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23 settembre 2025

Storia della letteratura in Abruzzo.


Storia del Teatro Abruzzese, dal Medioevo a Cesare Fagiani.





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STORIA DEL TEATRO DRAMMATICO IN ABRUZZO, La Passio, la Lauda, i Canti popolari della Santa Passione

20 settembre 2025

Due paeselli d'Abruzzo (Francesco De Feo, 1966).


Benedetto Croce in appendice della sua opera "Storia del Regno di Napoli" colloca un saggio intitolato "Due paeselli d'Abruzzo". I due paeselli sono Montenerodomo in provincia di Chieti e Pescasseroli provincia de L''Aquila. Il documentario attraverso le parole di Croce offre una panoramica di questi bellissimi luoghi dell'Abruzzo.

20 agosto 2025

Carlo Patrignani (L'Aquila, 1869 – Carpegna, 19 settembre 1948) pittore, allievo di Teofilo Patini.

Carlo Patrignani,  "Lavandaie", olio su tela, cm 49x31.
 

Carlo Patrignani (L'Aquila, 1869 – Carpegna, 19 settembre 1948) è stato un pittore italiano, allievo di Teofilo Patini.
Nato all'Aquila da Giacomo Patrignani e Domenica Vittorini, mostrò già in giovanissima età una predisposizione per la pittura. Intraprese quindi gli studi artistici divenendo allievo — con Amleto Cencioni e Amedeo Tedeschi — di Teofilo Patini con cui, sul finire del secolo, collaborò nell'apertura e gestione della Scuola di decorazione pratica presso l'atelier dello stesso maestro, all'interno di Palazzo Ardinghelli. Tra i primi lavori del Patrignani vi è il pregevole ciclo di dipinti della chiesa di Santa Maria Paganica, d'influenza neoclassica, caratterizzato da una sequenza di dipinti murali riguardanti gli episodi della vita della Vergine Maria e i quattro evangelisti ai lati della cupola; l'opera è risultata quasi interamente perduta a causa del terremoto dell'Aquila del 2009 che ha causato il crollo della parte sommitale dell'edificio. Nel primo decennio del XX secolo collaborò con il Patini alla decorazione pittorica di alcune chiese dell'aquilano, tra cui il Santuario della Madonna della Libera a Pratola Peligna e la chiesa di Santa Maria dei Raccomandati a San Demetrio ne' Vestini: nella prima realizzò la Madonna delle Grazie mentre nella seconda completò la pala d'altare con l'Angelo custode, stante la malattia che colpì il maestro durante i lavori.
Tra il 1905 e il 1908 realizzò la Madonna immacolata per la chiesa di San Filippo Neri di Sulmona. Negli stessi anni fu inoltre attivo, all'Aquila, nella decorazione di alcuni edifici ed uffici pubblici, tra cui l'Archivio Diocesano, il Convitto nazionale Domenico Cotugno, la biblioteca provinciale Salvatore Tommasi e l'Ospedale San Salvatore. 

Ritratto postumo di Teofilo Patini, Pinacoteca Patiniana, Castel di Sangro (AQ).

