26 febbraio 2025
Andrea Casaboni, La presenza ebraica negli Abruzzi medievali.
21 gennaio 2025
AA.VV. Feudalità laica e feudalità ecclesiastica nell'Italia meridionale.
6 gennaio 2025
Amelio Pezzetta, Vita sociale e religiosa in Abruzzo dal 1919 al 1922.
Vita sociale e religiosa in Abruzzo dal 1919 al 1922
Introduzione
Con il presente
saggio si vuole apportare un contributo riassuntivo utile a sviluppare la
conoscenza della storia abruzzese dall’anno successivo alla fine del primo
conflitto mondiale sino all’inizio del regime fascista.
L’analisi
storica inizierà con la citazione di brevi riferimenti nazionali poiché è fondamentale
che qualasiasi storia regionale sia inquadrata nel contesto statale che
concorre a determinarla.
Per la
descrizione dei vari fatti sono state utilizzate fonti archivistiche e
pubblicazioni varie.
La situazione nazionale
Il periodo
storico in esame, in tutto il territorio nazionale è ricco di avvenimenti di
notevole interesse storico, politico e religioso.
Con la fine del
primo conflitto mondiale in Italia si aprì una profonda crisi politico-sociale
i cui caratteri essenziali sono riassumibili nei seguenti punti: 1) la crisi
dello Stato liberale che nonostante avesse portato a termine l'unità nazionale
lasciava irrisolti ancora molti problemi tra cui la questione meridionale; 2)
il disagio degli ex combattenti che non furono adeguatamente
ricompensati per
gli sforzi e i sacrifici sostenuti durante la permanenza al fronte; 3) la
coscienza della nazione che l’Italia aveva subito una vittoria mutilata in
quanto non le furono riconosciuti tutti i diritti previsti dagli accordi di
Londra del 1915; 4) la svalutazione della lira e l’inflazione
galoppante che provocò un aumento del costo della vita di oltre il 400%; 5) la
mancanza di materie prime, la difficoltà delle industrie a riconvertirsi, la
disoccupazione e l’eccesso di manodopera causato dai soldati che tornarono dal
fronte.
Questi problemi alimentarono
in parte della popolazione uno spirito rivoltoso che diede vita a varie forme
di protesta sociale, rivendicazioni operaie e contadine tra cui: 1) i moti per
il carovita che scoppiarono nell’estate del 1919 e si estesero in tutto il
paese; 2) le rivendicazioni operaie che nel 1920 culminarono con gli scioperi e
l'occupazione delle fabbriche dell’Italia settentrionale; 3) le agitazioni
delle masse rurali per la conquista della terra.
I governi e le
forze d’opposizione esistenti dall’inizio del conflitto, non riuscirono ad imporre
le loro scelte e a trovare soddisfacenti soluzioni ai problemi dell’epoca. Di
conseguenza, accanto ai socialisti ed alle forze risorgimentali emersero nuove formazioni
politiche che proponevano di dare risposte più concrete per risolvere i
problemi dell’epoca o di contrapporre soluzioni conservatrici ai movimenti di
protesta. Tra essi il partito popolare, l’associazione nazionale combattenti,
il partito comunista e quello fascista.
Nel 1919, durante il
pontificato di Benedetto XV e in seguito all’abrogazione ufficiale del non expedit imposto dalla gerarchia cattolica, il sacerdote siciliano Luigi Sturzo fondò il partito popolare, già
vagheggiato nel 1905 come
partito di ispirazione cattolica, aconfessionale ed indipendente dalle autorità
ecclesiastiche per le sue scelte politiche.
Il partito
assunse come proprio simbolo lo stemma dei comuni medioevali con la scritta
"Libertas", trovò ispirazione nella dottrina sociale della chiesa e
portò al riavvicinamento dei cattolici alla vita politica nazionale.
I popolari
entrarono per la prima volta nella scena politica nelle elezioni politiche del
1919 in cui, grazie anche al supporto assicurato dalle parrocchie, riuscirono a
far eleggere 100 candidati delle loro liste.
La sua rapida diffusione
nella penisola fu favorita dalle strutture ed organizzazioni ecclesiastiche
esistenti nei Comuni peninsulari. In alcuni casi, il partito popolare fu
guardato con diffidenza e sospetto dalle autorità delle Chiesa, in particolare
nelle località dell'Italia meridionale in cui fu fondato dai vecchi notabili
liberali che si riconvertirono e resero conto che l'adesione ad un partito
d'ispirazione cattolica avrebbe allargato la base del consenso politico.
