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8 aprile 2024

Desiderio Abruzzese, Gruppo Folkloristico di Atri, diretto dal M° Pasqualino Santini.


LATO A
OILI'...OILA' di De Titta-Di Jorio
LU PIANTE DE LI STAGGIUNE di Illuminati-Di Jorio
LA CICOGNA SOPRA IL TETTO di Santini
LI CAMBANE DI ATRE popolare, elab. Mincione-Santini
L'AMORE E' BELLE A FFA'
DESIDERIO ABRUZZESE
TERESINE di De Titta-Di Jorio

LATO B
A LA FIERA DI LANCIANE di Albanese
AMORE CHE SE NE VA di Illuminati-Di Jorio
LA CITELE E LU VECCHIE di Santini
SERENATA STUNATE di Marcolongo-Di Jorio
CHI TE L'HA FATTE FA'
LU PIANTE DE LE FOJJE di De Titta-Albanese
T'ASPETTE CUNCETTI' di Gileno-Verrocchio

26 ottobre 2023

Sulla Collina - La romanza nel salotto degli Acquaviva.



Il cd “Sulla Collina” - la romanza nel salotto degli Acquaviva - nasce dalla volontà di dar voce a compositori di indubbio valore musicale e culturale non solo per la città di Giulianova a cui questi autori son legati per nascita o vissuto ma per tutti quei luoghi, in Abruzzo e fuori dai confini regionali, in cui la famiglia Acquaviva ha avuto la sua solida influenza.
A dar voce a queste musiche incise per la prima volta e alcune mai eseguite in tempi recenti due artisti giuliesi Manuela Formichella soprano accompagnata al pianoforte da Piergiorgio Del Nunzio che per amore verso le loro origini hanno affrontato lo studio e la registrazione di 16 brani per canto e pianoforte. Accanto a Gaetano Braga si potranno ascoltare composizioni di Sofia Properzi Acquaviva D’Aragona, di Andrea Acquaviva D’Aragona, di Luigi Leone e di Clodomiro Caravelli. Quest’ultimo (1888-1929), musicista, compositore e animatore radiofonico fu emigrato molto giovane negli Stati Uniti d’America dove avrebbe svolto la sua attività di docente governativo, a partire dai primi anni ‘20 del Novecento, presso la Lehigh School Music di Allentown.
Portano la sua firma la canzone valzer radiofonica Broadcasting Station L-O-V-E del 1924, la partitura bilingue Sulla collina (On The Hill) del 1925, dedicata alla città di nascita unendo un memore pensiero a Gaetano e Giuseppe Braga, il valzer You’re just the kind of a girl i like, the only one for me e When we smiled as we met and passed, del 1927, oltre a Dolce visione (Sweet vision) e Italia l’inno della patria, messe a stampa rispettivamente il 4 aprile e il 18 luglio del 1928.

Il soprano Manuela Formichella, giuliese, è una raffinata interprete che porta ovunque nel mondo la cultura musicale abruzzese con concerti sull’ortonese F. P. Tosti e gli altri musicisti abruzzesi autori di romanze da salotto. Ha all’attivo altri due dischi “Dormir, sognare” di arie e duetti del compositore abruzzese Antonio di Jorio e “Un D’Annunzio nuovo” su musiche originali del compositore statunitense Brendan McConville su La pioggia nel pineto dannunziano, disco che ha vinto il Global Music Award per contemporary classical album!

La presentazione del disco avverrà sabato 14 settembre presso il Palazzo Kursaal di Giulianova alle ore 21 grazie alla volontà dell’Accademia Acquaviva e vede il sostegno dell’Amministrazione Comunale e del Polo Museale Civico di Giulianova, di “Tesori d’Abruzzo” editore De Siena leader nella promozione della nostra regione, del Lions Club di Giulianova Castrum e del Bim (Bacino Imbrifero Montano).
Il disco è corredato anche dalle parole dello storico Sandro Galantini.

19 aprile 2023

Antonio Di Jorio. Musiche originali per Banda, Concerto bandistico Vittorio e Bruno Celli di Casoli di Atri.


 

Concerto bandistico "Vittorio e Bruno Celli" Casoli di Atri dir. Concezio Leonzi

VISERBELLA marcia militare
BELLARIA marcia militare
TORRE PEDRERA marcia militare
COVIGNANO marcia militare
CUCCU' paso doble
LAURETANA marcia militare
SOGNO DI BIMBI sinfonietta overture
SOGLIANO marcia militare
VISERBA marcia militare
NUVOLETTA marcia militare
RIVAZZURRA marcia militare
IGEA marcia militare
PIANTO ETERNO marcia funebre
NUVOLE valzer
MIRAMARE marcia militare
CHECCHINA marcia sinfonica.

Venticelle d'Abruzze. Canti popolari abruzzesi, Coro Antonio Di Jorio di Atri.