Alla morte del Patini, nel 1906, gli fu affidata la cattedra, resa vacante dallo stesso, nella Scuola d'Arte e Mestieri dell'Aquila. Patrignani aprì, inoltre, un suo atelier in via Roma ed in questo periodo produsse i due Angeli, oggi al Museo nazionale d'Abruzzo in prestito dal Tribunale dei Minori dell'Aquila, e il celebre Ritratto postumo di Teofilo Patini, conservato presso la Pinacoteca Patiniana di Castel di Sangro, città natale del maestro.
Nei primi decenni del XX secolo, il Patrignani fu particolarmente attivo in città in numerosi ambiti, dallo sport ginnico — che promosse tramite la fondazione del Circolo sportivo Patrignani — alle prime esperienze automobilistiche, ciclistiche e aviatorie, portate avanti affiancandosi ad un giovanissimo Emilio Pensuti, che successivamente divenne uno dei più noti piloti italiani.
Nel 1914 fu incaricato di decorare la Sala rossa del Teatro comunale dell'Aquila; Patrignani vi realizzò un ciclo di dipinti dedicati alle arti e all'artigianato locale (Allegoria delle arti e dell'artigianato, anch'esso parzialmente distrutto dal sisma del 2009) in cui manifestò influenze liberty e un espressionismo decisamente modernista.
La frenetica attività del Patrignani in Abruzzo terminò misteriosamente nel 1915; forse a causa del terremoto della Marsica, il pittore si trasferì temporaneamente a Francavilla al Mare presso l'amico e collega Francesco Paolo Michetti.
Si spostò quindi a Cattolica dove, sul finire dell'anno, fu incaricato di realizzare gli apparati decorativi del Palazzo Mancini, sede municipale. Alla morte della moglie Marianna, si ritirò a Carpegna, nel Montefeltro, dove — salvo un breve soggiorno a Pescara sul finire della seconda guerra mondiale — visse la parte conclusiva della sua vita. A questo periodo risalirebbe il San Martino e il povero posto nella chiesa di San Martino ed a lui attribuito.
Il 18 settembre 1948 fu colto da malore all'uscita del seggio elettorale e morì il giorno seguente.

Carlo Patrignani, "Alla stazione", 1907, olio su tela, cm 56.2x75,2.


Carlo Patrignani, "I serpari di Cocullo"  - da  foto originale del maestro fotografo Carli.

Annalisa Colecchia, Dinamiche paesaggistiche nell’Appennino abruzzese.

Dinamiche paesaggistiche nell’Appennino abruzzese

di Annalisa Colecchia

Il territorio abruzzese si caratterizza per una notevole geodiversità che, determinata dalle molteplici formazioni geologiche e dalle relative morfologie, si esprime in paesaggi articolati, relazionabili alle varie forme di antropizzazione succedutesi nel lungo periodo. Questa forte impronta naturalistica, l’alta percentuale di spazi montani (circa il 65% del territorio regionale) e il ricco patrimonio faunistico e vegetale hanno determinato l’istituzione di parchi e riserve che operano in sinergia con enti preposti alla tutela, poli universitari, cooperative e associazioni culturali locali per promuovere ricerche e incentivare un turismo di qualità.
Nel contesto di un approccio globale e multidisciplinare sono stati avviati progetti intesi a valorizzare la dimensione storico-archeologica e paleoambientale e sono stati realizzati ecomusei tematici, legati a evidenze strutturali ed a siti archeologici. Ne è un esempio l’Ecomuseo della Valle Giumentina che sorge in corrispondenza di un giacimento del paleolitico. Il sito, un antico bacino lacustre già parzialmente rilevato negli anni ’50, è oggetto di indagini archeologiche intraprese nel 2012 dall’École Française de Rome in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio dell’Abruzzo e con il supporto del Parco Nazionale della Maiella.
Inserito dall’aprile 2021 nel Global Geopark Network UNESCO, il Parco della Maiella presenta “coralità paesaggistiche” che si prestano alla costruzione di una rete di itinerari rappresentativi dell’identità culturale del territorio: l’esperienza monastica e l’eremitismo rupestre, l’artigianato e la proto-industriale, la silvicoltura e lo sfruttamento dell’incolto, l’agricoltura e l’allevamento. La pratica della pastorizia risale al neolitico, continua nei secoli successivi e si esplica sia come transumanza orizzontale a lungo raggio sia come transumanza verticale o monticazione. Numerosi sono gli indicatori materiali: stazzi e recinti, complessi agro-pastorali, capanne a tholos, muretti di terrazzamento, grotte e ripari sottoroccia (figg. 1, 2).

