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29 aprile 2025

P. Domenico Maria D'Amico da S.Eufemia O.F.M. – Nel 50° anniversario del transito (1943-1993) – Il Santo costruttore di chiese.

Foto-ritratto di Padre Domenico D’Amico, donata a Luigi Polacchi con dedica, Archivio privato “Luigi Polacchi” Villino Nonnina, Pescara.

P. DOMENICO MARIA D’AMICO DA S. EUFEMIA O.F.M. – NEL 50° ANNIVERSARIO DEL TRANSITO (1943-1993) – IL SANTO COSTRUTTORE DI CHIESE

di Angelo Iocco

Nella Biblioteca del Convento dell’Osservanza della Santissima Annunziata del Poggio a Orsogna, si conserva un dattiloscritto inedito dal titolo Storia del Convento della Ssma Annunziata di Orsogna, a firma di Vincenzo Simeoni. Fratello maggiore del sindaco Tommaso Simeoni (1904-1994) che ricostruì Orsogna, Vincenzo si occupò da subito di studi classici e religiosi, e condivise il Collegio col celebre storico P. Aniceto Chiappini di Lucoli, come riporta in questi appunti, e si adoperò per la pubblicazione di diversi articoli su riviste romane e umbre sui francescani abruzzesi e le figure di spicco di Orsogna. Memorabile il suo intervento sulla festa dei Talami a Orsogna, letto al VII Convegno Internazionale delle Tradizioni popolari tenutosi a Chieti nel 1957 per volere del prof. Ernesto Giammarco e Francesco Verlengia.

In questo capitolo, leggiamo la storia del francescano Padre Domenico Maria D’Amico da Sant’Eufemia a Maiella (1886-1943), dell’Ordine Osservante, che si adoperò con pochissimi mezzi e con tanta Fede, per la ricostruzione di diverse chiese abruzzesi in abbandono, e la fondazione di nuovi Conventi dell’Osservanza nel chietino e nel pescarese. Molte notizie sono tratte dal Simeoni, dal volume di P. Donatangelo Lupinetti: P. DOMENICO MARIA D’AMICO IL FRATE MATTONARO, Pescara 1993.

Ecco il testo del dattiloscritto inedito:

Questa attraente Figura d’Apostolo francescano, nacque il 25 agosto 1864 da Ercole D’Amico e Filomena Tonto a S. Eufemia a Maiella, dove crebbe come un Giglio profumato. Circondato dall’affetto dei genitori, del fratello Giocondino e dalla sorella Maria Giustina, passò la sua innocente fanciullezza e casta gioventù nell’aiutare suo padre sacrestano. A 12 anni ebbe il primo incontro con Gesù, che con il lavorio della sua grazia man mano lo preparò alla sua futura missione. Gli fu di valido aiuto il buon Arciprete d. Gioacchino Cerretani il quale, conoscendone la bontà, la vivida intelligenza e le disposizioni, prese a coltivarne la mente e il cuore, quasi presago del suo avvenire. Domenico si prestava a quel provvidenziale insegnamento anche quando l’Arciprete fu trasferito a Villa Reale[1], facendo chilometri a piedi, e spesso vi rimaneva per apprendere lezioni di Religione, cultura generale e latino. E per non essere in aggravio al suo benefattore, la sera studiava alla fioca luce del Sacramento, davanti al quale poi profondeva dolci colloqui d’amore.

In quella favorevole atmosfera, nacque in lui la vocazione sacerdotale, nonostante i continui richiami del mondo fallace e ingannatore e la propaganda anticlericale che allora si propagava nella nostra Penisola. Il suo sogno andava man mano maturando nel suo animo tra quei monti suggestivi, risonanti del murmure delle acque e degli alberi secolari, anzi fu forse quell’ambiente mistico che gli suggerì di chiudersi in un Convento per meglio servire il Signore nel silenzio del chiostro. Nell’anno 1866 i Conventi erano stati chiusi per legge, e i poveri Religiosi dispersi come fuscelli al vento, non sapendo quindi come realizzare il sogno tanto caro, egli si raccomandò alla sua cara Madonna la quale venne preso in suo aiuto.

Fortunatamente il 13 luglio 1885 si riaprì il Ritiro di Orsogna ed allora il giovane decise di lasciare il suo paese per seguire la voce di Dio. non l’attrasse il vicino Convento di Tocco Casauria, posto come sentinella avanzata del francescanesimo allo sbocco della valle che divide l’imponente Maiella dal Morrone, santificato da S. Pietro Celestino e dai suoi Monaci.  Eppure, un mistico come lui avrebbe dovuto preferire quel baluardo serafico che dalle falde del Morrone domina un vasto orizzonte che si estende dalla sottostante Gola di Popoli sino all’azzurro Adriatico, e oltre il superbo Gran Sasso, ai cui piedi il 27 febbraio 1862 era morto Gabriele dell’Addolorata, il Santo del sorriso “Stella dell’eternità senza fine”.

