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17 agosto 2024

Uomini illustri di Lanciano: Luigi Renzetti (1860-1931) e Giuseppe Maria Bellini (1860 - 1940).

Luigi Renzetti

Uomini illustri di Lanciano: Luigi Renzetti (1860-1931) e  Giuseppe Maria Bellini (1860-1940)

di Angelo Iocco

Luigi Renzetti (1860-1931) 

Lanciano tra la fine dell’800 e il primo ventennio del Novecento, ebbe due importanti personaggi di spicco nel campo della ricerca storica, prima che le loro opere venissero oscurate da ricerche più documentate e esaustive sulla città, dal benemerito Corrado Marciani.

Il Renzetti nacque a Lanciano il 14 ottobre 1860, nel quartiere Lancianovecchia nel palazzo di famiglia, lungo la salita dei Frentani. Morì nella stessa città il 2 dicembre 1931 in povertà, malato da tempo. Una targa ricorda ancora oggi il luogo nativo, una struttura antica, rimaneggiata più volte, che forse poteva fungere da torre di avvistamento. Figlio di un impiegato, Luigi fu avviato agli studi privati presso il patriota risorgimentale Carlo Madonna (1809-1890), che tanto dette per la patria, e visse gi ultimi anni della vita nella miseria, lui figlio di un illustre giureconsulto presso la Sottoprefettura di Lanciano quale fu Antonio Madonna da Lama dei Peligni (ricordato dal De Crecchio nel suo Il triangolo della Giustizia a Lanciano, 2012) dopo l’agognata Unità d’Italia, e ridotto a scrivere versi d’occasione e per committenti appositi per motivi alimentari. Renzetti sicuramente fu influenzato in giovinezza dal sentimento per la Patria del Madonna, e soprattutto dovette assorbire quel sentimento di amore per le belle lettere, per la musica, e di amore per la Patria, per la piccola patria di Lanciano, verso cui nutrì profonda venerazione. Lo approfondiremo, infatti nel 1878, quando viene fondata la casa editrice Carabba in città, Renzetti pubblica giovanissimo una raccolta di memorie su Lanciano, dal titolo Notizie storiche della Città di Lanciano; lavoro encomiabile per un ragazzo di nemmeno vent’anni! Come successivamente verrà notato, Renzetti realizzò sì un lavoro apprezzabile che riportava l’attenzione, in assenza di volumi stampati di Storia patria, le notizie essenziali per la storia lancianese. Si trattava del primo lavoro edito che riunisse in maniera succinta e abbastanza scorrevole le varie notizie sulla città, già compilate da diversi storiografi locali, come Giacomo Fella, Anton Ludovico Antinori, Pietro Pollidori, Uomobono Bocache, Antonio Maranca, Carmine de Giorgio e Domenico Romanelli. Il lavoro tuttavia risulta abbastanza sbrigativo, specialmente nella citazione delle note, alquanto approssimative, nel citare vagamente l’opera di Bocache o dell’Antinori. Su quest’ultimo c’è da dire qualcosa in più. Nel 1790 Romanelli già aveva edito dei manoscritti di Antinori riguardanti i fascicoli mss. della Istoria critica di Lanciano, presso la Biblioteca nazionale di Napoli, dal titolo Antichità storico critiche dei Frentani, e poi lo stesso parlò ampiamente di Lanciano nelle Scoverte Patrie dei Frentani, 1805-1809…ma ahimè che critiche feroci ci saranno a posteriori! A piene mani Renzetti parafrasò interi capitoli dalle memorie di Antinori, facendo il “bel riassunto”, nel trattare le vicende storiche della Città dalle remote origini, con i soliti campanilismi dell’ipotetica fondazione del 1 settembre 1180 a.C. da parte di Anxa compagno di Enea a Troia, dell’eroe frentano Osidio Oplaco, delle magnificenze dei templi romani, del ponte di Diocleziano, dei conciliaboli alla Fiera, ecc. ecc. sino alle vicende delle guerre commerciali con Ortona (qui il sentimento post-risorgimentale del Renzetti prevale al punto da giudicare Lanciano superiore a Ortona), e arrivando finalmente alle vicende del sentimento nazionale dei Lancianesi nelle rivolte francesi del 1799, nell’attacco del generale Pronio, nei movimento carbonari di Madonna, di don Floraspe Renzetti, di Fioravante Giordano, di Pasquale Maria Liberatore e altri, fino ai fatti a lui contemporanei.

 

Pianta di Lanciano, “la farfalla di pietra”, dell’ing. Nicola Maria Talli, prima metà dell’800, presso la Biblioteca comunale di Lanciano.

 

Trattoria La Volpetta lungo via del commercio, poi via Valera; nell’attuale Larghetto Gemma di Castelnuovo, dove Renzetti si recava a pranzo con gli amici.

L’antico stabilimento tipografico Carabba, all’inizio di viale Cappuccini da Largo Santa Chiara, demolito negli anni ’60.