 

FIG. 1

FIG. 2


La dorsale centro-appenninica era percorsa da un reticolo di sentieri, tratturi e strade, come la Via degli Abruzzi che metteva in comunicazione Napoli e Firenze e attraversava le aree interne dell’Abruzzo e del Molise; altrettanto capillare era il sistema di bracci e tratturi che confluivano nelle direttrici Abruzzo-Puglia. Pratiche agricole stagionali erano realizzate in spazi ridotti, nelle conche prossime ai pascoli d’altura e lungo i pendii terrazzati.

Fig_03

Le forme di gestione comunitaria rivestivano un’importante funzione di supporto sociale e permettevano di conciliare pastorizia e agricoltura e di combinarle con altre attività quali la silvicoltura e l’uso delle risorse boschive spontanee. Sono documentati i sistemi a campi aperti, le cui tracce sussistono ancora in alcune zone della Maiella e soprattutto del Gran Sasso aquilano (fig. 3), e le difese, ossia pascoli alberati gravati da diritti di uso civico e riconoscibili per la potatura a capitozza e per il diradamento degli alberi in corrispondenza delle radure (fig. 4). Significativi sono il recupero delle forme tradizionali di allevamento brado e il coinvolgimento delle comunità nella coltivazione e nella commercializzazione delle antiche cultivar autoctone.

Fig_04

Nei bacini idrografici dei fiumi Lavino, Orfento e Orta, caratterizzati da giacimenti di bitume, i paesaggi agropastorali si intersecano con quelli minerari. Gli affioramenti, già individuati nel neolitico, sono stati ampiamente utilizzati in età romana e sfruttati industrialmente a partire dalla metà del XIX secolo. Interessante per l’aspetto della continuità è il sito di Acquafredda occupato da un’estesa miniera a cielo aperto: l’area produttiva, sfruttata fino alla metà del secolo scorso, è oggi coperta da vegetazione spontanea, da strati di crollo e da tracce di frequentazione pastorale contemporanea o successiva alla dismissione delle miniere (fig.5).

Fig_05

L’indagine autoptica, calibrata sull’andamento dei sentieri e indirizzata dallo studio toponomastico e archivistico, ha permesso l’individuazione e il posizionamento tramite GPS di numerosi imbocchi. 

Alla ricerca, condotta dalle istituzioni preposte, si affianca la sistematica attività dei volontari del GRAIM (Gruppo di Ricerca di Archeologia Industriale della Majella) che associano l’esplorazione sul campo alla divulgazione delle proprie esperienze attraverso l’organizzazione di workshop e l’uso dei social network. Il tutto nell’ottica di una progettazione partecipata. E’ in via di realizzazione il progetto di un parco minerario articolato in miniere aperte al pubblico, musei, un centro di documentazione per la conservazione dei reperti, dei materiali di archivio e del patrimonio immateriale costituito dai ricordi e dalle testimonianze dei minatori locali.
La dinamicità e le continue trasformazioni del territorio vissuto impongono sia il superamento della concezione di paesaggio fossile sia la necessità di rinsaldare le relazioni fra gli abitanti-produttori e i luoghi che costituiscono un capitale sociale da conoscere e da valorizzare.

 


Bibliografia e sitografia essenziale
AGNOLETTI M. (ed.), Italian Historical Rural Landscapes. Cultural Values for the Environment and Rural Development, London / New York, pp. 403-418.

BROGIOLO, G.P., COLECCHIA, A. 2017, Tra archeologia della complessità e archeologia dei paesaggi, «Scienze Del Territorio» 5, pp.87-92.

COLECCHIA A. 2019, Community heritage and heritage community. Participatory models of cultural and natural heritage management in some inner areas of the Abruzzo region, «Il Capitale Culturale. Studies on the Value of Cultural Heritage», 9 / 2019, pp. 125-160.

COLECCHIA A., AGOSTINI S. 2014, Economie marginali e paesaggi storici nella Maiella settentrionale (Abruzzo, Italia), «Post-Classical Archaeologies» 4, pp. 219-258.

