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6 ottobre 2024

Antonio Mezzanotte, La chiesa di Sant'Antonio abate a Vasto.


 LA CHIESA DI SANT’ANTONIO ABATE A VASTO
di Antonio Mezzanotte

Si dice e si racconta che un tale di Furci, noto per essere uomo burbero e gran bestemmiatore, un giorno, dovendosi recare a Vasto per sbrigare certi suoi affari, decise di passare dalle parti di Sant’Antonio, che è una collina sovrastante a meridione la città, lungo il tratturo, poiché qui si stendeva un uliveto che una sua anziana zia di Cupello, vedova e senza figli, aveva promesso di lasciargli in eredità.
Alla vista dell’uliveto l’uomo diede in escandescenze: siccome quella terra non era più lavorata da anni, le fratte di rovi e le erbacce erano così alte che avevano ricoperto per l’intero gli ulivi, i quali, non più potati e curati, forse anche a causa della siccità di quel periodo, erano quasi del tutto rinsecchiti.
L’uomo trasecolò dalla rabbia, si tolse il cappello, lo buttò a terra e attaccò una sfilza di bestemmie, prendendosela in particolare con Sant’Antonio Abate. Poi, dopo la sfuriata, essendo persona concreta e dedita agli affari, si consolò pensando che avrebbe potuto sempre estirpare gli ulivi e venderseli come legna da ardere.
Un po’ rinfrancato da questo calcolo, si avviò verso Vasto. Nei pressi della vicina chiesetta di Sant'Antonio Abate incontrò un vecchio frate cercatore, che trascinava alcune assi di legno. L’uomo fece per passare, ma il frate gli chiese se avesse potuto aiutarlo a portare quelle assi in chiesa, poiché aveva intenzione di ripararne il tetto, che era in parte crollato.
Il furcese aveva fretta, però si disse che cinque minuti avrebbe potuto perderli: siccome era uomo robusto, non fece fatica a trasportare le tavole in chiesa e, una volta dentro, si mise a guardare il danno. In effetti, il tetto era in parte crollato, ma anche quel che restava avrebbe avuto bisogno di qualche lavoretto di rinforzo. Essendo pratico del mestiere, cominciò a indicare al frate come avrebbe dovuto essere svolto il lavoro, ma poi, avendo constatato che il frate era vecchio e mezzo curvo, stabilì che quello non era in grado di rimettere a posto nemmeno una tegola e, toltasi la cappa, prese di buona lena a lavorare al tetto, stimando che in un paio d’ore avrebbe finito e che gli sarebbe riuscito pure di andare finalmente a Vasto per quei suoi affari.
Invece, l’uomo finì di acconciare il tetto che era ormai il tramonto, il tempo era trascorso senza che se ne fosse avveduto. Quando finì, sudato e impolverato, si accorse che il vecchio frate non c’era più e corse fuori dalla chiesa per cercarlo. Non trovandolo, chiuse la porta della chiesa e, visto che ormai era tardi per arrivare a Vasto, decise di fermarsi a casa della zia a Cupello.
Quando l’uomo ripassò davanti all’uliveto rimase a bocca aperta: i rovi erano spariti, gli ulivi erano ringiovaniti e carichi di frutto. Quell’anno quel podere produsse quintalate di olive.
Da allora l’uomo fu meno burbero e smise di bestemmiare, perché gli venne il sospetto che quel frate cercatore fosse in realtà proprio Sant’Antonio Abate, che lo aveva a suo modo ringraziato per avergli rimesso a posto la chiesa.
Questa storia mi è stata narrata da una anziana donna di Furci, ormai passata al mondo della Verità, ma la chiesa di Sant’Antonio Abate sulle colline di Vasto è ancora lì, piccola, graziosa, ai margini della provinciale che ha sostituito l’antico tratturo, prima che questo si gettasse tra Montevecchio e Colle Pizzuto per raggiungere la costa in prossimità della foce del torrente Buonanotte in territorio di San Salvo.
La sua presenza è attestata perlomeno dal 1569, come cappella rurale, ma i resti di un muro di epoca romana fanno ipotizzare che il luogo fosse adibito a esigenze cultuali da tempo immemore, tenuto conto proprio della prossimità al Tratturo Magno. Nel 1876 venne riedificata e altri lavori di restauro furono realizzati nel 1994. Il piccolo edificio, in muratura a vista, è a pianta rettangolare, con facciata a capanna e timpano ornato da un semplice oculo, finestrelle basse ai lati del portalino d’ingresso, campaniletto a vela rivolto alla marina. All’interno dell’unica navata l’altare, il leggio e il tabernacolo in pietra sono opera dello scultore vastese Domenico Zambianchi (Mastro Domenico).