Venticelle d'Abruzze. Canti popolari abruzzesi, Coro Antonio Di Jorio di Atri.
Da: Abruzzo Forte e Gentile 95



ANTONIO DI JORIO, il meglio delle Canzoni Abruzzesi.

27 novembre 2022

Elisabetta Mancinelli, Le feste dell'Avvento in Abruzzo.

Le feste dell'Avvento in Abruzzo
di Elisabetta Mancinelli
l’avvento 2022 quest’anno comincia domenica 27  novembre e termina  giovedì  4 dicembre.

Dopo le varie celebrazioni legate alla commemorazione dei  defunti e alle feste dedicate a San Martino, caratterizzate dappertutto da momenti di spensieratezza, il ciclo dell’anno prosegue con i rituali del periodo dell’Avvento  in un crescendo di usanze, che culminano con la solennità del Natale che in Abruzzo, secondo i più autorevoli antropologi e studiosi del folklore (Finamore, Giancristofaro....) è  la più importante dopo la Pasqua.           
Le “ Tempora di Avvento” è un periodo di quattro settimane  che ha inizio a partire dalla domenica più vicina al 30 novembre. In questo mese, in attesa del tempo ciclico, che il mondo contadino  identifica con il rinnovamento della natura, si celebrano eventi festivi e particolari riti che assumono la funzione di attesa e di purificazione.

 UN SANTO NATALIZIO  SAN   NICOLA
Una  credenza che risale al Medioevo afferma che al nome di San Nicola è legata l'origine di Babbo Natale, figura mitica presente nel folklore di molte culture che distribuisce i doni ai bambini, di solito, la sera della vigilia di Natale.

Il  6 dicembre  si  celebra  a  Pollutri, un paese non  lontano da Vasto, San Nicola di Bari importante in Abruzzo in quanto protettore dei pastori transumanti. Una leggenda vuole che San Nicola sia arrivato in Abruzzo   attraverso il tratturo Magno o del Re (L’Aquila- Foggia).
Secondo un’arcaica tradizione il Santo, durante una terribile carestia, avrebbe salvato la gente di Pollutri, moltiplicando  un pugno di fave riuscendo così a sfamare tutti. Da allora, ogni anno a ricordo dell'avvenimento, la sera del 5 dicembre, data della morte del Santo, vengono allestiti sulla piazza principale del paese grandi calderoni in cui vengono lessate le fave che, al termine del rito della bollitura, vengono distribuite ai convenuti insieme alle ciambelle rituali, preparate nei giorni precedenti la festa.
S. Nicola di Bari, viene festeggiato anche  nella piccola comunità di Cansano e dalla vicina Campo di Giove che, per l'occasione, scendono alla “Pujetta”, cosi chiamata in quanto posta geograficamente più in basso rispetto a Campo di Giove per prendere le pagnotte benedette, che un tempo venivano "ammassate" per questa festa.  Le pagnottelle ancora oggi si ottengono con pasta di pane speziato con semi di anice che anticamente venivano stipate in grossi sacchi e portate nella chiesa di S. Nicola per essere benedette.
Nella chiesa era preparata una bilancia a due piatti sostenuta da una lunga catena pendente dal soffitto.
 Il rito consisteva nel pesare prima la donna che offriva il pane  ma questo doveva pesare più  della donatrice. Dopo la messa le pagnottelle venivano distribuite a tutti i presenti, ai poveri e i malati.   Nei tempi antichi tutti i cansanesi, con la neve e col freddo intenso, salivano sul monte dove era situata la chiesa di S. Nicola per chiedere al Santo l'abbondanza nel raccolto e la protezione da ogni calamità.

 I “Fuochi” e il loro significato
E’ difficile ricostruire il significato originario di alcuni riti delle società arcaiche e uno di questi prevedeva come usanza accendere i fuochi, sia individualmente che in forme collettive.
Nell’antichità i fuochi erano considerati feste di rinnovamento, di buon auspicio e di purificazione per il nuovo ciclo del tempo e l’ Abruzzo conserva, nelle sue tradizioni, molte feste di “fuochi” soprattutto nel Tempo dell’Avvento. Nei secoli, con l’affermarsi del Cristianesimo, le feste popolari presentano una consistenza di elementi pagani e cattolici fusi fra loro e i fuochi della festa pagana, esercitano la loro funzione purificatrice, non solo per ottenere un buon raccolto, ma per mondare la comunità dai peccati, e in questo senso preparare un nuovo anno propizioDiverse sono le festività che si celebrano con “I Fuochi” in Abruzzo  nel periodo dell’Avvento.
                                                 
