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22 ottobre 2023

Decoroso Sigismondi, prefetto e patriota abruzzese.



Decoroso Sigismondi, prefetto e patriota abruzzese

di Geremia Mancini

Decoroso SIGISMONDI, “il patriota abruzzese”, fu Prefetto di numerose importanti città. Si trovò a fronteggiare il fenomeno del cosiddetto “brigantaggio”. 
Animato da spirito liberale fu caro amico di Silvio Spaventa. 
Era nato a Bomba nel 1817.

Decoroso SIGISMONDI nacque a Bomba (CH), il 15 aprile 1817, da Don Rosario Sigismondi (quarantaquattrenne “dottore fisico) e da Donna Giustina D’Intino (quarantenne). 
L’atto di nascita fu registrato dinanzi a Berardino Daniele l’allora Sindaco di Bomba. Dopo la laurea in giurisprudenza, Decoroso Sigismondi, scelse la carriera prefettizia. 
Nel 1860 fu Sottointendente nella provincia di Chieti dove risultano svariate sue iniziative. 
Nel 1861 fu Segretario Generale del Governo di Teramo e poi nominato governatore della stessa provincia. Il 16 luglio del 1861 fu nominato dalla Luogotenenza governatore di Calabria e successivamente, il 10 ottobre del 1861, nominato Prefetto di Catanzaro. 
Successivamente dal 23 marzo 1862 al 20 settembre del 1863 fu prefetto di Benevento. 
A seguire divenne Prefetto di Calabria Ultra 1° e Prefetto di Reggio Calabria (dal 20 settembre 1863 al 1 giugno 1865). 
Gli arrivò poi, il 1 giugno 1865, la nomina a Prefetto del Principato Citra – Salerno dove rimase fino al 13 ottobre del 1866. 
A Salerno vi furono vicende, contestate, che portarono alla sua sostituzione. Decoroso Sigismondi fu nominato Prefetto di Sondrio dove rimase fino al 17 novembre 1867. Infine Prefetto di Lucca fino al 19 novembre 1868 quando fu collocato in aspettativa per motivi di salute. 
Fu caro amico di Silvio Spaventa e assai stimato dall’allora Ministro Marco Minghetti che lo chiamava “il patriota abruzzese”. 
Collaborò ad un progetto di “alfabetizzazione” promosso dall’allora Ministro della pubblica Istruzione Giuseppe Natoli Gongora (Barone di Scaliti). 
Decoroso Sigismondi morì il 18 ottobre del 1870.
Foto: divisa prefettizia dell'epoca

26 ottobre 2022

Storie di streghe in Abruzzo.

Storie di streghe in Abruzzo


Spulciando negli archivi storici diocesani come quelli di Stato di Chieti, L’Aquila e Napoli, due ricercatori hanno ricostruito fatti, trascritto testimonianze, recuperato atti processuali: dando nome e cognome alle streghe e ai maghi dell’epoca, nonché ai loro persecutori.
"In Abruzzo - avvertono i due autori - non operano tribunali inquisitoriali. Furono pertanto i vescovi ad intervenire nei confronti delle stregonerie, delle angherie e dei sortilegi, spesso agendo in modo autonomo, ma a volte, nei casi più delicati, sotto la direzione della Congregazione romana del Sant'Uffizio”.
Il primo rogo multiplo fu quello di Penne, nel 1584. Un lungo processo per stregoneria, sollecitato dalla dispotica Margherita d’Austria, figlia dell’imperatore Carlo V e moglie del duca di Parma Ottavio Farnese. E’ proprio in alcune lettere al vescovo scritte da Margherita, feudataria anche in questo lembo d’Abruzzo, che si fa accenno ai “diavoli di Penne”: Cristina Malospirito, Caltelmo della Corvara, Annibale di Montegallo e “altri complici forestieri incantatori”. Finiti tutti sul rogo, e “incenerati”. Non uno dei piccoli paesi dell’Abruzzo si salvò da allora in poi dal sospetto e dal lutto. Come in ogni parte dell’Europa cattolica e protestante, il delirio collettivo contagiò prelati e nobili, popolani e curati, giovani donne e vecchie. Sortilegi e patti con il diavolo si registrano, atti alla mano, a Villa San Giovanni come a Tagliacozzo, a Città Sant’Angelo come a Teramo, a Chieti come a Giulianova. Ma forse è la storia di Orsolina Di Pasquale, la più emblematica di tutte. Anno di grazia 1612, in quel di Miano.