19 maggio 2024

E. Troilo, Gli slavi nell’Abruzzo Chietino. Atti della Societa romana di antropologia. Roma Vol. VI. Fasc. II. 1899, pp. 117-127.

E. Troilo, Gli slavi nell’Abruzzo Chietino. Atti della Societa romana di antropologia. Roma  Vol. VI. Fasc. II. 1899, pp. 117-127.

Da: https://macedonia.kroraina.com

Terenzio Zocchi, Cupello, ex colonia serbo-croata. La testimonianza del 1577 di fra' Serafino Razzi.


Cupello, ex colonia serbo-croata. La testimonianza del 1577 di fra' Serafino Razzi

 di Terenzio Zocchi

La migrazione slava e albanese - In Italia, a parte le comunità slovene del Friuli, esistono ancora tre comuni di lingua e tradizioni slaveSan Felice del MoliseMontemitro Acquaviva Collecroce, tutti in Molise, sulla vallata del fiume Trigno. Si tratta delle ultime tracce di una vasta migrazione che interessò le popolazioni slave serbo-croate della Dalmazia e della Slavonia e le popolazioni albanesi tra il XIII e il XVI sec. Un gran numero di profughi si riversò sulle coste italiane, specie dopo la conquista turca di Costantinopoli del 1453

Il Regno di Napoli in genere accolse queste popolazioni permettendo loro di fondare degli insediamenti, le cosiddette "Ville degli Schiavoni", che da campi profughi divennero a poco a poco dei veri e propri paesi. Molte delle originarie fondazioni serbo-croate, concentrate più che altro tra l'Abruzzo costiero, il Molise e l'attuale provincia di Foggiahanno perso presto la lingua e i costumi slavi: si trattava generalmente di minoranze, gradualmente riassorbite all'interno della popolazione italiana del luogo.

Gli slavi d'Abruzzo - Tra le colonie slave "certe" nel terriorio dell'attuale provincia di Chieti, si ricordano CupelloVillalfonsinaSchiavi di Abruzzo (ma in questo caso si tratterebbe di una migrazione più antica), MozzagrognaVilla Scorciosa (frazione di Fossacesia), Sant'Apollinare (frazione di San Vito Chietino), Villa Stanazzo (frazione di Lanciano), Casacanditella, forse TreglioTorrevecchia Teatina, oltre ad una serie di frazioni e località minori. In molti di questi casi, gli abitanti dei luoghi sono ancora chiamati in dialetto schiavùne, "slavi". Esistono tuttavia molti dubbi sul fatto che l'intera popolazione di questi paesi fosse slava: in molti casi dobbiamo pensare infatti ad una commistione tra le nuove famiglie serbo-croate e le famiglie italiane già residenti nei luoghi.

La testimonianza più antica di insediamenti serbo-croati in Abruzzo è del 1290, quando vennero emanate delle leggi che stabilivano esplicitamente quanti dazi dovessero pagare i coloni slavi. Nell'area abruzzese, le popolazioni serbo-croate erano giunte probabilmente attraverso il porto di Vasto, che da tempi molto antichi intratteneva grossi traffici commerciali con la Dalmazia. Già nel '300 a Vasto esisteva un quartiere slavo, con una propria chiesa: San Nicola degli Schiavoni, oggi perduta. Nel 1522 a Vasto su 799 famiglie, ben 50 erano slave, con un proprio religioso.