 FESTA  DEI  FAUGNI  AD  ATRI
All' alba dell' 8 dicembre, ad Atri, in provincia di Teramo, si ripete l’ antichissima tradizione popolare  dei “Faugni” (dal latino "fauni ignis", cioè fuoco di Fauno). Nel paese l' originario rito pagano s'è mescolato a quello della festa cattolica per l' Immacolata Concezione di Maria: i Faugni sono apparsi per la prima volta nei riti religiosi nel 431 d.C. con il Concilio di Efeso”.
Riprendendo simbologie solari delle feste latine, i faugni nascono dalla fusione di una consuetudine pagana e contadina: infatti, un tempo, nelle campagne attorno ad Atri, i contadini accendevano dei fuochi, a fini propiziatori prima del solstizio d'inverno, in onore di Fauno, divinità pagana associata alla fertilità della terra, protettrice di pastori, greggi e agricoltura.
La sera del 7 dicembre il parroco della cattedrale benedice il falò che servirà all'accensione dei faugni all'alba del giorno dopo. Da questo magico rito deriva appunto la tradizione che consiste nell'accendere e portare in processione per la città alti fasci di canne legati da lacci vegetali. Il giro dei faugni per vie e piazze del centro storico di Atri, termina nella  piazza del Duomo, dove i fasci di canne ardenti bruciano in un grande falò.

 

                                                   

 "I favore"  

A  Collelongo (Aq)   vige ancora una antica tradizione, la sera del 7 dicembre, vigilia della festa dell'Immacolata, si accende in piazza un grande falò chiamato "I favore". Nella credenza popolare il falò ricorda  anche qui la luce dei fuochi che guidarono gli angeli che portarono la "Santa Casa" da Nazaret a Loreto. Intorno al falò viene distribuita polenta a tutti i presenti.




                         
Festa dell'Immacolata Concezione 8 dicembre

Un antico detto abruzzese così recita “Santa Maria Cuncette, a Natale diciassette” indicando che la festa dell’Immacolata Concezione da tempi remoti viene solennizzata dagli abruzzesi. In tutta la regione la sera del 7 dicembre si usa accendere grandi fuochi  “li fucaruni” in onore della Madonna che, secondo la tradizione religiosa, servono ad illuminare il cammino degli angeli che trasportano la Santa Casa di Nazareth a Loreto. Secondo le  simbologie consuetudini pagane e contadine i Fuochi  sono propiziatori di buon auspicio per il nuovo anno.





Anche a San Valentino (Pe)  si celebra  l’Immacolata Concezione. La festa si svolge nell' arco della mattinata con la celebrazione di solenni funzioni  nella chiesa di S. Donato dove è la statua della Madonna, segue una solenne processione per le vie del paese.  Nel corteo sfilano la grande Croce Celeste e la bandiera recante al centro un ricamo della corona della Madonna. Alla manifestazione prendono parte i componenti della Congrega dell'Immacolata Concezione e di Sant'Alfonso che per l'occasione indossano una particolare veste bianca e celeste (divisa della congrega). La festa ha termine nel  pomeriggio in piazza dove la banda musicale accompagna il tradizionale Ballo della Pupa: un fantoccio di cartapesta nel cui interno cavo si nasconde un uomo che lo fa camminare e ballare mentre esplodono i numerosi bengala e petardi che reca indosso.

 

                                                            FESTA DI SANTA LUCIA 

Anche Santa Lucia, protettrice della vista, nelle campagne viene celebrata con fuochi notturni rituali chiamati “faugni” che simboleggiano il bisogno umano di illuminare il giorno tradizionalmente considerato il più corto dell’anno prima del solstizio d’inverno. In passato  si accendevano i fuochi  non solo per festeggiare S. Lucia, ma anche  il 4 dicembre per S. Barbara, protettrice dei minatori ed artificieri oltre che per l’Immacolata ConcezioneLa festa cade il 13 Dicembre, data della morte di S. Lucia e  la celebrazione, in un giorno  ritenuto il più corto dell’anno, è dovuta probabilmente alla volontà di sostituire antiche feste popolari che celebravano la luce. Quindi sarebbe privo di fondamento l'episodio di Lucia che si strappa gli occhi, l'emblema degli occhi è invece da collegarsi con la devozione popolare che l'ha sempre invocata protettrice della vista a causa del suo nome, Lucia, da lux, luce.
 A  Prezza  paesino   della  conca Peligna, stazionò per un certo periodo il corpo di S. Lucia in viaggio verso Venezia per ordine del Doge Enrico Dandolo, subito dopo la fine delle crociate, per dare ad essa la definitiva sepoltura. Le spoglie della santa vennero affidate al Vescovo di Corfinio  il quale decise di custodirle nella fortezza prezzana. In paese si diffuse quindi il culto per Lucia e venne edificata nel 1200 circa una cappella votiva per i tanti pellegrini che vi si recavano. Nel  corso degli anni essa fu circondata da mura e venne costituita la nuova parrocchia a lei dedicata.
Oggi la chiesa si trova nel centro del paese e all'interno, in una nicchia, è collocata una preziosa statua lignea della fine del 1400 raffigurante S. Lucia.
Al mattino di ogni anno, il 13 dicembre al suono delle campane, i prezzani si recano prima in chiesa per la messa solenne e poi sfilano in  processione per le viuzze del borgo; le donne portano grandi ceste di ciambelle a forma di occhi da donare ai  portatori della statua di S. Lucia  e ai partecipanti al rito.
 
