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16 novembre 2025

Pescara: Il Teatro Pomponi.

IL TEATRO POMPONI:  STORIA


Il  Teatro  Pomponi  venne  costruito su  2.600  metri  quadri  di  proprietà  del demanio: l’aveva fatto sorgere dal nulla, sulle spoglie del fatiscente Padiglione marino in appena 60 giorni, il cavalier Teodorico Pomponi un affarista che si era arricchito commerciando con i muli durante la prima guerra mondiale e nel 1910 era stato   appaltatore  anche dell’ippodromo della Pineta.
Il 12 febbraio 1920 il Comune, retto dall'allora sindaco di Castellamare Adriatico, Puca, ottenne per 29 anni la concessione del lungo fabbricato costituente il Padiglione Marino, il vecchio stabilimento balneare in fondo a Corso Umberto  e di una vasta area all'intorno per ampliarlo e trasformarlo in un grandioso Kursaal con un albergo, teatro e casinò. Ma la delibera presentava tante imperfezioni e doveva essere corretta; poi la Giunta provinciale amministrativa bloccò tutto. Pomponi, che dichiarava “Un paese civile la prima cosa che fa , costruisce un teatro”,  non si diede per vinto e il 29 dicembre 1922  ottenne una sorta di liberatoria, su cui pesava l’ormai imminente Settimana Abruzzese del 1923, con la visita della Famiglia reale e dei gerarchi fascisti e la mancanza di un luogo dove riceverli decorosamente.   
Castellamare ebbe così  il suo teatro con più di mille posti più grande del  «Michetti» della dirimpettaia  e rivale Pescara. Un volo d’ottimismo per una cittadina che faceva sì e no 12.000 abitanti. Fu  lo stesso Pomponi,  in occasione  della Settimana  Abruzzese,  ad accogliere Benito Mussolini che fece il suo discorso dall'alto del balcone del Padiglione Marino annesso al Pomponi  nell'agosto del 1923 e poi, nel  teatro ancora  privo di una degna facciata, nella serata di gala in onore del capo del governo,  fu eseguita l’opera “I Compagnacci”  di  Primo Riccitelli su libretto di Gioacchino Forzano, noto autore di libretti d’opera  per Leoncavallo e Mascagni. Nei primi degli anni Trenta il Pomponi fu sede di un Circolo del Littorio, il quale insieme col Circolo Aternino della vecchia Pescara  aveva il compito di raccogliere il meglio della cultura della città.  
Ma oltre a feste e balli degna di memoria  in questi anni fu l’attività della  filodrammatica “Aterno” composta di attori dilettanti diretta dal dottor Leopoldo Mascaretti.
L’attività  gestionale del Pomponi venne affidata dal 1937 alla Società Gestione cinema teatri, di cui era amministratore unico il cavalier  Guido Costantini. L’edificio ospitava  la gelateria Glacia, con i suoi eleganti tavolini all'aperto, una birreria, il circolo  della  stampa, il  circolo  degli impiegati, il liceo musicale. Era il cuore cultural mondano della città rinata dalle ferite della guerra.

Ma ai costruttori che stavano cambiando il volto di Pescara cominciò a fare gola il posto in cui  il teatro Pomponi era situato. Nel 1947 era stato predisposto dall'architetto Piccinato un piano di ricostruzione che ne prevedeva  l’abbattimento nel quadro della creazione del Parco della Riviera. Ma come ci ricorda Raffaele Colapietra, in uno dei primi numeri del periodico l’Adriatico, Filandro de Collibus, deputato fascista, aveva proposto la stessa condanna, senza riferimento a parchi da creare, parlandone solo come “un groviglio edilizio” privo di arte e bellezza da radere al suolo.

La sua  manutenzione per dieci anni  venne ridotta al minimo indispensabile e Martedì 12 agosto 1958 il Giornale d’Italia anticipava che il Palazzo Pomponi sarebbe stato presto abbattuto per far posto al progetto di un albergo di 12 piani.  Il 24 maggio 1964 venne ordinato un ulteriore sopralluogo nel corso  del quale i tecnici rilevarono «rilevanti dissesti generali in tutte le sue parti».  Il  28  Mariani   firmò  l’ordinanza di sgombero.  L’ultimo spettacolo  è del 4 giugno 1963:  una morte annunciata. A fine settembre del 1963 il  vice sindaco Evo Di Blasio firma l’ordinanza di demolizione in quanto ritenuto pericolante: si compiva così   il destino  del  Teatro  Pomponi. Ma la struttura non veniva giù, perché Pomponi era sì un avventuriero  ma  aveva usato il cemento armato. Si dovette far ricorso alle cariche esplosive.

