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13 febbraio 2024

Canzoni abruzzesi, Coro Pierino Liberati di Castel Frentano.



Canzoni abruzzesi, Direttore M° Francesco Paolo Santacroce
le canzoni:
Arvì (Misantoni-Vetuschi), 
Ci stave na vote (Testa-Polsi)
Fusare nnammurate (Sigismondi)
Marrocche e frusce (De Carolis-Polsi)
Lucenacappelle (Sgisimondi-Gargarella)
Mare nostre (Illuminati-Di Jorio)
La partenza de li pecurele (Sigismondi-De Cecco)
L'avemmarije (D Loreto-Olivieri)
Tuppe e tuppe (Di Loreto-Liberati)
Stanotte è na notte d'incante (Miccoli-Liberati)
Nostalgia opera di F.P. Santacroce

26 gennaio 2024

Ludovico Teodoro, figlio del celebre Donato Teodoro di Chieti, le sue opere nel Duomo di San Leucio e altri Artisti abruzzesi di interesse nelle Chiese di Atessa.

Ludovico Teodoro, San Leucio nelle vesti di vescovo, con ai piedi il Dragone, Duomo di Atessa

Ludovico Teodoro, figlio del celebre Donato Teodoro di Chieti, le sue opere nel Duomo di San Leucio e altri Artisti abruzzesi di interesse nelle Chiese di Atessa

Prima Puntata

di Angelo Iocco

Poco si conosce di questo artista, figlio del celebre Donato Teodoro di Chieti[1], uno dei migliori che fu attivo nell’Abruzzo chietino e nel Molise, ma anche nell’area di San Benedetto del Tronto e del teramano (dipinse il soffitto della Collegiata di Campli), dagli anni ’30 agli anni ’50 del ‘700. Per vent’anni dominò la scena con altri colleghi spesso napoletani, come Ludovico De Majo, Francesco Solimena, Giovan Battista Spinelli. Fu sepolto a Chieti nella chiesa di San Domenico, andata demolita nel 1914 per costruire il palazzo della Provincia di Chieti. La lezione del Teodoro pare essere stata recepita anche in Atessa, benché non siano attestate sue opere nelle chiese. Un esempio è l’affresco della volta della sala grande del palazzo De Marco-Giannico, ex casa di riposo, in Largo Castello, la cui scena illustra al primo piano Ercole che combatte l’Idra di Lerna, e al centro il Giudizio di Paride con Giunone, Minerva e Venere con l’Amorino, e attorno nelle nuvole dell’Olimpo, figure femminili e Grazie. La scena, ripresa anche dalle stampe che circolavano in quei tempi, ricorda per la divisione in due scomparti,. Le due tele del Teodoro di Chieti (chiesa di Santa Maria della  Civitella) e Guardiagrele (chiesa di Santa Chiara) con il tema della Cacciata del Demonio e degli Angeli ribelli dal Paradiso.

Dal volume A. e D. Jovacchini, Per una storia di Atessa, Cassa di Risparmio, Atessa, 1993

Ludovico figlio di Donato, attivo nella seconda metà del Settecento, fu ugualmente pittore, e non dimenticò l’insegnamento paterno, apprezzava le grandi scene corali, spesso rintracciabili nei dipinti di Luca Giordano a Napoli, dove andò a formarsi, come fece suo padre; e non mancava sicuramente di avere una personale collezione di stampe, da cui traeva ispirazione per i suoi affreschi di ampio respiro. Al momento, pienamente attribuibile a Ludovico, sono la tela di San Leucio vescovo col dragone, presente nell’altare maggiore del Duomo di Atessa, firmato e datato 1779. Benché non firmate, mi sento di attribuirli anche le due tele laterali del coro dei Canonici, che ritraggono la Natività con la Sacra Famiglia, e l’Adorazione dei Pastori. Opere  un di gusto teodoriano per la ben costruita scenografia, anche se con le immancabili grossolane superfetazioni del Bravo, e i fondi oscuri tipici dell’ultimo Donato, di chiara derivazione tardo caravaggesca[2].

Anonimo, Annunciazione, chiesa della Santissima Annunziata, Civitaluparella, 1790.

il ciclo di pitture sulla volta centrale della stessa chiesa collegiata di Atessa, con scene bibliche del Vecchio Testamento. Purtroppo a causa di danneggiamenti, le pitture sono state rifatte in più punti di scadenti restauratori, rovinando completamente l’opera ad esempio nella prima scena:“Battaglia e Giuditta con la testa di Oloferne”, dove si vedono i pesanti ritocchi del Bravo. I tondi laterali la controfacciata con i Santi Principi Pietro e Paolo, pure sono di Ludovico Teodoro.

Il secondo riquadro: “David accoglie Saul vincitore contro Golia” è molto simile al quadro dipinto dal padre Donato che mostra la scena di “Davide con la testa di Golia davanti a Saul”, oggi conservata nel palazzo Martinetti-Bianchi di Chieti, oppure allo stesso soggetto per la volta della chiesa madre di Colledimezzo. La composizione del soggetto ha la stessa matrice, ma il risultato di Ludovico è più scadente. In parte è dovuto ai restauri di Ennio Bravo, che ha cambiato alcuni volti, in parte alla stanca ripetizione dei modelli, come il barbuto Saul sul trono che è impaurito dalla scena macabra, e il giovane David, che con la sua smorfia di sofferenza esprime quel mansuetismo, quasi senso di colpa per i propri trionfi, che accomuna diverse opere di Donato che abbiano questa peculiarità del Trionfo del Bene sul Male, quasi uno strizzare l’occhio al Davide con la testa di Golia del Caravaggio. Ma appunto, ciò non riguarda tutte le opere del Donato, basta riferirsi ai volti trionfanti di Giuditta con la testa di Oloferne nella chiesa di Sant’Agata di Chieti, o ad altri soggetti simili, come lo stesso tema nella cupoletta del santuario dell’Assunta di Castelfrentano, et similia.