Anche a Torre de’ Passeri  Il 13 dicembre si celebra Santa Lucia, martire siracusana del Cristianesimo delle origini che  nel paese è venerata da secoli. In questo giorno la cittadina si anima di una serie di  appuntamenti religiosi e civili che ogni anno richiama la curiosità degli abitanti dei paesi limitrofi e di molti torresi emigrati all'estero che anticipano il ritorno in paese per le feste natalizie. Sin dalle cinque del mattino i botti di mortaretti e la musica della banda “Città d’Introdacqua” danno la sveglia a tutti i torresi. Nel pomeriggio una solenne Processione, preceduta dalla Santa Messa,  sfila tra le vie dell’antico centro e la  statua della Santa  viene  portata a spalla da quattro portatori, in un singolare corteo religioso, guidato dal parroco di Torre de’ Passeri, dal sindaco  e numerosi fedeli. Intorno alle 19, la tradizionale “Pupa”,  grande manufatto di cartapesta con le sembianze di donna,  viene fatto ballare da un ballerino che si cela nel suo interno, e, in un valzer di fuochi pirotecnici, si concludono i festeggiamenti.
Il Tempo dell’Avvento  è il tempo dell’Attesa  (dal latino “adventus”) che precede l’arrivo del Messia Salvatore secondo quanto profetizzato nell'Antico Testamento. Per i cattolici  ha un  doppio significato teologico: è  sì il tempo di preparazione al Natale ma anche il tempo  in cui gli spiriti si rivolgono all'attesa della seconda venuta di Cristo alla fine dei tempi, un periodo dunque di speranza e insieme di purificazione.

Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli 
email: mancinellielisabetta@gmail.com     

17 novembre 2022

Amelio Pezzetta: La Chiesa e la vita religiosa in Abruzzo durante Il Viceregno Spagnolo (1503-1707).

1.      Stato, Chiesa e vita religiosa nel Regno di Napoli durante il XVI secolo.

Il dominio spagnolo dell’Italia Meridionale iniziò nel 1503 con Ferdinando il Cattolico e si concluse il 7 luglio 1707 quando le truppe austriache entrarono a Napoli e il Regno passò agli asburgici.

Durante i due secoli di dominio, i monarchi spagnoli delegarono l’amministrazione del Regno a un viceré, non favorirono lo sviluppo del paese, lo appesantirono con un’esosa pressione fiscale e conservarono la sua natura di stato feudale. Nell’epoca in considerazione i baroni vecchi e nuovi conservarono l’ampio potere amministrativo-giudiziario di cui godevano e ampliarono i possedimenti feudali; la chiesa rafforzò il suo potere e prestigio morale e politico; i rappresentanti della borghesia iniziarono la loro ascesa acquisendo prestigio nell’amministrazione civica, l’economia e le libere professioni; i ceti più umili continuarono a vivere in generalizzate condizioni di asservimento e d’indigenza.

Il Regno di Napoli era uno stato vassallo della Chiesa che il papa assegnava a chi assecondava i suoi piani di potere temporale e le sue finalità spirituali. Al momento dell'investitura Ferdinando il Cattolico riconobbe lo stato di vassallaggio con tutte le condizioni a esso connesse tra cui il versamento al pontefice del censo annuale di 8000 once d’oro e l’omaggio della chinea. Ai fini di conservazione del potere, per gli spagnoli l'alleanza con la Chiesa era indispensabile nonostante la condizione di asservimento e il suo alto costo in termini economici.

Nel Regno di Napoli gli spagnoli assunsero nei confronti della Chiesa due atteggiamenti: da un lato se ne servirono per rafforzare il potere; dall'altro pur riconoscendole privilegi e diritti, non assecondarono tutte le sue pretese e talvolta anziché respingerle frontalmente, le attaccarono di fianco. In particolare gli spagnoli non si opposero alle pretese della Chiesa quando erano enunciate nei concili o con le bolle, ma ostacolavano la loro attuazione se contrastavano con gli interessi dello Stato. Un esempio in tal senso è costituito dall'atteggiamento che assunsero nel 1568 con la pubblicazione della bolla "In coena Domini" con cui il papa Pio V voleva riaffermare il primato della chiesa e far presente che le ingiuste imposizioni fiscali erano moralmente perseguibili. In realtà per i suoi particolari contenuti era un chiaro tentativo di violazione dei diritti sovrani di uno Stato laico e fu utilizzata per la difesa dei privilegi e interessi clericali dalle autorità civili. Infatti, la bolla consentiva alle autorità clericali di ricorrere all’arma della scomunica anche nei confronti degli amministratori zelanti che volendo far applicare le norme statali in materia tributaria minacciavano il patrimonio ecclesiastico. In particolare essa minacciava di scomunica coloro che: appoggiavano gli eretici; sostenevano la superiorità dei concili rispetto al sommo pontefice; imponevano nuove tasse al clero o aumentavano quelle già esistenti senza l'approvazione della Camera apostolica; violavano le immunità ecclesiastiche sulla base del principio  che non si fondavano sul diritto divino; impedivano agli ecclesiastici l'esercizio della loro giurisdizione anche contro i laici, l'esecuzione dei rescritti di Roma e l'esazione delle tasse della Chiesa. Il governo spagnolo, nel rispetto dell’atteggiamento politico verso la chiesa precedentemente delineato, quando la bolla fu promulgata non si oppose, ma in seguito cercò di ostacolarne la diffusione e conoscenza.