<http://www.parcomajella.it>

<http://www.gransassolagapark.it>

Didascalie figure
Fig. 1. Panoramica del versante a nord-ovest di Colle Civita (ortofoto 2010). Si notano, accanto alle strutture pastorali, i residui di paesaggi agrari (cumuli di spietramento, muri in pietra a secco, capanne).
Fig. 2. Complesso agro-pastorale di Colle Civita, in comune di Roccamorice.
Fig. 3. Campi aperti di depressione irrigua che circondano l’abitato di S. Stefano di Sessanio (foto prof. Iacopo Calci). 
Fig. 4. Bosco di Sant’Antonio (Pescocostanzo). Esempio di capitozzatura, potatura praticata a circa 2 metri di altezza per approvvigionare di frasche ed essenze legnose il bestiame e per assicurare ombra agli animali evitando danni ai ricacci.
Fig. 5. Distretto minerario di Acquafredda. Uno degli ambienti ricavati nel fronte di cava e riutilizzati come riparo pastorale dopo la dismissione della miniera.
Da: civiltaappennino

16 agosto 2025

Benedetto Croce: Discorso pronunciato all'Assemblea Costituente il 24 luglio 1947, in occasione del Trattato di Pace del 10 febbraio 1947.

Benedetto Croce e le figlie


Benedetto Croce (1947)

Benedetto Croce (Pescasseroli, 25 febbraio 1866 – Napoli, 20 novembre 1952) filosofo, storico, letterato. Senatore dal 26/01/1910 fino alla morte. Croce votò contro il Trattato di Pace (10/02/0947) con le potenze vincitrici della II Guerra Mondiale.

Qui raccontiamo questa pagina indimenticabile della vita pubblica del grande filosofo.

– Trattato di Pace:  (Consta di Articoli 90, più  5 Allegati ).


Trattato di Pace – Parigi ; Febbraio 1947



Titolo : “L’Unione delle Repubbliche Sovietiche Socialiste, il Regno Unito di Gran Bretagna ed Irlanda del Nord, gli Stati Uniti d’America, la Cina, la Francia, l’Australia, il Belgio, la Repubblica Sovietica Socialista di Bielorussia, il Brasile, il Canadà, la Cecoslovacchia, l’Etiopia, la Grecia, l’India, i Paesi Bassi, la Nuova Zelanda, la Polonia, la Repubblica Sovietica Socialista d’Ucraina, l’Unione del Sud Africa, la Repubblica Federale Popolare di Jugoslavia, in appresso designate “Le Potenze Alleate ed Associate” da una parte

e l’Italia
dall’altra parte.



– Seduta dell’Assemblea Costituente (24/07/1947) con all’ O.d.G. la Ratifica del Trattato di Pace (Il trattato fu poi ratificato, il 31 luglio 1947 con 262 voti a favore, 68 contrari, e 80 astenuti) 







BENEDETTO CROCE: DISCORSO PRONUNCIATO ALL’ASSEMBLEA COSTITUENTE IN OCCASIONE DELLA RATIFICA DEL TRATTATO DI PACE, IL 24 LUGLIO 1947

“Io non pensavo che la sorte mi avrebbe negli ultimi miei anni riserbato un così trafiggente dolore come questo che provo nel vedermi dinanzi il documento che siamo chiamati ad esaminare, e nell’essere stretto dal dovere di prendere la parola intorno ad esso. Ma il dolore affina e rende più penetrante l’intelletto che cerca nella verità la sola conciliazione dell’interno tumulto passionale.

Vitaliano Brancati, Benedetto Croce, Sandro De Feo

Noi italiani abbiamo perduto una guerra, e l’abbiamo perduta tutti, anche coloro che l’hanno deprecata con ogni loro potere, anche coloro che sono stati perseguitati dal regime che l’ha dichiarata, anche coloro che sono morti per l’opposizione a questo regime, consapevoli come eravamo tutti che la guerra sciagurata, impegnando la nostra patria, impegnava anche noi, senza eccezioni, noi che non possiamo distaccarci dal bene e dal male della nostra patria, né dalle sue vittorie né dalle sue sconfitte. Ciò è pacifico quanto evidente.

