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18 ottobre 2024

Luca Fornaci, pittore abruzzese di Chieti del ‘500.

 Luca Fornaci, Resurrezione di Cristo, Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, Ortona.

Luca Fornaci, pittore abruzzese di Chieti del ‘500

di Angelo Iocco

Un recente studio del Prof. Marco Vaccaro dell’Università di Chieti, apparso in Chieti – Scritti di Storia e di Arte dal Medioevo all’Ottocento, Chieti, Assoc. Sacro e Profano, 2021, fornisce più lumi su questo pittore, di cui si erano occupati in maniera sparuta Cesare de Laurentiis, Vincenzo Balzano e Francesco Verlengia, senza fornire particolari note critiche sulla sua carriera. Grazie anche alla pubblicazione di atti notarili dall’Archivio di Stato di Chieti a cura di Van Verrocchio in Theate Regia Metropolis, è possibile ricostruire in parte la carriera del pittore. Nacque a Chieti e visse e operò nella seconda metà del ‘500, e agli inizi del ‘600. Visse in un periodo di fervore culturale a Chieti e in Abruzzo, dove pittori della Maniera del Vasari, si cimentavano nella realizzazione di tele e affreschi per parrocchie e conventi. Rimanendo in ambito chietino, furono attivi artisti del calibro di Leonzio Compassino da Penne, Giovan Battistista Ragazzini da Ravenna con suo fratello Francesco (sue opere si trovano a Castelli, Penne e qualche paese dell’area vestina), Felice Ciccarelli, Tommaso Alessandrino e altri.

Luca Fornaci, Terzo ordine Francescano, dalla chiesa di Sant’Andrea di Chieti, ora in San Domenico di Chieti, foto Oscar D’Angelo.


Di Fornaci si conosce che fu attivo tra il 1585 e il 1592 con le sue opere principali a Chieti e nei dintorni. Nella Città di Achille, egli dipinse una tela ritraente il Trionfo dell’Ordine Francescano, proveniente dall’ex convento di Sant’Andrea degli Zoccolanti, oggi ex ospedale militare alla villa comunale e conservato, stando a quanto scrivono Vincenzo Zecca e Cesare de Laurentiis, dapprima nella Pinacoteca civica del palazzo comunale, e di recente nell’oratorio della chiesa di San Domenico al Corso, insieme ad altre opere d’arte sacra di Chieti e provincia. La grande tela mostra diverse parti danneggiate, con caduta di colore, al centro vi è l’Albero dell’Ordine di San Francesco, in basso a sinistra il Cristo benedicente, a destra Sant’Andrea, al centro San Francesco, dal cui corpo si erge l’Albero, sul primo ramo vi sono i Santi Francescani: San Bonaventura, Sant’Antonio di Padova, San Bernardino, San Giovanni di Capestrano; sul secondo ramo vi sono le Sante Clarisse: Santa Chiara, Santa Rita e altre; al terzo San Ludovico di Francia, Santa Elisabetta d’Ungheria patroni del Terzo Ordine. Nel cielo, attorniati dagli Angeli in gloria, vi sono Dio Padre, la Colomba dello Spirito Santo, e Cristo che indica l’Albero. Vi sono notevoli affinità con un’altra tela dell’Ordine Francescano presente nel convento di Sant’Antonio di Padova di Lanciano, nella Cappella del Santo, risalente al XVI secolo, ma restaurata, pare, di recente da padre Giovanni Lerario che dipinse le parti cadute. L’iscrizione dedicatoria recita: OPERA FATTA FARE DA GIOVAN MARINO TOMASO E GIOVAN IACOVO COLA FERRO.

Luca Fornaci, Terzo ordine Francescano, dalla chiesa di Sant’Andrea di Chieti, ora in San Domenico di Chieti (particolare)

Albero Francescano, chiesa di Sant’Antonio di Padova, Lanciano (XVI-XVII sec.)


Altre  opere realizzate dal Fornaci sono nella chiesa di Santa Maria di Costantinopoli di Ortona: Cristo risorto tra gli Apostoli, alla sinistra della scena il Salvatore appare in Maestà, nell’atto di benedire, alla destra gli Apostoli confusi, e in alto la scena della Casa di Pietro, realizzata come un sontuoso tempio, in alto al centro gli Angeli sopra una nuvola assistono meravigliati al prodigio. La firma di Fornaci si trova presso un cartiglio retto da un  Apostolo.

Archi (CH), Madonna del Rosario e Misteri, chiesa di Santa Maria dell’Olmo 



Filetto (CH), Luca Fornaci, Madonna del Rosario, chiesa di Santa Maria ad Nives (XVI sec.)

Presso la chiesa parrocchiale di Santa Maria ad Nives di Filetto si trova sulla destra una tela della Madonna del Rosario: la Vergine col Bambino è al centro, e nei riquadri della cornice sono raffigurati i Misteri del Santo Rosario. La Madonna porge un Rosario con la destra a San Domenico e ai seguaci, mentre il Bambino sulla mano sinistra della Vergine, si sporge a dare la benedizione a Santa Rosa da Lima e suore seguaci, mentre due donne, probabilmente le committenti dell’opera, appaiono a mezzo busto in basso a destra, nell’atto di adorare la scena. la stanza dove la Madonna siede in trono è abbellita da tende, e da un pavimento a lacunari disposti in ordine simmetrico, con figure geometriche di cerchi e rombi; schiere di devoti si trovano disposte dietro San Domenico e Santa Rosa, compreso Papa Pio V, vittorioso nella battaglia di Lepanto. Il quadro si trovava nella chiesa di Santa Maria di Filetto, nella parte antica del paese, andata distrutta nella seconda guerra mondiale. L’opera è di fattura mediocre, ma denuncia uno stile di rappresentazione abbastanza convenzionale nell’Abruzzo della fine del XVI secolo della Madonna del Rosario, culto diffusosi dopo il 1571; notevoli affinità si riscontrano in un quadro di autore seguace di Pompeo Cesura, conservato nella cappella del Rosario della chiesa parrocchiale di Santa Maria dell’Olmo in Archi in val di Sangro. La resa è decisamente migliore: la Vergine col Bambino è seduta, avvolta in un mantello a fogliame dorato, simile alle tele presenti nella chiesa di Costantinopoli in Ortona, e la schiera dei santi domenicani e dei dignitari papali è più movimentata, ed alcuni volti, come quello di Santa Rita, sembra denunciare tratti addirittura giorgioneschi, mentre la scena del Mistero dell’Incontro tra Maria ed Elisabetta denuncia echi della celebre tela di Raffaello realizzata per i Bedeschini nella chiesa di San Silvestro di Aquila.