Cupello, "Villa degli Schiavoni" - Nel Vastese, la colonia slava che ha conservato più a lungo le tradizioni originarie è stata quella di Cupello (in passato Villa Cupello Villa degli Schiavoni), anche se già nel primo '700 sembra che si fossero persi tutti i caratteri della cultura slava. Tuttora alcune località cupellesi conservano comunque il nome serbo-croato, come la collina di Gradina (cioè in serbo-croato "colle, rilievo") e Colle Aglavizza (in serbo-croato glavica [leggi glavìza] "collina").

Secondo una tradizione ancora viva, l'attuale Cupello avrebbe avuto origine per volere di re Alfonso I d'Aragona, che verso la metà del '400 fece arrivare via nave dalla Dalmazia un gruppo di 39 famiglie slave, per ripopolare le terre devastate dai Turchi. Secondo un'altra versione, a prendere la decisione sarebbe stato invece Alfonso D'Avalosmarchese del Vasto, dopo il devastante terremoto del 1456 che aveva fatto dei danni anche nella zona. Una tradizione orale inoltre vuole che il primissimo insediamento fosse molto più vicino a Monteodorisio, per poi spostarsi nel punto attuale verso gli inizi del '500.

I diari di fra' Serafino Razzi - Una splendida testimonianza su Cupello, "Villa degli Schiavoni", viene dai resoconti del padre domenicano Serafino Razzi, religioso erudito che dimorò a Vasto tra il 1576 e il 1577 e registrò sui suoi diari manoscritti molti dei viaggi effettuati nei paesi della zona:

Il primo dì di settembre del 1577 fui ricerco d'andar a una Villa di Schiavoni lontana circa due miglia [n.d.r. da Vasto]. Ci andai, ci celebrai la messa, e ci feci una predica, stando allo altare, peroché no' ci era pergamo. E dopo havendo desinato col messer prete, me ne ritornai al Vasto per conto della lezzione che io dovea fare nella chiesa nostra dopo il Vespro, essendo domenica.

Razzi fa innanzitutto un resoconto sull'origine delle colonie slave tra Abruzzo e Puglia:

Ove è da notare, come havendo i Turchi, da molti anni in qua, presa e ridotta sotto il dominio loro quasi tutta la Schiavonia fra terra, e quasi fino alla marina dominando, molti popoli per non perder fra loro la fede christiana, e per non istare sotto gli infedeli, se ne sono venuti, passando il mare, in queste parti delli Abruzzi e della Puglia, assai bene ampie e spaziose. E da i ministri Regii sono per pietà stati assegnati loro varii e diversi luoghi. Ove fermatisi sono habitati prima sotto cappanne di paglia, e sotto frascati [n.d.r. "capanne di frasche"]. E poscia lavorando la terra, e sementandola, et industriandosi hanno incominciato a murare case, e tuttavia si vanno augumentando [n.d.r. "tuttora stanno aumentando"], et in numero et in facoltà, riconoscendo con certi loro patti e convenzioni la camera Regia, e coloro da i quali prima riceverono il luogo per le loro habitazioni. E l'istesso modo prima, e specialmente verso la Puglia, come a loro più diritta e commoda, intervenne a' molti popoli della Grecia [n.d.r. leggi "dei Balcani"].

Cupello nel 1577 - Il frate, ad oltre un secolo dal primo stanziamento, trova un villaggio abbastanza grande, abitato da un centinaio di famiglie, ma con abitazioni molto modeste:

Questo pertanto Villaggio a cui fummo noi chiamati, fa d'intorno a cento fuochi, et habitano ancora per la maggior parte sotto cappanne, nelle quali fanno fuoco: hanno camere, cellaro [n.d.r. "cantina"] e stalla. E sono bene stanti, come quelli che nel sudore del volto adoperano bene la terra , e la fanno pare assai fruttare.