Donato Teodoro, Incontro tra Salomone e la Regina di Saba, Museo d’arte “C. Barbella”, Chieti, foto M. Vaccaro per gentile concessione

La scena “Saul placato dall’arpa di David e l’Arca dell’Alleanza” si divide in tre momenti, sulla sinistra il coro di cantatrici con strumenti musicali, al centro Saul che suona l’arpa, a destra i sacerdoti e l’Arca.

Navata del Duomo di Atessa


Osserviamo le fotografie delle pitture della volta del Duomo.

1° dipinto: L. Teodoro, Giuditta e Oloferne, particolare

2° dipinto, Saul e David con la testa di Golia, particolare di David

3° dipinto: David suona l’arpa con l’Arca dell’Alleanza, veduta d’insieme e particolare


4° dipinto: Salomone e la Regina di Saba.

L’ultima scena “La Regina di Saba” ha moltissime somiglianze con il dipinto di Giacinto Diano che realizzerà nel 1788 ca. nella Basilica cattedrale di Lanciano, la matrice della stampa da cui i due pittori hanno attinto è la stessa. Anche qui notiamo l’esasperazione dei volti, l’abbruttimento dei tratto somatici dei sacerdoti e delle cariche ebraiche, nonché i lunghi nasi, gli occhi strabuzzati, i pizzetti appuntiti, i turbanti delle figure di religione islamica contro cui si scontrano gli ebrei. Le pennellate sono molto chiare, seppur Ludovico non riesca a eguagliare la grandezza paterna. Osservando queste pitture, ci viene in mente il primo Donato Teodoro, non ancora trentenne, che fu attivo nel cantiere del santuario dell’Assunta di Castel Frentano, con la controfacciata della “Cacciata dei mercanti dal Tempio”; le pennellate simili, i colori leggermente sbiaditi, l’affresco orale di personaggi che si intrecciano in un turbinio di azioni, di giravolte, di scene concitate che inducono al movimento, a riguardare più volte la scena per adocchiarne i particolari.

Ludovico nel Duomo dipinse anche i tondi laterali con le figure degli Apostoli, e delle tele applicate ai pilastri della navata maggiore del Duomo, con le scene della Via Crucis.

 

Altre opere d’arte a San Leucio

Nel Duomo. Il pulpito in legno è della bottega Mascio di Atessa.

NAVATA DI SINISTRA, altare di San Michele che sconfigge Lucifero, è brutta copia di Francesco De Benedictis[3] del quadro di Guido Reni (sia De Benedictis che il suo predecessore Giuliano Crognale di Castelfrentano ne sfornarono di queste orride copie del quadro di Guido Reni per le chiese del chietino!), che però forse avrà copiato dal suo maestro Nicola Ranieri, per il san Michele presente nell’altare maggiore della chiesa di sant’Antonio di Lanciano, o da una stampa del quadro di Reni che circolava molto facilmente tra i disegnatori dei suoi tempi.

2° altare: Santa Lucia martire, quadro moderno di Ennio Bravo[4]

A seguire. Statua di san Pietro seduto, del XVI secolo, in pietra, dall’atteggiamento meditativo.

3° altare di San Giuseppe in cammino col Bambino, dell’800, autore locale, della scuola di Giacomo Falcucci

4° altare di San Bartolomeo martirizzato, opera dello stesso autore del precedente San Giuseppe col Bambino

CAPOALTARE NAVATA SINISTRA A CAPPELLA:  nicchie con statue del Sacro Cuore, San Donato e Madonna Immacolata, bottega locale. Il soffitto è stato rifatto da Bravo con i soliti cassettoni e fioroni.

Nella nicchia di controfacciata della seconda navata di sinistra, c’è il busto di San Leucio in argento di scuola napoletana datato 1857, e la costola del drago.

Ritratto del Prevosto Giandomenico Maccafani, presso la Sagrestia

NAVATA DESTRA: a muro in controfacciata, tela dell’Ultima Cena, autore ignoto, ma forse Giacomo Falcucci o di un suo seguace.

Altari laterali:

1° altare di Sant’Anna con Maria Bambina, tela di F. De Benedictis, di poco interesse.

2° altare con Martirio di San Sebastiano, con ex voto, forse di Giacomo Falcucci[5], è classificato come di anonimo dell’800.

3° altare di San Martino in gloria, con i putti che reggono le spighe. Ignoto, forse questo è un altro dipinto ignoto di Ludovico Teodoro; la postura è identica alla tela di san Leucio nell’altare maggiore. Il Santo con il braccio destro benedice, con l’altro regge il Vangelo e il pastorale. Accanto due angeli che reggono fasci di spighe. Quasi sempre Martino vescovo ha in mano un grappolo d’uva e un fascio di spighe di grano, per ricordare il suo protettorato sulle messi. A san Martino si rivolgevano preghiere per un raccolto prospero di grano, uva ed altro. Questa iconografia è presente in diverse opere pittoriche e scultoree che ritraggono il Santo. I due angeli hanno i volti tipici delle figure di Donato Teodoro, che riutilizzò questi modelli per diverse altre sue pitture, specialmente quello dell’angelo di destra che è di profilo, riutilizzato nei servitori delle pitture di Castelfrentano, Lanciano, Chieti. Interessante è anche la veduta in prospettiva di Atessa, dietro il santo, dal lato di Vallaspra, sulla destra vediamo il Duomo, con parte della facciata antica, privata nel 1935 delle volute laterali baroccheggianti, un restauro che forse ha restituito un aspetto troppo “razionalista” all’antica facciata gotica, a giudicare il periodo storico in cui venne recuperata. Sulla sinistra vediamo le mura di Porta Sant’Antonio, con il chiostro dell’antico convento dei Cappuccini e poi delle Clarisse di San Giacinto, demolito negli anni ’60, di cui resta una porzione con degli archi, e la torre massiccia della chiesa di Santa Croce.