 


Orsolina: “fama trista”, secondo i testimoni del processo, è meretrice, perché aveva partorito più volte senza aver mai avuto marito. Orsolina, che conosce i segreti delle erbe, ha una figlia da mantenere, e forse si è procurata qualche aborto, in quella situazione di degrado e miseria. Orsolina, che è sempre pronta ad accudire gli alti, compresa Francesca, “spiritata da un anno”. Le basta sussurrarle poche parole all’orecchio, e la donna si acquieta. Lo fa davanti a tutti, Orsolina. Non va forse in chiesa ogni domenica a recitare le orazioni? Ma le crisi di Francesca, qualche tempo dopo, riprendono più forti di prima. E’ un maleficio! Orsolina si ritrova ad essere accusata di stregoneria da un giorno all’altro. Viene chiusa in carcere, processata, invano si proclama innocente. Spiega che le parole dette erano quelle pronunciate dal prete a messa (“Adoremus te, Criste”). Che non saprebbe nemmeno tradurre, ma che certo non possono far male. Ammonita dal vescovo ad abbandonare “sotterfugi e menzogna” e a confessare la verità, Orsolina non ritratta. Non ha fatto nulla di male. Viene torturata: spogliata, legata e tirata con la fune (“elevata”). Ma dalla sua bocca non escono che lamenti e preghiere, non nomi di diabolici complici. E’ rimandata in carcere. E mesi dopo, condannata. Non al rogo, ma “a stare in ginocchio con un cero in mano davanti alla porta della cattedrale di Teramo un giorno festivo, mentre si celebra la messa, e all’esilio da Miano e da tutta la diocesi di Teramo per un anno”.

Strega Melinda

L’ultimo identikit della strega abruzzese l’ha forse tracciato lo scrittore Dino Buzzati che, in cerca dell’Italia misteriosa per i suoi reportage sul “Corriere della sera”, si è fermato a Teramo nel 1965 ed ha avuto dal suo amico Franco Manocchia le informazioni sulla “strega Melinda”, morta a 93 anni, tre anni prima nella sua casupola in uno sperduto paese di povera gente sul piedistallo del Gran Sasso”. Sedotta e abbandonata a 15 anni da un giovanotto di Penne partito militare, Melinda prepara la sua prima fattura, appresa da una “commara”, con una ciocca dei suoi capelli, un bottone del suo corpetto e un pezzo di stoffa imbevuto del suo sangue mestruale, lasciandola sul letto per il ritorno dal fronte del seduttore; la fattura colpisce a segno, ma il giovane riparte e muore in guerra. Inizia così la sua vita miserabile con due piccoli da sfamare, decide di darsi alle arti magiche e va ad apprendere da un magarone di Forcella il mestiere di fare le fatture buone e da un altro di Montepradone, in provincia di Ascoli Piceno, quelle cattive. Così Melinda, strega per nascita ma anche per miseria, per oltre 70 anni, odiata e temuta dalla gente, vive facendo i suoi sortilegi, senza tariffe per le fatture buone, accontentandosi di quanto il cliente dava a volontà, qualche carta da cento lire, un mazzo d’agli, chiedendo anche mezzo maiale di compenso per le fatture a male. Una vita miserevole e triste che spinge i due figli, appena giovani, ad emigrare e a non dare più notizie alla madre, che conduce la sua vita “applicando l’antico codice della stregoneria locale tramandato a voce di strega in strega: una che sa benissimo quando fa il bene e quando fa il male, che non si illude e sa di non poter evitare l’inferno. C’è per lei una sola salvezza: se al momento della morte, quando in diavolo aspetta alla porta, qualcuno apre un buco nel tetto per dove l’anima possa fuggire”. E… sembra proprio che qualcuno abbia fatto il buco nel tetto alla sua morte! Melinda ha fatto migliaia di fatture, per far impazzire d’amore trafiggendo con spilli e chiodi le fotografie o preparando “polverine” con erbe speciali da versare nel caffè delle vittime, o trasferendo una malattia da una persona all’altra, ma anche opere buone, vivendo sempre sola ed evitando ogni anno di farsi vedere per la messa di natale perché sarebbe finita sicuramente ammazzata… La sua storia è emblematica di tutti i racconti di streghe ed folklore abruzzese.