Non manca un accenno al dialetto slavo che allora era ancora vivo, ma viene dato conto anche di un diffuso bilinguismo:

Mantengono fra loro il favellare schiavone chiamando il bane bruca [?], la carne mesa [serbo-croato meso], il cacio sire [serbo-croato sir], l'uova iaia [serbo-croato jaja], l'acqua uode [serbo-croato voda]. Favellano ancora i più italiano per conto della conversazione, e traffichi pei mercati di comperare, e di vendere.

Razzi, da buon frate domenicano, resta incuriosito da alcuni rituali religiosi che riguardavano la benedizione delle tombe con acqua santa:

Hanno la propria chiesa, lontana dalla Villa quasi un tiro d'arco, cinta d'ogni intorno da un capevole cimitero, e quello da un fosso. Osservai questa mattina, come le donne quasi tutte venendo alla messa portavano a' cintola, come sogliono i soldati i pugnali, uno aspersorio con ispogna  [n.d.r. "con una spugna"] in cima: et in mano un mazzetto di candele per accenderle a' loro altari: et in ispalla una o due conocchie di lino, o vero una piccia di pane in grembo per offerir all'altare, essendo la domenica prima del mese. Arrivate alla porta della chiesa tuffano il loro aspersorio in una gran pila d'acqua benedetta, e poi con esso girano per lo cimitero intorno dando l'acqua santa alle sepolture coperte di grossi sassi e pietre, per cagione credo che le fiere divoratrici non le scavino. Et il prete bisogna che tenga sempre buona provisione d'acqua santa.

Seguono alcune considerazioni sulle attività commerciali e agricole. Il frate sembra essere molto stupito della vivace attività economica della colonia

Sono gli Schiavoni persone robuste e da fatiche. E si governano molto prudentemente in queste loro Ville, quasi Colonie, tenendoci il macello, le panetterie, et altre officine necessarie. Danno al prete loro, per sua provisone annuale, dalle venti alle ventiquattro some di grano, di tanto che ne sementano in quell'ampio loro terraggio. Et a i religiosi che ci mandano una volta la settimana ad accattare, fanno amorevolmente la limosina di pane, di vino, ed uova. Siano egli benedetti dal Signore che così trasferendogli nella nostra Italia, gli ha liberati dalle mani degli infedeli! Non hanno per ancora vigne, ma si proveggono di buoni vini, quì nel Vasto.

Da: Il Trigno.net

Graziano Esposito, Breve storia di Cupello. Dal documento agli avvenimenti.

Da: www.academia.edu

23 gennaio 2022

Petrolio e gas in Abruzzo: Pollutri, Vallecupa, Alanno, Cupello, ecc.


Il petrolio negli Abruzzi
Da. Istituto Luce Cinecittà





Negli anni Cinquanta in alcuni paesi dell'entroterra abruzzese vengono rinvenuti giacimenti di gas e petrolio. Le nuove scoperte rilanciano le economie locali e permettono la nascita dei poli industriali che tuttora caratterizzano l'Abruzzo. A distanza di 60 anni, chi era presente racconta cosa è significato accogliere l'industria degli idrocarburi e lascia ai più giovani qualche spunto per il presente.
Da: Mattia Santori



Petrolio a Pollutri - 1955

3 maggio 2021

Elisabetta Mancinelli, Maggio in Abruzzo: feste e tradizioni popolari.

Elisabetta Mancinelli, Maggio in Abruzzo.


