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26 ottobre 2022

Storie di streghe in Abruzzo.

Storie di streghe in Abruzzo


Spulciando negli archivi storici diocesani come quelli di Stato di Chieti, L’Aquila e Napoli, due ricercatori hanno ricostruito fatti, trascritto testimonianze, recuperato atti processuali: dando nome e cognome alle streghe e ai maghi dell’epoca, nonché ai loro persecutori.
"In Abruzzo - avvertono i due autori - non operano tribunali inquisitoriali. Furono pertanto i vescovi ad intervenire nei confronti delle stregonerie, delle angherie e dei sortilegi, spesso agendo in modo autonomo, ma a volte, nei casi più delicati, sotto la direzione della Congregazione romana del Sant'Uffizio”.
Il primo rogo multiplo fu quello di Penne, nel 1584. Un lungo processo per stregoneria, sollecitato dalla dispotica Margherita d’Austria, figlia dell’imperatore Carlo V e moglie del duca di Parma Ottavio Farnese. E’ proprio in alcune lettere al vescovo scritte da Margherita, feudataria anche in questo lembo d’Abruzzo, che si fa accenno ai “diavoli di Penne”: Cristina Malospirito, Caltelmo della Corvara, Annibale di Montegallo e “altri complici forestieri incantatori”. Finiti tutti sul rogo, e “incenerati”. Non uno dei piccoli paesi dell’Abruzzo si salvò da allora in poi dal sospetto e dal lutto. Come in ogni parte dell’Europa cattolica e protestante, il delirio collettivo contagiò prelati e nobili, popolani e curati, giovani donne e vecchie. Sortilegi e patti con il diavolo si registrano, atti alla mano, a Villa San Giovanni come a Tagliacozzo, a Città Sant’Angelo come a Teramo, a Chieti come a Giulianova. Ma forse è la storia di Orsolina Di Pasquale, la più emblematica di tutte. Anno di grazia 1612, in quel di Miano.

 


Orsolina: “fama trista”, secondo i testimoni del processo, è meretrice, perché aveva partorito più volte senza aver mai avuto marito. Orsolina, che conosce i segreti delle erbe, ha una figlia da mantenere, e forse si è procurata qualche aborto, in quella situazione di degrado e miseria. Orsolina, che è sempre pronta ad accudire gli alti, compresa Francesca, “spiritata da un anno”. Le basta sussurrarle poche parole all’orecchio, e la donna si acquieta. Lo fa davanti a tutti, Orsolina. Non va forse in chiesa ogni domenica a recitare le orazioni? Ma le crisi di Francesca, qualche tempo dopo, riprendono più forti di prima. E’ un maleficio! Orsolina si ritrova ad essere accusata di stregoneria da un giorno all’altro. Viene chiusa in carcere, processata, invano si proclama innocente. Spiega che le parole dette erano quelle pronunciate dal prete a messa (“Adoremus te, Criste”). Che non saprebbe nemmeno tradurre, ma che certo non possono far male. Ammonita dal vescovo ad abbandonare “sotterfugi e menzogna” e a confessare la verità, Orsolina non ritratta. Non ha fatto nulla di male. Viene torturata: spogliata, legata e tirata con la fune (“elevata”). Ma dalla sua bocca non escono che lamenti e preghiere, non nomi di diabolici complici. E’ rimandata in carcere. E mesi dopo, condannata. Non al rogo, ma “a stare in ginocchio con un cero in mano davanti alla porta della cattedrale di Teramo un giorno festivo, mentre si celebra la messa, e all’esilio da Miano e da tutta la diocesi di Teramo per un anno”.