Tenuto conto degli aspetti generali enunciati, il presente saggio prosegue con l’esposizione sintetica di alcuni significativi aspetti del rapporto Stato-Chiesa nel Regno di Napoli durante il XVI secolo.

Il 29 giugno 1529 il papa Clemente VII e il re Carlo V firmarono il trattato di Barcellona in cui al sovrano spagnolo fu concesso il diritto di presentare i vescovi di 24 diocesi di regio patronato del viceregno napoletano. L’accordo prevedeva che nell’Italia Meridionale l’amministrazione diocesana potesse essere affidata anche a presuli non indigeni e di conseguenza alcune di esse iniziarono a essere rette da prelati d’origine spagnola.

Nel 1541 un decreto della Regia Camera della Sommaria[1] deliberò che i chierici avevano diritto alle esenzioni fiscali sui seguenti beni stabili e di consumo: 1) i territori ecclesiastici e gli animali utilizzati nel lavoro agricolo o come cavalcatura dai chierici e i loro famigliari; 2) l'acquisto di generi alimentari e capi d'abbigliamento. Nello stesso anno, un altro decreto fissò le quantità massime di merci che i chierici potevano acquistare in franchigia: un rotolo di carne giornaliero (circa 0,9 kg), 2,5 tomoli di grano l'anno (1250 kg), 30 rotoli di formaggio l'anno (circa 27 kg), 3 staia d'olio annui (circa 30,2 litri), due botti di vino annui (circa 1047 litri e 40 rotoli di carne da salare annui (circa 36 kg)[2]. Le immunità fiscali furono elargite anche ai coloni delle chiese e agli oblati che donavano beni ai monasteri, non ne riservavano per loro stessi e vi andavano a vivere. Siccome i sacerdoti non pagavano le tasse, i vescovi che favorivano le ordinazioni al di sopra delle necessità delle diocesi che governavano, furono ritenuti dei benefattori. Molti ecclesiastici nel corso del secolo grazie ai privilegi accumulati, incentivarono l'evasione fiscale e cercarono di coinvolgere anche i laici nelle esenzioni da loro godute. Un esempio in tal senso è rappresentato dalle donazioni fittizie di beni immobiliari che i laici facevano agli ecclesiastici allo scopo di non pagare le tasse sul patrimonio. Conseguenza dei fatti accennati è che aumentarono a dismisura gli ecclesiastici nel Regno di Napoli, mentre si contrassero i beni passibili di tassazione e le rendite dello Stato. Contro questo stato di cose le autorità civili cercarono di limitare il numero delle ordinazioni, gli amministratori locali presero numerose iniziative e inoltrarono numerosissimi ricorsi alle autorità centrali affinché prendessero opportuni provvedimenti tendenti a limitare il fenomeno. Purtroppo tutti i tentativi per porre rimedi alla situazione non portarono ai risultati sperati, poiché l'azione del governo non fu molto decisa e di conseguenza gli abusi continuarono a essere perpetrati.

Nel XVI secolo i chierici del Regno di Napoli percepivano rendite molto diverse: la congrua, i diritti di stola, le decime e i redditi censuari da terreni, da fabbricati, beneficiali, da messe, ecc. Nonostante questi benefici e vari provvedimenti favorevoli, molti chierici delle campagne dell’Italia Meridionale non avevano un adeguato benessere economico e talvolta coltivavano i terreni in loro possesso.

La religione nel secolo è un aspetto importantissimo dell'attività statale e amministrativa. I re di Spagna si considerarono ardui difensori del cattolicesimo e in tutti le istituzioni statali dei loro domini fecero obbligarono i funzionari a esercitarsi in pratiche di culto. Infatti, gli ufficiali pubblici intervenivano in forza alle funzioni sacre, i giudici prima di entrare in seduta ascoltavano la messa, i reggimenti avevano i loro cappellani, nelle carceri dovevano esercitarsi pratiche di culto, la bestemmia era considerata un reato e lo Stato ordinava che si facessero pubbliche preghiere. A livello locale le Università[3] possedevano il diritto di patronato di cappelle laicali e chiese, fornivano alle chiese stesse indumenti sacri, cera ed ostie e pagavano al clero le messe celebrate pro populo.