Per la civiltà agro-pastorale, che è alla base della cultura abruzzese, maggio era considerato un mese determinante per il contadino che, alla fine dell’inverno, ha esaurito le sue scorte e sa che la sopravvivenza della propria famiglia è legata all’esito dei raccolti successivi.
La “costa” di maggio che significa ripida salita, stretto passaggio, allude proprio alla lunghe e faticose giornate di lavoro nei campi, ma anche alla difficoltà di superare certi momenti di precarietà economica prima di arrivare al nuovo raccolto. E’ un mese di transizione, difficile, tra le provviste ormai esaurite dell’anno precedente ed il nuovo raccolto, che si annuncia, ma potrebbe anche andare male e in cui, più che in altri periodi, si invocano le piogge: “l’acqua di maggio” particolarmente benefiche per il raccolto che va maturando.
Questo mese viene perciò festeggiato con diversi riti dal sapore mitico, antico in cui il ritorno della primavera viene invocato, scongiurato. Una stagione impropizia, avara di pioggia ed è la fame.
Negli ultimi anni si assiste in Abruzzo ad un rinnovato interesse per le tradizioni e le celebrazioni e le usanze tradizionali sono numerose e particolarmente suggestive soprattutto nel mese di maggio.

Le Virtù teramane


La ricetta delle “Virtù” ha la sua data di origine intorno al 1800. la preparazione di questo piatto veniva collocata il primo Maggio, poiché oltre ad indicare la fine del periodo freddo, aveva valore benaugurale per i raccolti estivi.
Si tratta di un piatto rituale con funzione propiziatoria. In questa occasione venivano preparate un gran numero di pignatte contenenti le “Virtù” e poi distribuite alle famiglie più povere, in segno di solidarietà della comunità con i meno fortunati.
Sono virtù perché la base di partenza sono gli avanzi rimasti nella dispensa dopo l'inverno: legumi secchi, pasta di varie tipologie, resti del maiale che la donna doveva essere brava a recuperare, riutilizzare e unire alle primizie che la nuova stagione aveva cominciato a produrre negli orti. Una leggenda narra che le Virtù dovessero contenere sette tipi di legumi, sette tipi di pasta, sette tipi di erbe, che il tutto dovesse essere cucinato da sette vergini per ben sette ore,  sette proprio come le virtù cristiane..
Questo ricco minestrone, a secondo delle località, riceve nomi diversi.

Festa del Narciso a Rocca di Mezzo


Nell’ultima domenica di maggio si celebra la profumata e colorata Festa del Narciso a Rocca di Mezzo (Aq) che vede sfilare per le vie della città, da più di sessant'anni, carri allegorici interamente realizzati con i narcisi, fiori di cui il territorio è ricco.
“Sfilate delle Rose” di Pasadena in California, da cui alcuni emigranti riportarono l'idea, la sfilata onora il Narciso, fiore tipico dell'altopiano delle Rocche, ed è ormai una tradizione aspettata e intensamente vissuta dal paese. Per tutto il mese di Maggio i giovani si dedicano alla realizzazione dei carri, e , nell'ultima settimana, in particolare le ragazze alla raccolta dei fiori.
Durante l'ultima notte prima della sfilata , il momento più emozionante, si procede alla decorazione con i narcisi dei carri. E' molto curata la realizzazione di questi che sfilano e partecipano ad un concorso che premia il più bello, giudicato secondo tre parametri: “infioratura”, struttura e scenografia. I carri propongono spesso temi legati al folclore e alle tradizioni abruzzesi o ad eventi particolarmente sentiti sulla vita sociale del territorio.

Rito dei Serpari a Cocullo

Il primo giovedì di maggio a Cocullo, nell’aquilano, si festeggia San Domenico e, come per altre usanze in cui il rito pagano si intreccia con la devozione cristiana, così accade anche in questa occasione, in cui la devozione per San Domenico, protettore dal morso dei serpenti, si intreccia con il rito arcaico dei “serpari”, manipolatori dei serpenti, nel suggestivo quanto unico Rito dei Serpari.