Angela Occhio d’Vrocca

Questa storia è tratta da un vero e proprio processo per magia contro la “notoria maga, strega e fattucchiera Angela alias occhio di vrocca, autrice di malie contro certo Ignazio Rapattuni, ex amante della figlia Giovanna, il quale da “sette anni circa si ritrova malato stroppio dentro d’un fondo di letto” e diverse volte aveva minacciato la strega di denunciarla al santo Ufficio se non avesse guastato la fattura o lo avesse reso libero, ottenendo solo promesse non mantenute. Alla fine il povero Rapattuni, “più travagliato che mai”, e dopo che la fattucchiera gli ha fatto intendere “che mai sarrà che vogli guastargli detta malia e che morirà esso supplicante dato al demonio”, denunzia tutto al Commissario del Santo Ufficio, invocandolo “in visceribus christi” di prendere a cuore il suo caso e di punire la strega. I fatti sono accaduti a Chieti dal1661 al 1668, anno in cui, il 3 dicembre, c’è la supplica di Rapattuni corredata, però, dai verbali degli interrogatori di alcuni testimoni, avvenuti tutti nell’agosto precedente, che occupano 9 delle 11 carte di cui si compone il documento. I testimoni, quasi tutti vicini di casa, sono Giuseppe Celentani, Antonio della Tucca alias Lanuto, Pasquale Cinquina con la moglie Geronima, Tonto di Caramanico con la moglie, Domenico Roccioli, Vegilia Centobeni, Angela Dolce Canto, e concordano nei particolari riportati nelle testimonianze. Inizia Giuseppe Celentani, risedente a Chieti, vicino a casa di Angela occhio di vrocca (cioè occhio di gallina) nei pressi di “Porta Pescara”, di cui dichiara di aver sentito in giro che è una “malissima donna e tiene nome di pubblica fattucchiera e donna di malissimo vita… che cel’ habbia fatta (la fattura) per cause che detto Ignatio conosceva carnalmente detta Giovanna sua figlia e perché sempre bastonava e maltrattava essa Angela…”.
Il Cementai dichiara anche di aver ricevuto l’incarico dal Rapattuni di intercedere presso Angela perché sciogliesse la fattura; la donna promise di interessarsene una sua amica schiavona capace di queste operazioni magiche, ma questa nel frattempo era morta e perciò non se ne fece nulla. Le altre testimonianze concordano tutte con questa versione: Rapattuni era immobilizzato a letto per una fattura di Angela la quale si era così voluta vendicare dei maltrattamenti subiti e perché, a causa dei litigi, egli aveva anche lasciato la figlia Giovanna, sua amante; quest’ultima era stata sentita da più d’uno rimproverare alla madre di aver affatturato il suo amante. Il fascicoletto intitolato “Inquisizione di stregoneria contro Angela della occhio di vrocca di Chieti, 1668”, non aggiunge altro ai verbali delle testimonianze che spesso parlano dell’inquisita come di famosa fattucchiera e “per la gente e fra la gente della città di Chieti” si diceva pubblicamente della fattura che teneva immobilizzato il povero Rapattuni. Si è svolto il processo? E’ stata condannata la strega oppure è nel frattempo deceduta, per cui non si è più potuto procedere? E l’affatturato, per quanto tempo ancora è rimasto paralizzato sotto gli effetti della malia? Nessuno lo saprà mai, a meno che non vengano trovate altre carte successive a quelle della fase istruttoria, se ve ne uno. Un fatto è certo: Angela non doveva essere una donna morigerata, ma….. le capacità stregonesche le venivano attribuite, probabilmente, perché aveva gli occhi simili a quelli della gallina.