 

Ludovico Teodoro (?), San Martino in gloria, con paesaggio, Duomo di Atessa

13 novembre 2023

Filippo Santoleri, architetto orsognese dell’Ottocento.

Cimitero comunale di Orsogna

Filippo Santoleri, architetto orsognese dell’Ottocento

di Angelo Iocco

Pochissimi lo conoscono o hanno sentito parlare di lui. Come ho accennato in un altro articolo sull’ingegnere Giacomo Torrese di Canosa, vissuto qualche trentennio prima di lui, il Santoleri operò alla fine dell’800, nell’area di Orsogna e dintorni. Ingegnere fu, lo studioso Armando de Grandis ci ha riferito che restaurò la chiesetta di San Rocco fuori il paese di Crecchio, che si trovava esattamente nel piazzale di ingresso al castello De Riseis, andata purtroppo distrutta nella seconda guerra mondiale. La cappella in una foto storica si mostra rettangolare con abside semicircolare; gli interni furono restaurati alla maniera neoclassica, con i capitelli ionici, le paraste, e i tipici stilemi di questa corrente che in Abruzzo giunse abbastanza tardi, esattamente dopo l’Unità d’Italia, salvo sporadici episodi di committenze colte, mi viene in mente il monumento a Michele Bassi d’Alanno, signore di Carpineto Sinello, nella seconda cappella di sinistra della chiesa di San Giovanni dei Cappuccini in Chieti, dove appaiono evidenti segni della massoneria, l’occhio di Dio, l’angelo con la fiaccola capovolta il sarcofago alla greca, e tanti altri elementi. Tonando a Santoleri, non possiamo ammirare la chiesa di Crecchio che restaurò, ma possiamo ammirare i cimiteri comunali che egli progettò per i paesi di Orsogna[1], forse Arielli, non molto distante dal piccolo paese di provenienza, e infine quello di Castelfrentano, Come ricorda lo storico Matteo Del Nobile nel suo libro La Madonna della Selva a Castel Frentano (2021), all’epoca nonostante le precise disposizioni di Napoleone sulle sepolture, a Castelfrentano e dintorni si continuava comodamente a seppellire i defunti in fosse comuni, oppure i più abbienti, nelle varie chiese e cappelle, ei diversi ossari, rischiando di generare epidemie di colera.

Foto storica di Villa Cavacini, archivio Marco Cavacini


Nell’ultimo decennio dell’800 il sindaco Fileno Cavacini a Castelfrentano dispose la costruzione di un cimitero pubblico dietro il santuario dell’Assunta, e così fu, il progetto fu affidato all’architetto Santoleri, che realizzò uno dei cimiteri molto comuni nell’area del chietino, impianto rettangolare, con un grande viale di accesso, l’ingresso monumentale a tempietto greco con arco, oppure colonne di ordine dorico, e architrave a timpano triangolare. Pochi elementi di aggetto e di ornamento, la spartanità dell’architettura greca del sentimento neoclassico trionfa. Poco altro si sa su questo Santoleri, nella speranza che chi ne sappia più di noi, possa condurre un ricerca più approfondita. Stando a quello che ci riferisce Marco Cavacini (che ringraziamo in questa sede con grande affetto per averci concesso le fotografia dei progetti originali, nel suo archivio, della Villa Cavacini della contrada Selva), proprietario della storica villa Cavacini lungo il viale del santuario a Castelfrentano, pare che il Santoleri progettò anche questa seconda residenza dei Cavacini. Questa famiglia possedeva un palazzo con cappella privata nel centro storico in Largo Chiesa, quella porzione orientale che tuttavia a causa dell’erosione del fiume Feltrino, nel luglio 1881 franò a valle, ingoiano diverse case e palazzi, compreso il monumentale palazzo Cavacini con la cappella privata.

5 novembre 2023

Ricordo di Michele Scioli, grande ricercatore della storia di Castel Frentano.

RICORDO DI MICHELE SCIOLI, GRANDE RICERCATORE DELLA STORIA DI CASTEL FRENTANO

di Angelo Iocco

Nel 2024 ricorrerà il decennale della scomparsa del dott. Michele Scioli. E' nato il 16 marzo 1935 a Castel Frentano (CH) dove risiedette per tutta la vita. Dopo aver conseguito la maturità classica a Lanciano, si è laureato in Lettere con indirizzo storico-archeologico. Come ha avuto modo di ricordare il suo “erede spirituale” Matteo De Nobile, che ne porta avanti la memoria attraverso le ricerche di storia a Castel Frentano, lo Scioli sin da fanciullo iniziò a coltivare la sua passione per le ricerche, frequentando la biblioteca comunale di Lanciano, tentando di rintracciare qualche nota sulla storia di Castel Frentano, che ai suoi tempi era pressocché inesistente presso le riviste, o le monografie. E appuntò delle note tratte dai manoscritti di Bocache e Pollidori su dei quaderni, che in seguito riutilizzerà, e saranno riutilizzati anche da Del Nobile per il suo manuale Da Guasto Superiore a Castel Frentano: un’esposizione storica, 2011.


Dopo la triste parentesi della Seconda guerra mondiale, in cui fu sfollato, lo Scioli giovanissimo ebbe un altro grave trauma, a 14 anni perse la cara madre. Scrisse una poesia, che qualche anno più tardi verrà messa in musica dal compositore locale Pierino Liberati (1894-1963), grande animatore delle Maggiolate ortonesi e delle rassegne canore castelline col dott. Di Loreto. La canzone è Mamme, tramandata a memoria da Maria Vittoria Di Nardo, figlia di Pierino, e fatta ritrascrivere dal compianto M° Panfilo de Laurentiis di Roccascalegna, ancora oggi eseguita con successo. Scioli col Liberati scriverà un’altra canzone, La giostra gire e gire, che però non avrà il successo della prima. Qui scopriamo come lo Scioli, oltre a essere principalmente noto per le sue ricerche di storia e di documenti antichi, da giovane fu assai appassionato della poesia dialettale, ma anche per la musica e per il teatro. Infatti nel 1968 partecipò a fondare il Premio di Poesia Dialettale “Eduardo Di Loreto”, che ancora oggi si svolge in Castel Frentano, fu lui nel 1978, per il decennale, a curare una pubblicazione con le poesie vincitrice delle annate, dal titolo Na penzate pe’ Di Lurete, salvando, ironia della sorte, dalla dispersione diverse poesie e materiale d’archivio di questa Rassegna dialettale così longeva, i cui documenti più antichi rimontano alle nuove edizioni riavviate dal 1992.