Benedetto Croce storico della letteratura

Senonché il documento che ci viene presentato non è solo la notificazione di quanto il vincitore, nella sua discrezione o indiscrezione, chiede e pretende da noi, ma un giudizio morale e giuridico sull’Italia e la pronunzia di un castigo che essa deve espiare per redimersi e innalzarsi o tornare a quella sfera superiore in cui, a quanto sembra, si trovano coi vincitori gli altri popoli, anche quelli del continente nero. E qui mi duole di dovere rammentare cosa troppo ovvia, cioè che la guerra è una legge eterna del mondo, che si attua di qua e di là da ogni ordinamento giuridico, e che in essa la ragion giuridica si tira indietro lasciando libero il campo ai combattenti dall’una e dall’altra parte intesi unicamente alla vittoria, dall’una e dall’altra parte biasimati o considerati traditori se si astengono da cosa alcuna che sia comandata come necessaria o conducente alla vittoria.

Benedetto Croce “Estetica”, una delle sue opere più importanti

Segno inquietante di turbamento spirituale sono ai nostri giorni (bisogna pure avere il coraggio di confessarlo), i tribunali senza alcun fondamento di legge, che il vincitore ha istituiti per giudicare, condannare e impiccare, sotto nome di criminali di guerra, uomini politici e generali dei popoli vinti, abbandonando la diversa pratica, esente d’ipocrisia, onde un tempo non si dava quartiere ai vinti o ad alcuni dei loro uomini e se ne richiedeva la consegna per metterli a morte, proseguendo e concludendo con ciò la guerra. Giulio Cesare non mandò innanzi a un tribunale ordinario o straordinario l’eroico Vercingetorige, ma, esercitando vendetta o reputando pericolosa alla potenza di Roma la vita e l’esempio di lui, poiché gli si fu nobilmente arreso, lo trascinò per le strade di Roma dietro il suo carro trionfale e indi lo fece strozzare nel carcere.

Benedetto Croce, Pescasseroli, Targa sulla casa natale

….Si è preso oggi il vezzo, che sarebbe disumano se non avesse del tristemente ironico, di tentare di calpestare i popoli che hanno perduto una guerra, con l’entrare nelle loro coscienze e col sentenziare sulle loro colpe e pretendere che le riconoscano e promettano di emendarsi; che è tale pretesa che neppur Dio, il quale permette nei suoi ascosi consigli le guerre, rivendicherebbe a sé, perché egli non scruta le azioni dei popoli nell’ufficio che il destino o l’intreccio storico di volta in volta a loro assegna, ma unicamente i cuori e i reni, che non hanno segreti per lui, dei singoli individui. Un’infrazione della morale qui indubbiamente accade, ma non da parte dei vinti, sì piuttosto dei vincitori, non dei giudicati, ma degli illegittimi giudici.

Benedetto Croce, Pescasseroli, Palazzo Sipari, facciata


L’Italia dunque, dovrebbe, compiuta l’espiazione con l’accettazione di questo dettato, e così purgata e purificata, rientrare nella parità di collaborazione con gli altri popoli. Ma come si può credere che ciò sia possibile se la prima condizione di ciò è che un popolo serbi la sua dignità e il suo legittimo orgoglio ?

Non continuo nel compendiare gli innumeri danni ed onte inflitte all’Italia e consegnati in questo documento, perché sono incisi e bruciano nell’anima di tutti gli italiani; e domando se, tornando in voi stessi, da vincitori smoderati a persone ragionevoli, stimate possibile di aver acquistato con ciò un collaboratore in piena efficienza per lo sperato nuovo assetto europeo.