Fondato nel 1470 dal Comune di Tocco in onore di S. Francesco e di S. Giovanni da Capestrano che si era spento il 23 ottobre 1456 a Ilok dopo la sua splendida vittoria di Belgrado sui Musulmani, vantava un glorioso passato ed era la Sede capitolare dei Francescani d’Abruzzo. Chiuso nel 1811, ma riaperto il 13 marzo 1816, era rimasto a svolgere fortunatamente la sua piena attività anche dopo il 1866, nonostante avesse subìto la dispersione della ricca biblioteca. Certamente l’aveva salvato il potente mistico nome di S. Maria del Paradiso! Potenza della Madre di Dio!


Filippo Palizzi, schizzo del Convento di Orsogna, 1874 – fotoriproduzione dall’archivio del Convento della Santissima Annunziata, Orsogna.

A 21 anni, il giovane Domenico lasciò i suoi cari monti, testimoni della sua ascesi mistica, per dirigersi verso il lontano Ritiro di Orsogna fondato nel 1448 da S. Giovanni da Capestrano. Era stato chiuso improvvisamente dal Delegato di pubblica sicurezza il 14 gennaio 1864, l’anno di nascita di Domenico, ma riaperto il 13 luglio di quel fatidico anno 1885, che segnava l’inizio di una nuova vita per il Missionario. Che meravigliosa coincidenza! In quell’arco di tempo egli aveva maturato il suo bellissimo sogno che doveva rivelarsi radiosa realtà. Superando i meravigliosi Monti della Maiella, giunse a Caramanico per rifocillarsi di un boccone. Quel giorno era venerdì, ed egli senza rispetto umano, chiese al locandiere cibo di magro, tra le beffe di alcuni giovinastri che vomitarono ingiurie contro il Papa e tutto ciò che vi era di veramente bello e sacro.

9 aprile 2025

Padre Marcellino Cervone da Lanciano e la ricostituzione della Provincia Serafica Abruzzese dopo l’Unità d’Italia.

P. Marcellino, foto archivio Convento Santissima Annunziata di Orsogna

Padre Marcellino Cervone da Lanciano e la ricostituzione della Provincia Serafica Abruzzese dopo l’Unità d’Italia

di Angelo Iocco

Il 29 settembre 1839 a Lanciano nasceva Raffaele Cervone. Sin da piccolo manifestò la sua vocazione si farsi frate, e seguiva i seminari e le prediche dei Minori Osservanti del convento di S. Angelo della Pace, poi S. Antonio di Padova, nella sua Lanciano. Dopo un periodo di prova nel Noviziato del Ritiro di Orsogna, nel 1856 ricevette l’abito serafico, e infine fu ordinato sacerdote il 5 ottobre 1862. Nel 1866 una crudele legge dello Stato piemontese, come vedremo, soppresso gli Ordini monastici, e chiuse tutti i Conventi d’Italia. Padre Marcellino da Lanciano come tanti altri monaci, si trovò sperduto. Ma non demorse, e si dette da fare per ricostituire la Provincia Serafica Abruzzese di S. Bernardino, dopo il violento passaggio del movimento liberale. Ma come fece? Ce lo racconta un articolo inedito di Vincenzo Simeoni di Orsogna del 1993 circa, che compone una voluminosa monografia sulla Storia del Convento dell’Annunziata del Poggio, nella di cui biblioteca si conserva.

Strali velenosi si scagliarono anche contro il nostro caro Ritiro, ma il primo strale ufficiale fu lanciato il 29 aprile 1862 con mano empia e felpata da un arco vibrante di odio e di livore sacrilego di un anonimo cittadino di Filetto. Quella freccia avvelenata raggiunse lugubremente il bersaglio con effetto micidiale, anche se in ritardo, e l’eco si ripercosse sinistramente di luogo in luogo fra le risate beffarde della palude pestifera.


Filippo Palizzi, schizzo del Convento di Orsogna, 1874 – fotoriproduzione dall’archivio del Convento della Santissima Annunziata, Orsogna.

12 dicembre 2024

Antonio Rossetti (Vasto, 8 marzo 1770 - Vasto, 7 novembre 1853), Sirinate.

 Antonio Rossetti, Sirinate


Cand’è bille chiss’ucchie, ‘Ngurnata mèjje;
Cand’è belle ‘ssa facce, core di frate!
Vurrija sta ‘na notte accande a ttèje
Come du picciungille a fiate a fiate.
Ji crete ca’ si fijje di cacche rreje
Ca fèmmena nin zi’, ma si ‘na fate;
Tu alu lette, alu sirene jejje,
Tu ti stire e ji more de friniscejje!

Antonio Rossetti (Vasto, 8 marzo 1770 - Vasto, 7 novembre 1853), fratello del celebre Gabriele, fu barbiere e poeta. Di lui si ricordano il ''Dies Illa de' cittadini di Vasto'',  La Pasquetta e, l'unica in dialetto, Sirinate.