Il  Teatro Pomponi imperioso e nello stesso tempo discreto, sorgeva proprio di fronte all'attuale nave di Cascella, non era certamente  un capolavoro di estetica, ma  svolgeva  la  sua funzione culturale di  fondamentale polo di aggregazione della nascente area metropolitana. Lo testimoniano molti documenti dell’Archivio comunale tra questi anche la concessione di lire 2500 che  Domenico Tinozzi  medico e letterato e senatore, che fece costruire il palazzo della Provincia e  del Comune, istituì il liceo ginnasio e la biblioteca provinciale, elargì per la stagione lirica del Teatro Pomponi.
D’estate i villeggianti facevano la fila per assistere agli spettacoli delle migliori compagnie dell’epoca.  Si davano proiezioni cinematografiche e nell'intervallo, il varietà o l’avanspettacolo, ma anche la lirica e l’operetta.  Vi  si  esibirono Totò e Peppino De Filippo. Nel 1930 il  Pomponi ospitò  il primo  film sonoro, “La canzone dell’amore” di Ghirelli, e subito dopo una pellicola di  Petrolini: tutta  Pescara  si  radunò lì davanti. fregi, i lampadari, gli stucchi in stile liberty, le  poltrone  in  velluto rosso  ne facevano  una struttura raffinata  che qualsiasi altra città si sarebbe tenuta ben stretta. Ma Pescara decise diversamente.                                                                                             

Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli 
I documenti e le immagini (quelle prive di firma) sono tratti dall'Archivio di Stato di Pescara e da “Pescara” di Luigi Lopez.

9 novembre 2025

Il Vampiro (1819) di John William Polidori, cognato del poeta vastese Gabriele Rossetti.


John William Polidori (Londra, 7 settembre 1795 – Londra, 24 agosto 1821) è stato un medico, scrittore e poeta britannico, segretario e medico personale del poeta George Byron; è noto per aver scritto Il vampiro, uno dei primi racconti della letteratura moderna su questa creatura leggendaria.

Figlio maggiore di Gaetano Polidori, un letterato italiano originario di Bientina, in provincia di Pisa (segretario personale di Vittorio Alfieri), e di Anna Maria Pierce, una istitutrice britannica, aveva tre fratelli e quattro sorelle, una della quali, Francesca sposò il poeta vastese Gabriele Rossetti.

Polidori era uno dei primi della sua classe all'Ampleforth College dopo aver iniziato gli studi nel 1804 presso i frati di Ampleforth. Nel 1810 si trasferì all'Università di Edimburgo dove scrisse una tesi sul sonnambulismo, laureandosi in Medicina nel 1815 alla precoce età di diciannove anni. Nel 1816 entrò al servizio di Lord Byron come suo medico personale e lo accompagnò nei suoi viaggi attraverso l'Europa.

A Villa Diodati, la casa che Byron affittò presso il lago Lemano in Svizzera, i due incontrarono Mary Wollstonecraft Godwin, il futuro marito di Mary, Percy Bysshe Shelley, e la sorellastra di Mary (nonché amante di Byron) Claire Clairmont. Fu proprio in quella casa che, in una serata di giugno, lessero ad alta voce alcuni brani dall'antologia di racconti tedeschi dell'orrore Fantasmagoriana. A causa di una tempesta i cinque scrittori furono costretti a rimanere in casa, così Byron suggerì di scrivere ciascuno una storia di fantasmi, per passare il tempo sino alla sera successiva: nacquero così Frankenstein, scritto dalla Shelley, e qualche anno dopo Il vampiro di Polidori, quest'ultimo ricalcato sulla figura dello stesso Byron.