Strega Melinda

L’ultimo identikit della strega abruzzese l’ha forse tracciato lo scrittore Dino Buzzati che, in cerca dell’Italia misteriosa per i suoi reportage sul “Corriere della sera”, si è fermato a Teramo nel 1965 ed ha avuto dal suo amico Franco Manocchia le informazioni sulla “strega Melinda”, morta a 93 anni, tre anni prima nella sua casupola in uno sperduto paese di povera gente sul piedistallo del Gran Sasso”. Sedotta e abbandonata a 15 anni da un giovanotto di Penne partito militare, Melinda prepara la sua prima fattura, appresa da una “commara”, con una ciocca dei suoi capelli, un bottone del suo corpetto e un pezzo di stoffa imbevuto del suo sangue mestruale, lasciandola sul letto per il ritorno dal fronte del seduttore; la fattura colpisce a segno, ma il giovane riparte e muore in guerra. Inizia così la sua vita miserabile con due piccoli da sfamare, decide di darsi alle arti magiche e va ad apprendere da un magarone di Forcella il mestiere di fare le fatture buone e da un altro di Montepradone, in provincia di Ascoli Piceno, quelle cattive. Così Melinda, strega per nascita ma anche per miseria, per oltre 70 anni, odiata e temuta dalla gente, vive facendo i suoi sortilegi, senza tariffe per le fatture buone, accontentandosi di quanto il cliente dava a volontà, qualche carta da cento lire, un mazzo d’agli, chiedendo anche mezzo maiale di compenso per le fatture a male. Una vita miserevole e triste che spinge i due figli, appena giovani, ad emigrare e a non dare più notizie alla madre, che conduce la sua vita “applicando l’antico codice della stregoneria locale tramandato a voce di strega in strega: una che sa benissimo quando fa il bene e quando fa il male, che non si illude e sa di non poter evitare l’inferno. C’è per lei una sola salvezza: se al momento della morte, quando in diavolo aspetta alla porta, qualcuno apre un buco nel tetto per dove l’anima possa fuggire”. E… sembra proprio che qualcuno abbia fatto il buco nel tetto alla sua morte! Melinda ha fatto migliaia di fatture, per far impazzire d’amore trafiggendo con spilli e chiodi le fotografie o preparando “polverine” con erbe speciali da versare nel caffè delle vittime, o trasferendo una malattia da una persona all’altra, ma anche opere buone, vivendo sempre sola ed evitando ogni anno di farsi vedere per la messa di natale perché sarebbe finita sicuramente ammazzata… La sua storia è emblematica di tutti i racconti di streghe ed folklore abruzzese.

Angela Occhio d’Vrocca

Questa storia è tratta da un vero e proprio processo per magia contro la “notoria maga, strega e fattucchiera Angela alias occhio di vrocca, autrice di malie contro certo Ignazio Rapattuni, ex amante della figlia Giovanna, il quale da “sette anni circa si ritrova malato stroppio dentro d’un fondo di letto” e diverse volte aveva minacciato la strega di denunciarla al santo Ufficio se non avesse guastato la fattura o lo avesse reso libero, ottenendo solo promesse non mantenute. Alla fine il povero Rapattuni, “più travagliato che mai”, e dopo che la fattucchiera gli ha fatto intendere “che mai sarrà che vogli guastargli detta malia e che morirà esso supplicante dato al demonio”, denunzia tutto al Commissario del Santo Ufficio, invocandolo “in visceribus christi” di prendere a cuore il suo caso e di punire la strega. I fatti sono accaduti a Chieti dal1661 al 1668, anno in cui, il 3 dicembre, c’è la supplica di Rapattuni corredata, però, dai verbali degli interrogatori di alcuni testimoni, avvenuti tutti nell’agosto precedente, che occupano 9 delle 11 carte di cui si compone il documento. I testimoni, quasi tutti vicini di casa, sono Giuseppe Celentani, Antonio della Tucca alias Lanuto, Pasquale Cinquina con la moglie Geronima, Tonto di Caramanico con la moglie, Domenico Roccioli, Vegilia Centobeni, Angela Dolce Canto, e concordano nei particolari riportati nelle testimonianze. Inizia Giuseppe Celentani, risedente a Chieti, vicino a casa di Angela occhio di vrocca (cioè occhio di gallina) nei pressi di “Porta Pescara”, di cui dichiara di aver sentito in giro che è una “malissima donna e tiene nome di pubblica fattucchiera e donna di malissimo vita… che cel’ habbia fatta (la fattura) per cause che detto Ignatio conosceva carnalmente detta Giovanna sua figlia e perché sempre bastonava e maltrattava essa Angela…”.
Il Cementai dichiara anche di aver ricevuto l’incarico dal Rapattuni di intercedere presso Angela perché sciogliesse la fattura; la donna promise di interessarsene una sua amica schiavona capace di queste operazioni magiche, ma questa nel frattempo era morta e perciò non se ne fece nulla. Le altre testimonianze concordano tutte con questa versione: Rapattuni era immobilizzato a letto per una fattura di Angela la quale si era così voluta vendicare dei maltrattamenti subiti e perché, a causa dei litigi, egli aveva anche lasciato la figlia Giovanna, sua amante; quest’ultima era stata sentita da più d’uno rimproverare alla madre di aver affatturato il suo amante. Il fascicoletto intitolato “Inquisizione di stregoneria contro Angela della occhio di vrocca di Chieti, 1668”, non aggiunge altro ai verbali delle testimonianze che spesso parlano dell’inquisita come di famosa fattucchiera e “per la gente e fra la gente della città di Chieti” si diceva pubblicamente della fattura che teneva immobilizzato il povero Rapattuni. Si è svolto il processo? E’ stata condannata la strega oppure è nel frattempo deceduta, per cui non si è più potuto procedere? E l’affatturato, per quanto tempo ancora è rimasto paralizzato sotto gli effetti della malia? Nessuno lo saprà mai, a meno che non vengano trovate altre carte successive a quelle della fase istruttoria, se ve ne uno. Un fatto è certo: Angela non doveva essere una donna morigerata, ma….. le capacità stregonesche le venivano attribuite, probabilmente, perché aveva gli occhi simili a quelli della gallina.



