8 aprile 2024
Desiderio Abruzzese, Gruppo Folkloristico di Atri, diretto dal M° Pasqualino Santini.
10 dicembre 2023
Atessa - Don Lino De Ritis e le sue Giovani Voci Dijoriane
Omaggio della Città di Atri al compositore M° Antonio Di Jorio. Coro Di Jorio e orchestra Astoria, 2023.
26 ottobre 2023
Sulla Collina - La romanza nel salotto degli Acquaviva.
24 ottobre 2023
23 ottobre 2023
Carlo Verdecchia, Pensierosa.
Carlo Verdecchia, Pensierosa. |
Carlo Verdecchia (Casoli di Atri, 1905 - Atri, 1984)
"Pensierosa"
Olio su cartone, cm 50 x 42
Collezione privata.
25 aprile 2023
Antonio Di Jorio, SERENATA ABRUZZESE, versi Luigi Illuminati. NOTTURNINO, versi di Gabriele d'Annunzio, Archivio Di Jorio, Atri.
24 aprile 2023
Di Jorio senza parole. Fiori d'Abruzzo. Canti abruzzesi di Antonio Di Jorio per quintetto di fiati.
22 aprile 2023
Antonio Di Jorio, La Musica Sacra.
Antonio Di Jorio, PRIMMO AMMORE, Canzoni napoletane, Orchestra e Coro Antonio Di Jorio, Atri.
19 aprile 2023
Antonio Di Jorio. Musiche originali per Banda, Concerto bandistico Vittorio e Bruno Celli di Casoli di Atri.
Venticelle d'Abruzze. Canti popolari abruzzesi, Coro Antonio Di Jorio di Atri.
ANTONIO DI JORIO, il meglio delle Canzoni Abruzzesi.
7 febbraio 2023
Regno di Napoli. Le zecche minori.
27 novembre 2022
Elisabetta Mancinelli, Le feste dell'Avvento in Abruzzo.
Dopo le varie celebrazioni legate alla commemorazione dei defunti e alle feste dedicate a San Martino, caratterizzate dappertutto da momenti di spensieratezza, il ciclo dell’anno prosegue con i rituali del periodo dell’Avvento in un crescendo di usanze, che culminano con la solennità del Natale che in Abruzzo, secondo i più autorevoli antropologi e studiosi del folklore (Finamore, Giancristofaro....) è la più importante dopo la Pasqua.
Secondo un’arcaica tradizione il Santo, durante una terribile carestia, avrebbe salvato la gente di Pollutri, moltiplicando un pugno di fave riuscendo così a sfamare tutti. Da allora, ogni anno a ricordo dell'avvenimento, la sera del 5 dicembre, data della morte del Santo, vengono allestiti sulla piazza principale del paese grandi calderoni in cui vengono lessate le fave che, al termine del rito della bollitura, vengono distribuite ai convenuti insieme alle ciambelle rituali, preparate nei giorni precedenti la festa.
Nella chiesa era preparata una bilancia a due piatti sostenuta da una lunga catena pendente dal soffitto. Il rito consisteva nel pesare prima la donna che offriva il pane ma questo doveva pesare più della donatrice. Dopo la messa le pagnottelle venivano distribuite a tutti i presenti, ai poveri e i malati. Nei tempi antichi tutti i cansanesi, con la neve e col freddo intenso, salivano sul monte dove era situata la chiesa di S. Nicola per chiedere al Santo l'abbondanza nel raccolto e la protezione da ogni calamità.
"I favore"
FESTA DI SANTA LUCIA
Al mattino di ogni anno, il 13 dicembre al suono delle campane, i prezzani si recano prima in chiesa per la messa solenne e poi sfilano in processione per le viuzze del borgo; le donne portano grandi ceste di ciambelle a forma di occhi da donare ai portatori della statua di S. Lucia e ai partecipanti al rito.
17 novembre 2022
Amelio Pezzetta: La Chiesa e la vita religiosa in Abruzzo durante Il Viceregno Spagnolo (1503-1707).
1. Stato, Chiesa e vita religiosa nel Regno di Napoli durante
il XVI secolo.
Il
dominio spagnolo dell’Italia Meridionale iniziò nel 1503 con Ferdinando il
Cattolico e si concluse il 7 luglio 1707 quando le truppe austriache entrarono a
Napoli e il Regno passò agli asburgici.