Orsogna, convento francescano dell’Annunziata del Poggio

Nel convento del Ritiro dell’Annunziata di Orsogna si conserva una tela della Crocifissione: come da tradizione iconografica, il Cristo è al centro, due angeli accorrono ai lati delle braccia, per raccogliere in calici il sangue che sgorga dalle ferite delle mani, la Maddalena abbraccia il legno piangente; il Fornaci probabilmente per ragioni di committenza, non inserì gli Apostoli, ma San Francesco e altri francescani attorno la Croce, in atto di dolore, mentre sulla destra si staglia in posa solenne e mesta, la Madonna, con in basso il Serpente del Peccato originale. Opera più originale della tela di Filetto, che risente degli echi del dipinto di Ortona.

28 agosto 2024

Felice Ciccarelli, Tommaso Alessandrino e altri Artisti abruzzesi di interesse nelle Chiese di Atessa – Parte II


Felice Ciccarelli, Tommaso Alessandrino e altri Artisti abruzzesi di interesse nelle Chiese di Atessa – Parte II

di Angelo Iocco

Qualche nota su Felice Ciccarelli

Essendoci già occupati del Ciccarelli, qui desideriamo segnalare altre tre opere poco conosciute. Per la prima opera, conservata nel convento di San Francesco di Lanciano per la pubblicazione della fotografia, ringraziamo per la squisita disponibilità Padre Fabrizio OFM Conv.


Felice Ciccarelli, Madonna col Bambino tra San Michele e San Bernardo. Convento di San Francesco, Lanciano. Foto Angelo Iocco.

Essa è una Madonna col Bambino con ai piedi San Michele arcangelo e San Bernardo. La tela necessiterebbe di un restauro, faceva parte dell’antica cappella di Sant’Angelo; ammirandola notiamo immediatamente delle affinità con la Madonna del Carmine dipinta dal Ciccarelli nella chiesa di San Rocco di Atessa, tra le opere più riuscite di questo pittore. Il San Michele invece è tratto dal quadro della Madonna con San Michele e San Giovanni presso la chiesa madre di San Giovanni in Rapino. Ciccarelli al posto della Madonna di Atessa che accenna un sorriso, qui ha realizzato una versione più seria e malinconica.


Le altre opere sono l’Immacolata Concezione, che il Ciccarelli realizzò per la chiesa di San Lorenzo in Rapino, e per la cappella del Duomo di Guardiagrele.

  

F. Ciccarelli, Madonna Immacolata come Regina degli Angeli, chiesa di San Lorenzo, Rapino. ID, Madonna Immacolata, Duomo di Guardiagrele.

Nella tela di Rapino la Madonna è al centro di una grande nuvola attorniata da angioletti, in un paesaggio botticelliano naturale con tempietti e cittadelle in una innaturale posizione prospettica, nel quadro guardiese invece la Madonna è racchiusa in una classica mandorla, sorretta da 4 angeli, mentre nel primo piano si vede la tomba vuota, e gli Apostoli che adorano il miracolo dell’Assunzione. Si notano somiglianze con il quadro della Madonna nella chiesa di San Francesco di Loreto Aprutino, e quanto a scene corali, esso è uno dei più belli realizzati da questo pittore.

9 luglio 2024

Fileno Cavacini, un sindaco e fotografo appassionato di Castel Frentano.

Fileno Cavacini con donna Anna Maria Cocco (1865-1935),
sua moglie, in posa, Castrel Frentano, archivio Marco Cavacini.

 

Fileno Cavacini, un sindaco e fotografo appassionato di Castel Frentano

di Angelo Iocco

Di recente il Comune di Castel Frentano ha ristrutturato una scalinata che da piazza della Chiesa, porta in via Orientale, dove sta la cosiddetta “frana”[1]e tale scalinata quasi completata, è stata dedicata a Fileno Cavacini (1855-1910) nell’anno 2023.

La scalinata sarà realizzata sul luogo occupato dal palazzo appartenuto al Cavacini e abbattuto a causa delle lesioni generate dalla frana del 1881 che sconvolse la parte orientale del paese, facendo perdere parte della cinta muraria, del piano della Porta Grande, e palazzi vari, compreso l’antico Municipio.


La frana di Castel Frentano, si vedono ancora le case crollate nell’area di Largo Chiesa-via Garibaldi-Largo Marconi; non esiste ancora il terrazzamento per la realizzazione di via Orientale.