Un altro raggruppamento politico che sorse
nell’immediato dopoguerra fu l’Associazione Nazionale Combattenti (ANC) che fu
fondata a Milano il 18 marzo 1919 allo scopo di tutelare i diritti dei reduci e
assicurare la loro rappresentanza nelle istituzioni. Nel giro di pochi mesi raggiunse
la quota di circa 600000 iscritti. Nel 1919,
dopo lo scioglimento della Camera, l'ANC decise di prendere direttamente parte
alle elezioni politiche con la denominazione di partito dei combattenti, ottenendo
il 4,1% dei voti e 20 seggi. Alle successive elezioni
politiche anticipate del 1921, il partito ottenne l'1,7% dei voti e 10
seggi.
Il 21 gennaio
1921 a Livorno, durante lo svolgimento del 17° congresso
del partito socialista italiano, avvenne un’importante scissione nella quale
una parte dei convenuti fondò un nuovo raggruppamento politico a cui diede il nome di Partito Comunista d'Italia (PCdI)
- sezione italiana dell'Internazionale comunista,
una denominazione che fu mantenuta fino al 15
maggio 1943. Questa scissione anziché portare alla rivoluzione
proletaria, come auspicavano i fondatori del PCdI, provocò un indebolimento
della sinistra italiana che favorì le forze reazionarie e conservatrici. Il
PCdI si presentò alle elezioni politiche del 1921 ottenendo nel complesso 304 719 voti (4,6%) e 15 seggi.
Un’altra importantissima forza politica dell'immediato
dopoguerra fu il partito dei Fasci di Combattimento che fu fondato il 23 marzo
1919 da Benito Mussolini, un ex socialista e direttore dell'Avanti. Mussolini
riuscì a coagulare nel suo partito un insieme di forze sociali conservatrici
che con la crisi del partito liberale, erano preoccupate da un’eventuale affermazione
socialista e manifestavano la propensione al mantenimento dell'ordine
precostituito: elementi di destra, ex combattenti, esponenti del ceto medio, possidenti
agrari, industriali, ecc.
Dopo il
Congresso di Roma del 1921 gli iscritti ai Fasci di Combattimento fondarono il
Partito Nazionale Fascista a cui tra l’altro aderirono molte sezioni dell’ANC
disperse lungo la penisola.
Agli
inizi, i fascisti avevano accettato un atteggiamento anticlericale che fu riportato
nel loro programma politico e dimostrato dalla violenza con cui tra il 1921-1922,
i suoi squadristi colpirono le leghe bianche.
Il giudizio iniziale della
Chiesa su questa formazione politica fu molto duro. Infatti,
nel 1922, in un’editoriale della Civiltà Cattolica si scrisse: “Il Fascismo ha
lo spirito di violenza del socialismo a cui pretende di rimediare, imitandone
non solo ma superandone ben anche le prepotenze, le uccisioni e le barbarie”. Diversi ordinari diocesani, durante i primi anni del
regime diffusero lettere pastorali in cui sottolineavano che il fascismo, per
la sua natura violenta era contrario ai principi cristiani e pertanto non
poteva godere l'appoggio della Chiesa. Una parte della Curia Pontificia anche
dopo la marcia su Roma era convinta che il fascismo, alla stessa stregua del
liberalismo, della massoneria e del socialismo fosse un’ideologia sviluppatasi
a causa dell’abbandono della religione e della secolarizzazione affermatisi nel
mondo moderno dopo la rivoluzione francese. Un’altra parte, invece riteneva che
potesse apportare un efficace contributo al processo di ricristianizzazione della società che perseguiva il papa Pio XI.
Nell'ottobre del
1922, dopo la marcia su Roma, il re Vittorio Emanuele III incaricò Mussolini di
formare un nuovo governo ed ebbe così inizio l'era fascista.
Al primo gabinetto mussoliniano collaborarono alcune forze politiche, tra cui i popolari che ottennero 4 sottosegretari, il ministero del Lavoro assegnato a Stefano Cavazzoni e quello del Tesoro che fu assegnato a Vincenzo Tangorra.
Altro importante
fatto dell’epoca in considerazione è il governo della chiesa cattolica che fu
affidato dal 3 settembre 1914 al 22 gennaio 1922 al papa Benedetto XV e dal 6
febbraio 1922 al 10 febbraio 1939 a Pio XI.