Seguono una serie di testimonianze raccolte sulla stregoneria in Abruzzo:

Antonio Anello n.1923 Atri (TE)

Una ragazza strega, una notte, andò a trovare il suo fidanzato che, sentito il vento vicino al letto, prese il coltello e colpì nell’aria e apparve la ragazza tutta nuda, nuda. Il ragazzo chiamò il padre e la madre, la vestirono con dei panni di casa e la riportarono a casa sua. Da quel giorno non tornò più strega perché con la goccia di sangue dalla marcatura se ne era andata la virtù.

Leonello Di Nardo n.1928 Bucchianico (CH)

Mia cugina era nata la notte di Natale e, per questo, dall’età di due anni, certe notti spariva; se la venivano a prendere le streghe. Questo è successo, finchè non l’hanno marcata con un ago arroventato; è stata la levatrice a farlo, sotto il piede sinistro, le fece uscire un po’ di sangue; così la bambina perse quella virtù e non uscì più la notte con quella compagnia. Allo stesso orario in cui spariva la bambina, spariva anche il cavallo di un vicino di casa; forse serviva per portare lei.

Santina Astrologo n.1925 San Valentino (PE)

Una donna, tutte le mattine, ritrovava la tela tessuta: allora per vedere se era qualche strega a tesserla, la notte appresso, prese uno spiedo e lo arroventò nel fuoco. Quando, a una certa ora ha sentito il telaio tessere, fece passare quel ferro per un buco che era nel muro, giusto nella direzione della spola, così colpì la mano della strega, la “marcò”; come è uscito un pò di sangue, apparve una bellissima ragazza (perché prima era invisibile) che disse: “Povera veneziana, sono venuta tanto di lontano; chi mi riporta alla Venezia mia?”

Maria Di Pompeo n.1960 Castel del monte (AQ)

Tutte le notti, una donna sentiva il telaio lavorare su e giù nella stalla; il giorno appresso, mise un segno sulla tela e, quando la mattina dopo tornò a vedere, lo trovò cresciuta. Raccontò il fatto al marito e fecero un buco nel muro per vedere chi era che tesseva la notte. Andarono a dormire, ma, a un certo punto arriva una donna che accende il lume, si siede e comincia a tessere. Allora, quelli prendono un ferro, lo arroventano e la colpiscono sulla man, esce il sangue e questa si mette a dire: “Povera giovane di Perugina, povera giovane di Perugina!”. Allora, la moglie e marito scendono sotto e si fanno dire dove abitava e di chi era figlia e così la mattina dopo la riportarono a casa sua: il padre per la contentezza che gli avevano “salvato” la figlia, gli fece per regalo un sacchetto pieno di marenghi d’oro.

Raffaele D’Onofrio, n.1928 Vacri (CH)

Una bambina di sei, sette anni, veniva portata in giro la notte dagli stregoni perché era nata “vestita” (e la mamma la “camicia” l’aveva conservata). Allora, la gente disse alla mamma che quando sentiva la bambina strillare perché se la venivano a pigliar, lei con un ferro arroventato la doveva “marcare” per farla uscire un po’ di sangue, così non ci poteva andare più, perché perdeva quella virtù. La mamma così fece, però gli stregoni per dispetto fecero ammalare la bambina e, per guarirla la dovettero portare da diverse “magare”.

Pasquale Di Girolamo, n.1931 Carpineto Nora (PE)

Un pastore, in montagna era sempre seguito da una gatta che gli andava dietro dietro; improvvisamente appariva e spariva, gli miagolava, non si capiva che voleva; finché un giorno, il pastore prese il coltello e le fece uscire un po’ di sangue; allora, gli apparve la fidanzata che lo ringraziò per avergli levato il “destino di strega”.

