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28 novembre 2021

Antonio Mezzanotte, I Caracciolo di Santobono, chi erano costoro?


I Caracciolo di Santobono, chi erano costoro?
di Antonio Mezzanotte

I Caracciolo di Santobono, chi erano costoro? Una delle più antiche famiglie nobili del Regno di Napoli, che riuscì a creare un vasto stato feudale tra Abruzzo e Molise dal XV sec. in poi: dal centro di San Buono, nella Valle del Treste, ad Agnone, Castel di Sangro, Capracotta, San Vito Chietino, Bucchianico, Roccaraso, Castiglione Messer Marino, Rosciano, Alanno, Cugnoli, Fraine, Roccaspinalveti, Guardiagrele e tanti altri luoghi. Ad un certo momento, la loro ascesa sembrava inarrestabile, la stessa città di Chieti finì soggiogata al dominio dei Santobono. Ferrante (nato a San Buono) fu l'antagonista di Masaniello, suo nipote Carmine Nicola (di Bucchianico) ebbe incarichi internazionali di primo piano divenendo Viceré del Perù ed il figlio di questi, Giovanni Costanzo, cardinale, fu l'artefice della più famosa fontana al mondo, quella di Trevi a Roma. L'archivio dei Santobono, conservato in parte nell'Archivio di Stato di Napoli, è una miniera di informazioni su tanti profili di storia economica, sociale, politica e culturale abruzzese, molisana, napoletana. Ho la sensazione, però, che, contrariamente ai Valignani di Chieti, ai d’Avalos del Vasto ed agli Acquaviva di Atri (tanto per citare altre famiglie nobili che pure hanno inciso profondamente sulle vicende dei propri feudi abruzzesi e non solo), i Caracciolo di Santobono sono ancora poco studiati.
Uno degli infiniti, possibili approcci per auspicabili ricerche potrebbe essere verificare in che modo ed in che misura le abitudini alimentari abruzzesi siano state indirizzate dall’utilizzo di particolari varietà di grano, come la "carosella", ad esempio, che nei domini dei Caracciolo, a San Buono ed a Monteferrante, era largamente prevalente e, da lì, diffusasi in tutta la regione ed anche oltre.
Per tale motivo, a chiusura (per ora) di queste veloci escursioni domenicali sui Caracciolo di Santobono (escursioni divulgative e senza pretesa alcuna), voglio riproporre un post di qualche tempo fa avente ad oggetto proprio il grano detto "carosella".

IL GRANO DEL PRINCIPE

Agostino Giannone era un bravo avvocato amministrativista di fine Settecento e tra i suoi assistiti figurava Gregorio Caracciolo, principe di Santo Bono, duca di Castel di Sangro, marchese di Bucchianico (solo per ricordo, i Caracciolo di San Buono possedevano o avevano posseduto nel tempo mezza provincia di Chieti, l'Alto Sangro, parte del Molise e vari territori del pescarese, tra i quali Rosciano, Alanno e Cugnoli).
Il Giannone ebbe vari incarichi pubblici: fu nominato segretario dell'Accademia siciliana di agricoltura, arti e commercio (una antesignana delle moderne Camere di Commercio) e, grazie al favore del Caracciolo, anche segretario della Real Deputazione delle nuove strade degli Abruzzi (ossia dell'ente - una ANAS ante litteram - al quale i Borboni affidarono la realizzazione di nuovi collegamenti tra la capitale, Napoli, e la nostra regione, in particolare della strada che da Venafro saliva a Sulmona, quella che i francesi chiamarono Napoleonica e che, in buona sostanza, è oggi un tratto della S.S. 17 dell'Appennino abruzzese).
Nel predisporre la relazione sullo stato finanziario delle opere stradali necessarie per collegare Venafro a Sulmona e da lì proseguendo per L'Aquila e Chieti, il Nostro Avvocato annotò con minuziosi particolari le caratteristiche salienti del territorio abruzzese di fine Settecento (1784).
In particolare, l'Avv. Giannone si sofferma sulla coltivazione del grano, indicando dapprima le località a spiccata vocazione granaria (soprattutto del teramano), per poi aggiungere che la varietà di grano detta Carosella, inizialmente coltivata soprattutto a San Buono e Monteferrante (entrambi feudi dei Caracciolo) era diventata la più diffusa nell'intero Abruzzo Citeriore, tanto che essa stava espandendosi in quasi tutte le località dell'Ulteriore ed era molto commercializzata anche fuori dei confini nostrani.
Com'era e com'è la Carosella? Un grano tenero, risalente direttamente all'epoca dei romani, a stoppia lunga fino ad un metro, il cui nome deriverebbe dal siciliano "caruso" per indicare il chicco piccolo ed allungato, leggero, di aspetto dorato e lucido.
La farina di Carosella (a basso contenuto di glutine) era ricercata per le qualità di tenere la pasta a cottura e per il pane.
Con l'avvento della trebbiatura meccanica i grani a paglia lunga furono sostituiti con le varietà a paglia corta, di natura ibrida, tanto ibrida che sovente sono causa di insorgenza di allergie alimentari, prima di tutte quella al glutine.
In varie zone del Meridione (Cilento e Basilicata) si sta riscoprendo questa antica varietà.
Sarebbe cosa buona e giusta ed utile, allora, studiare la storia del territorio anche per riscoprire una sana alimentazione e il grano del principe Caracciolo, un tempo coltivato in tanti paesi della nostra regione, potrebbe essere riscoperto ed accostato alle altre varietà autoctone abruzzesi, come la Solina e la Saragolla, ma io aggiungerei per la qualità anche il Senatore Cappelli, per una scelta alimentare genuina e salutare.

23 giugno 2021

Bartolomeo Pinelli, “Costumi d'Abruzzo”. Incisioni all'acquaforte, 1809 - 1820 (by Filippo Marino).




Incisioni all'acquaforte di costumi delle seguenti località (all’epoca tutte) d’Abruzzo: Cappadocia, Casalbordino e Lecce dei Marsi, Castiglion Messere Raimondo, Chieti, Fraine, Gioia dei Marsi, Mascioni di Campotosto, Mozzagrogna, Pettorano sul Gizio e lago del Fucino, Pietraferrazzana, Pietransieri, Preta di Amatrice (RI), Roccaspinalveti, Scanno, Schiavi d’Abruzzo, Vasto, Villa Pianezza di Leonessa (RI).


17 marzo 2021

Marino Valentini, Il naufragio dell'Utopia. Il Titanic degli abruzzesi dimenticati, 17 marzo 1891.


Oggi ricorre il 130° anniversario di una sciagura che ha visto,  tra le 563 vittime, diverse decine provenienti dall'Abruzzo chietino, molte delle quali da Fraine.

Il libro percorre un viaggio temporale di tre decenni dall'Unità d'Italia fino ad arrivare esattamente dopo trent'anni al 17 marzo 1891, narrando lo sventurato viaggio della nave Utopia e del suo naufragio avvenuto nel porto di Gibilterra, dove 563 vite furono spezzate, inghiottite dai flutti del mare.
Dopo 130 anni viene finalmente riconosciuto il merito del ricordo del sacrificio di questi poveri emigranti che non avevano certo il rango degli illustri passeggeri del Titanic e, abbandonati dalla loro Patria in vita, vergognosamente lo sono stati anche da morti.