di Terenzio Zocchi
La migrazione slava e albanese - In Italia, a parte le comunità slovene del Friuli, esistono ancora tre comuni di lingua e tradizioni slave: San Felice del Molise, Montemitro e Acquaviva Collecroce, tutti in Molise, sulla vallata del fiume Trigno. Si tratta delle ultime tracce di una vasta migrazione che interessò le popolazioni slave serbo-croate della Dalmazia e della Slavonia e le popolazioni albanesi tra il XIII e il XVI sec. Un gran numero di profughi si riversò sulle coste italiane, specie dopo la conquista turca di Costantinopoli del 1453.
Il Regno di Napoli in genere accolse queste popolazioni permettendo loro di fondare degli insediamenti, le cosiddette "Ville degli Schiavoni", che da campi profughi divennero a poco a poco dei veri e propri paesi. Molte delle originarie fondazioni serbo-croate, concentrate più che altro tra l'Abruzzo costiero, il Molise e l'attuale provincia di Foggia, hanno perso presto la lingua e i costumi slavi: si trattava generalmente di minoranze, gradualmente riassorbite all'interno della popolazione italiana del luogo.
Gli slavi d'Abruzzo - Tra le colonie slave "certe" nel terriorio dell'attuale provincia di Chieti, si ricordano Cupello, Villalfonsina, Schiavi di Abruzzo (ma in questo caso si tratterebbe di una migrazione più antica), Mozzagrogna, Villa Scorciosa (frazione di Fossacesia), Sant'Apollinare (frazione di San Vito Chietino), Villa Stanazzo (frazione di Lanciano), Casacanditella, forse Treglio, Torrevecchia Teatina, oltre ad una serie di frazioni e località minori. In molti di questi casi, gli abitanti dei luoghi sono ancora chiamati in dialetto schiavùne, "slavi". Esistono tuttavia molti dubbi sul fatto che l'intera popolazione di questi paesi fosse slava: in molti casi dobbiamo pensare infatti ad una commistione tra le nuove famiglie serbo-croate e le famiglie italiane già residenti nei luoghi.
La testimonianza più antica di insediamenti serbo-croati in Abruzzo è del 1290, quando vennero emanate delle leggi che stabilivano esplicitamente quanti dazi dovessero pagare i coloni slavi. Nell'area abruzzese, le popolazioni serbo-croate erano giunte probabilmente attraverso il porto di Vasto, che da tempi molto antichi intratteneva grossi traffici commerciali con la Dalmazia. Già nel '300 a Vasto esisteva un quartiere slavo, con una propria chiesa: San Nicola degli Schiavoni, oggi perduta. Nel 1522 a Vasto su 799 famiglie, ben 50 erano slave, con un proprio religioso.
Cupello, "Villa degli Schiavoni" - Nel Vastese, la colonia slava che ha conservato più a lungo le tradizioni originarie è stata quella di Cupello (in passato Villa Cupello o Villa degli Schiavoni), anche se già nel primo '700 sembra che si fossero persi tutti i caratteri della cultura slava. Tuttora alcune località cupellesi conservano comunque il nome serbo-croato, come la collina di Gradina (cioè in serbo-croato "colle, rilievo") e Colle Aglavizza (in serbo-croato glavica [leggi glavìza] "collina").
Secondo una tradizione ancora viva, l'attuale Cupello avrebbe avuto origine per volere di re Alfonso I d'Aragona, che verso la metà del '400 fece arrivare via nave dalla Dalmazia un gruppo di 39 famiglie slave, per ripopolare le terre devastate dai Turchi. Secondo un'altra versione, a prendere la decisione sarebbe stato invece Alfonso D'Avalos, marchese del Vasto, dopo il devastante terremoto del 1456 che aveva fatto dei danni anche nella zona. Una tradizione orale inoltre vuole che il primissimo insediamento fosse molto più vicino a Monteodorisio, per poi spostarsi nel punto attuale verso gli inizi del '500.
I diari di fra' Serafino Razzi - Una splendida testimonianza su Cupello, "Villa degli Schiavoni", viene dai resoconti del padre domenicano Serafino Razzi, religioso erudito che dimorò a Vasto tra il 1576 e il 1577 e registrò sui suoi diari manoscritti molti dei viaggi effettuati nei paesi della zona:
Il primo dì di settembre del 1577 fui ricerco d'andar a una Villa di Schiavoni lontana circa due miglia [n.d.r. da Vasto]. Ci andai, ci celebrai la messa, e ci feci una predica, stando allo altare, peroché no' ci era pergamo. E dopo havendo desinato col messer prete, me ne ritornai al Vasto per conto della lezzione che io dovea fare nella chiesa nostra dopo il Vespro, essendo domenica.
