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28 settembre 2023

La presenza di Annio Lora a Lanciano.

La presenza di Annio Lora a Lanciano
di Angelo Iocco

Il professore di Disegno Tecnico Annio Lora (1835-1922), docente presso l’Istituto d’arte “G. Palizzi” presso il palazzo del liceo classico di Lanciano, Corso Trento e Trieste, fu coinvolto in diverse iniziative nel primo ventennio del Novecento. 
Lora nacque a Trissino, studiò la tecnica dell’intaglio a Vicenza e poi Venezia, e immediatamente diversi lavori gli furono commissionati nelle chiese dell’area vicentina e veronese; ebbe anche modo di esporre in diverse Mostre (Verona 1868, Torino 1884, Roma 1911). 
Nel 1902 veniva solennemente consacrato da Mons. Angelo Della Coppia il nuovo tabernacolo del Miracolo eucaristico di Lanciano, progettato da Filippo Sargiacomo, presso il santuario di San Francesco. Lo sportellino del Santissimo Sacramento, una ventina d’anni più tardi, fu disegnato dal Lora, una lastra d’argento sbalzato, con la riproduzione dell’ostensorio di scuola napoletana che racchiude le Sacre Reliquie del Miracolo.


Lora con questo lavoro ebbe altre commissioni nelle chiese lancianesi: presso la chiesa di Santa Lucia si conserva il fonte battesimale in marmo, di gusto post classico, con due sportelli in rame sbalzato e cesellato, disegnati dal Prof. Lora: uno raffigura un cervo, l’altro il Battesimo di Cristo; Lora disegnò anche la statuina del Cristo portacroce, che corona il bel battistero.
Nell’ambito dell’edilizia civile, secondo alcuni, Annio Lora progettò la casa Console attaccata all’ex palazzo della Zecca, e al fianco della chiesa di San Francesco, all’inizio di Corso Roma, dal gusto decò, definita oggi popolarmente la “Casa dei fantasmi”, per il rinvenimento dentro un muro di un cadavere, essendo quell’area anticamente il cimitero della Confraternita del Rosario.

10 settembre 2023

Antonio Mezzanotte, Giorgio Castriota Skanderbeg.

Giorgio Castriota Skanderbeg, busto nella omonima piazza di Villa Badessa di Rosciano