Noi italiani, che non possiamo accettare questo documento perché contrario alla verità, e direi alla nostra più alta scienza non possiamo, sotto questo secondo aspetto, dei rapporti fra i popoli accettarlo, né come italiani curanti dell’onore della loro patria, né come europei, due sentimenti che confluiscono in uno, perché l’Italia è tra i popoli che più hanno contribuito a formare la civiltà europea.

Alcide De Gasperi (Presidente del Consiglio), Carlo Sforza (Ministro degli Esteri): Conferenza di Pace, Parigi (1947)

Ma se noi non approveremo questo documento che cosa accadrà ? In quali strette ci cacceremo ? Ecco il dubbio e la perplessità che può travagliare alcuno o parecchi di voi, i quali nel giudizio di sopra esposto e ragionato del cosiddetto trattato so che siete tutti e del tutto concordi con me ed unanimi, ma pur considerate l’opportunità contingente di una formalistica ratifica. Ora non dirò ciò che voi ben conoscete: che vi sono questioni che si sottraggono alla spicciola opportunità e appartengono a quella inopportunità opportuna o a quella opportunità superiore che non è del contingente ma del necessario; e necessaria e sovrastante a tutto è la tutela della dignità nazionale, retaggio affidatoci dai nostri padri da difendere in ogni rischio e con ogni sacrificio. Ma qui posso stornare per un istante il pensiero da questa alta sfera che mi sta sempre presente, e, scendendo anch’io nel campo del contingente, alla domanda di quel che sarà per accadere rispondere, dopo avervi ben meditato, che non accadrà niente, perché in questo documento è scritto che i suoi dettami saranno messi in esecuzione anche senza l’approvazione dell’Italia; dichiarazione in cui, sotto lo stile di Brenno, affiora la consapevolezza della verità che l’Italia ha buona ragione di non approvarlo. Potrebbero bensì quei dettami, venire peggiorati per spirito di vendetta; ma non credo che si vorrà dare al mondo di oggi, che proprio non ne ha bisogno, anche questo spettacolo di nuova cattiveria, e, del resto, peggiorarli mi par difficile, perché non si riesce a immaginarli peggiori e più duri. Il governo italiano certamente non si opporrà all’esecuzione del dettato; se sarà necessario coi suoi decreti o con qualche suo singolo provvedimento legislativo la seconderà docilmente, il che non importa approvazione, considerato che anche i condannati a morte sogliono secondare docilmente nei suoi gesti il carnefice che li mette a morte.

Ma approvazione no!

Non si può costringere il popolo italiano a dichiarare che è bella una cosa che esso sente come brutta, e questo con l’intento di umiliarlo e di togliergli il rispetto di se stesso, che è indispensabile a un popolo come a un individuo e che solo lo preserva dall’abiezione e dalla corruzione.

Signori deputati, l’atto che oggi siamo chiamati a compiere non è una deliberazione su qualche oggetto secondario e particolare, dove l’errore può sempre essere riparato e compensato, ma ha carattere solenne e perciò non bisogna guardarlo unicamente nella difficoltà e nella opportunità del momento, ma portarvi sopra quell’occhio storico che abbraccia la grande distesa del passato e si volge riverente e trepido all’avvenire. E non vi dirò che coloro, che questi tempi chiameranno antichi, le generazioni future dell’Italia che non muore, i nostri nipoti e pronipoti ci terranno responsabili e rimprovereranno la generazione nostra di aver lasciato vituperare e avvilire e inginocchiare la nostra comune madre a ricevere un iniquo castigo; non vi dirò questo perché so che la rinunzia alla propria fama è in certi casi estremi richiesta all’uomo che vuole il bene o vuole evitare il peggio; ma vi dirò quel che è più grave, che le future generazioni potranno sentire in se stesse la durevole diminuzione che l’avvilimento, da noi consentito, ha prodotto nella tempra italiana, fiaccandola.