L’opera sulla storia di Lanciano è abbastanza buona, ancora oggi è consultata da chi vuole accingersi a iniziare gli studi sulle cose di Lanciano, anche se come naturalmente è, appare datata, superata da nuove vicende ampiamente documentate ad esempio da Corrado Marciani che andò a fare le ricerche negli appositi archivi, e da altri studiosi come Domenico Priori, anche ampiamente trattò delle vicende lancianesi nei suoi tre volumi della Frentania, o ancora da Florindo Carabba, che in 2 volumi tra il 1995 e il 2000 ha esaustivamente riportato alla luce le Notizie storiche di Lanciano.

Ciò che, con buona pace del Bellini, si contesta al Nostro, è la mancanza di originalità, dettata appunto dalla forse troppo giovanile età, quando pubblicò il suo libro. Bisogna anche parlare qui dei rapporti del Renzetti che ebbe con le fonti, avendo potuto consultare anche i manoscritti del Bocache, che dal 1880 furono acquistati dal Comune e conservati nella biblioteca del Liceo ginnasio, e successivamente nella Comunale, o che per rapporti di parentela, poté accedere a Casa Maranca, e alle carte del giureconsulto Antonio Maranca (1773-1858), nipote diretto dell’arcivescovo Antonio Ludovico Antinori. Tuttavia, Renzetti non riuscì a pubblicare granché, anzi, per dirla tutta, fece delle azioni non proprio ortodosse nei confronti degli antichi manoscritti, aggiungendo note personali ai manoscritti di Bocache (da ricordare ad esempio una nota aggiunta e firmata nel 1886 circa la consuetudine di baciare il ginocchio al Mastrogiurato all’apertura della Fiera), note denunciate, senza però fare nomi in quanto il Renzetti viveva ancora, già illo tempore dal Coppa-Zuccari nell’introduzione al 1° volume dell’Invasione francese negli Abruzzi nel 1798-99, L’Aquila 1928, per non parlare delle sue aggiunte personali al manoscritti inedito del Maranca Biografia degli uomini illustri di Lanciano presso la Biblioteca provinciale di Pescara, come abbiamo potuto vedere, poiché questo manoscritto, come si legge nella pria pagina, fu donato dal Renzetti alla famiglia Brasile nel 1886, e poi per vicende alterne fu acquistato insieme al Fondo Renzetti, dall’amministrazione provinciale pescarese. Diciamo, lassismi, nomi a parte, che potevano essere evitati, ma tant’è la cultura della provincia!

Spendiamo altre parole sul Renzetti. Nella Biblioteca provinciale D’Annunzio di Pescara si conserva un manoscritto dal titolo Ricerche storico cronologiche della nobile famiglia degli Arcucci in Lanciano, compilato nel 1885 circa, con in allegato altri inserti di ricerche, come notizie estratte dal Libro di memorie di Antinori della diocesi di Lanciano sul vescovo Gaspare de Aventinis (XV sec.). Operetta a metà tra la leggenda e la commemorazione patria, poiché se da una parte abbiamo conferma di un ramo degli Arcucci napoletani che ebbero nel 1648 il feudo di Arielli e Villanova (Poggiofiorito), divenendone baroni, dall’altra abbiamo gaie leggende e invenzioni sulla figura inesistente di tal Simone da Lanciano cardinale di San Sisto a Roma nel XV sec., quando Renzetti non fa altro che confondersi con i suoi “colleghi” predecessori di storia patria circa Simon Langham inglese; oppure pretende che il poeta napoletano Giovanbattista Arcucci fosse a tutti i costi lancianese sulla base di presunti documenti oggi irrintracciabili.

Forse l’attività più congeniale al Renzetti fu quella di poeta. Scrisse e improvvisò diverse poesie nei momenti di allegria, come ricorda Federico Mola, dei pranzi alla trattoria La Volpetta di Lanciano, in compagnia di Modesto Della Porta, Vincenzo Gagliardi, Raffaele Mariani e altri buontemponi. Era la fine dell’800, periodo delle origini della canzonetta popolare abruzzese, e proprio in quegli anni da Lanciano uscirono due fresche canzonette: Li bille di Lanciane su testo di Rafaele Mariani e musica di Francesco Bellini (1860-1928), ricantata ancora oggi dal gruppo folk Lu Cantastorie, e Prime ca scì…dope ca no su testo di Cesare de Titta e musica dello stesso Bellini, zio dell’ispettore onorario Giuseppe, di cui tra poco si tratterà.