Seguono una serie di testimonianze raccolte sulla stregoneria in Abruzzo:

Antonio Anello n.1923 Atri (TE)

Una ragazza strega, una notte, andò a trovare il suo fidanzato che, sentito il vento vicino al letto, prese il coltello e colpì nell’aria e apparve la ragazza tutta nuda, nuda. Il ragazzo chiamò il padre e la madre, la vestirono con dei panni di casa e la riportarono a casa sua. Da quel giorno non tornò più strega perché con la goccia di sangue dalla marcatura se ne era andata la virtù.

Leonello Di Nardo n.1928 Bucchianico (CH)

Mia cugina era nata la notte di Natale e, per questo, dall’età di due anni, certe notti spariva; se la venivano a prendere le streghe. Questo è successo, finchè non l’hanno marcata con un ago arroventato; è stata la levatrice a farlo, sotto il piede sinistro, le fece uscire un po’ di sangue; così la bambina perse quella virtù e non uscì più la notte con quella compagnia. Allo stesso orario in cui spariva la bambina, spariva anche il cavallo di un vicino di casa; forse serviva per portare lei.

Santina Astrologo n.1925 San Valentino (PE)

Una donna, tutte le mattine, ritrovava la tela tessuta: allora per vedere se era qualche strega a tesserla, la notte appresso, prese uno spiedo e lo arroventò nel fuoco. Quando, a una certa ora ha sentito il telaio tessere, fece passare quel ferro per un buco che era nel muro, giusto nella direzione della spola, così colpì la mano della strega, la “marcò”; come è uscito un pò di sangue, apparve una bellissima ragazza (perché prima era invisibile) che disse: “Povera veneziana, sono venuta tanto di lontano; chi mi riporta alla Venezia mia?”

Maria Di Pompeo n.1960 Castel del monte (AQ)

Tutte le notti, una donna sentiva il telaio lavorare su e giù nella stalla; il giorno appresso, mise un segno sulla tela e, quando la mattina dopo tornò a vedere, lo trovò cresciuta. Raccontò il fatto al marito e fecero un buco nel muro per vedere chi era che tesseva la notte. Andarono a dormire, ma, a un certo punto arriva una donna che accende il lume, si siede e comincia a tessere. Allora, quelli prendono un ferro, lo arroventano e la colpiscono sulla man, esce il sangue e questa si mette a dire: “Povera giovane di Perugina, povera giovane di Perugina!”. Allora, la moglie e marito scendono sotto e si fanno dire dove abitava e di chi era figlia e così la mattina dopo la riportarono a casa sua: il padre per la contentezza che gli avevano “salvato” la figlia, gli fece per regalo un sacchetto pieno di marenghi d’oro.

Raffaele D’Onofrio, n.1928 Vacri (CH)

Una bambina di sei, sette anni, veniva portata in giro la notte dagli stregoni perché era nata “vestita” (e la mamma la “camicia” l’aveva conservata). Allora, la gente disse alla mamma che quando sentiva la bambina strillare perché se la venivano a pigliar, lei con un ferro arroventato la doveva “marcare” per farla uscire un po’ di sangue, così non ci poteva andare più, perché perdeva quella virtù. La mamma così fece, però gli stregoni per dispetto fecero ammalare la bambina e, per guarirla la dovettero portare da diverse “magare”.

Pasquale Di Girolamo, n.1931 Carpineto Nora (PE)

Un pastore, in montagna era sempre seguito da una gatta che gli andava dietro dietro; improvvisamente appariva e spariva, gli miagolava, non si capiva che voleva; finché un giorno, il pastore prese il coltello e le fece uscire un po’ di sangue; allora, gli apparve la fidanzata che lo ringraziò per avergli levato il “destino di strega”.

Ernestina Nelli, n.1905 Bomba (CH)

Una donna che conoscevo aveva una bambina che veniva sempre disturbata da qualche strega; in questo modo a questa poverina erano già morti tre o quattro figli. Allora, fece la veglia per nove notti vicino alla culla, finché entrò in casa una gatta (quella era la strega), la prese e la fece “nera di botte”, come si insanguinò ridiventò una persona, una donna normale (che pure conosceva, era dello stesso paese), questa se ne scappò fuori e così la bambina fu salva.

Testi tratti da:

- “Le superstizioni degli Abruzzesi” di Emiliano Giancristofaro

-Opuscolo informativo “Streghe: dramma, emozione, turbamento in un mondo che ci appartiene” di Franco Di Silverio.