Questo pensiero mi atterrisce, e non debbo tacervelo nel chiudere il mio discorso angoscioso. Lamentele, rinfacci, proteste, che prorompono dai petti di tutti, qui non sono sufficienti. Occorre un atto di volontà, un esplicito no. Ricordate che, dopo che la nostra flotta, ubbidendo all’ordine del re ed al dovere di servire la patria, si fu portata a raggiungere la flotta degli alleati e a combattere al loro fianco, in qualche loro giornale si lesse che tal cosa le loro flotte non avrebbero mai fatto. Noi siamo stati vinti, ma noi siamo pari, nel sentire e nel volere, a qualsiasi più intransigente popolo della terra”.

Esuli istriani dopo la fine della II Guerra Mondiale


Da: Il Grande Inquisitore

4 agosto 2025

L’Abruzzo incantato di Georg Heinrich Busse.


L’Abruzzo incantato di Georg Heinrich Busse

di Fausto D'Addario
Dalle rovine di Forcona ai delicati acquerelli di Tagliacozzo fino al Velino: il viaggio emozionante di Georg Heinrich Busse nell’incanto di un Abruzzo perduto

Sommario [Mostra]

Tra la fine del Settecento e l’Ottocento, quando il Grand Tour era il sogno dei colti europei, alcuni spiriti curiosi si spinsero oltre le rotte consuete per esplorare un Abruzzo ancora sconosciuto, selvaggio, profondamente autentico. A muoverli fu la sete di bellezza, storia e verità. Tra di loro Georg Heinrich Busse, artista tedesco e viaggiatore dell’anima, seppe cogliere ciò che oggi ci sfugge: la poesia silenziosa dei borghi, la sacralità diffusa del paesaggio, il respiro lento della storia.

Un viaggiatore dell’anima

Nato il 17 luglio 1810 a Bennenmühlen, nei pressi di Hannover, Busse fu un artista silenzioso, appartato, uno di quelli che non ha fatto grande rumore, ma profondamente devoto alla bellezza. Dopo gli studi a Dresda, ecco il primo riconoscimento: vinse il primo premio per l’incisione nel 1834. Ma fu l’Italia, dove visse per dieci anni, a formarlo davvero. A Roma, sotto la protezione del legato Kestner, e poi in Umbria, Toscana, Napoli, la campagna romana e fino alle vette dell’Etna, Busse assorbì la luce, la pietra, la storia di quello che era considerato il giardino d’Europa. Il suo stile si nutrì delle lezioni di Poussin, Claude e Koch, ma ciò che rese unica la sua opera fu la capacità di unire precisione documentaria e sentimento poetico.

Nei suoi viaggi negli Abruzzi – terra ancora indomita e misteriosa – visse anche un singolare episodio: mentre era intento nel suo lavoro, fu scambiato da alcuni contadini per una creatura misteriosa e leggendaria il cui apparire presagiva sciagure. Minacciato con fucili e sortilegi, fu poi salvato da un sacerdote che lo riconobbe e lo accolse come ospite gradito. Una parabola quasi fiabesca che racconta meglio di ogni saggio la distanza tra la modernità del disegno e l’arcaicità di un’Italia ancora sospesa nel mito.



Le rovine di Forcona

Tra i disegni più suggestivi di Busse, spicca l’acquaforte “Ruine di una chiesa dell’antica Forcona negli Abruzzi”. Realizzata nel 1839, questa incisione è il foglio n. 32 della serie “Acqueforti pittoresche di varie regioni d’Italia”, (titolo originale “Malerische Radirungen verschiedener Gegenden Italiens”) pubblicata tra il 1840 e il 1846. L’opera è un piccolo capolavoro di sensibilità romantica, capace di trasformare le rovine in frammenti poetici.

L’incisione raffigura le rovine della Cattedrale di San Massimo, oggi situate nella frazione aquilana di Civita di Bagno, sul sito dell’antica Forcona, anticamente nota come Civitas Sancti Maximi. Nel 1257, per disposizione di Papa Alessandro IV, il vescovo e le reliquie di San Massimo furono trasferiti nella nuova città dell’Aquila, segnando la fine del ruolo centrale di Forcona. Busse coglie un momento di silenziosa desolazione, ma anche di sublime bellezza, quella che regna ancora oggi: le rovine solitarie, immerse in un lussureggiante paesaggio agreste.