Scioli fu assistente alla regia, e attore anche nelle commedie presentate dalla Compagnia Teatrale Abruzzese 80, nata nel 1979, che ha riproposto i grandi successi della tradizione castellina: La feste di Sante Rocche e Lune e spose, tutte na cose. Amante della storia, collaborò alla ricostruzione del Monumento ai caduti del Colle della Vittoria, finanziato dal Sen. Raffaele Caporali. Frequentando gli archivio diocesani e comunale di Lanciano, sin dalla fine degli anni ’70 ha avviato il suo grande progetto di raccolta e regestazione dei documenti e protocolli notarili inerenti vendite, cause civili e criminali, affitti, rivele, proprietà e quant’altro riguardasse la comunità di Castel Frentano, o Castel Nuovo, come si chiamò sino al 1864. Il primitivo abbozzo ci fu con la pubblicazione di Castel Frentano: appunti di storia (1981), seguito di Sulle tracce di Castel Nuovo; presso il Bullettino di Storia Patrai in Abruzzo, pubblicò anche un resoconto della storia paesana: Castel Nuovo, una rifondazione del tardo Medioevo, ricerche sempre puntualmente corredate dai documenti, sfatando de facto quell’antico mito di Pietro Polidori che nel suo manoscritto sosteneva che il paese fosse di fondazione longobarda, a opera del Conte Petrino per conto del Conte Trasmondo di Chieti, notizia completamente inventata che indusse in errore diversi scrittori, compresi i valenti Emiliano Giancristofaro e Vittorina De Cecco nel lor volume Frentania sconosciuta. I volumetti, oggi rari, conservati nelle principali biblioteca della regione, compresa la comunale e la diocesana di Lanciano, hanno un ricco corredo fotografico, e riportano anche le note degli scavi archeologici degli anni ’80 della Soprintendenza di Chieti, effettuati in contrada Trastulli, nonché note di arte, Scioli fu uno dei primi a commentare l’opera artistica del locale Giuliano Crognale, le cui opere si trovano in tutte le chiese maggiori del paese, che era stato già ricordato, ma più per i sentimenti politici, da Raffaele Persiani in Alcuni ricordi politici per la massima parte Abruzzesi al cadere del 18mo e 19mo secolo, spoglio dalla Rivista abruzzese di Teramo, 1900. Lo Scioli, come farà nella trascrizione e pubblicazione dell’Autobiografia di Giuliano Crognale con alcuni inediti, Lanciano 2010, commentando le opere con corredo fotografico, non tralascerà nulla del suo paese che non sia da ricordare, vagliare, criticare con acume.

5 ottobre 2023

Antonio Maranca e la Istoria Diplomatica di Lanciano. Parte seconda, la Cronaca della Visita di Ferdinando II a Lanciano nel 1832.

Ferdinando II d’Aragona


Antonio Maranca e la Istoria Diplomatica di Lanciano. Parte seconda, la Cronaca della Visita di Ferdinando II a Lanciano nel 1832.
di Angelo Iocco

Qui segue la trattazione, col transunto dei diplomi, lettere, privilegi dei re di Napoli concessi a Lanciano, fatta dal Maranca. Il Maranca, come detto, riassunse quanto già ricercato dall’Antinori nel suo manoscritto Istoria critica di Lanciano, parte 1, ampiamente usata dal Romanelli per il capitolo nominato “Lanciano”, il più grande blocco dei 3 che compongono le Antichità storico critiche dei Frentani, 1790, come abbiamo potuto constatare (ma se ne accorse illo tempore già Michele Scioli, facendolo notare in una sua introduzione al Libro di memorie dell’Antinori, 1995); materiale dunque saccheggiato da Romanelli, e Maranca, per una sua memoria personale su Lanciano, da comporre? Incompiuta? Non lo sapremo, fatto sta che anche il Maranca, stuzzicato dalle carte manoscritte dello zio Antinori, nonché dal Bocache, fece man bassa, trascrivendo una parte dei documenti che riguardano la corrispondenza tra Lanciano e la Corona di Napoli. Omettendo altre situazioni, specialmente dalla metà del 1500 sino a tutto il 1600, quelle situazioni tristi in cui Lanciano stava scivolando, perdendo proprietà e privilegi, specialmente nella controversia dell’assedio del 1528 del conte di Lautrec, per cui fu accusata di fellonia e di doppio gioco da Carlo V d’Asburgo.

Il Maranca dunque riporta solo i diplomi in cui Lanciano viene arricchita e investita di questo e di quell’altro privilegio. Notiamo, leggendo queste carte, il rito solito di umiliazione della delegazione dei sindaci al nuovo re, per avere conferma delle precedenti carte, notiamo la conferma dei vari feudi del circondario lancianese, che Lanciano alla fine vendette, esempio di Castelnuovo, senza l’autorizzazione regia, come prescritto nei privilegi, notiamo le conferme, specialmente quelle di Ferdinando o Ferrandino II del 1495 di tutti i privilegi passati, notiamo un ennesimo tentativo di Ortona di istituire la sua Fiera con l’usurpazione di Carlo VIII, privilegio immediatamente cancellato da Ferdinando I e poi da Federico III ribadito nel suo annullamento; notiamo il tentativo di Chieti di istituire una sua Fiera presso la Pescara, puntualmente bloccato dalla regia corte…fino ad un arresto improvviso dei privilegi, soltanto qualcuno del 1608 di Filippo IV e la menzione di una lettera del re Carlo VI del 1729. Eppure altri documenti ce ne sono! Specialmente documenti e dispacci per quanto riguarda la gestione delle Fiere, tanto che molti di questi sono raccolti nel volume Fiere e consigli (gli unici che si sono degnati di studiarli, per sommi capi, finora sono stati Corrado Marciani e Luigi Russo nel suo libro postumo sulle Fiere lancianesi), presso l’Archivio storico comunale; insieme ad altre carte di un volume senza titolo, che ha utilizzato carte di scarto, con diversi conteggi di bestie vendute e invendute, risalente al XVII secolo, che si conserva nella sezione Manoscritti della biblioteca comunale lancianese. Ma tempo al tempo, avremo modo di integrare ulteriori notizie con questi documenti inediti.