GIORGIO CASTRIOTA SKANDERBEG
di Antonio Mezzanotte 

Si dice e si racconta che un giorno infuriava una feroce battaglia tra l'esercito cristiano e quello turco (più numeroso) e che i combattimenti si protrassero ben oltre il tramonto. Fu allora che il comandante dei cristiani mise in atto lo stratagemma che lo avrebbe portato a una strepitosa vittoria: fece radunare un grosso gregge di capre, ordinando di legare due torce accese sulle corna degli animali per farli sembrare uomini che si muovevano nella notte e spronò il gregge contro i turchi; quelli, nell’oscurità, pensarono che andasse loro incontro un immenso esercito di agguerriti soldati e scapparono senza combattere!
Testimonianza di quell'episodio la vediamo tutt'oggi nelle raffigurazioni del comandante cristiano, che indossa un copricapo a forma di testa di capra.
Chi era, quindi, questo personaggio? Giorgio Castriota.
Si dice e si racconta che dopo la sconfitta del padre Giovanni, principe albanese, ad opera del sultano Murad II, Giorgio venne condotto ostaggio ad Adrianopoli, presso la corte ottomana, e costretto a convertirsi all’Islam: per tale motivo, assunse il nome di “Iskander” (che in turco vuol dire “Alessandro” - il riferimento era ad Alessandro Magno) e tale era l’abilità, la forza e la lealtà nei confronti del Sultano che questi lo nominò “Beg” (nobile, principe), da cui l'appellativo "Skanderbeg" (che possiamo tradurre in "principe Alessandro").
Riportò numerose e importanti vittorie alla guida degli eserciti ottomani, divenne così popolare che lo stesso Sultano temeva che aspirasse a prendersi il trono, ma Giorgio pensava ad altro; poco alla volta sentiva il richiamo della propria terra e, in fondo, anche la conversione forzata all’Islam non era stata mai accettata del tutto nel suo cuore.
Si dice che alla vigilia della battaglia di Nis, combattuta il 28 novembre 1443, decise infine di abbandonare il campo (determinando così la disfatta dell'esercito ottomano) e di tornare in Albania con 300 esuli, riabbracciando la fede cristiana. Conquistò in poco tempo tutte le città e le fortezze della regione già occupate dagli invasori e si pose a capo del movimento insurrezionale albanese contro i Turchi.
Da quel momento divenne il più temibile nemico degli eserciti ottomani, i quali, benché di gran lunga superiori di numero e di mezzi, si infrangevano sempre contro le schiere albanesi, che erano favorite dalla conoscenza del territorio e abilmente guidate dal Castriota, il quale, nonostante il ritorno alla fede cristiana e ancorché fosse divenuto il più strenuo nemico degli ottomani, continuò a chiamarsi e a firmarsi sempre con l’appellativo Skanderbeg (forse per ricordare ai soldati turchi che stavano combattendo contro il loro antico, amato e invincibile comandante).
Raggiunta una tregua con il Turco, si alleò con Re Ferrante d’Aragona, che aiutò a difendere la Corona di Napoli dalle rivendicazioni angioine: per tale motivo il Re lo ringraziò investendolo di numerosi feudi in terra di Puglia.
Dovette però tornare ben presto in armi a difesa della sua Albania e si spense di malaria il 17 gennaio 1468.
La nipote più giovane di Skanderbeg, Maria, andò sposa ad Alfonso Leognani, dei baroni di Civitaquana. Da essi ebbe origine il ramo Leognani Castriota, dal quale derivò, per il matrimonio del loro discendente Giambattista con Porzia Fieramosca, sorella di Ettore, eroe della Disfida di Barletta, il ramo dei Leognani Fieramosca, le cui vicende sono da rinvenire nelle storie di Civitaquana, Rosciano, Alanno, Cugnoli, Penne dal XVI al XVIII sec., mentre un altro ramo dei Castriota possedeva Città Sant'Angelo.
Quando nel 1743 giunsero le 18 famiglie albanesi che fondarono Villa Badessa di Rosciano (la più recente e settentrionale colonia arbëreshe), questi territori erano in qualche modo già legati al nome dello Skanderbeg e probabilmente le vicende dei Castriota nell'Abruzzo vestino (ancora poco note e da studiare) stanno a confermare che lo stanziamento badessano non fu affatto casuale, ma diretto e mirato all’interno di una trama di relazioni e interessi fra potentati familiari e militari d’origine albanese o a essi affini, da secoli presenti nell’Italia meridionale, il cui peso fu determinante nelle scelte di Carlo di Borbone nel favorire la nascita proprio di Villa Badessa.

(Nella foto: il busto di Giorgio Castriota Skanderbeg collocato nell'omonima piazza di Villa Badessa di Rosciano - PE, con l'epitaffio TANTO NOMINI NULLUM PAR ELOGIUM (ossia: "a così gran nome nessun elogio è adeguato"), al quale, probabilmente, sarebbe opportuno dare una ripulita!

23 luglio 2022

Abruzzo: Quattro strade, tredici perle (il Romanico in Abruzzo), da Before Chartres.




 

ABRUZZO: QUATTRO STRADE, TREDICI PERLE

L’Abruzzo è una delle regioni italiane in cui l’arte romanica è fiorita più rigogliosa, e possiede un fascino tutto suo, peculiare. Chi volesse dedicare una settimana a questa regione, magari prevedendo anche un breve passaggio nel vicino Molise, non avrà problema alcuno a riempire la sua agenda e le sue giornate. Ciascuno organizzerà la sua visita secondo un itinerario suo proprio. Ma idealmente, l’Abruzzo romanico, con le sue chiese più belle, si visita percorrendo alcune direttrici ben chiare, che si intersecano tra di loro: la prima è la via delle grandi chiese isolate, di cui questa regione è ricca; ma si può percorrere l’Abruzzo romanico anche cercando ovunque le meravigliose decorazioni floreali e vegetali, e la terza strada è quella degli amboni e dei cibori; la quarta, direttrice, infine, è quella degli affreschi, che dall’Abruzzo, disteso tutto tra appennini e Adriatico, conduce fino alle coste del mar Tirreno.