Fileno Cavacini fu sindaco di Castel Frentano per la prima volta nel 1877, poco più che ventenne. Signorilmente buono e assai apprezzato dai suoi concittadini, nei tre mandati (1877-1883, 1892-1899, 1902-1905) si rivelò un oculato amministratore della cosa pubblica. Tra l’altro, fece restaurare la Casa municipale, impiantare un ufficio postale e telegrafico, costruire il camposanto, completare l’illuminazione pubblica, acquistare l’orologio pubblico collocato sul campanile.
Nell’anno della frana, 1881, che causò la distruzione della parte orientale del paese, Fileno Cavacini era sindaco. Fu in quella circostanza, come riportano le cronache dell’epoca, che egli si prodigò in maniera esemplare nell’aiutare coloro che avevano perso la casa o che si trovavano comunque in grande difficoltà a causa della frana.

Santuario dell’Assunto, lastra Polzinetti.



30 aprile 2024

Proverbi popolari d'Abruzzo - Detti del mese ad Orsogna.


Proverbi popolari  d'Abruzzo - Detti del mese ad Orsogna

di Angelo Iocco, Vittorio Pace

Quale paese in Abruzzo non ha i suoi detti popolari e proverbi? Vittorio Pace, presidente emerito dell’Associazione “Il Teatro di Plinio” di Orsogna, nel suo archivio ha raccolto diversi detti popolari, intervistando diverse anziane e signore, ricordandone alcuni anch’egli a memoria, che ha voluto raccogliere in un manoscritto che noi pubblichiamo, con sua cortese concessione. I proverbi sono svariati, e vanno dal gennaio, il mese più freddo, con la “neve d’acciaje”; a febbraio invece dal giorno della Candelora, si riesce a prevedere la fine dell’inverno (“quaranta jurne a lu tempe bbelle”), a marzo-aprile, se il tempo è asciutto, la primavera sarà fresca e senza piogge; a San Giovanni (24 giugno), le famiglia praticavano il rito della comparanza, cioè sceglievano il proprio compare, che non assumeva semplicemente il ruolo di compare di battesimo o testimone di nozze, ma era come un nuovo entrato nel clan familiare, che era riverito, dispensava consigli e soluzioni per i problemi, era un vero amico del cuore! Vittorio Pace ricorda che quando esisteva in Orsogna la chiesa di San Giovanni al belvedere orientale, distrutta nel 1947, le ragazze e i ragazzi facevano un giro tre volte attorno alle mura, entrando e riuscendo, e si scambiavano il ramoscello (lu ramajette) per giurarsi eterna fratellanza:

Compare e cummare,

pe’ San Giuvanne care,

lu bbene che te vujje

fino alla morte.

Compà, se tu ti’ caccose

Quelle è lu me’,

se ji tenghe caccòse,

quelle è lu te!

Compà, nen te staccà

Ca viè all’imbèrne!


26 gennaio 2024

Ludovico Teodoro, figlio del celebre Donato Teodoro di Chieti, le sue opere nel Duomo di San Leucio e altri Artisti abruzzesi di interesse nelle Chiese di Atessa.

Ludovico Teodoro, San Leucio nelle vesti di vescovo, con ai piedi il Dragone, Duomo di Atessa

Ludovico Teodoro, figlio del celebre Donato Teodoro di Chieti, le sue opere nel Duomo di San Leucio e altri Artisti abruzzesi di interesse nelle Chiese di Atessa

Prima Puntata

di Angelo Iocco

Poco si conosce di questo artista, figlio del celebre Donato Teodoro di Chieti[1], uno dei migliori che fu attivo nell’Abruzzo chietino e nel Molise, ma anche nell’area di San Benedetto del Tronto e del teramano (dipinse il soffitto della Collegiata di Campli), dagli anni ’30 agli anni ’50 del ‘700. Per vent’anni dominò la scena con altri colleghi spesso napoletani, come Ludovico De Majo, Francesco Solimena, Giovan Battista Spinelli. Fu sepolto a Chieti nella chiesa di San Domenico, andata demolita nel 1914 per costruire il palazzo della Provincia di Chieti. La lezione del Teodoro pare essere stata recepita anche in Atessa, benché non siano attestate sue opere nelle chiese. Un esempio è l’affresco della volta della sala grande del palazzo De Marco-Giannico, ex casa di riposo, in Largo Castello, la cui scena illustra al primo piano Ercole che combatte l’Idra di Lerna, e al centro il Giudizio di Paride con Giunone, Minerva e Venere con l’Amorino, e attorno nelle nuvole dell’Olimpo, figure femminili e Grazie. La scena, ripresa anche dalle stampe che circolavano in quei tempi, ricorda per la divisione in due scomparti,. Le due tele del Teodoro di Chieti (chiesa di Santa Maria della  Civitella) e Guardiagrele (chiesa di Santa Chiara) con il tema della Cacciata del Demonio e degli Angeli ribelli dal Paradiso.

Dal volume A. e D. Jovacchini, Per una storia di Atessa, Cassa di Risparmio, Atessa, 1993

Ludovico figlio di Donato, attivo nella seconda metà del Settecento, fu ugualmente pittore, e non dimenticò l’insegnamento paterno, apprezzava le grandi scene corali, spesso rintracciabili nei dipinti di Luca Giordano a Napoli, dove andò a formarsi, come fece suo padre; e non mancava sicuramente di avere una personale collezione di stampe, da cui traeva ispirazione per i suoi affreschi di ampio respiro. Al momento, pienamente attribuibile a Ludovico, sono la tela di San Leucio vescovo col dragone, presente nell’altare maggiore del Duomo di Atessa, firmato e datato 1779. Benché non firmate, mi sento di attribuirli anche le due tele laterali del coro dei Canonici, che ritraggono la Natività con la Sacra Famiglia, e l’Adorazione dei Pastori. Opere  un di gusto teodoriano per la ben costruita scenografia, anche se con le immancabili grossolane superfetazioni del Bravo, e i fondi oscuri tipici dell’ultimo Donato, di chiara derivazione tardo caravaggesca[2].