Evitando il personaggio crudele e sanguinario delle tradizioni popolari, Polidori modellò il proprio vampiro sul modello byroniano dell'eroe tenebroso e maledetto, e lo chiamò "Lord Ruthven" come omaggio all'amico poeta (il nome, infatti, era originariamente usato nel romanzo Glenarvon di Lady Caroline Lamb per un personaggio che era chiaramente l'alter ego di Byron stesso). Lord Ruthven non fu solo il primo vampiro della letteratura inglese, ma anche il primo vampiro del tipo più in voga nel mondo contemporaneo: aristocratico, inserito nell'alta società e dotato di un perverso fascino nero. Il racconto venne pubblicato nel 1819 sul New Monthly Magazine erroneamente a nome dello stesso Byron, che successivamente pubblicò anche il frammento da cui Polidori aveva tratto ispirazione, senza riuscire a far giustamente attribuire all'amico il racconto compiuto.

Cessato il suo lavoro con Byron, Polidori tornò in Inghilterra e nel 1820 scrisse al priore di Ampleforth con l'intenzione di intraprendere la carriera ecclesiastica, ma l'uomo gli rispose con sdegno rifiutandolo a causa della sua scandalosa attività letteraria. Nel 1821, dopo aver scritto l'ambizioso poema religioso The Fall of the Angels, Polidori cadde in depressione e morì, in circostanze misteriose, probabilmente suicida.

I diari di Polidori, contenenti numerosi aneddoti tratti dai suoi viaggi con Byron, vennero pubblicati collettivamente con il titolo The Diary of John Polidori a cura del nipote William Michael Rossetti, che nel 1911 si appoggiò all'editore Elkin Mathews di Londra. Una ristampa di questo libro, con il titolo The diary of Dr. John William Polidori, 1816, relating to Byron, Shelley, etc venne ripubblicato dalle Folcroft Library Editions nel 1975 e successivamente nel 1978 per le Norwood Editions.

Il vampiro (The Vampyre) è un racconto breve scritto da John Polidori pubblicato nel 1819.

Fu pubblicato per la prima volta il 1º aprile 1819 da Henry Colburn sulla rivista New Monthly Magazine. Erroneamente il racconto fu attribuito a Lord Byron, nonostante le pronte smentite di quest'ultimo e ciò portò Goethe ad affermare che si trattava di uno dei migliori lavori del Lord inglese. Ebbe comunque un immediato successo in Europa, soprattutto in Germania dove fu tradotto nello stesso anno, un po' meno in Inghilterra a causa della falsa attribuzione a Byron. Anche nella prima edizione italiana, Udine 1831, Il Vampiro risultava come novella di Lord Byron. Polidori riuscì a trasformare il vampiro del folklore nella forma che oggi è più conosciuta, ovvero quella del demone aristocratico che cerca le sue prede nell'alta società.

Genesi della storia

Nel maggio del 1816, ricordato come l'anno senza estate, in quel di Ginevra Lord Byron, accompagnato dal medico Polidori, invitò a Villa Diodati Percy Bysshe Shelley, la sua compagna nonché futura moglie Mary Wollstonecraft Godwin e Claire Clairmont, sorellastra di Mary e all'epoca amante di Byron. A causa della pioggia incessante passano il tempo leggendo storie di fantasmi, come le Fantasmagoriana o il romanzo Vathek di William Beckford, finché Byron propone di fare una gara a chi riuscirà a scrivere il racconto di paura più bello. Soltanto due riescono a portare a termine la sfida: Mary scriverà il suo celebre romanzo Frankenstein e Polidori, partendo da un frammento di una storia di Byron, porterà a termine Il Vampiro.

Trama

Aubrey, un giovane inglese di buona famiglia, incontra Lord Ruthven, un uomo di origini misteriose che si fa strada nella società londinese. Aubrey accompagna Ruthven a Roma, ma lo abbandona dopo che questi seduce la figlia di una comune conoscenza. Aubrey si reca quindi in Grecia, dove incontra Ianthe, la figlia di un oste, la quale parla ad Aubrey delle leggende del vampiro. Poco dopo Ruthven arriva nel paesino greco e Ianthe viene uccisa da quello che sembra essere un vampiro. Aubrey non collega assolutamente Ruthven con l'omicidio e si unisce a lui per il seguito dei suoi viaggi. I due vengono attaccati dai banditi, nello scontro Ruthven viene ferito a morte, e prima di morire, fa giurare a Aubrey che non menzionerà la sua morte o qualsiasi altra cosa inerente a lui per il periodo di un anno e un giorno.