San Liberatore alla Maiella

L’Abruzzo romanico è terra di chiese, terra di grandi chiese e di grandi abbazie. San Liberatore alla Maiella, Santa Maria Assunta a Bominaco, la grande abbazia di San Clemente a Casauria, San Clemente al Vomano a Notaresco, ma anche San Giovanni in Venere a Fossacesia, San Tommaso a Caramanico e la concattedrale di San Pelino a Corfinio – che sono le realizzazioni più notevoli – si inseguono e si sfidano con le loro moli possenti. Queste grandi chiese romaniche d’Abruzzo hanno come caratteristica l’elegante linearità: la struttura è massiccia, ma allo stesso tempo semplice, priva di articolazioni evidenti e quasi classica: le navate filano via come grandi sale ordinate, lungo cui si allineano pilastri, molto semplici e uguali, più spesso che colonne, e che culminano nel presbiterio e nell’abside; assenti o ininfluenti i transetti, le coperture sono in legno, a capriate; e così, a movimentare questi interni, sono quasi solo i due elementi di arredo che, come vedremo, costituiscono per la loro presenza costante una peculiarità abruzzese: gli amboni, lungo la navata; e poi, nel presbiterio, il ciborio a baldacchino a coprire l’altare. Ci torneremo.

Il complesso di Bominaco (foto: Icarodroni.it, elab.)

Prima, però, è doveroso un accenno alla via delle rigogliose decorazioni floreali. Rosoni di foglie come corone d’alloro, e grandi fiori: sono questi i protagonisti, qui in Abruzzo, della decorazione scolpita. A Santa Maria in Valle Porclaneta sono ancora quasi simboli grafici, ma poi si fanno veri e propri festoni di foglie e petali a disegnare cerchi continui, e si inerpicano come edera negli stipiti dei portali e negli architravi, salgono e scendono intorno agli ingressi e intorno alle aperture dei muri. Davvero, prima ancora di essere la terra degli omini verdi impigliati nelle foreste di pietra, l’Abruzzo romanico è il regno delle spirali di foglie e delle grandi corolle sbocciate nella pietra.

Santa Maria in Valle Porclaneta (da terremarsicane.it)

Poi tra il Tirreno e il Gran Sasso – lo dicevamo – è tutto uno susseguirsi di amboni e di cibori. E questa terza direttrice, a sua volta, ha due tappe: la prima ci presenta pergami squadrati e decorati a girali e fiori – l’ambone di Casauria, quello di San Pelino, quello di San Liberatore, quello di Bominaco… -; la seconda tappa ci offre invece meravigliosi amboni e meravigliosi cibori realizzati in stucco nel segno di Roberto, Ruggero e Nicodemo: un tratto più popolare, più pittoresco, e insieme più sottile, riempie di tralci sottili e intrecciati, e di omini nudi e di animali, i pulpiti di Santa Maria in Valle Porclaneta, quello di Moscufo, e ancora quello di Cugnoli; compagni di viaggio di questi pulpiti con girali popolati di piccoli uomini e animali sono i cibori di San Clemente al Vomano, di Rosciolo e di Moscufo; e qui, spesso sui capitelli, si incontrano i mascheroni che vomitano fronde, altra figura caratteristica di questa fase della scultura romanica abruzzese. Più rara la scultura descrittiva, che ci lascia poche scene istoriate sul portale a Fossacesia; sull’architrave del portale di Casauria va in scena una grande rappresentazione del potere, e su quello di Caramanico troviamo gli Apostoli piccoli e arrabbiati; indimenticabili sono infine le storie gemelle del profeta Giona, nei pulpiti di Moscufo e di Rosciolo; qui a Santa Maria in Valle, ancora, vediamo le lastre alla base dell’iconostasi, con i loro splendidi animali fantastici. Capitelli? Uno, strepitoso e dalla storia stranissima, si trova a Moscufo; altri, particolarissimi a Rosciolo; ma l’Abruzzo no, non è terra di capitelli istoriati.

Capestrano, gli affreschi

La via degli affreschi, infine. Due cicli vasti estesi e tardi stanno uno a Ronzano, ancora romanico, e uno nella piccola cappella di San Pellegrino a Bominaco, questo però privo ormai di vigore, e troppo lindo per non esser definito ormai gotico. E’ particolarissimo, con la sua “cena” che invece è una visione, l’arco trionfale di San Pietro ad Oratorium a Capestrano… Ma per chi cerca l’arte dei secoli alti, l’arte del tempo before Chartres, il viaggio in Abruzzo non può non sconfinare in Molise: nell’area archeologica di San Vincenzo al Volturno si veda – aperta ora solo la domenica, e solo su prenotazione! – la splendida “cripta di Epifanio”, con i suoi affreschi altomedievali. E come resistere, da qui, alla tentazione di traversare gli Appennini per giungere a Sant’Angelo in Formis e al suo strepitoso ciclo di pitture altomedievali?