Anonimo, Annunciazione, chiesa della Santissima Annunziata, Civitaluparella, 1790.

il ciclo di pitture sulla volta centrale della stessa chiesa collegiata di Atessa, con scene bibliche del Vecchio Testamento. Purtroppo a causa di danneggiamenti, le pitture sono state rifatte in più punti di scadenti restauratori, rovinando completamente l’opera ad esempio nella prima scena:“Battaglia e Giuditta con la testa di Oloferne”, dove si vedono i pesanti ritocchi del Bravo. I tondi laterali la controfacciata con i Santi Principi Pietro e Paolo, pure sono di Ludovico Teodoro.

Il secondo riquadro: “David accoglie Saul vincitore contro Golia” è molto simile al quadro dipinto dal padre Donato che mostra la scena di “Davide con la testa di Golia davanti a Saul”, oggi conservata nel palazzo Martinetti-Bianchi di Chieti, oppure allo stesso soggetto per la volta della chiesa madre di Colledimezzo. La composizione del soggetto ha la stessa matrice, ma il risultato di Ludovico è più scadente. In parte è dovuto ai restauri di Ennio Bravo, che ha cambiato alcuni volti, in parte alla stanca ripetizione dei modelli, come il barbuto Saul sul trono che è impaurito dalla scena macabra, e il giovane David, che con la sua smorfia di sofferenza esprime quel mansuetismo, quasi senso di colpa per i propri trionfi, che accomuna diverse opere di Donato che abbiano questa peculiarità del Trionfo del Bene sul Male, quasi uno strizzare l’occhio al Davide con la testa di Golia del Caravaggio. Ma appunto, ciò non riguarda tutte le opere del Donato, basta riferirsi ai volti trionfanti di Giuditta con la testa di Oloferne nella chiesa di Sant’Agata di Chieti, o ad altri soggetti simili, come lo stesso tema nella cupoletta del santuario dell’Assunta di Castelfrentano, et similia.

Donato Teodoro, Incontro tra Salomone e la Regina di Saba, Museo d’arte “C. Barbella”, Chieti, foto M. Vaccaro per gentile concessione

La scena “Saul placato dall’arpa di David e l’Arca dell’Alleanza” si divide in tre momenti, sulla sinistra il coro di cantatrici con strumenti musicali, al centro Saul che suona l’arpa, a destra i sacerdoti e l’Arca.

Navata del Duomo di Atessa


Osserviamo le fotografie delle pitture della volta del Duomo.

1° dipinto: L. Teodoro, Giuditta e Oloferne, particolare

2° dipinto, Saul e David con la testa di Golia, particolare di David

3° dipinto: David suona l’arpa con l’Arca dell’Alleanza, veduta d’insieme e particolare


4° dipinto: Salomone e la Regina di Saba.

L’ultima scena “La Regina di Saba” ha moltissime somiglianze con il dipinto di Giacinto Diano che realizzerà nel 1788 ca. nella Basilica cattedrale di Lanciano, la matrice della stampa da cui i due pittori hanno attinto è la stessa. Anche qui notiamo l’esasperazione dei volti, l’abbruttimento dei tratto somatici dei sacerdoti e delle cariche ebraiche, nonché i lunghi nasi, gli occhi strabuzzati, i pizzetti appuntiti, i turbanti delle figure di religione islamica contro cui si scontrano gli ebrei. Le pennellate sono molto chiare, seppur Ludovico non riesca a eguagliare la grandezza paterna. Osservando queste pitture, ci viene in mente il primo Donato Teodoro, non ancora trentenne, che fu attivo nel cantiere del santuario dell’Assunta di Castel Frentano, con la controfacciata della “Cacciata dei mercanti dal Tempio”; le pennellate simili, i colori leggermente sbiaditi, l’affresco orale di personaggi che si intrecciano in un turbinio di azioni, di giravolte, di scene concitate che inducono al movimento, a riguardare più volte la scena per adocchiarne i particolari.

Ludovico nel Duomo dipinse anche i tondi laterali con le figure degli Apostoli, e delle tele applicate ai pilastri della navata maggiore del Duomo, con le scene della Via Crucis.

 

Altre opere d’arte a San Leucio

Nel Duomo. Il pulpito in legno è della bottega Mascio di Atessa.

NAVATA DI SINISTRA, altare di San Michele che sconfigge Lucifero, è brutta copia di Francesco De Benedictis[3] del quadro di Guido Reni (sia De Benedictis che il suo predecessore Giuliano Crognale di Castelfrentano ne sfornarono di queste orride copie del quadro di Guido Reni per le chiese del chietino!), che però forse avrà copiato dal suo maestro Nicola Ranieri, per il san Michele presente nell’altare maggiore della chiesa di sant’Antonio di Lanciano, o da una stampa del quadro di Reni che circolava molto facilmente tra i disegnatori dei suoi tempi.

2° altare: Santa Lucia martire, quadro moderno di Ennio Bravo[4]

A seguire. Statua di san Pietro seduto, del XVI secolo, in pietra, dall’atteggiamento meditativo.

3° altare di San Giuseppe in cammino col Bambino, dell’800, autore locale, della scuola di Giacomo Falcucci

4° altare di San Bartolomeo martirizzato, opera dello stesso autore del precedente San Giuseppe col Bambino

CAPOALTARE NAVATA SINISTRA A CAPPELLA:  nicchie con statue del Sacro Cuore, San Donato e Madonna Immacolata, bottega locale. Il soffitto è stato rifatto da Bravo con i soliti cassettoni e fioroni.

Nella nicchia di controfacciata della seconda navata di sinistra, c’è il busto di San Leucio in argento di scuola napoletana datato 1857, e la costola del drago.