Gli elementi architettonici riconoscibili sono la torre della facciata, danneggiata anche dai sismi che nei secoli hanno colpito la zona, insieme al portale, agli archi e alle colonne. La resa grafica di Busse è precisa, quasi archeologica, ma allo stesso tempo carica di una malinconia tutta romantica. E questa è forse la cifra più toccante del suo sguardo nordico su un’Italia meridionale: la capacità di cogliere l’anima del paesaggio, più che la sua forma. Sulla roccia, appena visibile, il discreto monogramma inciso dell’artista: G. H. B.



La Marsica nei suoi occhi

Una delle sue opere è recentemente tornata alla luce, grazie alla digitalizzazione dell’Accademia di Belle Arti di Vienna e alla segnalazione di Piccola Biblioteca Marsicana. Si tratta di un acquerello inedito del 1844: una veduta struggente di Tagliacozzo, borgo incastonato nel cuore della Marsica.  Al centro della scena si erge la Chiesa di Santa Maria del Soccorso, con il suo portico umile e dignitoso, mentre il campanile cinquecentesco si staglia come un punto di orientamento eterno. Le stazioni della Via Crucis si snodano verso il Monte Calvario, come spine di una memoria collettiva, mentre piccoli fiori, dipinti con la delicatezza di un respiro, punteggiano il sentiero. La strada si apre davanti allo spettatore come un invito: a camminare, a ricordare, forse a pregare. Le figure umane, minute, si confondono con il paesaggio: non sono protagonisti, ma pellegrini della storia.

Busse realizzò anche una celebre incisione del Monte Velino e del borgo di Albe, dominati da una natura aspra e sublime. Qui, come in tutte le sue vedute, l’uomo è piccolo, quasi invisibile, ma presente. Due figure si chinano a osservare dei reperti, come a voler capire da dove vengono, in un gesto che ricorda lo stesso lavoro dell’artista: scoprire, tradurre, conservare.

Nei suoi disegni compare anche Ovindoli, con la strada che serpeggia tra le rocce, un viadotto che unisce le sponde del tempo, e la città appollaiata come un nido d’aquila. Sono paesaggi che non esistono più così, non nella loro integrità poetica. Eppure, Busse ce li ha lasciati, come chi lascia un messaggio in una bottiglia, destinato a chi saprà ascoltare.

Ricordare il futuro

Al suo ritorno in Germania nel 1844, Busse fu nominato incisore alla corte e alla biblioteca di Hannover. Continuò a lavorare, viaggiò fino a Tunisi e Algeri, dipinse fiori e rovine, e morì nel 1868. Ma la sua anima è rimasta in Italia, tra acquerelli e incisioni, in quei cieli chiari che sovrastano chiese e ruderi, borghi e silenzi.

Nel suo stile, tra il romanticismo tedesco e la visione classica, tra la precisione dell’incisore e la delicatezza dell’acquerellista, si nasconde una nostalgia che è tutta italiana: quella di un paese che viveva nella lentezza, in armonia col paesaggio, nella bellezza che non ha bisogno di essere gridata.

Oggi, riguardando i suoi disegni, non vediamo solo l’Italia del passato. Vediamo ciò che l’Italia era per chi la amava da lontano, e ciò che potrebbe ancora essere, se imparassimo di nuovo a guardarla con occhi pieni di stupore e ad amarla da vicino.

Georg Heinrich Busse non ha solo inciso una delle prime narrazioni internazionali dell’Abruzzo, ma ci ha svelato l’anima nascosta dell’Abruzzo. Un’anima che, ancora oggi, attende chi sappia ascoltarla.


Da: laquilablog.it