Per la festa la statua del santo viene portata in processione, addobbata con serpenti aggrovigliati, innocui e particolarmente conosciuti sui monti attorno al paese: Saettoni, Cervoni, e Bisce che i cosidetti serpari raccolgono nei monti attorno al paese nella stagione fredda, durante il loro letargo. Prima della processione sono questi uomini a mostrare i serpenti ai visitatori, permettendo loro di toccarli e maneggiarli, mentre si intonano canti popolari per le vie del paesino.
Dopo la messa, la statua del santo viene ricoperta dai serpenti e la processione ha inizio.
Il corteo si allunga per le strette vie di Cucullo trasmettendo agli astanti immagini suggestive ed emozionanti. L’incontro con i serpari, la possibilità di accarezzare un serpente e superare le paure, accalcarsi dietro la statua del santo chiedendo soccorso per la salute, o restare semplicemente spettatore di fronte a un evento così particolare, suscita intense emozioni.

La festa del Majo a san Giovanni Lipioni


C’è una comunità in Abruzzo che il primo maggio si raccoglie tutta intorno all’arcaica celebrazione del “majo”, in un’ atmosfera di grande gioia collettiva: San Giovanni Lipioni (Chieti) posto su uno sperone che si protende verso il medio Trigno.
Fra paganesimo e cristianesimo, qui la festa del majo sopravvive con tutto il suo carico di simboli e di significati antichi e si inserisce nei festeggiamenti di Santa Liberata e di San Giovanni, le cui statue vengono portate in processione e trasferite dalla Chiesa principale di Santa Maria delle Grazie alla Cappella di Santa Liberata.
Il majo: intelaiatura con un cerchio, rivestita da centinaia di mazzetti di fiori, viene benedetto e, preceduto dalla banda, portato in giro per il paese da un’allegra comitiva per la questua.
Avanti a tutti un giovane con il majo ed in testa una ghirlanda di fiori, con spighe di orzo, baccelli di grano ed altre primizie. Fra canti e danze, in cambio di fiori, con cui si porta l’augurio di buona annata, si ricevono doni : uova, dolci, vino, soldi.
Con le uova raccolte, la sera si fa una gran frittata che viene servita in piazza a tutti i partecipanti alla festa, accompagnata da un bicchiere di vino. Per “cantare maggio” molti emigranti tornano ogni anno in questa occasione a San Giovanni Lipioni.

Carciofo in festa a Cupello



Cupello, piccolo centro collinare a pochi chilometri da Vasto, ogni anno la seconda domenica di maggio festeggia il carciofo.
Degustazioni, convegni, musica in onore di un prezioso prodotto che in questo paese offre una delle migliori qualità, e che si sposa con la sapiente e fantasiosa cucina tradizionale. In tutti i ristoranti del paese, per quattro giorni dal giovedì alla domenica, si gustano i carciofi in tutte le svariate forme e delicati e intensi sapori: dalla pizza, alla pasta, dall’antipasto al dolce, in numerosi menu rigorosamente a base di questa varietà ricercata di carciofo di Cupello.

Festa dei Banderesi a Bucchianico



Nel paese di Bucchianico, il 22, 24, 25 e 26 maggio si svolge la Festa dei Banderesi, una rievocazione storica in costume della vittoria che gli abitanti della cittadina riportarono sui soldati della vicina Chieti, dopo un lungo assedio, al tempo delle lotte comunali.
Giochi di destrezza e riti cavallereschi animano la festa che, tra i molti significati, ha anche quello di rafforzare l’amicizia e la solidarietà tra città e campagna, la stessa che permise, nel XIII secolo, di resistere all’assedio. Altamente coreografica è la sfilata che, muovendo dalle contrade, raggiunge il centro del paese.
Le donne recano canestri di fiori, sfarzosamente decorati; un bue precede il corteo, seguito da carri addobbati. Uno dei momenti più suggestivi dell’evento è la danza della ‘ciammaichella’ singolare movimento a spirale che rievoca lo stratagemma con il quale, nel corso dell’assedio, gli abitanti trassero in inganno i nemici facendo loro credere che in città vi fosse un esercito numeroso.