Razzi fa innanzitutto un resoconto sull'origine delle colonie slave tra Abruzzo e Puglia:
Ove è da notare, come havendo i Turchi, da molti anni in qua, presa e ridotta sotto il dominio loro quasi tutta la Schiavonia fra terra, e quasi fino alla marina dominando, molti popoli per non perder fra loro la fede christiana, e per non istare sotto gli infedeli, se ne sono venuti, passando il mare, in queste parti delli Abruzzi e della Puglia, assai bene ampie e spaziose. E da i ministri Regii sono per pietà stati assegnati loro varii e diversi luoghi. Ove fermatisi sono habitati prima sotto cappanne di paglia, e sotto frascati [n.d.r. "capanne di frasche"]. E poscia lavorando la terra, e sementandola, et industriandosi hanno incominciato a murare case, e tuttavia si vanno augumentando [n.d.r. "tuttora stanno aumentando"], et in numero et in facoltà, riconoscendo con certi loro patti e convenzioni la camera Regia, e coloro da i quali prima riceverono il luogo per le loro habitazioni. E l'istesso modo prima, e specialmente verso la Puglia, come a loro più diritta e commoda, intervenne a' molti popoli della Grecia [n.d.r. leggi "dei Balcani"].
Cupello nel 1577 - Il frate, ad oltre un secolo dal primo stanziamento, trova un villaggio abbastanza grande, abitato da un centinaio di famiglie, ma con abitazioni molto modeste:
Questo pertanto Villaggio a cui fummo noi chiamati, fa d'intorno a cento fuochi, et habitano ancora per la maggior parte sotto cappanne, nelle quali fanno fuoco: hanno camere, cellaro [n.d.r. "cantina"] e stalla. E sono bene stanti, come quelli che nel sudore del volto adoperano bene la terra , e la fanno pare assai fruttare.
Non manca un accenno al dialetto slavo che allora era ancora vivo, ma viene dato conto anche di un diffuso bilinguismo:
Mantengono fra loro il favellare schiavone chiamando il bane bruca [?], la carne mesa [serbo-croato meso], il cacio sire [serbo-croato sir], l'uova iaia [serbo-croato jaja], l'acqua uode [serbo-croato voda]. Favellano ancora i più italiano per conto della conversazione, e traffichi pei mercati di comperare, e di vendere.
Razzi, da buon frate domenicano, resta incuriosito da alcuni rituali religiosi che riguardavano la benedizione delle tombe con acqua santa:
Hanno la propria chiesa, lontana dalla Villa quasi un tiro d'arco, cinta d'ogni intorno da un capevole cimitero, e quello da un fosso. Osservai questa mattina, come le donne quasi tutte venendo alla messa portavano a' cintola, come sogliono i soldati i pugnali, uno aspersorio con ispogna [n.d.r. "con una spugna"] in cima: et in mano un mazzetto di candele per accenderle a' loro altari: et in ispalla una o due conocchie di lino, o vero una piccia di pane in grembo per offerir all'altare, essendo la domenica prima del mese. Arrivate alla porta della chiesa tuffano il loro aspersorio in una gran pila d'acqua benedetta, e poi con esso girano per lo cimitero intorno dando l'acqua santa alle sepolture coperte di grossi sassi e pietre, per cagione credo che le fiere divoratrici non le scavino. Et il prete bisogna che tenga sempre buona provisione d'acqua santa.
Seguono alcune considerazioni sulle attività commerciali e agricole. Il frate sembra essere molto stupito della vivace attività economica della colonia:
Sono gli Schiavoni persone robuste e da fatiche. E si governano molto prudentemente in queste loro Ville, quasi Colonie, tenendoci il macello, le panetterie, et altre officine necessarie. Danno al prete loro, per sua provisone annuale, dalle venti alle ventiquattro some di grano, di tanto che ne sementano in quell'ampio loro terraggio. Et a i religiosi che ci mandano una volta la settimana ad accattare, fanno amorevolmente la limosina di pane, di vino, ed uova. Siano egli benedetti dal Signore che così trasferendogli nella nostra Italia, gli ha liberati dalle mani degli infedeli! Non hanno per ancora vigne, ma si proveggono di buoni vini, quì nel Vasto.
Da: Il Trigno.net
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