio,

son venuto in mezzo a voi,

ma da lontano un’ombra

vedo ancor.

Son venuto in mezzo a voi

A benedirvi e poi partir.

Coro

È venuto in mezzo a noi

a benedir e poi partir.

S.Antonio

Col cilicio intorno al fianco

sono giunto tanto stanco

per fuggire li da Satana

che non mi lascia riposar.

Coro

Col cilicio intorno al fianco

Lui è giunto tanto stanco

per fuggir li da Satana

che non lo lascia riposar.

S.Antonio

Mi disturba nel mangiare,

mi tormenta nel pregare,

mi si ficca sotto il letto,

e non mi lascia riposar.

Coro

Lo disturba nel mangiare,

lo tormenta nel pregare,

gli si ficca sotto il letto,

e non lo lascia riposar.

S.Antonio

È perciò son qui scappato

per non essere più tentato

da quel mostro scellerato

che dal cielo fu scacciato.

Oltre al Sant’Antonio, Cupido ha rintracciato altre musiche della tradizione popolare trascritte dall’Olivieri, vale a dire un Canto della Passione, un canto del resto molto popolare, eseguito dalle compagnie solitamente il Giovedì santo, di casa in casa, o per le strade, per annunciare l’avvenuta cattura di Gesù dopo la Cena. Leggendo le note dell’Olivieri e il testo tradito, notiamo che si tratta della classica Passione al modo frentano, che con qualche leggera modifica nelle note o in qualche parola, ricorre in tutte le zone circonvicine San Vito, a Lanciano, Castelfrentano, Chieti, Ortona, ecc., e inizia con il celebre: O bona gente state a sentire / la passione di Gesù vi voglio contare!

Olivieri seppe trasmettere nelle sue melodie, come i suoi colleghi Liberati, De Cecco, Montanaro, quel sapore popolare abruzzese di cui non poteva fare a meno, pur realizzando delle composizioni originali con testo d’autore, a discapito di qualcuno che vorrebbe una netta linea di demarcazione tra canzone abruzzese d’autore, e canto popolare, come se non ci sia una perfetta simbiosi tra l’una e l’altra! E invece ce n’è eccome! Basta dare uno sguardo alla Ninna nanna su versi di Giulio igismondi e musica di Arturo De Cecco, e confrontarla con i vari testi delle Ninne nanne popolare abruzzesi raccolte dagli etnologi Finamore, Giancristofaro, De Nino, Lupinetti, oppure le varie Ninne nanne scritte dal De Titta, dallo Zimarino, dal Dommarco!

Eduardo Di Loreto

Come molti altri poeti e musicisti locali, l’Olivieri ebbe modo di farsi valere in occasione della nascita delle Maggiolate a Ortona. Nella IV edizione del 1923 l’Olivieri finalmente partecipa con una canzone scritta dal dott. Eduardo Di Loreto di Castelfrentano (1897-1958), Vola canzone!, seguita da vari altri successi. Leggendo gli articoli di giornale dell’epoca, preziose fonti per reperire notizie altrimenti sconosciute, come L’Idea abruzzese di Zopito Valentini, Il Corriere Frentano, I 3 Abruzzi, Il Fuoco, ecc., scopriamo che quando il Valentini col suo giornale nell’agosto 1922 indisse un Bando delle Canzoni Abruzzesi a Pescara nell’Hotel Verrocchio (all’epoca nell’area di Castellammare Adriatico), l’Olivieri partecipò con una canzone, di cui non si conosce il titolo, insieme a vari altri poeti locali, quali Sigismondi, l’Albanese, il Colizzi, il Mariani, il Renzetti, il Di Loreto. Questa canzone tuttavia non venne selezionata dalla giuria fra le migliori, perché non compare nel libretto delle Canzoni eseguite dai Cori. Successivamente sfogliando gli articoli, leggiamo che nella successiva grande festa della Settimana abruzzese di Pescara dell’agosto 1923, rimasta memorabile nel suo allestimento, soprattutto per la contrastata messa in scena dialettale della tragedia dannunziana La figlia di Jorio su versi di Cesare de Titta, Vito Olivieri partecipò con un’altra canzone; le canzoni per regolamento dei concorsi, erano senza nome e senza autore, e venivano presentate con un motto. Ad esempio il primo premio fu vinto dalla canzone Tuppe e tuppe di Eduardo Di Loreto e Pierino Liberati, col motto “versi miei, musica di lui”.  Dunque notiamo come l’Olivieri fosse tenuto in buona considerazione, almeno per quanto riguarda il clima elettrizzante dell’organizzazione di questi festival canori, mentre se dobbiamo attenerci alle fonti, in seno al piccolo paese dove viveva, riceveva solo fischi e scarso successo da parte del popolino. Un sarto che si mette a fare della musica? E che? Modesto Della Porta di Guardiagrele non era forse sarto? Ed oggi è ritenuto il maggior poeta rappresentante d’Abruzzo! Ma “nemo propheta in patria est”, e pure Modesto subì le critiche e le angherie, addirittura, permettendoci una piccola deviazione del discorso, nel Concorso delle canzoni di Lanciano del 1922 con presidente l’illustre musicista Camillo de Nardis di Orsogna, Modesto vinse il primo premio con la canzone Carufine (Garofani), con musica di Carlo Massangioli (altro musicista di cui purtroppo si è perso quasi tutto); e suscitò l’ira funesta dei vari poeti dell’intellighentia locale, quali Sigismondi, Marcolongo, Mola, Renzetti, Brasile, che facevano il tifo per l’illustre sacerdote e linguista Cesare de Titta, che ebbe il secondo posto.