Ritratto del Prevosto Giandomenico Maccafani, presso la Sagrestia

NAVATA DESTRA: a muro in controfacciata, tela dell’Ultima Cena, autore ignoto, ma forse Giacomo Falcucci o di un suo seguace.

Altari laterali:

1° altare di Sant’Anna con Maria Bambina, tela di F. De Benedictis, di poco interesse.

2° altare con Martirio di San Sebastiano, con ex voto, forse di Giacomo Falcucci[5], è classificato come di anonimo dell’800.

3° altare di San Martino in gloria, con i putti che reggono le spighe. Ignoto, forse questo è un altro dipinto ignoto di Ludovico Teodoro; la postura è identica alla tela di san Leucio nell’altare maggiore. Il Santo con il braccio destro benedice, con l’altro regge il Vangelo e il pastorale. Accanto due angeli che reggono fasci di spighe. Quasi sempre Martino vescovo ha in mano un grappolo d’uva e un fascio di spighe di grano, per ricordare il suo protettorato sulle messi. A san Martino si rivolgevano preghiere per un raccolto prospero di grano, uva ed altro. Questa iconografia è presente in diverse opere pittoriche e scultoree che ritraggono il Santo. I due angeli hanno i volti tipici delle figure di Donato Teodoro, che riutilizzò questi modelli per diverse altre sue pitture, specialmente quello dell’angelo di destra che è di profilo, riutilizzato nei servitori delle pitture di Castelfrentano, Lanciano, Chieti. Interessante è anche la veduta in prospettiva di Atessa, dietro il santo, dal lato di Vallaspra, sulla destra vediamo il Duomo, con parte della facciata antica, privata nel 1935 delle volute laterali baroccheggianti, un restauro che forse ha restituito un aspetto troppo “razionalista” all’antica facciata gotica, a giudicare il periodo storico in cui venne recuperata. Sulla sinistra vediamo le mura di Porta Sant’Antonio, con il chiostro dell’antico convento dei Cappuccini e poi delle Clarisse di San Giacinto, demolito negli anni ’60, di cui resta una porzione con degli archi, e la torre massiccia della chiesa di Santa Croce.

 

Ludovico Teodoro (?), San Martino in gloria, con paesaggio, Duomo di Atessa

13 novembre 2023

Filippo Santoleri, architetto orsognese dell’Ottocento.

Cimitero comunale di Orsogna

Filippo Santoleri, architetto orsognese dell’Ottocento

di Angelo Iocco

Pochissimi lo conoscono o hanno sentito parlare di lui. Come ho accennato in un altro articolo sull’ingegnere Giacomo Torrese di Canosa, vissuto qualche trentennio prima di lui, il Santoleri operò alla fine dell’800, nell’area di Orsogna e dintorni. Ingegnere fu, lo studioso Armando de Grandis ci ha riferito che restaurò la chiesetta di San Rocco fuori il paese di Crecchio, che si trovava esattamente nel piazzale di ingresso al castello De Riseis, andata purtroppo distrutta nella seconda guerra mondiale. La cappella in una foto storica si mostra rettangolare con abside semicircolare; gli interni furono restaurati alla maniera neoclassica, con i capitelli ionici, le paraste, e i tipici stilemi di questa corrente che in Abruzzo giunse abbastanza tardi, esattamente dopo l’Unità d’Italia, salvo sporadici episodi di committenze colte, mi viene in mente il monumento a Michele Bassi d’Alanno, signore di Carpineto Sinello, nella seconda cappella di sinistra della chiesa di San Giovanni dei Cappuccini in Chieti, dove appaiono evidenti segni della massoneria, l’occhio di Dio, l’angelo con la fiaccola capovolta il sarcofago alla greca, e tanti altri elementi. Tonando a Santoleri, non possiamo ammirare la chiesa di Crecchio che restaurò, ma possiamo ammirare i cimiteri comunali che egli progettò per i paesi di Orsogna[1], forse Arielli, non molto distante dal piccolo paese di provenienza, e infine quello di Castelfrentano, Come ricorda lo storico Matteo Del Nobile nel suo libro La Madonna della Selva a Castel Frentano (2021), all’epoca nonostante le precise disposizioni di Napoleone sulle sepolture, a Castelfrentano e dintorni si continuava comodamente a seppellire i defunti in fosse comuni, oppure i più abbienti, nelle varie chiese e cappelle, ei diversi ossari, rischiando di generare epidemie di colera.

Foto storica di Villa Cavacini, archivio Marco Cavacini


Nell’ultimo decennio dell’800 il sindaco Fileno Cavacini a Castelfrentano dispose la costruzione di un cimitero pubblico dietro il santuario dell’Assunta, e così fu, il progetto fu affidato all’architetto Santoleri, che realizzò uno dei cimiteri molto comuni nell’area del chietino, impianto rettangolare, con un grande viale di accesso, l’ingresso monumentale a tempietto greco con arco, oppure colonne di ordine dorico, e architrave a timpano triangolare. Pochi elementi di aggetto e di ornamento, la spartanità dell’architettura greca del sentimento neoclassico trionfa. Poco altro si sa su questo Santoleri, nella speranza che chi ne sappia più di noi, possa condurre un ricerca più approfondita. Stando a quello che ci riferisce Marco Cavacini (che ringraziamo in questa sede con grande affetto per averci concesso le fotografia dei progetti originali, nel suo archivio, della Villa Cavacini della contrada Selva), proprietario della storica villa Cavacini lungo il viale del santuario a Castelfrentano, pare che il Santoleri progettò anche questa seconda residenza dei Cavacini. Questa famiglia possedeva un palazzo con cappella privata nel centro storico in Largo Chiesa, quella porzione orientale che tuttavia a causa dell’erosione del fiume Feltrino, nel luglio 1881 franò a valle, ingoiano diverse case e palazzi, compreso il monumentale palazzo Cavacini con la cappella privata.