Giulio Sigismondi


Il Renzetti fece di più, come ricorda il poeta Virgilio Sigismondi, figlio del celebre don Giulio di San Vito, e ancor prima di lui un articolo di Guido Albanese nell’introduzione al libretto VII Maggiolata di Ortona, 1926. Nel 1896 in contrada Santa Liberata, Renzetti organizzò un piccolo coro di contadine che con la loro gaiezza civettuola, cantò alcune canzoni scritte da lui e dal fratello maggiore Camillo Renzetti, nato a San Vito. Purtroppo i testi non si conservano, ma alcuni versi sono stati tratteggiati dall’Albanese nella sua introduzione alle origini della canzone abruzzese. Virgilio ci racconta anche che la simpatia di “don Luiggine” per il teatro e lo spettacolo lo portò a far parte delle prima Filodrammatiche lancianesi, e ad essere il mentore di un giovanissimo Giulio Sigismondi, alle prime armi negli anni ’10 con la poesia e lo spettacolo. Luigi paternamente gli fornì dato consigli del mestiere, nell’inventare le sue prime macchiette popolari, ispirate ai fatti di tutti i giorni, che poi Giulio avrebbe perfezionato insieme al fratello Aristide, come l’Urtulane, e probabilmente anche Lu rifilatore, che nel 1921 mise in musica con Antonio Di Jorio, portando i suoi sketch da one-man show per i teatri di Lanciano e della provincia, con grande successo. Inutile soffermarsi, tornando alle origini della canzone abruzzese, sulla fama della festa del Martedì in Albis del 1888 al Convento di F.P. Michetti, con il coro diretto dal M° Vittorio Pepe che cantò la canzonetta La viulette di Bruni-Tosti. Infatti di lì a poco, Arturo De Cecco di Fara San Martino, insegnante a Pescara, nel 1911 organizzò una Rassegna di canti a Francavilla al mare, di cui resta memoria la canzone Oh, Francaville! di Merciaro-Tancredi, che verrà ripresa alla Maggiolata di Giulianova del 1928 con gli stessi versi, ma il ritornello cambiato in Oh, Giulianove!

La coppia Luigi-Camillo Renzetti partecipò a diverse rassegne degli anni ’20 con le loro canzoni. Ricordiamo per le Maggiolate ortonesi Lassàteme durmì (III Maggiolata 1922), e Se vvu minì nghe mme (VII Maggiolata 1926). Poco nota per la rarità, ma alquanto salace e direi crudele, è la canzone La sirinate di lu suspette, scritta dalla coppia per la Festa delle Canzoni per il Settembre lancianese del 1921, in cui l’innamorato tradito, augura a mo’ di canzone a dispetto, seguendo i canoni della serenata della gelosia, i peggiori mali e disgrazie alla sua ex ragazza. Luciano Flamminio ne conserva una copia con spartito che riproduciamo.



Camillo Renzetti continuerà a scrivere canzoni anche per le Feste dell’Uva di Poggiofiorito (1929-1938), e per la Sagra della canzone fasciata abruzzese nello stesso paese. Sua è Ci sta na casarelle alla IX Sagra dell’Uva (1938), con musica di Antonio Ricchiuti da Palombaro.


Concludiamo la biografia del Renzetti con un inedito di Carlo Madonna, poeta lancianese, il quale, tornando al testo sulla famiglia Arcucci, tradusse per il Renzetti in italiano, dal latino, un carme di Bernardino Rota in lode del poeta Giovanbattista Arcucci:

Vivrà, vivrà, me ‘l credi, Arcucci, il carme,

comunque osti di Lachesi la destra

Inesorata, e più l’avida sempre

Voracità del Tempo.

Spregia de’ Fati l’implacabil ira,

che mal della cieca urna? Ah, da l’estreme

assurgerà del cenere faville

superstite la Fama.

Coro a le Muse, te ridice l’antro

Äonio, e te la sacra onda disseta.

Le falde ime di Pindo aver potuto

Noi costeggiarl ne basti!



Il Renzetti dopo il suo primo successo giovanile, continuò fino alla fine, come dimostrano i suoi manoscritti conservati a Pescara,  a occuparsi di storia lancianese, pubblicando la Storia di Lanciano, seguita nel 1894 dalle Memorie di Casa Nostra, una raccolta di personaggi illustri della città Lancianese e altre situazioni non trattate nel precedente libro, e poi colla pubblicazione del libro del Santuario di Nostra Signora del Ponte ecc., dove ricostruiva tutte le vicende storiche (e ovviamente pure quelle leggendarie) della Basilica della Madonna del Ponte, delle tradizioni popolari e religiose, della Cappella musicale, e delle bellezze architettoniche e artistiche dell’edificio, sino agli ultimi restauri a fine ‘800, il nostro Renzetti si fabbricò la fama di grande custode di memorie patrie della Città. Ebbe specialmente la fortuna di accedere all’archivio Stella-Maranca, avendo tra le mani i manoscritti del già citato Antonio Maranca, come la Biografia degli uomini illustri lancianesi, anch’ess conservato a Pescara, su di cui, in una maniera che oggi farebbe discutere i filologi, apportò correzioni, cancellature e aggiunte di altri personaggi illustri lancianesi.