27 agosto 2023

Rai, Linea Verde Estate. La costa dell'Abruzzo: da Ortona a Vasto - 27/08/2023


Da Ortona a Vasto: prosegue il viaggio di Linea Verde Estate lungo le coste dell'Abruzzo. Partenza nel segno delle gabbie aperte alla creatività: ad Ortona, la nuova vita del vecchio zoo divenuto, grazie ad un'associazione culturale visionaria, "Zooart", un favoloso viaggio tra realtà, illusione, storia, arte e musica che creano fantastiche emozioni per chi guarda e ascolta. Quindi i "Giganti del Mare" di Vasto: in una zona dove si susseguono scogliere, baie e calette, la secolare traduzione dei trabocchi, antichi congegni di pesca diffusi lungo la costa. Poi la scalinata di Terravecchia, la spiaggia della Ritorna, il Castello Aragonese, l'anziano liutaio: in bicicletta, i luoghi simbolo ed i personaggi di Ortona, uno dei porti più importanti di tutto l'Adriatico e il principale dell'Abruzzo per bacino, fondale e movimento. Spazio anche per le tradizioni gastronomiche, con il prelibato frutto di una preziosa alleanza tra allevatori, contadini e trasformatori: a Scerni, con i fratelli Antonio e Luigi, per la produzione e il processo di stagionatura della ventricina, salume tipico abruzzese e presidio Slow Food dal 1998, e a Guardiagrele, meraviglioso borgo che fa da cornice all'imponente massiccio della Majella, per gustare le prelibate "sise delle monache", dolce tipico locale. Poi, il fascino della riserva di Punta Aderci, la prima area protetta d'Abruzzo, istituita nel 1998: un'estensione di circa 285 ettari, un paesaggio agricolo di tipo tradizionale, con ampi vigneti, oliveti e appezzamenti coltivati, un anfiteatro marino che ospita numerose essenze vegetali, il promontorio che domina tutto intorno, nella zona compresa tra la spiaggia di Punta Penna e la foce del fiume Sinello. Infine, l'arrivo a Vasto per la raccolta dei pomodori mezzo tempo: di forma rotonda e leggermente allungata, con un sapore pronunciato con un retrogusto dolciastro e una consistenza tenera e carnosa, sono l'ingrediente indispensabile per la preparazione del mitico brodetto.

14 agosto 2023

Antonio Maranca e la istoria diplomatica di Lanciano. Parte prima.

Pompilio Maranca, padre di Antonio, ritratto dal palazzo Stella-Maranca-Antinori,
conservato oggi nel Museo diocesano di Lanciano.

Antonio Maranca e la istoria diplomatica di Lanciano. Parte prima.
di Angelo Iocco

Nella Biblioteca comunale di Lanciano, tra i Manoscritti di Antonio Maranca sulla Storia di Lanciano, ce n’è uno chiamato ISTORIA DIPLOMATICA DI LANCIANO, che contiene un transunto di privilegi della Cancelleria Angioina e Aragonese di Napoli, che permettono di offrire uno spaccato della storia lancianese, e della sua rapida ascesa economica e politica in Abruzzo Citeriore, dal potere di Carlo I d’Angiò, fino a Ferdinando il Cattolico.