Ernestina Nelli, n.1905 Bomba (CH)

Una donna che conoscevo aveva una bambina che veniva sempre disturbata da qualche strega; in questo modo a questa poverina erano già morti tre o quattro figli. Allora, fece la veglia per nove notti vicino alla culla, finché entrò in casa una gatta (quella era la strega), la prese e la fece “nera di botte”, come si insanguinò ridiventò una persona, una donna normale (che pure conosceva, era dello stesso paese), questa se ne scappò fuori e così la bambina fu salva.

Testi tratti da:

- “Le superstizioni degli Abruzzesi” di Emiliano Giancristofaro

-Opuscolo informativo “Streghe: dramma, emozione, turbamento in un mondo che ci appartiene” di Franco Di Silverio.

  

Da:  http://portalecultura.egov.regione.abruzzo.it/abruzzocultura/data//Abruzzesi%20illustri/Storie_di_streghe_in_Abruzzo.pdf

https://www.academia.edu/3847567/Storie_di_streghe_in_Abruzzo?email_work_card=thumbnail

16 ottobre 2022

Le pitture dei Bravo di Atessa.

Ettore Bravo, Incredulità di San Tommaso, chiesa madre di Perano
 
Le pitture dei Bravo di Atessa

di Angelo Iocco

Dopo il periodo glorioso dei Falcucci, scultori di statue per le chiese e congreghe attivi tra ‘800 e primo decennio del ‘900, Atessa ebbe un’altra bottega, certamente minore, e forse anche in vari aspetti scadente, ma che ebbe successo presso le parrocchie dei piccoli paesi del chietino. 
Il capostipite fu Pasquale Bravo, attivo tra fine ‘800 e primi anni del ‘900, restauratore di statue, e costruttore di nuovi simulacri per devozione popolare, e per commissione. Come artigiano è riconoscibile per il suo gusto kitch, per usare un eufemismo; nell’area tra le contrade di Atessa, Paglieta, Casalanguida, vediamo statuette di San Vincenzo Ferrere e Sant’Antonio abate realizzate per devozione popolare, datate tra il 1910 e il 1911. C’è veramente poco da dire sulla realizzazione plastica, sul volto rotondo come una palla da ping pong, sugli occhietti appena accennati, oscuri e anonimi come le oscure sfere dei buchi oculari di un pescecane! Il problema di Pasquale Bravo senior, come è stato rilevato, fu che venne chiamato a ristrutturare delle statue antiche, oltre a costruirne di nuove, e alcune le rovinò irrimediabilmente, come nel caso delle statue della chiesetta dei Santi Vincenzo e Silvestro in contrada Montemarcone di Atessa. Restaurò anche delle belle statue dei Falcucci, grattandone via il colore, oppure massacrando con del beverone di stucco la statua della Beata Vergine Maria della Selva nel santuario dell’Assunta di Castel Frentano, risalente al XIV sec. Statua fortunatamente restaurata di recente. 
Ennio Bravo, cugino di Gennaro, figlio di Pasquale, continuò l’attività, dedicandosi soprattutto alla pittura per le chiese, a realizzare quadri o pitture murali, o anche nell’ultima fase, negli anni ’80, statue intagliate da Gennaro. 
Pasquale Bravo, se è considerato bocciato nella scultura, nell’ultima fase della vita, quando dipinse negli anni ’30 e ’40, raggiunse un livello almeno mediocre. I suoi soggetti erano ispirati al gusto neoclassico, ma un neoclassicismo esageratamente illuminato, tipicamente tardo ottocentesco, delle stampe devozionali che andavano girando per i santuari. I dettagli non sono molto precisi, le figure sembrano statiche e senza tridimensionalità, gli occhi noiosamente rivolti sempre verso l’alto in contemplazione, senza originalità. Non c’è chiesa di Atessa che non abbia qualche suo quadro, la chiesa dell’Addolorata, il Duomo, secondo altare di sinistra nella terza navata, frutto dell’ampliamento ottocentesco dell’impianto, la chiesa di Santa Croce, la chiesa della Madonna della Cintura, la chiesa di San Rocco, con una brutta copia del quadro seicentesco di Felice Ciccarelli atessano, della Beata Vergine del Carmelo. E anche nei dintorni di Atessa Pasquale dipinse, ora a Perano per la chiesa madre, producendo altre due tele devozionali per i lati dell’altare maggiore, ad Archi, a Montazzoli, a Tornareccio, e si spinse anche in qualche altro paese della media valle del Sangro, come Bomba o Villa Santa Maria. 
I figli Pasquale ed Ettore Bravo, attivi negli anni ’20 e ’50, continuarono l’attività paterna, estendendo il campo alla pittura murale, a volte riempiendo letteralmente la chiesa di loro opere. Non si scostarono molto dal soggetto di scene bibliche corali, dalle tinte molto chiare, di quell’inconfondibile gusto roseo, quasi da chiesa Mormonista, ossia uno stile falso-antico, che in Abruzzo continuava ad essere riproposto anche in epoca di trasformazioni artistiche nel secondo dopoguerra (si vedano i cantieri religiosi di Pescara, si vedano le pitture di Peppe Candeloro a Lanciano, in cui lui “trasponeva il classico nel contemporaneo” sulla base del modello di Michelangelo), e che verrà spazzato via qualche decennio dopo. I fratelli Bravo furono attivi in quelle chiese che o erano prive di arredi sacri a causa della povertà, o che erano state appena ricostruite dopo le distruzioni belliche. La loro opera più interessante è il cantiere della chiesa madre di San Nicola di Orsogna, appena rinata dalle ceneri della furia devastatrice dei cannoni e dei mortai. La chiesa è un tipico esempio di ricostruzione ex novo del Genio Civile di Chieti, un falso antico, completata nel 1952, come recita una iscrizione appena entrati, a monito e memoria. 