  

Da:  http://portalecultura.egov.regione.abruzzo.it/abruzzocultura/data//Abruzzesi%20illustri/Storie_di_streghe_in_Abruzzo.pdf

https://www.academia.edu/3847567/Storie_di_streghe_in_Abruzzo?email_work_card=thumbnail

26 giugno 2022

Calascio: La leggenda di Re Marrone.

 
La leggenda di Re Marrone
a cura di Antonio Mezzanotte

Si dice e si racconta che ai tempi dei tempi viveva a Rocca Calascio il Re Marrone. Immense le sue ricchezze: trentasei castelli nella piana di Foggia e oltre cento nella Baronia di Carapelle. Possedeva più di cento morre di pecore, le più belle mai viste, dal cui latte il mastro caciaro ricavava il formaggio più saporito di tutti gli Abruzzi e la cui lana era la più bianca e soffice, tant'è che non solo da Napoli venivano per comprare panni, pezze e ricotte, ma addirittura il Re del Portogallo ogni anno nel mese di maggio mandava i suoi tre figli a Calascio per procurarsi la lana della prima tosatura, la migliore, l'unica degna di riempire i cuscini del Re.
Ma l'invidia è una brutta bestia ed ecco allora che il Re delle Corone, che comandava sulla Piana di San Marco (presso Castel del Monte) e possedeva pure lui castelli, greggi e ricchezze, prese a malvolere Re Marrone e con la scusa dello sconfinamento di una pecora mosse guerra al suo vicino.
Fu una guerra spietata, che portò morte e desolazione, ogni fazzoletto di terra veniva conteso ferocemente tra i due eserciti, finché il Re Marrone fu costretto a rinchiudersi a Rocca Calascio, assediato per dieci, lunghi anni dal Re delle corone.
La Rocca era imprendibile, le torri più robuste e le mura più massicce di tutte le montagne proteggevano il Re Marrone e la sua gente, ma anno dopo anno le provviste iniziarono a scarseggiare, così come l'acqua delle grandi cisterne. Re Marrone, pertanto, comandò di mangiare prima tutti i formaggi dei capienti magazzini, poi i cavalli, le mucche, le capre, infine le pecore. Ai suoi soldati, intanto, erano cresciute lunghe barbe bianche.
Fu allora che mastro Nicola, il più vecchio e saggio caciaro del paese, osò rivolgersi al Re e gli disse: "Maestà, qua siamo tutti condannati, ma, se vuoi salvare il Regno e vincere la guerra, mo ti dico come fare!". E fu così che il caciaro espose l'ingegnoso piano al Re.
Appena che l'ebbe ascoltato, Re Marrone ordinò tosto che si mungessero le poche pecore e capre rimaste ma il latte era davvero poco, allora chiese a tutte le puerpere di versare il latte dei loro seni in un grande calderone. Mastro Nicola da quel latte seppe ricavare dodici pezze di formaggio, così bianche e tonde come mai si era visto prima. Il Re ordinò quindi ai soldati di salire sulla torre più alta della Rocca e di far rotolare a valle le dodici forme di cacio, mentre donne, vecchi e bambini avrebbero dovuto andar su e giù lungo le mura del castello e cantare e danzare come se ci fosse stata una gran festa.
Più in basso, ai piedi della montagna, il Re delle corone non se la passava tanto meglio. Anzi. Dopo quei dieci anni di assedio l'esercito era allo stremo e i magazzini ormai vuoti.
Quand'ecco che le sentinelle dell'accampamento cominciarono a sentire un gran vociare proveniente dagli spalti di Rocca Calascio e, sporgendosi dalle trincee, videro tanta gente che si divertiva sulle mura e rimasero a bocca aperta.
E in men che non si dica l'accampamento dell'esercito assediante fu colpito da .... dodici pezze di cacio proveniente dalla Rocca.
"N'è possibile!" urlò il Re delle corone. Tutta quella gente a ballare e cantare e le caciotte che rotolavano a valle. "Vuoi vedere che lassù, nonostante dieci anni di assedio, se la passano ancora bene e scialano tra banchetti e feste?" disse tra se.
Allora, si convinse che il Re Marrone fosse invincibile, che avesse scorte abbondanti di cibo per resistere ancora a lungo, mentre lui e i suoi soldati erano ormai alla fame, e subito levò l'assedio e inviò gli ambasciatori per trattare la pace.
Ecco dunque la storia del Re Marrone di Rocca Calascio e di come vinse la guerra che gli fece per invidia il Re delle corone della Piana di San Marco.
Questo racconto fu tramandato nella famiglia di mastro Nicola il caciaro di generazione in generazione, finché qualcuno non lo ha detto a qualcun altro, che l'ha detto a qualcun altro che l'ha detto pure a me...