22 agosto 2023

La bottega di Nunzio e Antonio Ferrari da Guardiagrele.

Nunzio Ferrari, statua di Sant’Antonio abate, chiesa di San Rocco, Guardiagrele

La bottega di Nunzio e Antonio Ferrari da Guardiagrele
di Angelo Iocco

L’uno era il padre di don Filippo Ferrari, prevosto di Santa Maria Maggiore a Guardiagrele, l’altro lo zio. Don Filippo era nato nel 1867, e morì nel 1943, fu attivo nel parrocato della chiesa madre di Guardiagrele, e soprattutto nei primi del ‘900, produsse varie opere di carattere storico-divulgativo sulla storia della stessa chiesa, sulle opere di Nicola “Gallucci” da Guardiagrele, partecipò alla Mostra Regionale d’Arte Abruzzese di Chieti nel 1905, fece scavi archeologici nella necropoli italica di Comino vicino il paese, ma spesso fu tacciato di campanilismo, e di scrivere notizie false, o interpolazioni volute delle fonti per far risaltare maggiormente la sua patria. Avremo modo di interessarci di don Filippo, e delle sue indagini storico-archeologiche e delle sue travagliate vicende di istituire a Guardiagrele un museo civico-archeologico in altri articoli. Tornando ai fratelli Ferrari, erano parenti della famosa bottega di orafi Ferrari, che tanto lustro dette alla piccola Guardiagrele, e che ugualmente nel 1905 partecipò alla Mostra d’arte a Chieti con dei pezzi di vario gusto, e che furono recensiti anche in un numero del 1930 della serie “Città d’Abruzzo”, proprio nella monografia su Guardiagrele. Molto fini nella realizzazione della scultura lignea, in pietra e scagliola, i Ferrari realizzarono alcune statue nelle chiese del loro paese, ad esempio nella chiesa di San Rocco sotto il Duomo di Santa Maria, si conservano un Sant’Antonio abate e un San Rocco, di fine fattura, tanto da farle sembrare del XVIII sec. la loro produzione ben presto superò i confini provinciali, e la bottega sfornò statue per diverse chiese, anche a Sulmona, dove ci sono alcune figurine datate 1907; qui però notiamo come la plastica sia meno elaborata, e si riconosca che le opere siano dei prodotti moderni che cercano di imitare l’antico barocco, non eguagliando altri modelli leccesi, che nelle parrocchie minori abruzzesi erano sovente richieste in quei tempi.
Emigrarono in America, dove ebbero comunque modo di farsi valere con la loro arte. La bottega dei Ferrari si può inserire in quel contesto di revival della scultura plastica abruzzese dell’Ottocento che imitava i fasti del Barocco, a iniziare alla fine del Settecento con Luigi e Filippo Tenaglia di Orsogna, i quali trovarono nel chietino degni epigoni nella bottega Falcucci di Atessa.


Fratelli Ferrari, Sant’Ambrogio, statua della Basilica cattedrale di Lanciano, 1885

Presso gli eredi, come ricorda un numero del giornale guardiese “Aelion”, Piccola “Madonna della Pietà” in pietra. Tra le opere che maggiormente hanno caratterizzato in Abruzzo la loro produzione, ricordiamo quelle per la città principale del circondario del Sangro ovvero Lanciano; nel 1874 Nunzio Ferrari firma una statua di San Francesco Saverio che predica, per la cappella omonima della chiesa di Santa Lucia al Borgo, di bella fattura. Una tela coeva della “Predica di S. Francesco Saverio agli Indiani” fu realizzata da Francesco Paolo Palizzi per la chiesa di Santa Chiara. La devozione lancianese per questo santo, per San Filippo Neri e per San Pompilio Pirrotti, è dovuta proprio alla predicazione di quest’ultima tra Chieti e Lanciano, presso la famiglia Capretti del Borgo, il quale impiantò le Scuole Pie dell’Ordine degli Scolopi. Ecco spiegata la devozione del quartiere per San Francesco nella chiesa di Santa Lucia.

Nunzio Ferrari, San Francesco Saverio, chiesa di Santa Lucia, Lanciano, 1874

Altre opere di rilievo dei Ferrari in Lanciano, sono il gruppo delle quattro statue monumentali di Sant’Ambrogio, Sant’Anastasio, Sant’Agostino e San Girolamo, presso le nicchie della navata della Basilica cattedrale di Lanciano- già lo storico Luigi Renzetti, contemporaneo dei fratelli Ferrari, e testimone oculare del lavoro eseguito nel 1885, ne parlò nella sua monografia sul Santuario di Nostra Signora del Ponte, lodando la bella opera. Le statue sono severe, ricche di particolari, i quattro Dottori della Chiesa sono rappresentanti mentre leggono o redigono i loro famosi Scritti, Sant’Agostino guarda in alto, ispirato da Dio, San Girolamo è più grave, leggendo il suo cartiglio, con la testa canuta, sono figure che danno gravità e severità alla grande basilica rococò lancianese, e che danno testimonianza di come Guardiagrele sia sempre stato centro di arti orafe, scultoree, e pittoriche con la bottega di Nicola Ranieri.

6 agosto 2023

L’Album pittorico letterario abruzzese.