Una chiesa particolarissima, infine, sembra non essere toccata da nessuna delle quattro rotte che, come abbiamo visto, traversano l’Abruzzo romanico. Perla tra le perle, infatti, San Pietro in Albe ad Alba Fucens non è una grande chiesa, non fa sfoggio dei tipici decori e rilievi vegetali, che siano a fiori o pieni di omini nudi; ha un ambone – è vero – che però sembra appartenere a Roma più che all’Abruzzo; e non possiede affreschi, né antichi né tardi. E però è splendida, e il suo interno, candido e classico, è tra i più belli che il medioevo ci abbia lasciato.

Le più belle realizzazioni del romanico in Abruzzo

Il ciborio di San Clemente al Vomano a Notaresco.

Il portale di San Clemente a Casauria.

L'ambone della parrocchiale di Cugnoli.

L'ambone di Santa Maria del Lago a Moscufo.

L'arco trionfale di San Pietro ad Oratorium a Capestrano.

La navata di San Giovanni in Venere a Fossacesia

Le absidi di Santa Maria a Ronzano.

Le absidi di Santa Maria Assunta a Bominaco.

San Liberatore alla Maiella.

San Pelino a Corfinio.

San Pietro in Albe ad Alba Fucens.

San Tommaso Becket a Caramanico.

Santa Mari in Valle Porclaneta a Rosciolo.

Da: https://beforechartres.blog/2022/07/12/abruzzo-quattro-strade-tredici-perle/

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4 aprile 2022

Alberto Garzia, grande fisarmonicista e compositore.

 
Alberto Garzia nasce il 23 ottobre 1943 a Cugnoli (PE) in Abruzzo dove comincia a studiare la fisarmonica all’età di 11 anni e mezzo.
E’ il più giovane di una famiglia di 4 figli il cui padre era muratore. I suoi genitori emigrarono in Francia nel settembre del 1958 e crearono un’impresa edile familiare e di lavori pubblici.
Il giovane Alberto incontra il fisarmonicista René Riche che diventerà il suo professore e suo direttore d’orchestra per alcuni anni. All’età di 20 anni decide di mettere su una sua orchestra.
Dall’Italia ha così introdotto, alla maniera di Luigi Ferrari, la fisarmonica a tasti “piano” che era raro all’epoca in Francia.
Alberto Garzia ha realizzato 4 metodi di insegnamento: due volumi per fisarmonica e due per organo e sintetizzatore.
Ha gestito una decina di scuole di fisarmonica e di organo.
Le sue apparizioni in diretta con il compianto Joss Baselli su TF1 sono state riproposte nelle trasmissioni “Le Monde de l’Accordeon” e “Accordéons-Accordéons”.
Attualmente si esibisce regolarmente su France 3 nelle trasmissioni “Souflets c’est jouer” e “Sur un Air d’Accordéon”.
Ha allestito uno studio di registrazione “Sonalga” a Granges Sur Vologne (Vosges).
Ha registrato decine di musicassette e altrettanti CD con la sua orchestra e lavora per moltissimi musicisti.
Alberto Garzia ha l’arte di creare l’emozione poiché le sue interpretazioni provengono dal più profondo di se stesso. Le sue radici abruzzesi gli permettono di esprimere molto bene sia la gioia la più esuberante sia la malinconia più cupa.
Le sue dita con un tocco notevolmente sfumato portano il suo pubblico altrove con la fantasia.
Tutte le sue composizioni sono incise ed ispirate nel suo studio.
Vive a Granges-Sur-Vologne, Lorraine, France.






                                                          Monica





 
                                                    Joie d'accordéoniste






                                             La Charentaise



28 novembre 2021

Antonio Mezzanotte, I Caracciolo di Santobono, chi erano costoro?