Durante
i due secoli di dominio, i monarchi spagnoli delegarono l’amministrazione del
Regno a un viceré, non favorirono lo sviluppo del paese, lo appesantirono con un’esosa
pressione fiscale e conservarono la sua natura di stato feudale. Nell’epoca in
considerazione i baroni vecchi e nuovi conservarono l’ampio potere
amministrativo-giudiziario di cui godevano e ampliarono i possedimenti feudali;
la chiesa rafforzò il suo potere e prestigio morale e politico; i
rappresentanti della borghesia iniziarono la loro ascesa acquisendo prestigio
nell’amministrazione civica, l’economia e le libere professioni; i ceti più
umili continuarono a vivere in generalizzate condizioni di asservimento e
d’indigenza.
Il
Regno di Napoli era uno stato vassallo della Chiesa che il papa assegnava a chi
assecondava i suoi piani di potere temporale e le sue finalità spirituali. Al
momento dell'investitura Ferdinando il Cattolico riconobbe lo stato di
vassallaggio con tutte le condizioni a esso connesse tra cui il versamento al
pontefice del censo annuale di 8000 once d’oro e l’omaggio della chinea. Ai
fini di conservazione del potere, per gli spagnoli l'alleanza con la Chiesa era
indispensabile nonostante la condizione di asservimento e il suo alto costo in
termini economici.
Nel
Regno di Napoli gli spagnoli assunsero nei confronti della Chiesa due
atteggiamenti: da un lato se ne servirono per rafforzare il potere; dall'altro
pur riconoscendole privilegi e diritti, non assecondarono tutte le sue pretese
e talvolta anziché respingerle frontalmente, le attaccarono di fianco. In
particolare gli spagnoli non si opposero alle pretese della Chiesa quando erano
enunciate nei concili o con le bolle, ma ostacolavano la loro attuazione se
contrastavano con gli interessi dello Stato. Un esempio in tal senso è
costituito dall'atteggiamento che assunsero nel 1568 con la pubblicazione della
bolla "In coena Domini" con
cui il papa Pio V voleva riaffermare il primato della chiesa e far presente che
le ingiuste imposizioni fiscali erano moralmente perseguibili. In realtà per i
suoi particolari contenuti era un chiaro tentativo di violazione dei diritti
sovrani di uno Stato laico e fu utilizzata per la difesa dei privilegi e interessi
clericali dalle autorità civili. Infatti, la bolla consentiva alle autorità
clericali di ricorrere all’arma della scomunica anche nei confronti degli
amministratori zelanti che volendo far applicare le norme statali in materia
tributaria minacciavano il patrimonio ecclesiastico. In particolare essa
minacciava di scomunica coloro che: appoggiavano gli eretici; sostenevano la
superiorità dei concili rispetto al sommo pontefice; imponevano nuove tasse al
clero o aumentavano quelle già esistenti senza l'approvazione della Camera
apostolica; violavano le immunità ecclesiastiche sulla base del principio che non si fondavano sul diritto divino; impedivano
agli ecclesiastici l'esercizio della loro giurisdizione anche contro i laici,
l'esecuzione dei rescritti di Roma e l'esazione delle tasse della Chiesa. Il
governo spagnolo, nel rispetto dell’atteggiamento politico verso la chiesa
precedentemente delineato, quando la bolla fu promulgata non si oppose, ma in
seguito cercò di ostacolarne la diffusione e conoscenza.
Tenuto
conto degli aspetti generali enunciati, il presente saggio prosegue con
l’esposizione sintetica di alcuni significativi aspetti del rapporto
Stato-Chiesa nel Regno di Napoli durante il XVI secolo.
Il
29 giugno 1529 il papa Clemente VII e il re Carlo V firmarono il trattato di
Barcellona in cui al sovrano spagnolo fu concesso il diritto di presentare i
vescovi di 24 diocesi di regio patronato del viceregno napoletano. L’accordo
prevedeva che nell’Italia Meridionale l’amministrazione diocesana potesse
essere affidata anche a presuli non indigeni e di conseguenza alcune di esse iniziarono
a essere rette da prelati d’origine spagnola.