Benedetto XV
promosse il culto del Cuore di Gesù, si adoperò per evitare la guerra e con
l’enciclica Pacem Dei Munus Pulcherrimum
scritta nel 1920 dettò le sue idee per avere una pace stabile.
Nelle
relazioni con il Regno
d'Italia eliminò il non expedit
e appoggiò la formazione del Partito
Popolare Italiano d’ispirazione cristiana.
Il suo
successore PIO XI con l’enciclica Ubi arcano
Dei consilio del 23 dicembre 1922, manifestò il programma del suo
pontificato facendo presente che i cattolici dovevano impegnarsi nella
fondazione di una società totalmente cristiana.
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Regione ecclesiale Abruzzo-Molise |
La situazione
abruzzese
Le varie vicende
politico-sociali e di crisi che investirono la nazione toccarono anche
l’Abruzzo. Infatti, agli inizi del 1919 questa regione era profondamente scossa
dalle vicende del primo conflitto mondiale in cui persero la vita oltre 23000
giovani soldati provenienti dai suoi Comuni.
In diverse
località il successivo ritorno dei reduci delusi nelle loro aspettative favorì
nuovi motivi di scontri sociali e contribuì a riacutizzare quelli esistenti
prima della guerra.
La maggioranza
della popolazione regionale dell’epoca continuava a vivere in condizioni di
notevole indigenza poiché ricavava i mezzi di sussistenza da un’agricoltura
poco redditizia, particolarmente sensibile ai capricci della natura e praticata
su terreni generalmente aridi, montagnosi non propri e gravati da pesanti
prestazioni e tributi.
A questi
problemi sono da aggiungere quelli creati da: 1) la lunga permanenza dei
soldati al fronte e la massiccia emigrazione, due eventi che ridussero la forza
lavoro disponibile e i redditi di diverse famiglie; 2) il carovita che investì
la Regione; 3) la crisi della pastorizia dovuto alla caduta del prezzo della
lana e all’aumento di quello di pascolo nei luoghi di transumanza [1].
In particolare
l’emigrazione che colpì in modo più intenso le zone rurali ebbe anche diversi
riflessi culturali e politici. Infatti, quando gli emigranti arrivavano nei
luoghi d’accoglienza scoprivano che esistevano nuovi stili di vita che in parte
acquisirono e con il loro ritorno trasferirono nelle terre d’origine contribuirono a modificare antiche abitudini e atteggiamenti locali.
Anche i reduci, a causa del contatto quotidiano con i soldati di altre regioni,
acquisirono nuovi modelli culturali che trasferirono ai luoghi d’origine.
I fatti
descritti e i problemi elencati furono le principali cause che in Abruzzo crearono
gli spunti per la nascita di nuovi atteggiamenti, modelli di comportamento, aspettative
di vita, formazioni politiche e forme di protesta organizzata che saranno ampiamente
descritti ed analizzati nei paragrafi successivi del presente saggio.
La vita religiosa e l’organizzazione ecclesiastica in Abruzzo dal 1919 al 1922.
Nel periodo in
esame i Comuni che ora appartengono all’Abruzzo erano ripartiti in otto diocesi
di cui in questa sede si riporta la cronotassi
dei loro vescovi e i principali aspetti della vita religiosa.
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Mons. Gennaro Costagliola |
Nell’epoca
in considerazione l’Arcidiocesi fu
retta da Gennaro Costagliola, (15
aprile 1901 -
15 febbraio 1919) e Nicola Monterisi
(15 dicembre 1919 -
5 ottobre 1929).
Il 21 marzo 1920, l'ingresso a Chieti di mons. Monterisi fu accolto favorevolmente dai rappresentanti delle organizzazioni cattoliche e dal clero diocesano. Nello stesso tempo alcuni militanti socialisti, radicali e di altre forze anticlericali inscenarono una contromanifestazione ostile al presule, come tra l’altro dimostra il seguente scritto che pubblicato il primo aprile 1920 su “La Conquista Proletaria”: “I socialisti hanno voluto avvertire il sig. Monterisi che il popolo di Chieti non è composto di tutte pecore rassegnate a farsi quotidianamente tosare” [2].
Mons. Nicola Monterisi |
23 ottobre 2024
Cesare Tudino, compositore di Atri del sec. XVI.
CESARE TUDINO
Data nascita: 1530?