Aubrey torna a Londra e rimane stupito nell'incontrare Lord Ruthven, vivo e vegeto, sotto il nome di Conte di Marsden. Ruthven ricorda allora ad Aubrey del suo giuramento. È poco dopo quest'incontro che Ruthven conosce e fa la corte alla sorella di Aubrey mentre questi, impotente nel proteggere la sorella, cade in depressione, vittima di un esaurimento nervoso. La sorella di Aubrey e Lord Ruthven si fidanzano ufficialmente; la data delle nozze è fissata per il giorno in cui termina il giuramento. Poco prima del matrimonio, Aubrey scrive una lettera alla sorella, chiedendole di ritardare il matrimonio. La missiva però non arriva per colpa del medico di Aubrey ed i due si sposano. Scaduto il giuramento Aubrey rivela la verità ai Tutori e muore ma questi non riescono a salvare la sorella: durante la prima notte di nozze, la sorella di Aubrey viene scoperta morta, prosciugata dal suo sangue, mentre Ruthven è svanito nel nulla.

Personaggi

  • Lord Ruthven, Conte di Marsden - un nobile inglese, il vampiro
  • Aubrey - un giovane gentiluomo
  • Ianthe - una giovane donna greca di cui Aubrey si innamora
  • la sorella di Aubrey - futura sposa del Conte di Marsden (alias Lord Ruthven)
 Da: Wikipedia - Archive

 


24 ottobre 2025

L’Abruzzo nella Galleria delle carte geografiche in Vaticano.

 La carovana del Conclave che sale tra le rupi della Maiella per informare l’illustre eremita Pietro da Morrone della sua elezione al pontificato (“S. Petrus de Murano anacoreta in pontificem eligitur”).
 L’Abruzzo nella Galleria delle carte geografiche in Vaticano

La Gallerie delle carte geografiche è il corridoio dei Musei vaticani che più incuriosisce i visitatori, almeno quelli italiani. Tutti col dito teso a cercare il proprio paese di origine o le località più amate in questo maestoso atlante delle regioni d’Italia. La Galleria espone quaranta tavole geografiche realizzate nel 1581 con la regia del cosmografo, geografo e matematico perugino Egnazio Danti. Questi insegnava all’università di Bologna, dove era collega del papa Gregorio XIII che gli commissionò l’impresa. E quella galleria vaticana divenne il luogo “dove Gregorio Boncompagni andava a passeggio per l’Italia senza uscire di Palazzo”.


E anche noi – si parva licet – ci mettiamo col naso all’insù davanti all’immagine dell’Abruzzo, che ci appare come un’antenata del moderno Google Maps. Ma prima della geografia viene la storia. E siamo così informati che questo è il territorio dove vissero “antiqui samnites, praecutini, pinnenses, frentani, peligni, marruccini, furconienses, amiternini et vestini”.

E sempre in nome della storia quali personaggi simbolo dell’Abruzzo sono scelti Ovidio e papa Celestino V. Un affresco sulla volta mostra la carovana del Conclave che sale tra le rupi della Maiella per informare l’illustre eremita Pietro da Morrone della sua elezione al pontificato (“S. Petrus de Murano anacoreta in pontificem eligitur”).

La Maiella

E allora iniziamo proprio dalla catena della Maiella, che si allunga tra le valli del Pescara e dell’Aventino. Le cime di ‘Monte Maiella’ e ‘Monte Cavallo’ sono circondate da una corona di borghi, tra i quali spiccano Valva, Roccacasale, Popoli, Tocco Casauria, Salle, Roccamorice, San Clemente, Alanno, Manoppello, San Valentino, Serramonacesca, Rapino, Pennapiedimonte, Palombaro, Lama, Taranta e Palena. Eppure ci sembra che qualcuna ne manchi. E ci resta la curiosità di scoprire a chi corrispondano oggi le località di San Savino, San Giacomo, Osteria, Solfanara, Valba, Sarricciola…

Samnii Pars

Scendiamo ora sulla sezione della carta che disegna il paesaggio dell’Abruzzo ‘sannita’. Vi sono tracciate le valli del fiume Sangro, del Treste e del Trigno. I paesi sorgono raramente sulle loro sponde e molto più frequentemente sui colli vicini. Lungo il medio corso del Sangro vediamo paesi come Civitaluparella, Pietraferrazzana, Montelapiano, Rosello, Monteferrante, Montazzoli (Civita del Conte), Castel di Sangro. E più in alto Pietransieri, Pizzoferrato, Torricella Peligna e Gessopalena. Nella valle del Treste osserviamo i paesi di Fraine, Carunchio e Palmoli. E poi il fiume Trigno, scortato da Trivento, Castelguidone, San Giovanni Lipioni, Torrebruna, Guardiabruna, Celenza sul Trigno, e Tufillo. Sono anche segnalati l’affluente del Sente, con Castiglione Messer Marino e Schiavi d’Abruzzo, e l’affluente Verrino con Agnone e Poggio Sannita (Caccavone).