Nel
1541 un decreto della Regia Camera della Sommaria[1] deliberò
che i chierici avevano diritto alle esenzioni fiscali sui seguenti beni stabili
e di consumo: 1) i territori ecclesiastici e gli animali utilizzati nel lavoro
agricolo o come cavalcatura dai chierici e i loro famigliari; 2) l'acquisto di generi
alimentari e capi d'abbigliamento. Nello stesso anno, un altro decreto fissò le
quantità massime di merci che i chierici potevano acquistare in franchigia: un
rotolo di carne giornaliero (circa 0,9 kg), 2,5 tomoli di grano l'anno (1250
kg), 30 rotoli di formaggio l'anno (circa 27 kg), 3 staia d'olio annui (circa
30,2 litri), due botti di vino annui (circa 1047 litri e 40 rotoli di carne da
salare annui (circa 36 kg)[2].
Le immunità fiscali furono elargite anche ai coloni delle chiese e agli oblati
che donavano beni ai monasteri, non ne riservavano per loro stessi e vi
andavano a vivere. Siccome i sacerdoti non pagavano le tasse, i vescovi che
favorivano le ordinazioni al di sopra delle necessità delle diocesi che
governavano, furono ritenuti dei benefattori. Molti ecclesiastici nel corso del
secolo grazie ai privilegi accumulati, incentivarono l'evasione fiscale e cercarono
di coinvolgere anche i laici nelle esenzioni da loro godute. Un esempio in tal
senso è rappresentato dalle donazioni fittizie di beni immobiliari che i laici
facevano agli ecclesiastici allo scopo di non pagare le tasse sul patrimonio.
Conseguenza dei fatti accennati è che aumentarono a dismisura gli ecclesiastici
nel Regno di Napoli, mentre si contrassero i beni passibili di tassazione e le
rendite dello Stato. Contro questo stato di cose le autorità civili cercarono
di limitare il numero delle ordinazioni, gli amministratori locali presero
numerose iniziative e inoltrarono numerosissimi ricorsi alle autorità centrali affinché
prendessero opportuni provvedimenti tendenti a limitare il fenomeno. Purtroppo
tutti i tentativi per porre rimedi alla situazione non portarono ai risultati
sperati, poiché l'azione del governo non fu molto decisa e di conseguenza gli abusi
continuarono a essere perpetrati.
Nel
XVI secolo i chierici del Regno di Napoli percepivano rendite molto diverse: la
congrua, i diritti di stola, le decime e i redditi censuari da terreni, da
fabbricati, beneficiali, da messe, ecc. Nonostante questi benefici e vari
provvedimenti favorevoli, molti chierici delle campagne dell’Italia Meridionale
non avevano un adeguato benessere economico e talvolta coltivavano i terreni in
loro possesso.
La
religione nel secolo è un aspetto importantissimo dell'attività statale e
amministrativa. I re di Spagna si considerarono ardui difensori del
cattolicesimo e in tutti le istituzioni statali dei loro domini fecero obbligarono
i funzionari a esercitarsi in pratiche di culto. Infatti, gli ufficiali
pubblici intervenivano in forza alle funzioni sacre, i giudici prima di entrare
in seduta ascoltavano la messa, i reggimenti avevano i loro cappellani, nelle
carceri dovevano esercitarsi pratiche di culto, la bestemmia era considerata un
reato e lo Stato ordinava che si facessero pubbliche preghiere. A livello
locale le Università[3]
possedevano il diritto di patronato di cappelle laicali e chiese, fornivano alle
chiese stesse indumenti sacri, cera ed ostie e pagavano al clero le messe
celebrate pro populo.
Con
una prammatica del 5 gennaio 1571 il viceré De Rivera ordinò ai parroci di
registrare tutti i battezzati in un libro e la parrocchia iniziò ad assolvere
anche a funzioni d'anagrafe civile[4].
8 novembre 2022
Immagini d'Abruzzo nei canti del M°Antonio Di Jorio, 12 canzoni abruzzesi eseguite dal Coro di Poggiofiorito.
26 ottobre 2022
Storie di streghe in Abruzzo.
Storie di streghe in Abruzzo
Seguono una serie di testimonianze raccolte sulla stregoneria in Abruzzo:
Antonio Anello n.1923 Atri (TE)
Una ragazza strega, una notte, andò a trovare il suo
fidanzato che, sentito il vento vicino al
letto, prese il coltello e colpì nell’aria e apparve la ragazza tutta nuda, nuda. Il ragazzo chiamò
il padre e la madre, la vestirono con dei panni di casa e la
riportarono a casa sua. Da quel giorno non tornò più strega perché con la
goccia di sangue dalla marcatura se ne era andata la virtù.