Eppure c’era qualcosa che lo rendeva infelice, come confidò a vari amici, testimonianze orali e anche manoscritte giunte sino a noi. Egli era un dipendente statale, faceva parte di quel ceto piccolo-borghese che si aspettava di più dalla vita, fu impiegato anche alla Sottoprefettura di Lanciano, andò a Roma, dove collaborò con il giornale “Capitan Fracassa”, dove scrivevano anche altri abruzzesi come D’Annunzio, Scarfoglio, e altri, e ivi pubblicò varie poesia, liriche dal gusto antico toscano alla Cecco Angiolieri o al Burchiello, autori di cui era assai appassionato; la sua passione per la poesia non lo abbandonerà mai, e infatti il professor Federico Mola, a che lui fine penna e “forchetta”, ricorderà gli agoni di poesia tra una spaghettata e l’altra tenuti alla trattoria La Volpetta di Lanciano, che sta in via del commercio, poi via Umberto I. Qui Renzetti si sfidava con un giovanissimo Modesto Della Porta di Guardiagrele, destinato a grandi successi nella lirica abruzzese. L’entusiasmo per la poesia e per l’arte, portò Renzetti a istituire una sorta di Filodrammatica al teatro comunale di Lanciano, e nello stilare un programma per gli spettacoli. Negli anni ’20 con la nascita dei festival della canzone abruzzese, come la Maggiolata di Ortona, nel 1922 si dette da fare per partecipare col fratello musicista Camillo alle gare dei canti. Compose varie canzoni, tra cui una “Sitinate de lu suspette”, presentata a un concorso di canzoni a Lanciano nel settembre 1921; e scrisse canzoni anche per qualche Maggiolata a Ortona….Poi, dopo aver inaugurato la stagione del Teatro Dialettale Abruzzese a Lanciano con due testi di Cesare de Titta, la tragedia! Renzetti divenne cielo, e passò gli ultimi anni della sua vita in semi-indigenza nella casa nata, dove morirà nel 1931. Chiese di essere sepolto con molta riservatezza, ancora oggi nel colombaio del cimitero comunale c’è la sua lapide, spoglia, accanto quella della sorella.


Foto senile di Renzetti, Archivio Giacomo de Crecchio

Renzetti ebbe un’altra iattura, quella di entrare in competizione con Giuseppe Maria Bellini, quasi suo coetaneo, ispettore onorario ai Monumenti d’Abruzzo nell’area di Lanciano. Ad esempio, come avremo modo di scrivere, Bellini denunciò lo stato deplorevole in cui a fine ‘800 versava il celebre monastero benedettino di San Giovanni in Venere, all’abbandono e allo sfacelo totale, e ci scrisse un opuscolo storico. Bellini e Renzetti appartenevano a quell’intelligentia che si affaticava nelle ricerche storiche, che produceva saggi e opuscoli, con le nuove case editrici, per rendere grande la gloria della propria città. Non sempre però il rigore storico era scientifico, e qualche informazione veniva falsificata. Bellini criticò l’opera del Renzetti, e si dette da fare per produrre una raccolta di Memorie Lancianesi da pubblicare in risposta all’opera giovanile, fortunata, e avvantaggiata dal “rimaneggiamento” di vari testi consultati dal Renzetti in biblioteca, che rimase manoscritta, e che dal palazzo di famiglia presso palazzo Berenga, che si trovava lungo corso Roma, demolito dopo la guerra, oggi è in archivio privato.


***

Giuseppe Maria Bellini (1860 - 1940)

Giuseppe M. Bellini, ph  Anxanum.net


Con Renzetti ebbe ad avere rivalità l’ispettore onorario ai Monumenti dell’Abruzzo Giuseppe Maria Bellini (1860-1940), di antica famiglia lancianese, fratello del celebre musicista e maestro di cappella della Cattedrale, Francesco Paolo Bellini. Quasi coetaneo del Renzetti, Bellini a sua volta visitò le carte del Bocache, e anche qui lasciò la sua traccia, un po’ qui e un po’ lì, annotando errori, o aggiungendo altre notizie a lui contemporanee su un preciso fatto accaduto, inserendo firma e data di aggiunta. Dalle carte di Antinori, Maranca e Bocache, anche il Nostro Bellini cercò di compilare una raccolta di notizie lancianese, dal titolo Effemeridi di Storia Lancianese, opera rimasta inedita, confluita nell’archivio privato Giacomo de Crecchio, quando ne entrò in possesso dagli ultimi eredi residenti nel quartiere Borgo. Qualcosa tuttavia il Bellini pubblicò, vari articoli sui giornali locali, come ad esempio I 3 Abruzzi, avviato nel 1889 presso la tip. Masciangelo, con notizie estratte principalmente dagli studi e saggi di Vincenzo Bindi, Vincenzo Balzano e Ignazio Carlo Gavini, che confluiranno poi in un volume del 1889. Ecco alcuni monumenti abruzzesi studiati dal Bellini: chiesa di Santa Maria Maggiore (solite note delle origini dal tempio di Apollo), cita il portale di Perrini (che lui dice Petrini), ricorda la Croce di Nicola da Guardiagrele del 1422 (che però sbaglia nel dire Nicola di Andrea Gallucci, seguendo gli studi di Filippo Ferrari). Nei numeri successivi parla della basilica di San Bernardino di L'Aquila, poi Santa Maria di Collemaggio, il Duomo, riaperto al culto nel 1887 da Mons. Valentini, le varie chiese aquilane, il Castello spagnolo, l'abbazia di San Clemente a Casauria, la Cattedrale di Atri, i monasteri di Santo Spirito a Majella e San Liberatore alla Majella, la Cattedrale di Teramo e le chiese più pregevoli, l'abbazia di Santa Maria del Lago, la Cattedrale di Chieti.