Data morte: 1591-92
Nulla sappiamo della sua data di nascita né di quella di morte, ma i dati in nostro possesso ci fanno ritenere che sia nato in Atri (dove é testimoniato che vi fossero diversi parenti) intorno agli anni '30 del Cinquecento ed ivi morto dopo il 1590 , anno di pubblicazione, a Venezia, della sua ultima raccolta di musiche.
Da un'annotazione di pagamento redatta in un libro di conti conservato nell'Archivio Capitolare di Atri, la sua morte sembrerebbe da far risalire al periodo compreso tra gli ultimi mesi del 1591 e i primi del 1592.
Per quanto riguarda la sua formazione musicale si ritiene che sia avvenuta nella sua stessa cittá, nella scuola musicale della Cattedrale, istituita nella prima metá del '500 da Julio Quintio Fileon. Non si esclude peró che sia stato puer cantor in San Giovanni in Laterano in Roma, nelle cui carte d'archivio risulta appunto in tale veste, nel 1543, un tal Cesare soprano. L'ipotesi potrebbe essere avvalorata dal fatto che in seguito, negli anni 1558-59, il Tudino prestó sicuramente la sua opera di organista nella Basilica romana.
Fu canonico nella Cattedrale di Atri dove operó per alterni periodi come musicista dal 1552 al 1588. Fu forse musico alle dipendenze del marchese Giovan Iacopo Trivulzi di Vigevano, al quale dedicó Li madrigali a Note Bianche et Negre cromatiche et Napolitane a 4, Venezia, Scotto, 1554, e presso la corte atriana degli Acquaviva d'Aragona, dedicando al duca Giovan Girolamo Il primo libro delli soi madrigali a 5 voci, stampato a Roma il 9 gennaio 1564, e al di lui figlio, duca Alberto, il primo libro delle Missae Quinque Vocum, stampato da Vincenti a Venezia nel 1589. Oltre a tali opere, di lui ci rimangono ( sparsi in biblioteche ed archivi di tutta Europa ed America): Mottettorum quinque vocibus Liber primus, Venezia, Vincenti, 1588 (dedicati al cardinale Ottavio Acquaviva, fratello del duca d'Atri Alberto); Magnificat omnitonum a 4 e a 8 voci, Venezia, Vincenti, 1590 (dedicati al vescovo di Atri e Penne, Giovan Battista De Benedictis).
Molte sue canzoni "alla napolitana" sono comprese in antologie dell'epoca. Inoltre, presso la Staats-und Stadtbibliothek di Augsburg, sono conservate alcune sue opere manoscritte. Ne testimoniano la fortuna presso i suoi contemporanei la grande importanza delle cariche avute, la presenza di sue composizioni in raccolte altrui (a mo' di garanzia di qualitá), il prestigio dei tipografi che ne stamparono le opere, nonché, fatto forse unico nella storia musicale rinascimentale, una lapide marmorea conservata nel Museo Capitolare di Atri, che riproduce un canone a quattro voci del musicista, dedicato a S. Cecilia (1577).
Marco Della Sciucca
7 ottobre 2024
Cesare Tudino, madrigale Hodie nobis de Coelo.
17 settembre 2024
Sandro Galantini, Beautiful Atri, mon amour, da Tesori d'Abruzzo.
Beautiful Atri, mon amour
Ecco come hanno celebrato e descritto la «Città vetusta» scrittori, poeti e viaggiatori di fama, italiani e stranieri, tra Otto e Novecento
Testo di Sandro Galantini
Vaga e solarina, la ginestra si estenua in trama di sussurro appigliandosi sopra il precipizio che serba nelle sue rughe storie di vento e di pioggia. Gli spettacolari calanchi di Atri, che fanno dirupare lo sguardo su una landa asprigna in cui pare arda il cuore della terra, sono immoti eppure sembrano non avere quiete. Difficile immaginare come queste bolge audaci e magre, su cui volteggiano i falchi pecchiaioli, preludano l’incontro con una città di remotissime origini, intima e fascinosa al contempo, che aduna straordinari tesori d’arte e monumenti dalla bellezza disarmante.