Con una prammatica del 5 gennaio 1571 il viceré De Rivera ordinò ai parroci di registrare tutti i battezzati in un libro e la parrocchia iniziò ad assolvere anche a funzioni d'anagrafe civile[4].

26 ottobre 2022

Storie di streghe in Abruzzo.

Storie di streghe in Abruzzo


Spulciando negli archivi storici diocesani come quelli di Stato di Chieti, L’Aquila e Napoli, due ricercatori hanno ricostruito fatti, trascritto testimonianze, recuperato atti processuali: dando nome e cognome alle streghe e ai maghi dell’epoca, nonché ai loro persecutori.
"In Abruzzo - avvertono i due autori - non operano tribunali inquisitoriali. Furono pertanto i vescovi ad intervenire nei confronti delle stregonerie, delle angherie e dei sortilegi, spesso agendo in modo autonomo, ma a volte, nei casi più delicati, sotto la direzione della Congregazione romana del Sant'Uffizio”.
Il primo rogo multiplo fu quello di Penne, nel 1584. Un lungo processo per stregoneria, sollecitato dalla dispotica Margherita d’Austria, figlia dell’imperatore Carlo V e moglie del duca di Parma Ottavio Farnese. E’ proprio in alcune lettere al vescovo scritte da Margherita, feudataria anche in questo lembo d’Abruzzo, che si fa accenno ai “diavoli di Penne”: Cristina Malospirito, Caltelmo della Corvara, Annibale di Montegallo e “altri complici forestieri incantatori”. Finiti tutti sul rogo, e “incenerati”. Non uno dei piccoli paesi dell’Abruzzo si salvò da allora in poi dal sospetto e dal lutto. Come in ogni parte dell’Europa cattolica e protestante, il delirio collettivo contagiò prelati e nobili, popolani e curati, giovani donne e vecchie. Sortilegi e patti con il diavolo si registrano, atti alla mano, a Villa San Giovanni come a Tagliacozzo, a Città Sant’Angelo come a Teramo, a Chieti come a Giulianova. Ma forse è la storia di Orsolina Di Pasquale, la più emblematica di tutte. Anno di grazia 1612, in quel di Miano.

 


Orsolina: “fama trista”, secondo i testimoni del processo, è meretrice, perché aveva partorito più volte senza aver mai avuto marito. Orsolina, che conosce i segreti delle erbe, ha una figlia da mantenere, e forse si è procurata qualche aborto, in quella situazione di degrado e miseria. Orsolina, che è sempre pronta ad accudire gli alti, compresa Francesca, “spiritata da un anno”. Le basta sussurrarle poche parole all’orecchio, e la donna si acquieta. Lo fa davanti a tutti, Orsolina. Non va forse in chiesa ogni domenica a recitare le orazioni? Ma le crisi di Francesca, qualche tempo dopo, riprendono più forti di prima. E’ un maleficio! Orsolina si ritrova ad essere accusata di stregoneria da un giorno all’altro. Viene chiusa in carcere, processata, invano si proclama innocente. Spiega che le parole dette erano quelle pronunciate dal prete a messa (“Adoremus te, Criste”). Che non saprebbe nemmeno tradurre, ma che certo non possono far male. Ammonita dal vescovo ad abbandonare “sotterfugi e menzogna” e a confessare la verità, Orsolina non ritratta. Non ha fatto nulla di male. Viene torturata: spogliata, legata e tirata con la fune (“elevata”). Ma dalla sua bocca non escono che lamenti e preghiere, non nomi di diabolici complici. E’ rimandata in carcere. E mesi dopo, condannata. Non al rogo, ma “a stare in ginocchio con un cero in mano davanti alla porta della cattedrale di Teramo un giorno festivo, mentre si celebra la messa, e all’esilio da Miano e da tutta la diocesi di Teramo per un anno”.