Altri saggi del Bellini:

Lo stemma della Città di Lanciano estr. da: Arte e storia, 15 marzo 1892

Nicola da Guardiagrele e la grande croce processionale nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Lanciano, tip. Masciangelo, Lanciano 1891

Il Marchese d’Ormea e il conclave del 1730, Teramo : tip. del Corriere abruzzese, 1892

L’Arte in Abruzzo: brevi notizie di vari monumenti abruzzesi dichiarati nazionali, Lanciano : tip. F. Tommasini, 1889

La musica sacra in Lanciano: appunti storici, tip. Masciangelo, 1904

In Abruzzo: storia, critica, e arte, Firenze : Tipografia Minori Corrigendi, 1897

Pubblicò dei discorsi commemorativi per la morte di Francesco Masciangelo e il centenario della nascita Giuseppe Palizzi, poi un discorso nel 1893 per il centocinquantesimo della morte dell’abate e storico Pietro Pollidori da Fossacesia, letto nel liceo ginnasio di Chieti

Il Castellano ed una lettera inedita dello storico D. Uomobuono Bucacchi sul rinvenimento di un'antica iscrizione, dalla rivista Arte e Storia, A. XII, n. 8

Il Bellini riprende queste brevi notizie già edite per un capitoletto dell’opuscolo Notizie sulla contrada di Santa Giusta vergine e martire in Lanciano – Brevi note sulla vita della santa e sacra novena, a cura di Vincenzo Villante, Lanciano, tip. Masciangelo 1932, citato anche in AA.VV., Fede, storia e tradizione. Santa Giusta e la sua contrada, Lanciano 2006)

 

L’articolo del Bellini sulla rivista fiorentina mostra solamente la “pura erudizione” nel citare la sua fonte, il Bocache, che attraverso il suo collega canonico Silvestro Finamore, corrispondente per suo tramite con la Reale Accademia di Belle Lettere di Napoli e il Real Museo archeologico, cercava di far conoscere al Regno le anticaglie romane di Anxanum. E qui si parla sempre della famosa iscrizione dei Decurioni rinvenuta nel ‘500, e di altri frammenti e tegole, come quello del 1791 con l’iscrizione osca indecifrata, che Bocache fece spedire a Napoli, oggi persa. Poco o nulla di interessante, o almeno di quanto non fosse stato già scritto dal Romanelli nelle sue Scoverte Patrie, vol. 1, 1805.

Elogio funebre del prof. cav. Gennaro Finamore : letto nei funerali il 10 Luglio 1923 / da Giuseppe M. Bellini

Lanciano : Stab. tip. fratelli Mancini, 1924

Il Pontificato di Mons. Antonio Ludovico Antinori in Lanciano / Giuseppe Maria Bellini

Fa parte di: Anton Ludovico Antinori e il 2. centenario della sua nascita

Notizie storiche del celebre monastero benedettino di San Giovanni in Venere e tre dissertazioni inedite di Pietro Pollidoro / Giuseppe Maria Bellini ; introduzione di Emiliano Giancristofaro, presentazione di Giovanni Di Rito

Lanciano : Rivista abruzzese, 2008

 

Anton Ludovico Antinori e il 2. centenario della sua nascita / pubblicazione della Società di storia patria negli Abruzzi

Aquila : Tip. di A. Perfilia, 1904

 

Le Notizie storiche del celebre monastero di San Giovanni in Venere sono una continuazione “ideale” dello studio di qualche anno prima edito da Vincenzo Zecca di Chieti, nel tentativo di suscitare l’attenzione del Ministero dell’Interno sulle condizioni pietose di abbandono in cui versava la celebre abbazia fossacesiana. Naturalmente la fonte principale, oltre allo Zecca, è quella del Bindi, che attinse ampiamente agli studi di Romanelli e Pollidori, pubblicandone anche 3 dissertazioni inedite. Bellini si interessò della figura dell’abate fossacesiano e nel 1887 in occasione del bicentenario della nascita, partecipò a un convegno commemorativo sulla sua vita, e dettò la lapide affissa alla chiesa del Rosario di Fossacesia. Purtroppo c’è da dire che allora, come oggi, la figura di questi due dotti uomini fossacesiani, Pollidori e Romanelli, sono ancora studiati e soprattutto le loro stramberie credute come oro colato, senza che si vada dettagliatamente a verificare la fonte di provenienza delle loro congetture. E dunque ancora oggi la storia locale è ancora “viziata” da falsi e invenzioni sfornate da questi due dotti uomini di cultura, in cui purtroppo caddero anche il Renzetti e il Bellini.