L’Album pittorico letterario abruzzese
di Angelo Iocco

Pagine dell’Album pittorico: entrata di Vittorio Emanuele a Pescara nel 1860, sul ponte di barche sul fiume


L’Album Pittorico e Letterario Abruzzese fu fondato da Francesco Vicoli di Chieti nel 1859. L’intenzione era quella di riportare in Abruzzo quel sentimento per la ricerca patria, avviato con Pasquale De Virgilii sempre a Chieti nel 1836, quando fondò il Giornale Abruzzese di lettere, scienze ed arti, in seguito trasferito a Napoli per problemi con l’Intendenza di Chieti circa le visioni politiche del De Virgilii. L’Album pittorico ebbe vita breve, nel 1860 a causa di problemi col governo borbonico chiuse; era stampato in città dalla Tip. Del Vecchio, storica stamperia di Chieti. Il diretto, Vicoli, era un valente patriota teatino, appassionato di letteratura, e promotore della causa dell’unità nazionale. Il fratello Luigi combatté in varie battaglie, e quando morì, fu sepolto nel cimitero monumentale di Chieti, e lo scultore Costantino Barbella gli realizzò la scultura granitica de “La Morte”, una delle sue opere più riuscite.
Al giornale collaborarono i maggiori intellettuali abruzzesi dell’epoca: Raffaele Del Ponte (1813-1872), pittore e incisore di Chieti, che realizzò i disegni, Angelo De Luca da Guardiagrele, già attivo presso il Giornale Abruzzese, Luigi e Francesco Vicoli, Ignazio De Innocentiis da Orsogna, Gianfedele Cianci poeta orsognese, Francescopaolo Ranieri da Guardiagrele, Clemente de Caesaris politico, poeta e oratore di Penne che fu coinvolto nei moti antiborbonici pennesi del 1837, e che combatterà strenuamente per la causa italiana nelle carceri della Fortezza di Pescara. A seguire Gabriello Cherubini , De Stephanis, Panfilo Serafini da Sulmona, Antonio De Nino, Angelo Leosini da Aquila con numerosi articoli riguardanti l’arte e la storia del circondario amiternino.

2 luglio 2023

Camillo De Nardis: festeggiato a Orsogna per gli 80 anni nel 1937, un viaggio tra le sue composizioni abruzzesi.

 

Camillo De Nardis: festeggiato a Orsogna per gli 80 anni nel 1937, un viaggio tra le sue composizioni abruzzesi.

di Angelo Iocco

Il 18 agosto 1937 l’OND di Orsogna volle omaggiare il suo amato figlio Camillo De Nardis con una rassegna musicale in suo onore, per celebrarne gli 80 anni. Immancabilmente l’On. Raffaele Paolucci si prodigò per rendere memorabile l’audizione, organizzando il tutto. Furono scelti treni speciali della ferrovia Sangritana per arrivare alla diramazione della stazione di Orsogna, per l’orchestra fu scelto il M° A. Marchesini, soprano I. Monsalvato, tenore P. Scarlata, maestro al piano F. Pinzacconi per il programma lirico, mentre il Gruppo corale OND di Orsogna, che più avanti sarà intitolato “La figlia di Jorio”, si occupò di eseguire i canti abruzzesi del De Nardis.

Il programma lirico prevedeva l’esecuzione delle Scene Abruzzesi 1.o Suite per Orchestra del M.o Camillo De Nardis, Bari, [1901-1910] in II Suite, il Giudizio Universale, poema sinfonico, 1911: Overture Eroica, con didascalia di Raffaele Paolucci. 

Spendiamo qualche parola su questo omaggio del M° De Nardis alla sua terra d’Abruzzo con le Scene Abruzzesi.

Il Coro OND di Orsogna, nel giardino di Villa Cucchiarelli, Orsogna, anni ‘20

14 maggio 2023

Storia critica della sagra dei Talami di Orsogna e le sue edizioni dal 1900 a oggi.

Immagine storica dell’affresco del XV sec. della Madonna Nera, presso la distrutta chiesa della Madonna del Riparo di Orsogna.
Archivio Associazione “I Talami – Quadri biblici viventi”, Orsogna.

Storia critica  della sagra dei Talami di Orsogna e le sue edizioni dal 1900 a oggi.

di Angelo Iocco

È una festa ormai Patrimonio Nazionale, che segna la conclusione del Periodo della Passione, che si chiude con la celebrazione del Corpus Domini. A Orsogna fino ai primi anni 200 le infiorate per le stradine e le grandi strade del paese erano rinomate, le devote coglievano i petali dei diversi tipi di fiori, e tessevano il ricamo e il disegno sacro! Oggi purtroppo tutto dimenticato…..La festa dei Talami si celebra il Martedì in Albis, qualche anno fa si propose il Lunedì di Pasqua per venire incontro ai vacanzieri di turno e agli emigranti che tornavano per le feste. È una festa che simboleggia la rinascita di Cristo, profanamente la rinascita della vita e della natura dopo l’inverno, con la festa per la Madonna e la festa di ringraziamento per il risorgere della vita, del grano, della fertilità! Quanti ricordi ci ispirano questa cerimonia, ci riportano al tempo dell’infanzia, quando presso le scuole secondarie di I grado illustravamo i pannelloni in compensato, li squadravamo, tracciavamo il disegno della scenografia del soggetto biblico da illustrare, e coloravamo, dipingevano, poi dalle brave sarte del quartiere ci facevamo cucire su misura i vestiti variopinti per essere ora un pastore, ora il figliol prodigo, ora il Re, ora il Faraone, ora il mendicante, ora il Sommo Sacerdote, ora Ester, ora la Madonnina! Tutta Orsogna partecipa attivamente con somma gioia a questa festa!