Lettera di re Ferdinando dell’ottobre 1464 scritta da Chieti ai sindaci di Lanciano, acciocché il tesoriere regio facesse il suo conto per lo sposalizio di Eleonora d’Aragona sua figlia. Segue la trascrizione della lettera, in cui Re Ferdinando, ai sindaci di Lanciano, condona le collette per lo sposalizio della figlia Eleonora, in quanto la città si è sempre dimostrata fedele e retta verso la Corona. Dato nella Città di Chieti, 11 ottobre 1464; lettera citata anche da Fella.

Al num. 173, c’è una lettera spedita da Caramanico il 20 ottobre, il re Ferdinando rinnova le grazie a Lanciano, ricordando di come fu bene trattato quando fu ospitato in città, e manifesta il desiderio di ritornarvi; fa inoltre intendere delle cattive condizioni di salute della regina Giovanna d’Aragona, per cui si vede costretto a rientrare a Napoli, e a rimandare la visita in Lanciano. Segue il testo della lettera. Dato in Caramanico, 20 ottobre 1464.

Segue il privilegio del re Ferdinando del 1465, in cui nomina cavaliere Denno Riccio di Lanciano, donandogli dei beni per i meriti. Segue una lettera del re al Preside d’Abruzzo del 10 giugno 1470, in cui gli comunica di reprimere le ribellioni dei paesani di Castel Nuovo (Castelfrentano)[1].

Il 17 novembre 1467 il re fece differire il pagamento della gabella del vino sino ad aprile, perché gli introiti della Città maturavano a maggio con la Fiera, nel documento questa Fiera viene detta antica “di mille anni” e tra le più antiche del regno, ricordando ed accordando la franchigia per i mercanti partecipanti, anche dall’estero; dalle mercanzie provenienti alle Fiere, il re ordinò che il regio fisco riscuotesse il 3 e mezzo percento, il re ricordò la proroga della franchigia di 3 anni nei confronti di Paglieta, nel circondario lancianese, e relativa diminuzione della tassa.

Al num. 175 del 18 dicembre 1468, il re ordinò ai sindaci di Lanciano che vi alloggiasse la squadra di Nicola di Turali, e che le altre truppe di passaggio andassero altrove, onde impedire danni pecuniari alla Città.

Al num. 176: lettera del re Ferdinando al Preside d’Abruzzo, del 10 giugno 1470, già citata, di reprimere i disordini dei Castellini a Lanciano. Ne segue un’altra, in cui concede poteri al Preside per il modo e il come reprimere la rivolta. Lettera data in Castel Nuovo di Napoli, 10 agosto 1470.

Num 178: Il Re Ferdinando accorda a Lanciano, il 1 maggio 1471 il permesso, con il pagamento di 200 ducati, di acquistare i castelli di Turri e Moggi (oggi zona Rizzacorno), incamerati nel Regio Demanio dopo esser stati espropriati al Conte Orsini.

Num 179: il 4 agosto 1472, Lanciano ottenne favori col possesso di Ari.

Num. 180: il diploma del 1 maggio 1476, con regio assenso, si ottiene la vendita di metà del castello di Moggio da Giacomo di Cicco a beneficio della città.

Num. 181: nel 1480 re Ferdinando e la moglie Isabella accordano che alle Fiere della città non vi potessero essere, nel momento dello svolgimento, rappresaglie  e arresti per debiti.

Num. 182: il 18 aprile del 1480 il re, dagli accampamenti presso Taranto, dà ordine a Carletto Caracciolo suo ciambellano, di comunicare a Lanciano il possesso dei castelli di S. Venera e Castel Nuovo, di Aregio (Arielli), Ocrecchio, di Vasto inferiore e superiore, e S. Amato, e di esercitarvi i propri diritti, giusta la convenzione di re Ladislao del 20 marzo 1406.

Num. 183: il 20 giugno 1480 il re ordinò che si ottenesse la franchigia alla Fiera per i mercanti, affinché potessero ottimamente esercitare i commerci, per le mercanzie provenienti dal porto di San Vito, e di pagare la tassa del 3 e mezzo percento per lo scalo portuale; che gli ufficiali regi rispettassero i Capitoli e i Privilegi accordati a Lanciano, affinché non ci fossero disturbi durante lo svolgimento, e che il Capitano regio non si intromettesse negli affari municipali, e che solo i deputati avessero il diritto di tenere il sigillo pubblico, come da protocollo.

Num. 184: nel diploma regio, Denno Ricci ebbe l’indulto generale nel parlamento del 7 novembre 1481, e fu reintegrato nella Città con i beni e gli onori, re Ferdinando commissionò l’osservanza del privilegio ad Alfonso II suo figlio, vicario del Regno.

Num. 185: una lettera reale del 3 dicembre 1487, in cui Lanciano può usare 200 ducati per la riparazione delle mura, con l’intervento del Tesoriere regio e del Capitano. La concessione durerà 5 anni, nel fondaco regio verrà stimata la quantità tale da prelevare 200 ducati ad anno, con la condizione detta di riparare le mura. Dato in Foggia, 3 dicembre 1487.