12 giugno 2023

Compositori abruzzesi: Antonio Ricchiuti, il musicista di Palombaro.

Caricatura di Ricchiuti, dal Giornale d’Italia, 24 settembre 1936, 
articolo inerente la Sagra dell’Uva di Poggiofiorito.

Compositori abruzzesi: Antonio Ricchiuti, il musicista di Palombaro
di Angelo Iocco

Antonio Ricchiuti nacque in Palombaro nel 1888 da Giuseppe e Maria Natale, un piccolo paese della ridente provincia di Chieti, e vi morì. Alle soglie del secolo scorso aperse gli occhi alla immensa mole della Majella. Palombaro è terra rinomata di bandisti, tra cui ricordiamo Giandonato Giosaffatto (1882-1968); il Ricchiuti visse nel sobborgo di San Carlo, nel colle che digrada in frana verso Pennapiedimonte; nella piccola casa visse sino alla morte, e così il fratello Pietro e il figlio Ermete, che ne custodì la memoria e le carte. Compositore versatile, del tutto sconosciuto, se non nell’ambito locale, scrisse non solo canzoni abruzzesi per le famose Maggiolate di Ortona, ma anche pièces teatrali, suite da camera, canzoni in lingua, e anche un Miserere per Palombaro. Ricordiamo una “Scena del villaggio” operetta musicale agreste in 3 atti, le romanze “Se non torni – Fuggiamo – Quando miro la natura”, i poemetti sinfonici “Dalle falde della Majella – Forte e gentil Abruzzo – Alba primaverile – Abruzzo”, gli inni patriottici “Sempre avanti, Savoia! - Inno della Vittoria – Vieni in Africa – XXI Aprile – La nuova Italia”, dal chiaro sapore propagandistico per le imprese del Fascismo, delle belle pastorali abruzzesi, la Ninna nanna di Natale, dei tango e delle canzonette napoletane. Notiamo da un catalogo scritto dal figlio Ermete, un repertorio di ben 351 titoli, non tutti facilmente reperibili, ma su cui promettiamo di continuare a interessarci per custodire la memoria dell’insigne musicista palombarese. Maggior fortuna hanno avuto la diffusione delle canzoni abruzzesi. Come detto, il Ricchiuti partecipò alle Maggiolate di Ortona, vediamo le canzoni “Gne na farfalle” su testo di Nino Saraceni di Fossacesia, graziosa descrizione allegoria dell’amore a farfallina, che si posa sul fiore, e trova il compagno ideale, poi “L’Amore cante”, un bel duetto di festosità tra le spume del mare e le verde campagne delle colline, un’altra canzone d’amore: “Lu ramajette”, che fiorito, fa germogliare l’amore tra gli appassionati.


Non solo Saraceni scrisse canzoni con lui, nelle Maggiolate, ma notiamo anche nel 1927 la canzone “La mostre” con Luigi Dommarco, poi “Rusine”, scritta con Antonio Ambrosini di Chieti nel 1924, e una canzone, tratta dal Canzoniere abruzzese di Cesare de Titta, uscita dopo la morte di costui, nel 1939: “Nen te vojje ‘ngannà”.


Il Ricchiuti partecipò anche a un altro importante festiva canoro, che si teneva nella vicina Poggiofiorito, la Sagra delle Canzoni dell’Uva; scrisse canzoni nell’edizione del 1938: “Paranzelle” con il Tenente Tommaso Di Martino, dedicata alle graziose barchette che vanno a pesca in mare, e poi con Nino Saraceni “La fonte di la Fate”. Questa canzonetta è considerata come una delle meglio riuscite dalla felice coppia Saraceni-Ricchiuti, narra in tre strofe, più i ritornelli, di una ragazza-fata che va a prendere l’acqua con la conca a una sorgente della Majella, e che lì incontra l’amore. Una immagina clichè che abbiamo imparato a conoscere della tipica ragazza abruzzese in abito variopinto che si aggira per i monti. Eppure la canzone ebbe un grandissimo successo, e fu riproposta dal Coro di Poggiofiorito col M° Tommaso Coccione, a Roma per la festa solenne per la venuta del Fuhrer; e nei giornali dell’epoca, tra cui un articolo del dott. Eduardo Di Loreto di Castelfrentano sul “Messaggero”, la canzone fu salutata come una delle più belle mai scritte in abruzzese.