Orsogna, chiesa di S.Nicola, catino absidale con dipinti dei Fratelli Bravo, 1952 c.

I Bravo furono chiamati a indorare il catino absidale, mostrando la scena dell’Agnus Dei, di Cristo che è l’Alfa e l’Omega, con il Sacrificio dell’Agnello, e sullo sfondo la città di Gerusalemme. Anche la seconda delle due cupole della navata unica, fu dipinta dai Bravo, con scene bibliche dell’Antico e Nuovo Testamento, e ai quattro pennacchi, il solito Tetramorfo degli Evangelisti; un lavoro però realizzato abbastanza bene, che verrà ricordato. 
Ennio Bravo, che lavorò in proprio, è il migliore della famiglia nel disegno, è l’unico che fa assumere espressione e gravità ai suoi soggetti, tra i più belli, il San Tommaso della chiesa matrice di Perano. 
Gennaro continuò l’attività dei Bravo, scolpendo e dipingendo statue, di fattura appena sufficiente, e sarà lui il maestro del pittore di Atessa che attualmente la rappresenta, il prof. Gaetano Minale di Agnone.

Mosè e il vitello d’oro, Fratelli Bravo, chiesa di San Nicola, Orsogna

Caino uccide Abele, Fratelli Bravo, chiesa di San Nicola, Orsogna



Il sogno di Giacobbe, Fratelli Bravo, chiesa di San Nicola, Orsogna



Mosè  e i 10 Comandamenti, Fratelli Bravo, chiesa di San Nicola, Orsogna


La bottega Bravo di Atessa
Da: Abruzzo Forte e Gentile 95

25 novembre 2021

Angelo Iocco, Felice Ciccarelli dell’Atessa, pittore abruzzese del manierismo.