“Lu Lope” a Pretoro

 


La ricorrenza di San Domenico abate viene festeggiata a Pretoro, in provincia di Chieti, la prima domenica di maggio, con la rappresentazione del miracolo de “Lu lope”, una tra le più antiche manifestazioni sacre abruzzesi che si tramanda di padre in figlio.
Come avviene per la festa di Cocullo, anche nella celebrazione di Pretoro, ricorre la presenza dei serpari che, nei giorni precedenti, cercano di catturare serpenti ai quali strappano i denti, per renderli innocui. Il giorno della festa serviranno per adornare la statua del santo portata in processione per le vie del paese.
Ai serpari è dedicata la mattinata della domenica con un concorso per il serpente più grande e più bello trovato nei dintorni di Pretoro. In quest’occasione si possono vedere serpenti che , ammansiti dal Santo, si arrotolano alle mani dei fedeli che hanno legato al polso “ lu laccette de S. Dumeneche”.
La cattura dei rettili ha una valenza prettamente simbolica, liberare il territorio dal pericolo che deriva dalla loro presenza. Nel pomeriggio, dopo la celebrazione liturgica, si giunge al momento culminante della festa: la rappresentazione del miracolo di San Domenico e del lupo. Gli attori sono, secondo la tradizione, tutti uomini anche la madre. Il bambino, che è l’ultimo nato del paese, è ornato di fiocchi rossi contro il malocchio per esorcizzare il male.

“ Le ‘Ndorce” ad Atessa



Ad Atessa, in onore di San Martino la prima, la terza e la quarta domenica di maggio si svolge la processione delle ’ndorce (torce di cera vergine d’api) caratterizzata da gesti propiziatori fatti con le pietre , che vengono prelevate dai campi per curare le coliche, oppure da riti di strofinamento sulle rocce a scopo terapeutico.
Per tre volte, nel mese più scarso di precipitazioni, i contadini di Atessa organizzano una processione propiziatoria per invocare da San Martino eremita la caduta della pioggia. Il pellegrinaggio nasce da una antica leggenda secondo cui una statua del santo situata a San Salvatore a Maiella rotolò fino al fiume in seguito ad una tempesta di vento.
Da qui, galleggiando sull’acqua, arrivò intatta, vicino ad Atessa, dove gli abitanti del paese la collocarono nella loro chiesa principale. Dopo solenni festeggiamenti, indetti in onore del Santo, la statua scomparve. Fu ritrovata di nuovo a Fara San Martino e dopo aver tentato per tre volte di riportarla ad Atessa, fu deciso di lasciare la statua sul posto e di andarvi ogni anno in pellegrinaggio, portando in dono le primizie dei campi e una grande torcia votiva, la ’ndorcia appunto, ottenuta legando intorno ad un grosso cero, quattro candele minori.
Dopo aver assistito alla messa i pellegrini della ’Ndorcia escono devotamente dalla chiesa di San Leucio e si avviano verso la montagna. Dopo ore di marcia, risalendo le valli del Sangro e dell’Aventino, i pellegrini giungono a Fara San Martino dove visitano la chiesa di San Pietro e vi lasciano due fasci di spighe e due candele. Quindi , giunti tra i resti dell’antico monastero, depongono le altre due ’ndorce nella grotta in cui visse in penitenza il Santo.

20 luglio 2020

"Il posto dell'anima", 2003, regia di Riccardo Milani, con Paola Cortellesi e Michele Placido. Film girato principalmente a Vasto.




"Il posto dell'anima", 2003, regia di Riccardo Milani, con Paola Cortellesi e Michele Placido. Film girato a Vasto. Scene da Vimeo



Molte scene sono state girate a Vasto, sia nel centro storico con i suoi vicoli e la Piazza del Duomo sia nella zona costiera di Punta Penna, famosa per il faro e i trabocchi, dove trova la sua ambientazione anche la fabbrica a rischio chiusura.
Altri luoghi coinvolti nelle riprese sono il paese di Cupello, dove vive uno dei protagonisti, San Sebastiano dei Marsi e i paesaggi naturali nei pressi di Schiavi d'Abruzzo, nel Parco Nazionale della Majella a Pescasseroli nel Parco Nazionale d'Abruzzo.