Il manoscritto è classificato 1/I/28, nel corpus dei manoscritti del Maranca nella biblioteca comunale di Lanciano. Corradino Marciani ne trasse una copia in un diario, conservato nell’apposito Fondo Marciani presso la biblioteca. Le fonti sono la Chronologia Anxani di Giacomo Fella, il manoscritto Istoria critica di Lanciano fascicolo 1 di Antonio Ludovico Antinori (conservato presso la Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria), in parte copiato e pubblicato da Domenico Romanelli nel 1790, nelle Antichità storico critiche dei Frentani, le Memorie istoriche dei Tre Abruzzi di Antinori, edite in 4 tomi dal 1781 al 1784, nonché il manoscritto dei Privilegi compilato da Giuseppe Ravizza nel 1735, il cui originale si conserva nella biblioteca della Deputazione Abruzzese di Storia Patria, mentre una fotocopia nella biblioteca comunale lancianese. Abbiamo parlato del manoscritto su Lanciano dell’Antinori pubblicato parzialmente dal Romanelli, abbiamo altresì notato che, in una nostra ricerca a Napoli circa questo corpus consistente in 6 fascicoli, più uno con riproduzioni di lapidi e iscrizioni lancianesi, ci siano corrispondenze tra il fasc. n. 5 dal titolo “Aggiunte all’Antinori”, con ulteriori notizie storiche su Lanciano aggiunte da altre mani, forse dalla famiglia Liberatore, forse da Pasquale Maria Liberatore giurista? Fatto sta che nel manoscritto di Maranca sui Diplomi, in nota in diverse pagine, questo fascicolo del Liberatore è citato, insieme al fascicolo 1 della “Istoria critica di Lanciano”.

L’introduzione del manoscritto di Maranca riporta l’intento dell’autore di illustrare i privilegi reali di Napoli concessi alla città, per ricordare le glorie del passato della Patria, distintasi nel Reame per virtù, fedeltà, servigi e ricchezza, per ricordare fatti e situazioni memorabili di cui Lanciano fu protagonista, e in cui restò coinvolta, nell’ambito delle successioni dinastiche nel Regno, specialmente negli scontri tra Angioini e Durazzeschi, e Angioini e Aragonesi, nonché negli scontri di potere tra francesi e spagnoli. Maranca tiene a sottolineare specialmente la fedeltà e i servigi della città verso la Corona Napoletana, e cita un privilegio di Alfonso d’Aragona del 24 gennaio 1441 in cui Lanciano è nominata “città fidelissima”, per cui concede la facoltà di redigere gli Statuti civici; a seguire Maranca ricorda la decadenza della città e delle sue Fiere con il governo vicereale spagnolo, fino a riacquisire il rango di città demaniale, sebbene depauperata, nel ‘700 con Carlo III di Borbone; ricorda il prestigio delle Fiere, citate in un diploma di Enrico VI di Svevia, circa la libera istituzione delle Fiere in città, concedendo le vettovaglie nei mesi di maggio e settembre. Questo diploma, estratto dai Manoscritti di Bocache, non venendo citato nemmeno da Fella, né dal Ravizza, è da considerarsi falso.

La Regina Maria e Carlo II d’Angiò

Passiamo in rassegna gli altri diplomi e privilegi, nel numero di 228 di quelli regestati da Maranca, mentre altri sono riportati per intero in appendice al volume manoscritto. In nota a ciascuna pagina, Maranca inserisce la fonte da dove sono tratti questi documenti, principalmente, come è facilmente ipotizzabile, vista la parentela, le note vengono dal manoscritto “Istoria critica di Lanciano” dell’Antinori, che Maranca ebbe facoltà di consultare insieme ad altri manoscritti dell’arcivescovo aquilano.

12 agosto 2023

Vola Vola Vola, canzone abruzzese di Luigi Dommarco e Guido Albanese, 1922, versione integrale di 4 strofe.


Vola vola vola... canzone abruzzese della III Maggiolata ortonese del 1922 versi di Luigi Dommarco, musica di Guido Albanese esegue il Coro Voci delle Ville di Ortona del M° Rosanna Meletti, versione integrale con le 4 strofe. 

«E vola vola vola vola
e vola lu cardille
nu vasce a pizzichille
ne me le può negà.»