Strega Melinda

L’ultimo identikit della strega abruzzese l’ha forse tracciato lo scrittore Dino Buzzati che, in cerca dell’Italia misteriosa per i suoi reportage sul “Corriere della sera”, si è fermato a Teramo nel 1965 ed ha avuto dal suo amico Franco Manocchia le informazioni sulla “strega Melinda”, morta a 93 anni, tre anni prima nella sua casupola in uno sperduto paese di povera gente sul piedistallo del Gran Sasso”. Sedotta e abbandonata a 15 anni da un giovanotto di Penne partito militare, Melinda prepara la sua prima fattura, appresa da una “commara”, con una ciocca dei suoi capelli, un bottone del suo corpetto e un pezzo di stoffa imbevuto del suo sangue mestruale, lasciandola sul letto per il ritorno dal fronte del seduttore; la fattura colpisce a segno, ma il giovane riparte e muore in guerra. Inizia così la sua vita miserabile con due piccoli da sfamare, decide di darsi alle arti magiche e va ad apprendere da un magarone di Forcella il mestiere di fare le fatture buone e da un altro di Montepradone, in provincia di Ascoli Piceno, quelle cattive. Così Melinda, strega per nascita ma anche per miseria, per oltre 70 anni, odiata e temuta dalla gente, vive facendo i suoi sortilegi, senza tariffe per le fatture buone, accontentandosi di quanto il cliente dava a volontà, qualche carta da cento lire, un mazzo d’agli, chiedendo anche mezzo maiale di compenso per le fatture a male. Una vita miserevole e triste che spinge i due figli, appena giovani, ad emigrare e a non dare più notizie alla madre, che conduce la sua vita “applicando l’antico codice della stregoneria locale tramandato a voce di strega in strega: una che sa benissimo quando fa il bene e quando fa il male, che non si illude e sa di non poter evitare l’inferno. C’è per lei una sola salvezza: se al momento della morte, quando in diavolo aspetta alla porta, qualcuno apre un buco nel tetto per dove l’anima possa fuggire”. E… sembra proprio che qualcuno abbia fatto il buco nel tetto alla sua morte! Melinda ha fatto migliaia di fatture, per far impazzire d’amore trafiggendo con spilli e chiodi le fotografie o preparando “polverine” con erbe speciali da versare nel caffè delle vittime, o trasferendo una malattia da una persona all’altra, ma anche opere buone, vivendo sempre sola ed evitando ogni anno di farsi vedere per la messa di natale perché sarebbe finita sicuramente ammazzata… La sua storia è emblematica di tutti i racconti di streghe ed folklore abruzzese.

Angela Occhio d’Vrocca

Questa storia è tratta da un vero e proprio processo per magia contro la “notoria maga, strega e fattucchiera Angela alias occhio di vrocca, autrice di malie contro certo Ignazio Rapattuni, ex amante della figlia Giovanna, il quale da “sette anni circa si ritrova malato stroppio dentro d’un fondo di letto” e diverse volte aveva minacciato la strega di denunciarla al santo Ufficio se non avesse guastato la fattura o lo avesse reso libero, ottenendo solo promesse non mantenute. Alla fine il povero Rapattuni, “più travagliato che mai”, e dopo che la fattucchiera gli ha fatto intendere “che mai sarrà che vogli guastargli detta malia e che morirà esso supplicante dato al demonio”, denunzia tutto al Commissario del Santo Ufficio, invocandolo “in visceribus christi” di prendere a cuore il suo caso e di punire la strega. I fatti sono accaduti a Chieti dal1661 al 1668, anno in cui, il 3 dicembre, c’è la supplica di Rapattuni corredata, però, dai verbali degli interrogatori di alcuni testimoni, avvenuti tutti nell’agosto precedente, che occupano 9 delle 11 carte di cui si compone il documento. I testimoni, quasi tutti vicini di casa, sono Giuseppe Celentani, Antonio della Tucca alias Lanuto, Pasquale Cinquina con la moglie Geronima, Tonto di Caramanico con la moglie, Domenico Roccioli, Vegilia Centobeni, Angela Dolce Canto, e concordano nei particolari riportati nelle testimonianze. Inizia Giuseppe Celentani, risedente a Chieti, vicino a casa di Angela occhio di vrocca (cioè occhio di gallina) nei pressi di “Porta Pescara”, di cui dichiara di aver sentito in giro che è una “malissima donna e tiene nome di pubblica fattucchiera e donna di malissimo vita… che cel’ habbia fatta (la fattura) per cause che detto Ignatio conosceva carnalmente detta Giovanna sua figlia e perché sempre bastonava e maltrattava essa Angela…”.
Il Cementai dichiara anche di aver ricevuto l’incarico dal Rapattuni di intercedere presso Angela perché sciogliesse la fattura; la donna promise di interessarsene una sua amica schiavona capace di queste operazioni magiche, ma questa nel frattempo era morta e perciò non se ne fece nulla. Le altre testimonianze concordano tutte con questa versione: Rapattuni era immobilizzato a letto per una fattura di Angela la quale si era così voluta vendicare dei maltrattamenti subiti e perché, a causa dei litigi, egli aveva anche lasciato la figlia Giovanna, sua amante; quest’ultima era stata sentita da più d’uno rimproverare alla madre di aver affatturato il suo amante. Il fascicoletto intitolato “Inquisizione di stregoneria contro Angela della occhio di vrocca di Chieti, 1668”, non aggiunge altro ai verbali delle testimonianze che spesso parlano dell’inquisita come di famosa fattucchiera e “per la gente e fra la gente della città di Chieti” si diceva pubblicamente della fattura che teneva immobilizzato il povero Rapattuni. Si è svolto il processo? E’ stata condannata la strega oppure è nel frattempo deceduta, per cui non si è più potuto procedere? E l’affatturato, per quanto tempo ancora è rimasto paralizzato sotto gli effetti della malia? Nessuno lo saprà mai, a meno che non vengano trovate altre carte successive a quelle della fase istruttoria, se ve ne uno. Un fatto è certo: Angela non doveva essere una donna morigerata, ma….. le capacità stregonesche le venivano attribuite, probabilmente, perché aveva gli occhi simili a quelli della gallina.