Num. 186: privilegio da Castel Nuovo, il 22 maggio 1488, dove il re ordina la cacciata da Lanciano degli ebrei, schiavoni, ed epiroti per i disordini e gli scandali; Maranca desume queste brevi note sempre dalla ms. Istoria critica di Lanciano, vol. 1 , di Antinori, un tempo presso la sua biblioteca a Lanciano, e poi confluita nei manoscritti della Biblioteca nazionale “Vittorio Emanuele III” di Napoli. Segue la trascrizione in latino della lettera di re Ferdinando, in cui per questi scandali, multa di 1000 denari chi avrebbe cercato di far rientrare costoro nella città. Dato a Paglieta 5 luglio 1489.

Carlo V

Num. 187: 14sime calende di dicembre 1489, il re con una lettera da Sulmona, rinnova il bando verso gli epiroti, di non rientrare a Lanciano, la circolare è indirizzata al Duca d’Amalfi preside d’Abruzzo, con una lettera che lo raggiunge a Francavilla, data il 5 luglio 1490. Maranca aggiunge un commento. Che fino al 1471 la polizia del Governo era affidata alla prudenza dei decurioni e magistrati di Lanciano, la stessa condotta era osservata dal Preside della Provincia d’Abruzzo per conto del Re, fino a che l’equilibrio non si ruppe per gli scandali degli ebrei, come riportato anche nell’Opera di Fella al cap. 19.

Num 188: privilegio di Ferdinando del 1488 in cui approva gli Statuti lancianesi per un Collegio di Artieri, di aghi e di fusari.

Num. 189: lettera del nuovo re Alfonso II ai “magnifici e diletti uomini lancianesi fedeli alla Corona”, in cui invita i lancianesi a non dolersi per i passaggi delle truppe regie, promettendo di ampliare i privilegi già in possesso della Città, per conto del patrizio Denno Ricci, ma al momento “che non semo per mancare un pelo da quando lo Signoro Re comanda, e questo fatto sia subito, perché detti homini di armi stanno qua’ e tuttavia si querelano”. Dato in Ortona, 28 marzo 1489.

Num. 190: lettera di Alfonso duca di Calabria dell’11 luglio 1489 a suo figlio Ferdinando II principe di Capua, che staziona in Paglieta, affinché scacciasse gli schiavoni e gli epiroti per disordini..

Num. 191: privilegio di Ferdinando da Foggia, il 3 dicembre 1489, che concede 2000 ducati per riedificare le mura, i torrioni, le antemurali, i rinforzi della parte meridionale (ovvero la zona sud del Torrione aragonese). Commenta Maranca che in quel momento Lanciano diventò una Piazza, e inizierà a subire diversi assedi, celeberrimo quello che avverrà per mano del Conte di Lautrech.

Num. 192: Alessandro VI Papa per evitare dissidi tra chietini e lancianesi, smembrò il territorio diocesano, e dichiara la Chiesa Lancianese direttamente sottoposta alla Santa Sede, e non più alla Diocesi Teatina; il breve apostolico è del  9 ottobre 1492.

Num. 193: altro protocollo di re Ferdinando  del 18 febbraio 1494 in cui concede a Denno, Giovanni Riccio 200 ducati sulla bagliva di Laniano, confermando a loro il possesso di Fossaceca, Pietraferrazzana e S. Apollinare.

Num. 194: il nuovo re Alfonso II riceve la delegazione dei sindaci lancianesi per l’omaggio di rito, il 15 marzo 1494, e conferma tutti i passati privilegi in protocollo, sottoscritti anche dal suo figlio Ferdinando II duca di Calabria.

Napoli, piazza Mercato

22 settembre 2023

Camillo Di Benedetto, poeta maliconico di Castel Frentano.

Camillo Di Benedetto, poeta maliconico di Castel Frentano

di Angelo Iocco

Ormai da un po’ è caduto nel dimenticatoio, eppure fu un grande poeta, nativo di Castel Frentano, nacque il 19 luglio 1918, e morì a Lanciano il 20 settembre 1992. Crebbe sotto la fama dei due grandi cantori di Castannove, il dott. Eduardo Di Loreto, di cui imparò le poesie, e di Pierino Liberati, fine musicista. Per ragioni di lavoro, Di Benedetto dovette trasferirsi più volte, fino a trovare un posto alla Società Elettrica Frentana presso l’ENEL come tecnico, a Lanciano, dove si trasferì, all’ultimo piano di un palazzo a via salita Madrigale vicino piazza Garibaldi, comunicando con l’appartamento del prof. Federico Mola di Orsogna, altra grande mente lancianese. Di carattere riservato, umile, ma con una precisa visione della vita e dell’esistenza, compose bellissime poesie, che raccolse in volumetti, nonché compose canzoni, che furono musicate da Mario Lanci, Lino Crognale, Vincenzo Polidoro. Famosa e ancora eseguita la canzone “Come lu grane” con musica di Lanci. Partecipò a Montesilvano al Festival Canti della Montagna.

Festival Canti della Montagna, 1990

Coro “T. Coccione” Poggiofiorito

Funtanelle di muntagne di Di Benedetto e Vincenzo Polidoro

4° edizione

Incante d’Abruzze di Di Benedetto e Polidoro

5° edizione

Majella me’ di Di Benedetto e Polidoro

Due principali raccolte poetiche: La mentucce e l’ardiche, Itinerari, Lanciano 1979, e La pruteste, Itinerari, Lanciano, 1964.