Valle peligna

Eccoci ora nel Sulmonese, la terra degli antichi Peligni. La mappa valorizza Sulmona e Valva con il giusto rilievo che la loro storia merita. Ma colpisce la raggiera di fiumi che scendono nella conca ad alimentare le acque del fiume Pescara: il Vella che scende da Pacentro; il Gizio che scende da Pettorano e Rocca Pia (Rocca Valleoscura); il Sagittario che scende da Scanno e Villalago dopo aver formato i rispettivi laghi. Se ci spostiamo verso gli altopiani e i monti Pizi emergono Palena, Pescocostanzo, Rivisondoli, e perfino Pescopennataro e Pietrabbondante.

Terre marsicane

Il lago del Fucino si mostra a sorpresa in tutta la sua ampiezza. In effetti il suo prosciugamento avverrà solo tre secoli dopo. Vediamo tutta la corona dei paesi rivieraschi della conca marsicana: Avezzano, Celano, Aielli, Cerchio, Collarmele, Pescina, Venere, Ortucchio, Lecce, Gioia, Trasacco, Luco. Non manca la valle del Giovenco con Ortona, Aschi e Bisegna.

Valle dell’Aterno

Dopo aver costeggiato l’Aquila, capoluogo d’Abruzzo, il fiume Aterno scorre nell’omonima valle spalleggiata dalle catene del Gran Sasso e del Velino. Lungo la valle dell’affluente Raiale si distribuiscono i paesi di Paganica, Onna, Bazzano, Tempera, Filetto e Camarda. Alle pendici del Gran Sasso la mappa vaticana ricorda Santo Stefano, Barisciano, San Pio, San Demetrio, Fagnano, Fontecchio e Acciano. Sul versante opposto notiamo Sassa, Monticchio, Ocre, Fossa, Sant’Angelo e Santa Anatolia.

Terre dei Pretuzi

Ci spostiamo ora verso il mare Adriatico, nelle terre dei Pretuzi. Colpisce il paesaggio ‘a pettine’ dei fiumi che scorrono nelle valli parallele tra loro prima di buttarsi in mare. Fiumi che sono puntigliosamente elencati: Tronto, Vibrata, Salinello, Tordino e poi Vomano, Piomba, Fino e Tavo. E le città maggiori che costellano le colline e il mare: Teramo, Giulianova, Penne, Atri. Ma anche qualche borgo misterioso come Pesco Castrato e Chiavino…

Terre dei Marrucini


Le terre abitate dagli antichi Marrucini vedono in posizione centrale Theate, l’odierna Chieti, e la città di Pescara, alla foce del fiume ‘Pescara olim Aternus’. Lungo la Valpescara sono citati i paesi di Alanno, Nocciano, Rosciano e Manoppello. Tra i fiumi Alento e Foro s’individuano Roccamontepiano, Pretoro, Bucchianico, Vacri, Miglianico, Villamagna e Francavilla a Mare. Anche l’entroterra di Ortona è punteggiato dalle frazioni e paesi di Sant’Apollinare, Caldari, Crecchio, Orsogna, Casacanditella.

Terre dei Frentani

Scendendo nelle terre dei Frentani incuriosisce la città di Vasto segnalata con il suo nome storico di Guasto di Amone. Sempre curiosamente anche il fiume Sangro viene citato col nome del Feudo d’Asinella. Lanciano ha il suo rilievo con la croce che ne segnala la sede della diocesi. Nei suoi dintorni compaiono San Giovanni in Venere, Fossacesia, Torino di Sangro, Paglieta, Casoli, Altino, Bomba e Roccascalegna. Sulla mappa sono anche segnalati i fiumi Osento e Sinello, insieme con i paesi dell’entroterra vastese: Villalfonsina, Scerni, Monteodorisio e Cupello. La carta geografica vaticana dell’Abruzzo si chiude con la mappa urbana del suo capoluogo regionale, L’Aquila.


