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27 marzo 2021

Sulmona, Morrone: 22 secoli di storia, di Mario Setta.


 Sulmona, Morrone: 22 secoli di storia

di Mario Setta

Premessa: Succede che un luogo diventi parte importante della propria vita. Personalmente arrivai a Badia di Sulmona il primo ottobre 1970, nominato parroco, proveniente da Roma, dove, in qualità di cappellano del lavoro, mi occupavo dei lavoratori dell’edilizia, soprattutto pendolari abruzzesi, tanto che uno degli obiettivi assistenziali fu la creazione per loro di una casa di ospitalità durante la settimana. Ci riuscimmo, con gli stessi lavoratori, ed è durata venti anni. Giunto alla casa parrocchiale di Badia di Sulmona, aprii le porte e cercai di accogliere gli operai pendolari che lavoravano alla nuova fabbrica della Fiat. La casa divenne “centro di comunità”. Di sera, usavamo i locali come scuola per operai di preparazione alla terza media. Fu uno sconvolgimento per la gente delle frazioni (Fonte d’Amore, Badia, Case Lupi, San Pietro, Bagnaturo), anche se io studiavo sociologia alla Gregoriana, per acquisire strumenti scientifici nei rapporti con la gente. Capirono a fatica, ma con gioia, che cercavo di creare una comunità di fratelli. Vi rimasi nove anni, sempre in tensione con l’autorità ecclesiastica, sempre contraria ad ogni novità pastorale. Ero convinto e determinato per ciò che facevo. Incrementai con altri preti la linea di rinnovamento, sopprimendo le tariffe della Messa e dei sacramenti. Organizzammo un convegno di oltre settanta preti, laici e religiosi, alla casa parrocchiale, appellandoci all’esempio di Celestino V, tanto che alcuni salirono all’eremo, e tra loro un famoso gesuita insegnante all’Università Gregoriana, che tenne una conferenza in città. Sono rimasto fino al 7 aprile 1979.

Ho raccontato le mie vicende personali, e non solo, nel libro autobiografico “Il volto scoperto”, esprimendo la mia critica nei confronti dei dogmi ecclesiali, primo fra tutti quello del peccato originale, pubblicando “HOMO, Elogio di Eva”, un piccolo libro poetico-teologico.

Per essere sincero, e lo sono ancora, dopo la cacciata dalla casa parrocchiale di Badia, a me è andata benissimo, avendo cercato di superare le difficoltà. Ho insegnato storia e filosofia al Liceo Scientifico, abbiamo realizzato la manifestazione internazionale “Il sentiero della Libertà/Freedom Trail”, abbiamo pubblicato le testimonianze dei prigionieri del Campo 78, abbiamo ottenuto e pubblicato il diario del Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, della sua traversata a piedi il 24 marzo 1944 da Sulmona a Casoli. Abbiamo creato l’associazione culturale “Il Sentiero Della Libertà/ Freedom Trail  e realizzate diciannove edizioni della Marcia.

Spero e mi auguro che queste storie diventino lezione di vita per ciascuno.

  

La Memoria del Morrone:

Lo Spazio-Il Tempo-Gli Uomini

Sul monte Morrone, contrafforte della Maiella, che domina la Valle Peligna, nello SPAZIO di pochi chilometri di perimetro, si conserva la memoria d’un TEMPO più che bimillenario: dall’era pre-cristiana del santuario di Ercole Curino al medioevo dell’Eremo di Pier da Morrone-Celestino V e l’Abbazia di Santo Spirito fino alle due guerre mondiali con il Campo di concentramento di Fonte d’Amore. Un territorio che unisce spiritualità religiosa e solidarietà umana.  “Epopea”, “Resistenza Umanitaria” è stata definita dagli storici la solidarietà dimostrata dalla gente  peligna ai prigionieri di guerra, che ricordano the Sulmona’s spirit, lo spirito di Sulmona” (cfr. AA.VV. (a cura di Rosalba Borri, Maria Luisa Fabiilli, Mario Setta, E si divisero il pane che non c’era, ed. Labor, Sulmona 1995: II  ed. Qualevita, Torre dei Nolfi  2009)

 

Santuario di Ercole Curino

Sul monte, luogo sacro già dai tempi precedenti alla nascita di Cristo, esisteva un santuario dedicato ad Ercole. Era il nome latinizzato dell’eroe greco Eracle, con l’appellativo di Curino o Quirino, “culto nazionale dei Peligni” e di cui si ammirava la straordinaria forza, avendo superato le famose 12 fatiche, ottenendo l’immortalità.  Il complesso monumentale si compone di due grandi terrazze addossate al pendio della montagna. L’accesso avveniva mediante scalinate. Sulla terrazza superiore, si trova un piccolo ambiente quadrato, di carattere cultuale, con pavimento a mosaico. In esso furono rinvenute due immagini votive di Ercole, l’una in bronzo, l’altra in marmo, rappresentante l’eroe sdraiato. Il santuario risale al primo secolo a.C. e sembra documentato che all’epoca delle guerre sociali (91 a.C.)  fungesse da  centro religioso della lega tra i popoli italici che nell’ 87 a.C. ottennero la cittadinanza romana. La festa nel santuario di Ercole Curino avveniva il 13 agosto (“Idi di agosto”), mediante un rito che prevedeva l’offerta, la purificazione nell’acqua, l’accesso al “Sancta sanctorum”, ed anche l’“incubatio”, cioè il pernottamento all’interno del luogo sacro per ottenere qualche grazia. Notevole, dal punto di vista architettonico, l’ Opus reticulatum. (Per informazioni più dettagliate: cfr.  Alessandro Bencivenga, “Luoghi, tempi e modi del culto di Ercole tra i Paeligni”)