Il Ricchiuti dopo questo felicissimo periodo con i cori folkloristici, tornò a Palombaro, a insegnare musica, come fece per tutta la vita. Partecipò anche alla 4° edizione del Festival della Canzone Abruzzese e Molisana di Vasto, con una canzone scritta dall’amico Nino Saraceni. Non si sa, al momento, molto altro della sua vita, visse fino a tarda età negli anni ’60, quando la morte lo colse nella sua casa che guarda verso la Montagna Madre.

4 agosto 2022

Loris Di Giovanni, Elso Simone Serpentini, “La Libera Muratoria in Abruzzo dal XVIII al XX secolo”, (Artemia Nova Editrice).


Dal Principe di San Severo a Gabriele Rossetti, ai legami con Ettore Ferrari, alla loggia Aeternum…Un saggio racconta la Massoneria in Abruzzo dal XVIII secolo.

Loris Di Giovanni ed Elso Simone Serpentini hanno da poco dato alle stampe il volume “La Libera Muratoria in Abruzzo dal XVIII al XX secolo” (Artemia Nova Editrice. Il quarto pubblicato dal Centro Studi sulla Storia della Massoneria in Abruzzo (Ce.S.S.M.A.), uscito per i tipi della casa editrice teramana diretta da Maria Teresa Orsini. Per quanto la letteratura sulla Massoneria sia abbondante, non si può certo dire che avesse finora trovato una collocazione in ambito scientifico, men che meno in Abruzzo, prima dell’opera dei due insigni studiosi e storici, che ricostruiscono la presenza in Abruzzo di uomini e associazioni che in qualche modo si richiamano ai valori libero-muratori, calandosi anche nel contesto socio-culturale e della vita politica di ogni periodo storico analizzato. Un vero e proprio manuale di storia di ben 542 pagine, nelle quali si succedono, oltre alle ricerche storiche, le immagini di illustri massoni abruzzesi, diplomi e brevetti, in un percorso che dalla seconda metà del XVIII secolo arriva fino agli anni Sessanta del secolo scorso.

Punto di partenza dello studio sono le logge napoletane e la figura del Principe di San Severo, per passare alle officine castrensi francesi insediate a Lanciano, i loro rapporti con l’Intendente d’Abruzzo Pierre Joseph Briot e i legami con la Carboneria. Il Grande Oriente murattiano e le sue prime logge nella regione precedono un rapido excursus delle singole logge a Teramo, Pescara, Chieti e L’Aquila. Ricostruita nel dettaglio è l’appartenenza alla Massoneria del gentiluomo di Atri Carlo Acquaviva d’Aragona, che nella seconda metà del Settecento aderì ad una loggia napoletana, ed i contatti di suo zio cardinale Troiano Acquaviva con Giacomo Casanova, che ospitò giovanissimo a Roma, nel suo palazzo a Piazza di Spagna. Pochi anni dopo Casanova verrà iniziato a 25 anni in una loggia di Lione.

Viene anche analizzato il carteggio massonico del marchese Gesualdo de Felici di Pianella, maestro venerabile della loggia teatina Vettio Catone, quello dello zio Camillo de Felici de’ baroni di Rosciano e i suoi rapporti con Giuseppe Garibaldi, strettissimi dopo aver salvato la vita a suo figlio Menotti; quindi la storia massonica della famiglia Delfico di Teramo, con la prova dell’affiliazione di Gian Filippo alla loggia Vittoria di Napoli, come delle frequentazioni del fratello Melchiorre con il danese Friedrich Münter e con i salotti latomici della capitale del Regno. Non è un caso che sulla copertina del volume campeggi il diploma di maestro massone di Filippo de Filippis Delfico, rilasciatogli da una loggia di Marsiglia, città nella quale si trovava in esilio.

Studiata poi nel dettaglio è la straordinaria figura di Costanzo Di Costanzo, figlio cadetto del Duca di Paganica, che si trasferì giovanissimo dal popoloso paese dell’aquilano in Germania per evitare d’entrare nella vita religiosa, come invece avevano dovuto fare i suoi numerosi fratelli e sorelle, eccetto il primogenito Giovanni destinato a succedere nel ducato al padre Ignazio. A Monaco di Baviera il giovane Costanzo indossò la divisa militare. Entrò nella massoneria, avviatovi dal cognato anch’egli militare, poi passò tra gli Illuminati di Baviera con il nome iniziatico di “Diomede”.

La figura di Gabriele Rossetti e suoi rapporti con la Carboneria e la Massoneria a Napoli sono studiati anche in relazione alla statua che la locale loggia – che ricordava il suo nome nel suo titolo distintivo – gli fece erigere a Vasto.

Stesso studio per la statua di Ovidio, su indicazione della loggia Panfilo Serafini. Il monumento al poeta Ovidio, , fu realizzato a Sulmona dal fratello Ettore Ferrari (Roma 1845-1929), che dal 1904 al 1917 ricoprì la carica di Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, e che fu importante scultore noto per la statua di Giordano Bruno in Campo de’ Fiori a Roma, inaugurata il 9 giugno 1889 con una grandiosa manifestazione pubblica e un tripudio di labari massonici, compresi quelli abruzzesi, oltre che per le statue di Garibaldi, Mazzini, Quintino Sella ed altre ancora.