Seguono una serie di testimonianze raccolte sulla stregoneria in Abruzzo:

Antonio Anello n.1923 Atri (TE)

Una ragazza strega, una notte, andò a trovare il suo fidanzato che, sentito il vento vicino al letto, prese il coltello e colpì nell’aria e apparve la ragazza tutta nuda, nuda. Il ragazzo chiamò il padre e la madre, la vestirono con dei panni di casa e la riportarono a casa sua. Da quel giorno non tornò più strega perché con la goccia di sangue dalla marcatura se ne era andata la virtù.

Leonello Di Nardo n.1928 Bucchianico (CH)

Mia cugina era nata la notte di Natale e, per questo, dall’età di due anni, certe notti spariva; se la venivano a prendere le streghe. Questo è successo, finchè non l’hanno marcata con un ago arroventato; è stata la levatrice a farlo, sotto il piede sinistro, le fece uscire un po’ di sangue; così la bambina perse quella virtù e non uscì più la notte con quella compagnia. Allo stesso orario in cui spariva la bambina, spariva anche il cavallo di un vicino di casa; forse serviva per portare lei.

Santina Astrologo n.1925 San Valentino (PE)

Una donna, tutte le mattine, ritrovava la tela tessuta: allora per vedere se era qualche strega a tesserla, la notte appresso, prese uno spiedo e lo arroventò nel fuoco. Quando, a una certa ora ha sentito il telaio tessere, fece passare quel ferro per un buco che era nel muro, giusto nella direzione della spola, così colpì la mano della strega, la “marcò”; come è uscito un pò di sangue, apparve una bellissima ragazza (perché prima era invisibile) che disse: “Povera veneziana, sono venuta tanto di lontano; chi mi riporta alla Venezia mia?”

Maria Di Pompeo n.1960 Castel del monte (AQ)

Tutte le notti, una donna sentiva il telaio lavorare su e giù nella stalla; il giorno appresso, mise un segno sulla tela e, quando la mattina dopo tornò a vedere, lo trovò cresciuta. Raccontò il fatto al marito e fecero un buco nel muro per vedere chi era che tesseva la notte. Andarono a dormire, ma, a un certo punto arriva una donna che accende il lume, si siede e comincia a tessere. Allora, quelli prendono un ferro, lo arroventano e la colpiscono sulla man, esce il sangue e questa si mette a dire: “Povera giovane di Perugina, povera giovane di Perugina!”. Allora, la moglie e marito scendono sotto e si fanno dire dove abitava e di chi era figlia e così la mattina dopo la riportarono a casa sua: il padre per la contentezza che gli avevano “salvato” la figlia, gli fece per regalo un sacchetto pieno di marenghi d’oro.

Raffaele D’Onofrio, n.1928 Vacri (CH)

Una bambina di sei, sette anni, veniva portata in giro la notte dagli stregoni perché era nata “vestita” (e la mamma la “camicia” l’aveva conservata). Allora, la gente disse alla mamma che quando sentiva la bambina strillare perché se la venivano a pigliar, lei con un ferro arroventato la doveva “marcare” per farla uscire un po’ di sangue, così non ci poteva andare più, perché perdeva quella virtù. La mamma così fece, però gli stregoni per dispetto fecero ammalare la bambina e, per guarirla la dovettero portare da diverse “magare”.

Pasquale Di Girolamo, n.1931 Carpineto Nora (PE)

Un pastore, in montagna era sempre seguito da una gatta che gli andava dietro dietro; improvvisamente appariva e spariva, gli miagolava, non si capiva che voleva; finché un giorno, il pastore prese il coltello e le fece uscire un po’ di sangue; allora, gli apparve la fidanzata che lo ringraziò per avergli levato il “destino di strega”.

Ernestina Nelli, n.1905 Bomba (CH)

Una donna che conoscevo aveva una bambina che veniva sempre disturbata da qualche strega; in questo modo a questa poverina erano già morti tre o quattro figli. Allora, fece la veglia per nove notti vicino alla culla, finché entrò in casa una gatta (quella era la strega), la prese e la fece “nera di botte”, come si insanguinò ridiventò una persona, una donna normale (che pure conosceva, era dello stesso paese), questa se ne scappò fuori e così la bambina fu salva.

Testi tratti da:

- “Le superstizioni degli Abruzzesi” di Emiliano Giancristofaro

-Opuscolo informativo “Streghe: dramma, emozione, turbamento in un mondo che ci appartiene” di Franco Di Silverio.

  

Da:  http://portalecultura.egov.regione.abruzzo.it/abruzzocultura/data//Abruzzesi%20illustri/Storie_di_streghe_in_Abruzzo.pdf

https://www.academia.edu/3847567/Storie_di_streghe_in_Abruzzo?email_work_card=thumbnail