 

Oratorio di S. Onofrio  (Alto medioevo)

L’oratorio, dedicato a S. Onofrio, risale ad un’epoca di passaggio dal paganesimo al cristianesimo. Vari furono i santuari dedicati a  santi eremiti della Tebaide, in particolare a S. Antonio Abate e a S. Onofrio.  Di S.Onofrio si sa ben poco. Anch’egli, probabilmente, era un eremita, vissuto  nei primi secoli del Cristianesimo. Una raffigurazione di S. Onofrio, nella Yilanli Kilise di Goreme, in Cappadocia (Turchia) lo presenta con lineamenti femminili, sulla base di una leggenda che ne parlava come di donna convertita e consacratasi alla vita eremitica. Anche qualche immagine e statua conservate nel santuario lo presenta con capelli lunghi  fino ai piedi,  quasi a nascondere i suoi lineamenti. Il monachesimo benedettino, nato in Occidente, tenderà a modificare lo stile di vita eremitica sintetizzandolo nel  motto “Ora et Labora” .

 

Eremo di Pietro da Morrone  (Basso medioevo)

Accanto alla chiesetta di S. Onofrio, raccogliendo e ravvivando lo spirito dell’anacoretismo, si stabilirà fra’ Pietro da Morrone, divenuto in seguito  papa Celestino V. Ignazio Silone, nel proemio al dramma dal titolo  L’avventura d’un povero cristiano, racconta la sua ascensione verso l’Eremo: «Una tenera luce verde dorata bagna i campi gli alberi i paesetti pedemontani, il grandioso scenario della Maiella e dà una proporzione armoniosa a ogni minimo oggetto. Benché nato e cresciuto in una valle attigua, da cui la Maiella è invisibile, nessuna montagna mi tocca come questa. Elementi emotivi assai complessi si aggiungono all’ammirazione naturalistica. La Maiella è il Libano di noi abruzzesi». 

Nella Bibbia il Libano è simbolo di maestosità e di potenza, tanto che Mosè chiese a Dio di vederlo e non fu esaudito (Deut. 3,25-26).  Ma anche di gioia e di bellezza, come  viene  spesso descritto nel Cantico dei Cantici. Non solo il Morrrone e la Majella, ma in generale le montagne abruzzesi erano considerate luoghi di nascondiglio e di difesa dalle persecuzioni dei tiranni.  Angoli di speranza e di libertà. Gioacchino Volpe, famoso storico abruzzese, nel volume “Movimenti religiosi e sette ereticali”,  riferisce di una bolla di Bonifacio VIII  “contro quei bizochi o altrimenti chiamati che, ricoveratisi nei monti dell’Abruzzo, in abiti ovini, ma veri vampiri, spargevano eresia tra i semplici uomini”. Nella seconda guerra mondiale, dopo l’8 settembre, i tedeschi che occuparono il campo di prigionia di Fonte d’Amore, vi posero un cannone e distrussero l’eremo, ritenendo che vi fossero rifugiati i prigionieri alleati. Nel dopoguerra l’eremo fu ricostruito con la collaborazione dei cittadini delle frazioni morronesi.

Una questione aperta resta quella della proprietà. In un articolo su “Rivista Abruzzese” (Anno LXXI - 2018 - N. 1 Gennaio-Marzo), Roberto Carrozzo, responsabile dell’Archivio di Stato di Sulmona dal titolo  L’Eremo di S. Onofrio al Morrone, un monumento in cerca di proprietario” espone una ricerca precisa e documentata  sulla questione, concludendo: “A conclusione di questa breve esposizione si può ritenere che il Comune abbia continuato a detenere in proprietà l'edificio, così come dovrebbe detenerlo a tutt'oggi (salvo documenti che ne attestino il contrario, di cui si dubita però l'esistenza), mentre la gestione del culto religioso rimase affidata alla Diocesi. Infatti, questo giustificherebbe pienamente la lettera inviata nel 1986 dall'allora sindaco della città, La Civita, con la quale fece richiesta alla Cassa di Risparmio della Provincia dell'Aquila di un contributo speciale per la esecuzione di lavori di pronto intervento all'eremo per la sua salvaguardia, specificando che «sia questo Comune, proprietario dell'immobile, che la Curia Vescovile che lo tiene in uso gratuito, si trovano nell'impossibilità di far fronte alla spesa».