Calanchi di Atri (ph. Giancarlo Malandra)
La naturale propensione alla seduzione di Atri, irresistibile nella tessitura delle ore diurne allorché – come ricordava lo scrittore Michele Prisco ne Il cuore della vita del 1995 – rifulge «d’uno splendore nitidissimo e animato», diviene addirittura sortilegio con la morbidezza felina della sera. Ed allora quando vie, piazze e stradine vengono addomesticate dai bagliori struggenti dei lampioni, questa città «alta, nobilissima» ed estranea agli «adescamenti marini», ancor di più «coinvolge, stupisce, dà emozioni sapientemente articolate», scrive con efficacia ustionante Giorgio Manganelli ne La favola pitagorica, l’intrigante libro uscito per Adelphi nel 2005 che raccoglie i suoi reportage dal 1971 al 1989. Sicché non appare un cedimento all’iperbole quella tripletta di sintetiche definizioni – «perla della collina abruzzese», «limpido esempio di fusione tra architettura e natura», «stupendo centro per i cultori dell’arte e della bellezza» – che il senese Luigi Volpicelli, pedagogista di fama internazionale, aveva riservato in un suo articolo su Atri pubblicato nel 1969 nella rivista del Touring Club Italiano “Le vie d’Italia e del mondo”.
Veduta di Atri (ph. Giancarlo Malandra)
Torniamo però a Manganelli, coriféo del viaggio come immersione passionale e totalizzante nei luoghi. Secondo lo scrittore e giornalista milanese, Atri, la cui cattedrale giudicata splendida da Guido Piovene nel 1956 e citata da Paolo Volponi nel suo romanzo Il palazzo ducale del ’75 gli appare «una mole di indimenticabile potenza geometrica», è decisamente «una città più che antica, arcaica».
Accanto e in aggiunta al paesaggio ed alle emergenze architettoniche, è dunque la storia, in questo caso plurimillenaria, a costituire un elemento ulteriore di attrattività urbana.
Veduta di Atri, 1792
La pensava così anche uno dei protagonisti del Grand Tour, il globetrotter Edward Lear, che il 29 settembre 1843 guada tre fiumi e affronta la faticosa salita per Atri spinto dalla fama dell’«antica Hadria», quella stessa precedentemente osservata da lontano, e descritta sul piano storico, dal connazionale Keppel Richard Craven. Una vetusta città che – annota il viaggiatore londinese – per quanto «decaduta» pure è in grado di calamitare l’attenzione per alcuni «ruderi ciclopici» e per le «mura pittoresche», oltre che per la spettacolare veduta sull’Adriatico e sul retroterra. Ma a stordire e meravigliare Lear, come fosse un balenio fosforico, è la cattedrale, «uno degli edifici in stile gotico italiano più perfetti» tra quelli da egli visitati in Abruzzo e della quale pertanto non lesina inchiostro nella descrizione che consegnerà al suo volume Illustrated Excursions in Italy, pubblicato nel 1846.
Carta dell’Abruzzo (da E. Lear, Illustrated Excursions in Italy, 1846).
Quasi esemplate su quelle del Lear, sono le più sintetiche notazioni dello scrittore e poeta francese Charles-Emmanuel Nicolas Didier per l’Italie pittoresque del 1845. Vero è – lui dice, rievocando così la simile osservazione espressa già nel primo ‘400 dall’umanista Francesco Filelfo – che la fisionomia del borgo è quella ormai di una comune «bourgade campagnarde», appollaiata sulla cresta di una collina arida ed immemore della grandezza passata. E però secondo Didier visitare Atri è doveroso trattandosi di una delle «villes primitives de l’Italie», tanto da aver dato nome al mare Adriatico e i natali alla famiglia dell’imperatore Adriano.
Veduta di Atri (da Il Regno delle Due Sicilie descritto ed illustrato, 1858?)
Malioso polo-calamita in grado di coagulare, in virtù del suo passato onusto di gloria, ragguardevoli esponenti della cultura europea (come l’enciclopedico Aubin-Louis Millin, venuto in loco il 12 ottobre 1812 per incontrare Francesco Sorricchio, «persona ragguardevole» e collezionista di antiche monete atriane), la città pure continua ad arpeggiare l’anima di chi desidera farsi soggiogare tout court dalla straripante grazia della cattedrale e dei tanti monumenti presenti.
Cattedrale di Atri (ph. Giancarlo Malandra)
Se per lo scozzese Charles Mac Farlane, salito da Napoli negli Abruzzi nella torrida estate del 1848, l’acquaviviana Atri ancora stretta nelle sue mura è senza dubbio «la più antica, la più romantica e in ogni caso la più interessante» tra le località collinari che prueggiano a ridosso del tracciato litoraneo da Pescara verso nord, mezzo secolo dopo, in uno scenario sideralmente diverso, per il filosofo Augusto Conti è una meta imprescindibile trattandosi di una località storica notevole in cui «guide amorevoli e dotte» conducono il visitatore alla scoperta e alla migliore comprensione delle numerose opere d’arte presenti.