Nel quadro di Filippo Palizzi si legge: "Antonio Rossetti frisore da donna ed incolto natural poeta". 

coll. FP. D'Adamo

15 luglio 2024

Filippo Palizzi, "La fanciulla sulla roccia a Sorrento”, 1871. Tra tanta bellezza si cela un misterioso messaggio...

Filippo Palizzi, "La fanciulla sulla roccia a Sorrento”, 1871, olio su tela, cm 55x80, Fondazione Internazionale Balzan, Milano.

 

Filippo Palizzi (Vasto, 16 giugno 1818 – Napoli, 10 settembre 1899)
"La fanciulla sulla roccia a Sorrento”, 1871
Olio su tela, cm 55x80
Fondazione Internazionale Balzan, Milano.

Tra tanta bellezza si cela un misterioso messaggio: "Egli, che mi pose a giacere su questa roccia, mi dice di guardarti da mattina a sera e dirti sempre: sii felice. Felice."




Filippo Palizzi, "La fanciulla sulla roccia a Sorrento”, 
1871, olio su tela, cm 55x80, Fondazione Internazionale Balzan, Milano.



Tra i capolavori di Filippo Palizzi, "La fanciulla sulla roccia a Sorrento” rappresenta sicuramente uno dei quadri più conosciuti di tutta la sua produzione. 
Un dipinto bellissimo che, se pur osservato tantissime volte, cela una frase che solo pochi hanno notato. 
Infatti vi è nascosto al suo interno un messaggio che l’autore ha scritto sul profilo della roccia: "Egli, che mi pose a giacere su questa roccia, mi dice di guardarti da mattina a sera e dirti sempre: sii felice. Felice."


Particolare
















Altra frase si trova in basso a sinistra, dove possiamo notare la dedica prima della sua firma: "a Felice de Lapommeray Fili Palizzi 1871"
Il significato di questo messaggio è ancora tutto da chiarire.



Particolare
















Filippo Palizzi, "La fanciulla sulla roccia a Sorrento”, 
1871, olio su tela, cm 55x80, Fondazione Internazionale Balzan, Milano.



Filippo Palizzi, "La fanciulla sulla roccia a Sorrento”, 
1871, olio su tela, cm 55x80, Fondazione Internazionale Balzan, Milano


7 ottobre 2021

48 Acqueforti di Filippo Palizzi del 1853, tratte da "Usi e costumi di Napoli e contorni..." di Francesco De Bourcard.


48 Acqueforti di Filippo Palizzi (Vasto, 1818 – Napoli, 1899) (by Filippo Marino)
Da: Vasto Gallery

48 Acqueforti di Filippo Palizzi (Vasto, 16 giugno 1818 – Napoli, 11 settembre 1899) del 1853, tratte da "Usi e costumi di Napoli e contorni..." di Francesco De Bourcard, Napoli.

Acqueforti tirate a torchio e colorate a mano raffiguranti scene di vita popolare napoletana.

48 Acqueforti:
I guagliune
Il calesso
Gli zingari
I mangia maccaroni
I Viggianesi
I zampognari
Il 4 di maggio
Il banditore di vino
Il caccia mole in carnevale
Il caffettiere ambulante
Il carrettiere
Il cenciaiuolo
Il ciabattino
Il ciucciaro
Il cocchiere
Il conciategami
Il fruttaiuolo ambulante
Il galantarario
Il giuoco della mora
Il guappo
Il capraio 
Il Maruzzaro
Il mulo di Massa
Il pizzaiuolo
Il portatore di acqua
Il pulizza stivali
Il ritorno da Montevergine
Il vaccaro
Il venditore di capitoni
Il venditore di robe vecchie
Il zampognaro co’ pupi
La capera
La fioraia
La lavandaia
La messa votiva
La ‘mpagliasegge
La nocellara
La nutrice
La serenata
Lazzaroni e facchini
Le bagattelle
Le zingare
Lo scrivano pubblico
Lo spazzaturaio
L’oliandolo
L’ovaiola
Marinai e pescatori
Scena delle feste di Montevergine

Filippo Marino



Nei primi anni Cinquanta dell’Ottocento il successo di Filippo Palizzi era cresciuto al punto da raggiungere l'America e la Russia. Fu allora che Francesco De Bourcard, editore svizzero amante di Napoli, ideò una raccolta di 100 acqueforti tirate a torchio e colorate a mano che raffigurassero scene di vita popolare napoletana, Usi e costumi di Napoli e contorni descritti e dipinti. De Bourcard si interessò della parte letteraria mentre il Palizzi si occupò di quella artistica. Si trattava di 48 tavole sue, una del fratello Nicola e 51 di altri artisti, in tiratura limitatissima, solo 100 copie. Tuttavia Filippo dovette chiedere l'aiuto di altri artisti poiché era impensabile che potesse dipingere a mano ben 4800 tavole. La raccolta diventò subito introvabile e ancora oggi resta impresa ardua riunire tutte le tavole per una mostra.

Raffaella Cordisco, I fratelli Palizzi e il cugino Valerico Laccetti.