Da: https://blogcamminarenellastoria.wordpress.com/2024/03/03/labruzzo-nella-galleria-delle-carte-geografiche-in-vaticano/

23 ottobre 2025

J.Janssonius, "Abruzzo Citra Et Ultra", in: Novus atlas absolutissimus, 1647.


Particolare

La mappa “Abruzzo Citra et Ultra”, realizzata nel 1647 è pubblicata nel volume 5 del Novus Atlas Absolutissimus. L’opera nasce nell’officina del grande cartografo fiammingo Johannes Janssonius, figura centrale della cartografia europea e protagonista della sfida per la creazione dei più importanti atlanti del mondo moderno. Questa mappa, oggi conservata presso la Zentralbibliothek Zürich, mostra l’Abruzzo così com’era organizzato nel Regno di Napoli, diviso nelle storiche circoscrizioni di Abruzzo Ultra, a nord, e Abruzzo Citra, a sud. Incisa su lastra di rame e successivamente colorata a mano, unisce rigore geografico e splendore barocco: coste, montagne, castelli, fiumi e borghi prendono forma accanto a cartigli decorati. Osservare questa carta significa compiere un viaggio nella memoria visiva del nostro territorio, quando le antiche vie solcavano l’Appennino e i centri abitati erano perlopiù castelli arroccati e città murate. Negli ingrandimenti di mappa è possibile cogliere dettagli affascinanti del paesaggio abruzzese del XVII secolo, riconoscendo luoghi familiari in una veste lontana e preziosa. Una testimonianza che ricorda quanto la storia non sia solo scritta, ma anche disegnata, impressa e trasmessa su carta, custodita e tramandata come identità. 

📌 Zentralbibliothek Zürich – J. Janssonius, “Abruzzo Citra et Ultra”, in Novus Atlas Absolutissimus (1647).

14 ottobre 2025

Proverbi italiani, raccolti e illustrati da Niccola Castagna (1823 – 1905). Letterato, filologo, storico, giurista e patriota abruzzese.

 



NICCOLA CASTAGNA (1823 – 1905) Letterato, filologo, storico, giurista, patriota

Uomo di grande cultura e di multiforme ingegno, Niccola Castagna nacque il 21 ottobre 1823 a Città Sant’Angelo, ora nella provincia di Pescara, da Michelangelo, medico e patriota, e da Raffaella Della Cananea.

Trascorse la giovinezza sotto le cure affettuose e l’educazione del padre per trasferirsi poi con il fratello Pasquale ad Ortona, affidato all’insegnamento del teologo Domenico Puglisi che, nel 1848, sarà eletto Deputato al Parlamento napoletano. Conseguì la maturità classica presso il liceo dell’Aquila e da qui all’Università di Napoli dove si laureò prima in Lettere e Filosofia e più tardi in Giurisprudenza.

Ebbe tra i maestri Basilio Puoti; fu amico di Carlo PoerioMariano D’AyalaAtto VannucciPietro Paolo Parzanese e Niccolò Tommaseo.

Il Castagna iniziò a scrivere e pubblicare, su periodici napoletani, sin da giovanissimo, articoli, studi e saggi di letteratura; divenendo nel tempo uno scrittore elegante e garbato.

Nel 1845 rifiutava l’insegnamento al collegio “Aldino” di Prato, offertogli da Atto Vannucci, che si era recato a Napoli per il VII Congresso degli scienziati. Fu severamente richiamato dalla prefettura di polizia napoletana per aver pubblicato sulla “Sirena”, una strenna del 1846, la poesia Il gufo, dove si ravvisava un riferimento offensivo allo zar Nicola I, che l’anno precedente si era recato a Napoli