Teatro comunale di Atri, primo ‘900
Tra il 1848 di Mac Farlane e il 1897 del toscano Conti c’è stato intanto un vero profluvio di pubblicazioni d’indole varia che ha posto Atri in luce meridiana. Ai prodotti maggiormente significativi del viaggio borghese ottocentesco come le guide Bradshaw e, più ancora, i Murray Handbooks dalle iconiche copertine rosse coi caratteri dorati, si sono infatti affiancati sia i saggi di numismatica, sia gli studi e le robuste monografie a firma di illustri cultori delle arti: da Heinrich Wilhelm Schulz a Enrico Gennarelli; da Charles Callahan Perkins al duo Cavalcaselle-Crowe. È però grazie ad una novella apparsa nel 1872 se la città irrompe potentemente nello scenario internazionale. Si tratta di The bell of Atri (La campana di Atri) del famosissimo poeta statunitense Henry Wadsworth Longfellow, opera di tale fortuna non solo letteraria da approdare al cinema nel 1920 e da venire riproposta in numerose edizioni, l’ultima delle quali uscita nel gennaio 2024.
Cattedrale di Atri, primo ‘900
Storia ed arte continuano ad essere l’endiadi di Atri anche quando il viaggio cambia pelle e si modernizza, divenendo predace con l’automobile. Ce lo dimostrano icasticamente i resoconti nel 1907 di Ugo Ojetti e di Carlo Placci nell’anno seguente. Ammaliati entrambi dalla cattedrale e dai superbi affreschi al suo interno, i viaggiatori-automobilisti Ojetti e Placci ci consegnano infatti descrizioni che pur nitide, tuttavia sono parsimoniose di parole e si direbbe impazienti, come d’altronde impongono i tempi nuovi. Ed epigrafico, nonostante sia uno storico di vaglia, sarà pure Gustave Schlumberger riferendo della sua visita ad Atri ed alla cattedrale cittadina, «uno dei più bei monumenti religiosi dell’Abruzzo», nei suoi Voyage dans les Abruzzes et les Pouilles del 1916. Ai tornanti della dialettica non aveva rinunciato invece il conte e critico d’arte Arturo Jahn Rusconi, spesosi largamente in dotte dissertazioni sul più importante edificio sacro atriano, e sui pregevoli interni, in un ampio articolo diremmo a metà strada tra divulgazione dotta e saggio scientifico pubblicato da “Emporium” nel gennaio 1905 con ricco corredo di foto.
Cattedrale di Atri, interno (ph. Alessandro Antonelli)
Per quanto le pagine novecentesche ridisegnino ottiche e rimodulino tempi d’approccio, in ogni caso Atri continua ancora a sorprendere. Sarà forse per la sua «aria segreta, ritrosa quasi» e per la promessa mantenuta del suo «spettacolo di bellezza», come afferma convintamente lo scrittore Mario Pomilio. Sarà – ancora – perché la città sembra desiderosa di restituire racconti in timida trasparenza a chi le si accosta con rispetto e discrezione. Oppure sarà per le sue chiese, per le residenze gentilizie, per le case minute che possiedono, tutte, un loro cuore, una perfezione leggera accentuata dal filo dei tramonti e dai fiori dell’aurora. Sarà come sarà, l’aristocratica Atri è un ritaglio d’anima che ha segreti specchi e sa donare, ieri come oggi, un giro pieno di emozioni.
Da: Tesori d'Abruzzo
5 agosto 2024
24 luglio 2024
Antonio Di Jorio, Ave Maria, per tenore.
23 luglio 2024
Antonio Di Jorio, Canzone di Giovinezza, Archivio Antonio Di Jorio, Atri.
13 luglio 2024
Adele Fiadino, Le città d'Abruzzo nell'iconografia storica e i modelli originali nelle opere a stampa dal XVI al XVIII secolo, da Rivista abruzzese, 2018.
30 maggio 2024
16 maggio 2024
Carlo Verdecchia, "Carro con buoi".
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Carlo Verdecchia, "Carro con buoi", olio su cartone telato, cm 40x50, collezione private. |
"Carro con buoi"
Olio su cartone telato, cm 40x50
Collezione private.
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Carlo Verdecchia, "Carro con buoi", olio su cartone telato, cm 40x50, collezione private. |