(ritornello della quarta strofa) 


Vola vola vola allude a un semplice gioco infantile abruzzese nel quale alcuni ragazzi raccolti intorno a un compagno poggiano l'indice sul ginocchio di questi: il ragazzo che comanda il gioco pronuncia rapido le parole «Vola vola vola...» e il nome di un animale. 
Se si tratta di un animale volante, gli altri devono «volare», sollevando il dito, altrimenti no.
Chi sbaglia è costretto a pagare pegno. 
In realtà, è una canzone d'amore che ambienta il corteggiamento nell'età infantile, in modo vuoi nostalgico e delicato, vuoi malizioso. 
Nel testo di Dommarco risiede probabilmente una delle chiavi del successo del brano, ma buona parte si deve anche alla scrittura musicale di Albanese, semplice e popolare: un tempo di mazurca che alterna una strofa a due ritornelli (ABB) e richiama la struttura del canto agreste, ove le strofe si intendono corali e il ritornello solistico. 
Ciascun ritornello, proprio come nel gioco, inizia con le parole «E vola vola vola vola...» e prosegue nominando un volatile: specialmente noto è il verso «E vola lu cardille», al punto di confondersi con il titolo del brano, anche mercé i riferimenti al cardellino nella poesia o nella canzone napoletana, o citazioni come quelle presenti nel Cardillo addolorato (1993) di Anna Maria Ortese.

I

Vulesse fa' 'rmenì pe' n'ora sole, 

lu tempe belle de la cuntentezze. 

Quande pazziavame, amore, amore! 

E vasceuprì de vasce e de carezze. 

(Rit.)

E vola, vola, vola, vola, vola 

E vola lu pavone 

Si tiè lu core bbone 

Mo' fammece arrepruvà!


II

'Na vote pe' spegnà lu fazzulette 

So' state cundannate de vasciarte. 

Tu te scì fatte rosce e mi scì ditte. 

Di 'nginucchiarme prima e d'abbracciarte. 

(Rit.)

E vola, vola, vola, vola 

Vola la ciamarelle 

pe' n'ora cuscì belle 

m'ulèsse sprufunnà! 


III

Allor'i pupuccia capricciose, 

purté la trecc'appese a lu fruntine. 

Mo ti scì fatte serie e vrevugnose, 

ma ss'uocchie me turmente e mi trascine. 

(Rit.)

E vola, vola, vola, vola 

Vola lu gallinacce 

Mo' se te guarde 'n facce

Me pare di sugnà.

IV

Come li fiure nasce a primavere 

L'amore nasce da la citilanze 

Guagliò, si mi vuò bbene accome jere 

Né mi luvà stù sonne e sta speranze 

(Rit.)

E vola, vola, vola, vola 

E vola lu cardille 

Nu vasce a pizzichille 

Né me lo può negà 

E vola, vola, vola, vola

E vola lu cardille 

Nu vasce a pizzichille

Né me lo può negà!».



Per approfondimenti:
https://vastoabruzzo.blogspot.com/search?q=vola+vola+vola

6 agosto 2023

L’Album pittorico letterario abruzzese.

L’Album pittorico letterario abruzzese
di Angelo Iocco

Pagine dell’Album pittorico: entrata di Vittorio Emanuele a Pescara nel 1860, sul ponte di barche sul fiume


L’Album Pittorico e Letterario Abruzzese fu fondato da Francesco Vicoli di Chieti nel 1859. L’intenzione era quella di riportare in Abruzzo quel sentimento per la ricerca patria, avviato con Pasquale De Virgilii sempre a Chieti nel 1836, quando fondò il Giornale Abruzzese di lettere, scienze ed arti, in seguito trasferito a Napoli per problemi con l’Intendenza di Chieti circa le visioni politiche del De Virgilii. L’Album pittorico ebbe vita breve, nel 1860 a causa di problemi col governo borbonico chiuse; era stampato in città dalla Tip. Del Vecchio, storica stamperia di Chieti. Il diretto, Vicoli, era un valente patriota teatino, appassionato di letteratura, e promotore della causa dell’unità nazionale. Il fratello Luigi combatté in varie battaglie, e quando morì, fu sepolto nel cimitero monumentale di Chieti, e lo scultore Costantino Barbella gli realizzò la scultura granitica de “La Morte”, una delle sue opere più riuscite.
Al giornale collaborarono i maggiori intellettuali abruzzesi dell’epoca: Raffaele Del Ponte (1813-1872), pittore e incisore di Chieti, che realizzò i disegni, Angelo De Luca da Guardiagrele, già attivo presso il Giornale Abruzzese, Luigi e Francesco Vicoli, Ignazio De Innocentiis da Orsogna, Gianfedele Cianci poeta orsognese, Francescopaolo Ranieri da Guardiagrele, Clemente de Caesaris politico, poeta e oratore di Penne che fu coinvolto nei moti antiborbonici pennesi del 1837, e che combatterà strenuamente per la causa italiana nelle carceri della Fortezza di Pescara. A seguire Gabriello Cherubini , De Stephanis, Panfilo Serafini da Sulmona, Antonio De Nino, Angelo Leosini da Aquila con numerosi articoli riguardanti l’arte e la storia del circondario amiternino.