Le origini sono solitamente fatte risalire al Medioevo, tempo delle grandi rappresentazioni teatrali sacre. Il tavolato della chiesa dove si svolgevano le rappresentazioni, presso il muro che separava il tramezzo dal coro, era chiamato “tabularium” e poi talamo e il D’Ancona nei suoi scritti sull’antico teatro sacro, fa diverse menzioni di rappresentazioni inscenate nel talamo. La Sacra Rappresentazione nacque a Firenze nel XIV secolo, proprio come senso vero di rappresentazione teatrale scenica, con rappresentazioni simboliche dei martiri dei Santi, delle scene della Vita di Gesù e della Madonna; questa tradizione si spostò naturalmente in Umbria, dove abbiamo diverse esemplari di Laudi, fino a raggiungere, attraverso la via per Napoli, l’Abruzzo aquilano. Il De Bartholomaeis studiò gli antichi testi delle Laudi e Sermoni in volgare aquilano abruzzese di questi tempi, incentrati sui pianti della Madonna per la morte di Gesù, o su racconti delle vite dei Santi, si ricordano quelli di Sant’Antonio abate, San Giuliano amico di Frate Giovanni da Capestrano, di Santa Caterina martire opera di Buccio di Ranallo,ecc.

Pio Costantini in un suo saggio sulla Madonna di Orsogna, ricorda le origini della chiesa distrutta della Madonna del Rifugio, monumento-simulacro assente da anni nella memoria collettiva e nella fisicità del tessuto urbano orsognese, ma simbolo di una tradizione che non muore, nemmeno nell’assenza del monumento-simulacro stesso, oggetto del culto, in quanto i carri dei Talami sono ben tangibili visivamente-tatticamente, mentre sfilano per il paese, così come la statua della Madonna, ricostruita a imitazione dell’antico affresco, e conservata nella chiesa parrocchiale.

Prima di parlare del tentativo di riportare la festa come doveva esserlo prima della guerra, almeno nei primi anni del ‘900, da parte del Prof. Stoppa, ricordiamo come anche Costantini, a guerra terminata, si chiedesse come mai il simulacro della Madonna, sulla scorta delle fotografie esistenti, non venisse ricostruito e esposto magari nella chiesa di San Rocco. Un Simulacro nel 2016 fu realizzato, ristampando su gonfalone la fotografia in bianco e nero della Madonna, ma a causa di screzi vari con l’Organizzazione, oggi il progetto di Stoppa a Orsogna è naufragato, e si esegue il rito canonico della Festa, che più avanti descriveremo. Costantini cita l’antico codice degli Statuti della Bagliva di Orsogna del XIV secolo, dove si parla della chiesa di Santa Maria dei Raccomandati o della Fraterna, e quindi ne deduce che la chiesa in quei tempi già esistesse, proprio presso la rupe del piazzale Belvedere che guarda verso la Majella; ma già all’epoca si svolgeva questo antico rito dei Talami? Impossibile dirlo, in assenza di documenti; anche perché Costantini nel parlare degli Statuti, menziona un’aggiunta del XVI-XVII secolo; dunque ci spostiamo all’epoca del tardo Rinascimento, all’epoca delle riforme del culto col Concilio di Trento, all’epoca del fiorire di diverse Confraternite e nuovi ordini religiosi come i Camilliani, i Paolotti, i Gesuiti, gli Oratoriani, gli Scolopi, nati per desiderio della Santa Chiesa nel tentativo di ripascimento della Fede Cattolica dalle ondate protestanti.

Anche Orsogna dunque ebbe la sua sede confraternale nella chiesa della Madonna, di gestione die Padri Paolotti, e dunque nella metà del ‘500, con la devozione per la Madonna e per l’affresco conservato nella chiesa, nacque la Festa dei Talami? O magari la devozione man mano con gli anni, si radicò così tanto presso il popolo, da organizzare delle esposizioni teatrali di gusto medievale, fino alla cristallizzazione del rito processionale, con la sagra dei Talami che oggi conosciamo? Ancora difficile dirlo con certezza! A nostro avviso, ma è solo mera ipotesi, sulla base di confronti con altri pellegrinaggi dei devoti coi ceri alla Madonna in Abruzzo, ad esempio per la Madonna della Libera di Pratola, per la Madonna di Casalbordino, per la Madonna delle Grazie di Francavilla, per la Madonna Addolorata di Pescara, per la Madonna della Selva di Castelfrentano, per la Madonna di Roio all’Aquila ecc., i pellegrini delle contrade orsognesi, come descritto da Finamore e da Simeoni, giungevano a piedi al sagrato della chiesa per il rito di adorazione, e come ricorda il Costantini nel giorno della festa, di incubazione. Infatti era credenza presso il volgo di fare tante preghiere alla Madonna la notte prima della festa, poiché allo spuntare del dì, il raggio di sole avrebbe colpito il volto dell’affresco, e la Madonna avrebbe mosso gli occhi!

Questo affresco già citato oggi è andato perduto insieme a tutta la chiesa, risale a prima del XVI secolo, almeno al 1400, tempo in cui la chiesa era citata nei documenti come di Santa Maria. Un affresco che mostra la Vergine Nera, sulla base delle tradizioni bizantine, attorniata da Angeli e da piccoli fedeli, dipinti appositamente, come nella tradizione bizantina e romanica, in scala minore rispetto alla grandezza della Vergine, del Santo o del Cristo trionfante. Il vestito è tutto dorato e trapunto, altra caratteristica bizantina. Cogli anni, il culto della Madonna Nera si tramutò nella Madonna Bianca; la chiesa al tempo era sotto la parrocchia di San Giovanni nell’omonimo rione, chiesa purtroppo andate perduta anch’essa, per le sciagurate ricostruzioni e demolizioni post-belliche del 1948. Costantini dice che il culto della Madonna era così forte che perfino la famiglia Colonna, feudataria di Orsogna per secoli, fece realizzare una copia dell’affresco in una sala del loro palazzo-castello sulla Piazza. Manco a dirlo, anche il castello colla guerra, e nelle ricostruzioni, andò completamente distrutto!