Sotto il profilo civile e politico, Niccola Castagna partecipò, insieme ad altri patrioti, a diversi convegni liberali; ciò non sfuggì all’attenzione della polizia borbonica che lo tenne costantemente sotto stretta osservazione. Nel 1847, ritenuto un pericoloso sovversivo, anche perché amico di altri “pericolosi” patrioti tra i quali Carlo Poerio e Pietro Colletta, fu arrestato con l’accusa di cospirazione ed attentato alle leggi dello Stato. Dopo la proclamazione della Costituzione nel febbraio del ’48, insieme all’amico Luigi Dragonetti prese parte alla spedizione dei volontari per la liberazione della Lombardia nel nome della libertà e della pace. Dopo i fatti di Napoli del 15 maggio 1848, fece ritorno a Città Sant’Angelo dove, spinto da molti amici, assunse l’incarico di Giudice Regio supplente, al fine di salvare la Costituzione che già cominciava fortemente a vacillare. Quando la Costituzione fu abolita e tolta ogni libertà, si rifiutò di giurare fedeltà alla monarchia borbonica e perse l’incarico. Da quel momento si ritirò al suo paese natale dove si dedicò alle ricerche linguistiche e storiche, nonché all’esercizio dell’avvocatura: i suoi studi di diritto gli consentirono di scrivere opere quali “Del metodo nella scienza del diritto” (Napoli 1847), “Storia di legislazione criminale” (ibid. 1858)e, la più nota, “Di una ragione penale” (ibid. 1864) che suscitò vasta eco soprattutto in Germania dove se ne occuparono largamente riviste specializzate.

Ripresi gli studi, approfondì le sue ricerche linguistiche e filologiche, e fornì alcune migliaia di schede a Niccolò Tommaseo che le inserì nel suo “Dizionario della lingua italiana”, facendole precedere dalla sigla “Cast.”; dal 1898 al 1900 pubblicherà su “La Rivista abruzzese” una cospicua serie di vocaboli non registrati e perciò proposti ai lessicografi. Profondo conoscitore del dialetto di Città Sant’Angelo, pubblicò “Vocaboli e modi del dialetto angolano col riscontro italiano o toscano” (Firenze 1878), e già aveva tradotto nel dialetto natale la nona novella della prima giornata del “Decamerone” di Giovanni Boccacio. Tra gli studi storici del Castagna, il più interessante è “Della sollevazione d’Abruzzo nell’anno 1814 – Memorie storiche” (Aquila 1875; II^ edizione con aggiunte, Roma 1884). Con vigore e commozione vi sono narrate le vicende dell’insurrezione antimurattiana organizzata dai carbonari di Città Sant’Angelo, Penne, Castiglione Messer Raimondo e Penna Sant’Andrea, cominciata il 27 marzo 1814 e repressa tra il 16 e il 3 aprile. Lo studio portò maggiore luce su avvenimenti sino allora poco noti o inesattamente riferiti, e fu lodato da Atto Vannucci e ampiamente utilizzato nei suoi Martiri della libertà italiana dal 1794 al 1848. Isolato nella sua Città Sant’Angelo (se ne allontanò solo in occasione del congresso internazionale storico e delle tradizioni popolari svoltosi a Parigi nel 1900, al quale era stato invitato dal governo francese su proposta del corpo accademico della Sorbona), nonostante contatti epistolari con illustri letterati e le critiche favorevoli che le sue opere ottennero da Niccolò Tommaseo, Pietro FanfaniGiuseppe Pitré, Atto Vannucci e altri, Niccola Castagna non riuscì ad inserirsi nel contesto culturale della sua epoca. Gli nocquero l’eccessivo eclettismo, e per una valutazione complessiva la dispersione di gran parte dei suoi lavori in giornali, riviste e almanacchi. Soltanto alcuni degli scritti variamente sparsi furono raccolti in volume, e tra questi si ricordano “I proverbi italiani raccolti e illustrati” (Napoli 1866; successive ediz. 1868, 1869) (“I proverbi dell’Ariosto tratti dal poema e illustrati“, Ferrara, 1877 [N.d.R.]) e “Il montanaro del Gran Sasso d’Italia” (Atri 1887), cantilene abruzzesi già pubblicate su strenne e periodici napoletani fra il 1842 e il 1846. Della sua conoscenza dei fatti del Regno delle Due Sicilie nella prima metà del secolo XIX sono testimonianza le numerose osservazioni inviate a Cesare Cantù, che gliele sollecitava, e il breve saggio “I deputati al Parlamento napoletano del 1820 e 1821” (in Rivista abruzzese di scienze, lett. e arti, XVII 1902).

Morì nella sua casa di Città Sant’Angelo il 2 marzo del 1905.