I Caracciolo di Santobono, chi erano costoro?
di Antonio Mezzanotte

I Caracciolo di Santobono, chi erano costoro? Una delle più antiche famiglie nobili del Regno di Napoli, che riuscì a creare un vasto stato feudale tra Abruzzo e Molise dal XV sec. in poi: dal centro di San Buono, nella Valle del Treste, ad Agnone, Castel di Sangro, Capracotta, San Vito Chietino, Bucchianico, Roccaraso, Castiglione Messer Marino, Rosciano, Alanno, Cugnoli, Fraine, Roccaspinalveti, Guardiagrele e tanti altri luoghi. Ad un certo momento, la loro ascesa sembrava inarrestabile, la stessa città di Chieti finì soggiogata al dominio dei Santobono. Ferrante (nato a San Buono) fu l'antagonista di Masaniello, suo nipote Carmine Nicola (di Bucchianico) ebbe incarichi internazionali di primo piano divenendo Viceré del Perù ed il figlio di questi, Giovanni Costanzo, cardinale, fu l'artefice della più famosa fontana al mondo, quella di Trevi a Roma. L'archivio dei Santobono, conservato in parte nell'Archivio di Stato di Napoli, è una miniera di informazioni su tanti profili di storia economica, sociale, politica e culturale abruzzese, molisana, napoletana. Ho la sensazione, però, che, contrariamente ai Valignani di Chieti, ai d’Avalos del Vasto ed agli Acquaviva di Atri (tanto per citare altre famiglie nobili che pure hanno inciso profondamente sulle vicende dei propri feudi abruzzesi e non solo), i Caracciolo di Santobono sono ancora poco studiati.
Uno degli infiniti, possibili approcci per auspicabili ricerche potrebbe essere verificare in che modo ed in che misura le abitudini alimentari abruzzesi siano state indirizzate dall’utilizzo di particolari varietà di grano, come la "carosella", ad esempio, che nei domini dei Caracciolo, a San Buono ed a Monteferrante, era largamente prevalente e, da lì, diffusasi in tutta la regione ed anche oltre.
Per tale motivo, a chiusura (per ora) di queste veloci escursioni domenicali sui Caracciolo di Santobono (escursioni divulgative e senza pretesa alcuna), voglio riproporre un post di qualche tempo fa avente ad oggetto proprio il grano detto "carosella".

IL GRANO DEL PRINCIPE

Agostino Giannone era un bravo avvocato amministrativista di fine Settecento e tra i suoi assistiti figurava Gregorio Caracciolo, principe di Santo Bono, duca di Castel di Sangro, marchese di Bucchianico (solo per ricordo, i Caracciolo di San Buono possedevano o avevano posseduto nel tempo mezza provincia di Chieti, l'Alto Sangro, parte del Molise e vari territori del pescarese, tra i quali Rosciano, Alanno e Cugnoli).
Il Giannone ebbe vari incarichi pubblici: fu nominato segretario dell'Accademia siciliana di agricoltura, arti e commercio (una antesignana delle moderne Camere di Commercio) e, grazie al favore del Caracciolo, anche segretario della Real Deputazione delle nuove strade degli Abruzzi (ossia dell'ente - una ANAS ante litteram - al quale i Borboni affidarono la realizzazione di nuovi collegamenti tra la capitale, Napoli, e la nostra regione, in particolare della strada che da Venafro saliva a Sulmona, quella che i francesi chiamarono Napoleonica e che, in buona sostanza, è oggi un tratto della S.S. 17 dell'Appennino abruzzese).
Nel predisporre la relazione sullo stato finanziario delle opere stradali necessarie per collegare Venafro a Sulmona e da lì proseguendo per L'Aquila e Chieti, il Nostro Avvocato annotò con minuziosi particolari le caratteristiche salienti del territorio abruzzese di fine Settecento (1784).
In particolare, l'Avv. Giannone si sofferma sulla coltivazione del grano, indicando dapprima le località a spiccata vocazione granaria (soprattutto del teramano), per poi aggiungere che la varietà di grano detta Carosella, inizialmente coltivata soprattutto a San Buono e Monteferrante (entrambi feudi dei Caracciolo) era diventata la più diffusa nell'intero Abruzzo Citeriore, tanto che essa stava espandendosi in quasi tutte le località dell'Ulteriore ed era molto commercializzata anche fuori dei confini nostrani.
Com'era e com'è la Carosella? Un grano tenero, risalente direttamente all'epoca dei romani, a stoppia lunga fino ad un metro, il cui nome deriverebbe dal siciliano "caruso" per indicare il chicco piccolo ed allungato, leggero, di aspetto dorato e lucido.
La farina di Carosella (a basso contenuto di glutine) era ricercata per le qualità di tenere la pasta a cottura e per il pane.
Con l'avvento della trebbiatura meccanica i grani a paglia lunga furono sostituiti con le varietà a paglia corta, di natura ibrida, tanto ibrida che sovente sono causa di insorgenza di allergie alimentari, prima di tutte quella al glutine.
In varie zone del Meridione (Cilento e Basilicata) si sta riscoprendo questa antica varietà.
Sarebbe cosa buona e giusta ed utile, allora, studiare la storia del territorio anche per riscoprire una sana alimentazione e il grano del principe Caracciolo, un tempo coltivato in tanti paesi della nostra regione, potrebbe essere riscoperto ed accostato alle altre varietà autoctone abruzzesi, come la Solina e la Saragolla, ma io aggiungerei per la qualità anche il Senatore Cappelli, per una scelta alimentare genuina e salutare.