Leonello Di Nardo n.1928 Bucchianico (CH)
Mia cugina era nata la notte di Natale e, per questo,
dall’età di due anni, certe notti spariva; se la venivano a prendere le
streghe. Questo è successo, finchè non l’hanno marcata con un ago arroventato; è stata la levatrice a farlo, sotto
il piede sinistro, le fece uscire un
po’ di sangue; così la bambina perse quella virtù e non uscì più
la notte con quella compagnia. Allo stesso orario in cui spariva la bambina, spariva anche il cavallo
di un vicino di casa; forse serviva per portare lei.
Santina Astrologo n.1925 San Valentino (PE)
Una donna, tutte le mattine, ritrovava la tela tessuta: allora
per vedere se era qualche strega a tesserla, la notte appresso, prese
uno spiedo e lo arroventò nel fuoco.
Quando, a una certa ora ha sentito il telaio tessere, fece passare quel ferro
per un buco che era nel muro, giusto nella direzione della spola, così colpì la
mano della strega, la “marcò”; come è uscito un pò di sangue, apparve una bellissima
ragazza (perché prima era invisibile) che disse: “Povera veneziana, sono venuta tanto di lontano; chi mi
riporta alla Venezia mia?”
Maria Di Pompeo n.1960 Castel del monte (AQ)
Tutte le notti, una donna sentiva il telaio lavorare su e giù nella
stalla; il giorno appresso, mise un segno sulla tela e, quando la mattina dopo tornò a vedere, lo trovò cresciuta.
Raccontò il fatto al marito e fecero un buco nel muro per vedere chi era che
tesseva la notte. Andarono a dormire, ma, a un certo punto arriva una donna
che accende il lume, si siede e comincia a tessere. Allora, quelli prendono un ferro, lo arroventano e la
colpiscono sulla man, esce il sangue e questa si mette a dire: “Povera giovane
di Perugina, povera giovane di Perugina!”. Allora, la moglie e marito scendono
sotto e si fanno dire dove abitava e di chi era figlia e così la mattina dopo
la riportarono a casa sua: il padre per la contentezza che gli avevano
“salvato” la figlia, gli fece per regalo un sacchetto pieno di marenghi d’oro.
Raffaele D’Onofrio, n.1928 Vacri (CH)
Una bambina di sei, sette anni, veniva portata in giro la notte dagli stregoni perché era nata “vestita” (e la mamma la
“camicia” l’aveva conservata). Allora, la gente disse alla mamma che quando
sentiva la bambina strillare perché se la venivano a pigliar, lei con un ferro
arroventato la doveva “marcare” per farla uscire un po’ di sangue, così non ci
poteva andare più, perché perdeva quella virtù. La mamma così fece, però gli
stregoni per dispetto fecero ammalare la bambina e, per guarirla la dovettero
portare da diverse “magare”.
Pasquale Di Girolamo, n.1931 Carpineto Nora (PE)
Un pastore, in montagna era
sempre seguito da una gatta che gli andava dietro dietro; improvvisamente
appariva e spariva, gli miagolava, non si capiva che voleva; finché un giorno,
il pastore prese il coltello e le fece
uscire un po’ di sangue; allora, gli apparve la
fidanzata che lo ringraziò per avergli levato il “destino di strega”.
Ernestina Nelli, n.1905 Bomba (CH)
Una donna che conoscevo aveva una bambina che veniva sempre disturbata da qualche strega; in questo modo a questa poverina erano già morti tre o quattro figli. Allora, fece la veglia per nove notti vicino alla culla, finché entrò in casa una gatta (quella era la strega), la prese e la fece “nera di botte”, come si insanguinò ridiventò una persona, una donna normale (che pure conosceva, era dello stesso paese), questa se ne scappò fuori e così la bambina fu salva.
Testi tratti da:
- “Le superstizioni degli Abruzzesi” di Emiliano Giancristofaro
-Opuscolo informativo “Streghe: dramma, emozione, turbamento in un mondo che ci appartiene” di Franco Di Silverio.
https://www.academia.edu/3847567/Storie_di_streghe_in_Abruzzo?email_work_card=thumbnail