La prima raccolta fu l’ultima da lui pubblicata, dove raccoglie il meglio della produzione della sua vita, articolata in vari gruppi. Molto evocative sono delle liriche: “Lu frene de lu monne”, il Poeta affronta il problema reale del tempo che fugge nella vita, il cui freno, l’unica gioia, è solo un evento lieto, in questo caso la nascita del nipotino. Bellissime le liriche “Suonne e nustalggie” (quest’ultima musicata da Mario Lanci), e “Destine ‘ngrate”, dove inizia a trasparire la poetica del Di Benedetto, la sua visione del mondo, il suo concetto della vita, affrontato sulla base delle esperienze sociali nel piccolo paese di Castelfrentano; nella prima Di Benedetto si abbandona alla nostalgia, un sogno di ombre e fantasmi, dei suoi cari ora non ci sono più, e rievoca con commozione il Natale, momento in cui ci si riuniva accanto al focolare per aspettare l’ora della Messa, unico momento di assoluta felicità, innocenza, e concordia della famiglia. Nella seconda Di Benedetto maledice il tempo, che non porta giovamenti, ma solo sventure, fa invecchiare, fa perdere la forza, e gli amici di un tempo, tema che riprenderà anche nella poesia metaforica “Ere nu galle”, un gallo piumato, vigoroso e fiero, e ora da vecchio, ridicolo, che non riesce manco a cantare per dimostrare la sua forza, tutto spennato.

3 giugno 2023

Domenico Vallarola da Penne, un pittore poco noto del Settecento.


 

Domenico Vallarola da Penne, un pittore poco noto del Settecento
di Angelo Iocco

Poco si sa di lui, e fu ignorato dagli scrittori abruzzesi sull’Arte, come ad esempio il De Nino e il Bindi. Tuttavia il Vallarola si firmò per le sue opere più importanti, se si eccettua un trascurabile dipinto del Cristo crocifisso di gusto solimenesco. Vale a dire il ciclo di pitture a secco della chiesa di San Francesco di Bucchianico, e la cupola della chiesa di Santa Chiara di Penne. Nella prima chiesa dal 1769 al 1774 circa, il Vallarola dipinse le volte nelle cornici realizzate dalla bottega di Rizza e Piazzoli; una scena dell’allegoria della Speranza con ragazze e puttini alati, un’altra scena dell’allegoria della Fede e quella della Carità, con i vari simboli delle Virtù Cardinali; a seguire la grande cupola a scodella, e un’ultima rappresentazione per la volta dell’altare maggiore, il Trionfo di Davide con la testa di Oloferne davanti a re saul, ispirata chiaramente al dipinto di Donato Teodoro di Chieti, che oggi si trova conservato nel Museo d’arte Barbella a Chieti, eseguito e firmato nel 1730. Quello di Teodoro è un dipinto più corale e più bello rispetto alla imitazione abbastanza fedele, ma di maniera, del Vallarola, dove come sempre si mostra re Saul seduto sul trono, con fare stupito, insieme alla sua corte, mentre osserva Davide con la grade testa infilzata sulla picca. L’attenzione del Vallarola si concentra tutta sul punto focale del capo mozzato, di proporzioni leggermente maggiori alla norma, per sottolineare la sua possenza; cosa non eseguita da Teodoro nella sua opera, dove cerca di mantenere abbastanza equilibrate le regole della prospettiva e delle grandezze dei volumi. Vallarola invece concentra tutto sul trofeo, simbolo del trionfo della Virtù ebraica, e sembra voler rimpicciolire tutti i personaggi attorno, riducendoli a macchiette.



Le opere della cupola, presso i pennacchi, illustrano i 4 Evangelisti, la scodella illustra l’Apoteosi di Mosè sorretto da Aronne e Cur, tra schiere di angeli e cherubini verso il Paradiso. Anche in questo contesto nulla di nuovo, pitture napoletaneggianti, già eseguite largamente in Abruzzo da Giambattista Gamba a Sulmona e Pescocostanzo, e dal Teodoro a Castel Frentano e Colledimezzo, tuttavia le proporzioni restano accettabili, e il tutto si concentra sulla figura patriarcale di Mosè che sopra una nuvola, ascende al Paradiso.

17 maggio 2023

La vita di Pierino Liberati, la sua carriera, le sue opere edite e inedite (1894-1963).

 La vita di Pierino Liberati, la sua carriera, le sue opere edite e inedite (1894-1963)

 di Angelo Iocco

Dedichiamo questo articolo alla cara memoria di Maria Vittoria Di Nardo (1933-2023) e Aroldo “Nino” Di Nardo (1937-2023), figli di Pierino, cui dobbiamo la realizzazione del libro Stu Paesette me’, di A. Iocco, 2022, e di questo articolo, nonché futuri scritti sulla memoria e l’attività del Maestro di Castel Frentano. In ogni paese d’Abruzzo nel Novecento è nata una stella, a Castel Frentano per la precisione due, che splendono ancora oggi, sebbene nel panorama culturale abruzzese siano ancora leggermente annebbiate e non abbastanza conosciute. Si tratta di Eduardo Di Loreto (1897-1958) e Pierino Liberati (1894-1963). Nelle coppie poeti-musicisti di spicco in Abruzzo quali Luigi Dommarco-Guido Albanese, Espedito Ferrara-Aniello Polsi, la triplice alleanza di Antonio Di Jorio-Evandro Marcolongo-Cesare De Titta-Luigi Illuminati, e Giulio Sigismondi-Arturo Colizzi, Giuseppe Gargarella-Arturo De Cecco, va aggiungendosi anche quella Di Loreto-Liberati di Castel Frentano!

Qualcuno con troppa superficialità, visto che mancano ancora studi approfonditi su questa coppia e su altri loro sodalizi sporadici durante la loro carriera, ha sbrigativamente giudicato Pierino Liberati come strimpellatore paesano, relegando ugualmente Di Loreto a ruolo di medico con la passione per versetti. Nulla di più falso.

 Segue

26 gennaio 2023

16 ottobre 2022

Le pitture dei Bravo di Atessa.

