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Il Carnevale in Abruzzo: le varie tradizioni popolari e nuovi spunti di analisi delle varie Mascherate carnevalesche.
Carnevale a Castiglione Messer Marino - Foto Anna Marrama |
Il Carnevale in Abruzzo: le varie tradizioni
popolari e nuovi spunti di analisi delle varie Mascherate carnevalesche
di Angelo Iocco
Questo articolo vuole essere un ragguaglio, insieme a un mio prossimo scritto che si incentrerà sul Natale abruzzese, sulla Pasquetta, ovvero l’Epifania, e sulle tradizioni della Settimana santa e della Pasqua nella nostra terra d’Abruzzo. Ci si è spesso interrogati sulle origini e le peculiarità del Carnevale Abruzzese, ad esempio quali siano le sue Maschere tipiche, sul perché così poco si sappia di questa tradizione regionale. Nella mappatura delle Maschere tipiche della Commedia dell’Arte, con alcune illustrazioni reperibili anche sul web, purtroppo l’Abruzzo e il Molise o sono del tutto assenti, oppure, per la nostra regione viene riportata la Maschera del Fra’ Piglia di Guardiagrele, che trattasi di una realizzazione recente dell’attore Fabio Di Cocco, ispirata a un personaggio buontempone realmente esistito nel suo paese, come vedremo. Il Carnevale in Abruzzo è anche questo, citando l’esempio della più famosa Rassegna del Carnevale di Francavilla al mare: realizzare una Maschera buffonesca ispirata a un personaggio tipo realmente esistito, per esorcizzarne i difetti attraverso la risata, le azioni grottesche, per far divertire il pubblico.
Del Carnevale Abruzzese si occupò Padre
Donatangelo Lupinetti in un suo scritto molto breve: Il Carnevale nelle tradizioni
popolari abruzzesi, Pescara 1958, ricorda le probabili origini delle
Carnevalate abruzzesi dalla tradizione napoletana, da cui ha tratto il
personaggio trickster di Pulcinella. Lupinetti ricorda il periodo della
Quaresima in cui si svolge il Carnevale, ne collega le origini alle sceneggiate
del Sant’Antonio, che le compagnie vanno cantando di casa in casa il 17
gennaio. Opinione ancora oggi condivisa da diversi etnologi abruzzesi, dato che
il copricapo molto allungato del Santo anacoreta, usato in alcune zone come
Caramanico, Palena, Lama, somiglierebbe al grande copricapo conico allungato
del Pulcinella abruzzese, e dato che sia il Pulcinella che il Sant’Antonio alla
fine, nonostante il tema sacro trattato nelle rappresentazioni di quest’ultime,
il povero protagonista si lascia andare a lazzi e buffonate, ora combattendo
contro il Demonio, ora contro la Bella ragazza tentatrice, ora contro il
riccone che gli offre la via della felicità, ora contro i diavoloni, finché gli
angeli non vengono a salvarlo.
Lupinetti nel suo saggio ricorda due canti
abruzzesi, che potrebbero esser collegati alla tradizione Carnevalesca: il Lamento
della vedova o Scura maje, che si canta a Scanno e Vasto, canto
trascritto dal poeta Romualdo Parente nel ‘700, e il Maramao perché sei
morto. Il primo canto effettivamente, come ricorda Lupinetti, dopo le
strofe ufficiali, spesso veniva deformato dalle compagnie, con strofe
aggiuntive e con epiteti ingiuriosi e sessualmente allusivi, dato che come
sappiamo, il tema è il pianto di una vedova, che ha appena perso il marito, e
non sa più come vivere, ora si trascina dal compare per avere aiuto, e viene
scacciata, è rifiutata dalla comunità, e si augura di morire. Specialmente ai
versi:
So’ na pechera spirdiute,
lu muntone m’à lassate,
lu cacciùne sembr’abbaje,
pe’ la fame mo’ m’arraje!
Mare maje, mare maje,
scura maje, scura maje,
mo’ m’accide ‘ngolla a tte’!
Su questo filone del Carnevale in Abruzzo,
ossia quello del Carnevale morto, differente dalle allegre brigate con le
sfilate dei carri per il Carnevale allegro, il Lupinetti nel suo scritto
riporta la filastrocca:
Carnevà, perché scì mortu?
La ‘nzalata c’avì nell’ortu,
pane e vinu nun te mancava,
drentu a la casa tutto ce stava!