La realizzazione della statua a Sulmona seguiva quella di Costanza, in Romania, l’antica Tomi dove Ovidio scontò l’intero suo esilio fino alla morte nel 17 d.C., realizzata per interessamento di Remus Opreanu. In quella giovane nazione Ferrari aveva scolpito nel 1881 anche la statua di Heliade Radulescu, padre della letteratura romena.
Furono proprio gli esponenti della Massoneria di Sulmona a convincere Ferrari a realizzare l’opera dedicata a Ovidio, accettando il solo rimborso delle spese. Pur se nominato cittadino onorario della cittadina abruzzese il 17 febbraio 1925, Ferrari il giorno dell’inaugurazione del monumento non volle esser presente, in quanto acceso repubblicano e antimonarchico. Invero, pochi giorni prima della cerimonia, si era recato nella città peligna per aggiungere alla mano destra della statua di Ovidio lo stiletto, realizzato in un secondo tempo.

Un’altra novità del volume consiste sicuramente nell’aver rintracciato il nome di Angelo Camillo De Meis da Bucchianico nel piedilista della loggia Felsinea di Bologna, nel 1867 accanto a quello di Giosuè Carducci. Lo scisma ferano del 1908 in Abruzzo, e le sue conseguenze, viene trattato con notizie finora inedite. L’inizio del ‘900 vedrà il susseguirsi di tante associazioni nate in terra abruzzese con il contributo della Massoneria: le società operaie e di mutuo soccorso, l’Associazione del Libero Pensiero “Giordano Bruno” a Teramo, i comitati massonici pro Cuba e Candia.

La nascita dei fasci di combattimento e del partito massonico della Stella Nera dividerà in due campi avversi i fratelli del Goi da quelli fedeli alla Gran Loggia d’Italia, nata il 21 marzo del 1910 da un percorso di scisma all’interno del Grande Oriente portato avanti da un gruppo di logge di rito scozzese capeggiato dal pastre evangelico Saverio Fera.

D’interesse anche le notizie dell’Archivio Centrale di Stato che riguardano la soppressione dell’Ordine in Abruzzo, durante il fascismo, e i documenti rinvenuti sui rapporti delle Prefetture, indicanti nel dettaglio i sequestri e le devastazioni nelle officine abruzzesi e molisane. I documenti riguardanti i massoni sono stati individuati seguendo la pista della sigla K3, con la quale il regime fascista indicava gli affiliati alle logge di qualsivoglia obbedienza.
Nel secondo dopoguerra l’attenzione si sofferma su un personaggio di Chieti, Romeo Giuffrida, già braccio destro di Raoul Palermi e direttore d’una rivista massonica importante che si stampava a Pescara, “Voce Fraterna”. Dalla Comunione Massonica spuria del Giuffrida nascerà la Loggia Aternum, poi regolarizzata dal Goi e loggia madre d’Abruzzo.
Gli anni della ricostruzione del Grande Oriente in Abruzzo e l’opera dei suoi pionieri Valentino Filiberto, Alfredo Diomede e Josè Guillem Guerra chiudono la trattazione. Di notevole valore storico è la ricostruzione di numerosi piedilista delle varie logge abruzzesi nelle quattro province, utilissimi, al pari dell’indice dei nomi e d’una ricca appendice documentale.
Ma la vera novità del volume è la scoperta dell’importanza avuta dai “fratelli” di fede protestante nella storia della Massoneria abruzzese. Nel 1907, seicentesimo anniversario della morte di Fra Dolcino, viene fondata una loggia, unica in Italia con questo titolo distintivo. Dove? A Lanciano. A scorrere il suo piedilista saltano all’occhio due fratelli di fede protestante: Camillo Pace e Federico Mecarozzi. All’evangelico Gabriele Rossetti è dedicata una loggia, dove, guarda caso, dopo essersi spostato dalla loggia di Lanciano e dal triangolo che stava principiando a Paglieta, il primo mastro venerabile è proprio il pastore evangelico Camillo Pace.
Nel 1927 un altro pastore protestante, Aurelio Cappello (in corrispondenza con Francesco Fausto Nitti), è costretto dal regime fascista a chiudere il circolo giovanile “Gabriele Rossetti” a Palombaro. Ma il contributo dato dai fratelli protestanti non si ferma alla statua dedicata al patriota vastese. A rialzare le colonne delle logge del Grande Oriente d’Italia in Abruzzo, dopo la Seconda Guerra Mondiale, sarà un altro pastore protestante, Agostino Piccirillo, promotore della regolarizzazione di una loggia sorta dallo scisma ferano e aderente ad una struttura teatina di Giuffrida, che diverrà dopo pochi anni la “loggia madre” del nascente Collegio Circoscrizionale dei Maestri Venerabili abruzzesi. 
(fonte Corriere Nazionale)