Ettore Bravo, Incredulità di San Tommaso, chiesa madre di Perano
 
Le pitture dei Bravo di Atessa

di Angelo Iocco

Dopo il periodo glorioso dei Falcucci, scultori di statue per le chiese e congreghe attivi tra ‘800 e primo decennio del ‘900, Atessa ebbe un’altra bottega, certamente minore, e forse anche in vari aspetti scadente, ma che ebbe successo presso le parrocchie dei piccoli paesi del chietino. 
Il capostipite fu Pasquale Bravo, attivo tra fine ‘800 e primi anni del ‘900, restauratore di statue, e costruttore di nuovi simulacri per devozione popolare, e per commissione. Come artigiano è riconoscibile per il suo gusto kitch, per usare un eufemismo; nell’area tra le contrade di Atessa, Paglieta, Casalanguida, vediamo statuette di San Vincenzo Ferrere e Sant’Antonio abate realizzate per devozione popolare, datate tra il 1910 e il 1911. C’è veramente poco da dire sulla realizzazione plastica, sul volto rotondo come una palla da ping pong, sugli occhietti appena accennati, oscuri e anonimi come le oscure sfere dei buchi oculari di un pescecane! Il problema di Pasquale Bravo senior, come è stato rilevato, fu che venne chiamato a ristrutturare delle statue antiche, oltre a costruirne di nuove, e alcune le rovinò irrimediabilmente, come nel caso delle statue della chiesetta dei Santi Vincenzo e Silvestro in contrada Montemarcone di Atessa. Restaurò anche delle belle statue dei Falcucci, grattandone via il colore, oppure massacrando con del beverone di stucco la statua della Beata Vergine Maria della Selva nel santuario dell’Assunta di Castel Frentano, risalente al XIV sec. Statua fortunatamente restaurata di recente. 
Ennio Bravo, cugino di Gennaro, figlio di Pasquale, continuò l’attività, dedicandosi soprattutto alla pittura per le chiese, a realizzare quadri o pitture murali, o anche nell’ultima fase, negli anni ’80, statue intagliate da Gennaro. 
Pasquale Bravo, se è considerato bocciato nella scultura, nell’ultima fase della vita, quando dipinse negli anni ’30 e ’40, raggiunse un livello almeno mediocre. I suoi soggetti erano ispirati al gusto neoclassico, ma un neoclassicismo esageratamente illuminato, tipicamente tardo ottocentesco, delle stampe devozionali che andavano girando per i santuari. I dettagli non sono molto precisi, le figure sembrano statiche e senza tridimensionalità, gli occhi noiosamente rivolti sempre verso l’alto in contemplazione, senza originalità. Non c’è chiesa di Atessa che non abbia qualche suo quadro, la chiesa dell’Addolorata, il Duomo, secondo altare di sinistra nella terza navata, frutto dell’ampliamento ottocentesco dell’impianto, la chiesa di Santa Croce, la chiesa della Madonna della Cintura, la chiesa di San Rocco, con una brutta copia del quadro seicentesco di Felice Ciccarelli atessano, della Beata Vergine del Carmelo. E anche nei dintorni di Atessa Pasquale dipinse, ora a Perano per la chiesa madre, producendo altre due tele devozionali per i lati dell’altare maggiore, ad Archi, a Montazzoli, a Tornareccio, e si spinse anche in qualche altro paese della media valle del Sangro, come Bomba o Villa Santa Maria. 
I figli Pasquale ed Ettore Bravo, attivi negli anni ’20 e ’50, continuarono l’attività paterna, estendendo il campo alla pittura murale, a volte riempiendo letteralmente la chiesa di loro opere. Non si scostarono molto dal soggetto di scene bibliche corali, dalle tinte molto chiare, di quell’inconfondibile gusto roseo, quasi da chiesa Mormonista, ossia uno stile falso-antico, che in Abruzzo continuava ad essere riproposto anche in epoca di trasformazioni artistiche nel secondo dopoguerra (si vedano i cantieri religiosi di Pescara, si vedano le pitture di Peppe Candeloro a Lanciano, in cui lui “trasponeva il classico nel contemporaneo” sulla base del modello di Michelangelo), e che verrà spazzato via qualche decennio dopo. I fratelli Bravo furono attivi in quelle chiese che o erano prive di arredi sacri a causa della povertà, o che erano state appena ricostruite dopo le distruzioni belliche. La loro opera più interessante è il cantiere della chiesa madre di San Nicola di Orsogna, appena rinata dalle ceneri della furia devastatrice dei cannoni e dei mortai. La chiesa è un tipico esempio di ricostruzione ex novo del Genio Civile di Chieti, un falso antico, completata nel 1952, come recita una iscrizione appena entrati, a monito e memoria. 

Orsogna, chiesa di S.Nicola, catino absidale con dipinti dei Fratelli Bravo, 1952 c.

I Bravo furono chiamati a indorare il catino absidale, mostrando la scena dell’Agnus Dei, di Cristo che è l’Alfa e l’Omega, con il Sacrificio dell’Agnello, e sullo sfondo la città di Gerusalemme. Anche la seconda delle due cupole della navata unica, fu dipinta dai Bravo, con scene bibliche dell’Antico e Nuovo Testamento, e ai quattro pennacchi, il solito Tetramorfo degli Evangelisti; un lavoro però realizzato abbastanza bene, che verrà ricordato. 
Ennio Bravo, che lavorò in proprio, è il migliore della famiglia nel disegno, è l’unico che fa assumere espressione e gravità ai suoi soggetti, tra i più belli, il San Tommaso della chiesa matrice di Perano. 
Gennaro continuò l’attività dei Bravo, scolpendo e dipingendo statue, di fattura appena sufficiente, e sarà lui il maestro del pittore di Atessa che attualmente la rappresenta, il prof. Gaetano Minale di Agnone.

Mosè e il vitello d’oro, Fratelli Bravo, chiesa di San Nicola, Orsogna

Caino uccide Abele, Fratelli Bravo, chiesa di San Nicola, Orsogna



Il sogno di Giacobbe, Fratelli Bravo, chiesa di San Nicola, Orsogna



Mosè  e i 10 Comandamenti, Fratelli Bravo, chiesa di San Nicola, Orsogna


La bottega Bravo di Atessa
Da: Abruzzo Forte e Gentile 95