Madonna col Bambino, chiesa di San Rocco, Atessa
 
Felice Ciccarelli dell’Atessa, pittore abruzzese del manierismo
di Angelo Iocco

Di Felice Ciccarelli nato in Atessa in Abruzzo Citeriore, vissuto tra la seconda metà del '500 e la prima del '600, si conservano opere sempre datate e firmate, anche in latino, a Rapino, in Atessa, ad Archi, a Loreto Aprutino.
Pittore insigne del tardo manierismo, e originale nel territorio chietino, con sfondi molto vivaci e colorati. 

San Vitale, chiesa madre di Archi

Per Atessa realizzò in onore della Congrega del Santissimo Rosario presso la chiesa omonima, detta anche di san Rocco, la pala d'altare laterale della Madonna col Bambino con Dio Padre che la Benedice, firmata e datata 1601; a seguire per il vicino paese di Archi per la parrocchia di Santa Maria dell'Olmo realizzò la pala di San Vitale martire e patrono di Archi, infine per la chiesa madre di San Giovanni a Rapino, realizzò il quadro principale della Madonna col Bambino tra Angeli e San Giovanni con la pelle di peli di cammello e San Michele che schiaccia il Demonio, firmata e datata 1607. Vincenzo Bindi segnalava negli "Artisti abruzzesi" anche una pala della Madonna del Rosario nel convento di San Domenico di Atessa, perduta però già agli inizi dell'800.

Madonna col Bambino tra San Giovanni e San Michele che schiaccia il demonio,
chiesa madre di San Giovanni, Rapino

Non sappiamo di altre opere firmate da Felice Ciccarelli, fatto sta che insieme a Tommaso Alessandrino da Ortona e Polidoro da Lanciano fu uno dei principali rappresentati di questa fascia d'Abruzzo del tardo manierismo.

San Vitale, chiesa madre di Archi

29 dicembre 2020

Cesare De Cesaris e la sua orchestra.


Cesare De Cesaris, all’anagrafe Cesare Colecchia, fu un grande concertatore e virtuoso della fisarmonica.
Originario di Bomba crebbe a Sant'Eusanio presso la famiglia di Antonio Reino, il quale lo iniziò all'arte musicale iscrivendolo all'Accademia di Santa Cecilia che dovette lasciare in seguito allo scoppio della II guerra mondiale. 
Agli inizi degli anni Cinquanta vinse a Stradella il Campionato Internazionale di Fisarmonica e subito dopo formò un'orchestra (in cui cantarono Rabagliati, Franca Raimondi, Antonio Basurto) che eseguiva concerti di musica leggera nelle varie piazze d'Abruzzo e dell'Italia Meridionale in genere, vero pioniere in questo genere di spettacolo.
La fama arrivò con l'incisione per la casa discografica "La Voce del Padrone" del brano "Zi Nicola", un grandissimo successo; fece anche alcune apparizioni in TV al fianco di personaggi famosi quali Lino Banfi, Franchi e Ingrassia, Nino Manfredi, Macario, Renato Rascel, ecc.
Personaggio estremamente fantasioso ed eccentrico, precursore del genere folk, fu il primo in Italia a introdurre negli spettacoli di piazza spezzoni di balletti e varietà.



Lato A 
ZI NICOLA di Cesare Colecchia (C. De Cesaris) 
LA PIGNATELLE di Miosotis-Marincola 
LA BALLATA DELLA FISA di C. Colecchia 
LA PASTURELLA DELLA MAJELLA di C. Colecchia 
MA CHI TE LE FAFFA' PIJA' NU VECCHIE? di Miosotis-Trama 
COCCIA PELATA TWIST di C. Colecchia 
CHA CHA CHA ABRUZZESE di C. Colecchia 
Lato B 
LA FIJA ME' di anonimo, rielaborazione C. Colecchia 
L'UMBRIACONE di Colecchia-Esposito 
SALTARELLO MARINARO di Bizzarri-Colecchia-Agavi 
STORNELLI ABRUZZESI di Miosotis-Trama 
LA LATTERIA di Colecchia-Agavi 
NE' ME TUCCA'... TUCCAME di Miosotis-Trama