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4 novembre 2022

Corale "Giuseppe Verdi" di Teramo, Canti Popolari Abruzzesi - XV edizione Giugno in Coro - Teramo, 2013.

Canzoni abruzzesi: Spalanche ssa fenestre, Nuovo Gruppo Folk, Altino.


 

Nuovo Gruppo Folk di Altino

Canzoni:
LA VITA E' BBELLE di Francesco D'Alonzo
L'URGANETTE DI SCIORE di Luciano Flamminio, Vincenzo Coccione
NA CASETTE A LA MAJELLE di Antonino di Donato, Vincenzo Celsi
CI STAVE NA CUNTRADE di Manuele Talone, Franco di Donato
SPALANCE SSA FENESTRE di Giuseppe d'Orazio, Antonio di Giambattista
REGGINE' di Dante Troilo
RUSINELLA ME di anonimo
LU FOCHE di Franco di Donato
TUPP'E  TUPPE registrato come anonimo, ma di Eduardo di Loreto, Pierino Liberati
NU RICORDE di Francesco d'Alonzo
NA SERENATE ALL'ALBE di Franco di Donato

31 ottobre 2022

Capetiempe. A capo del tempo, dove tutto ricomincia.

Foto particolare tela della Madonna con anime purganti nella chiesa del Carmine di Guardiagrele.

Capetiempe. A capo del tempo, dove tutto ricomincia.

"Capetiempe"  dal 31 ottobre, vigilia di Ognissanti, all’11 novembre è il tempo dove tutto si conclude e tutto ricomincia.

E' il periodo di congiunzione tra antico e moderno, passato, presente e futuro, in cui vita e morte si tendono la mano. Si banchetta, consumando il frutto degli orti autunnali, festeggiando l'arrivo del vino novello e la conclusione del ciclo agricolo. Si mangiano le zucche, poi si vuotano per farne candele per la notte del passaggio.

Ha inizio la notte del 31 ottobre quando lumi e candele esposti sui davanzali accolgono i defunti in casa, dove li attende del buon cibo, del buon vino e, a volte, anche qualche abito che hanno richiesto nei sogni dei loro cari. Al mattino saranno scomparsi, senza dimenticare di lasciare timide tracce del loro passaggio. Sarà allora che la luce del sole spegnerà gli ultimi piccoli fuochi per lasciare posto alla vita che ricomincia. Il cibo rimasto sarà offerto ai poveri, segno di pace, di riconciliazione, di solidarietà. E' questa la tradizione antica di Ognissanti che si celebra nei borghi abruzzesi che richiama la più nota All Hallows’ Eve, ossia la "Notte di tutti i Santi Spiriti”.

La festa celtica di Samhain (fine dell'estate) che indica l'avvicendarsi delle stagioni e la leggenda irlandese di Jack o lantern, che vaga come fuoco fatuo dentro una zucca, non sono dissimili dalle leggende, i racconti, i riti praticati sin dalla preistoria nel territorio abruzzese. Un tempo, i bimbi lasciavano le calze vuote appese sul camino che nonni e bisnonni defunti avrebbero riempito di dolciumi. La richiesta del "dolcetto o scherzetto" ricorda il passaggio dei poveri che chiedevano l'elemosina  “pe’ll  alme de le muorte” in cambio di benedizioni ricevendo il cibo sacro lasciato per i defunti. Fin dal mattino, nelle botteghe e nelle strade dei borghi erano in mostra le candele, acquistate per accenderle nella notte sui davanzali e presso le tombe, le campane suonavano fino a notte avanzata.

La “pietas” verso i defunti da tempi antichissimi ha dato vita in Abruzzo a innumerevoli leggende e rituali, alcuni ancora perpetuati, alcuni dimenticati che conservano il fascino dell'abbraccio eterno tra vita e morte:

  • Serramonacesca (Pe) i bambini, si vestono da "trapassati" con zucche intagliate a forma di testa ,le “Cocce de morte” (teste di morto) e bussano di casa in casa in cerca di dolciumi rispondendo al  “Chi è?” con la frase "L'aneme de le Morte”, nome della manifestazione che si tiene ogni anno nel borgo, una grande festa accompagnata dalla Sagra dalla Zucca, vino cotto e castagne.
  •  A Pratola (Aq) è usanza antica apparecchiare la tavola, poggiando una conca piena di acqua sul tavolo, lasciando l'uscio aperto. Nella sera di Ognissanti, i ragazzi con il volto imbiancato di farina bussano alle porte delle case; 
  • Pettorano sul Gizio (Aq) i ragazzi si dipingono il viso con cenere e farina e i giovani contadini cantano di casa in casa  “la canzone dei questuandi”: "Ogg' é la fèste di tutte le sande : Facéte bbén' a 'st' aneme penande. Ogg' é la fèste de li sande 'n gj'iele; Facète bbén' a 'st' angele Grabbijéle. Se vvoi bbéne de core me le facéte, 'n quell'aldre monde le retrovaréte", ricevendone in cambio cibo e ospitalità. 
  • Introdacqua (Aq) si accendono lumi sui davanzali per celebrare la Scornacchiera, una processione di anime con le candele accese tra le mani che si muove la notte di Ognissanti in paese cantando “tiri tiri tera e mo’ passa la scornacchiera". Vi partecipano i nati morti che si muovono all'inizio della processione come soffi di vento, seguono i piccoli battezzati, i ragazzi, gli adulti e gli anziani. Sembra che per vedere la processione occorra portare un setaccio.
  • Pacentro (Aq) vengono celebrate messe in tutte le chiese fino alla domenica successiva a Ognissanti. Le famiglie più ricche del paese preparavano lauti banchetti per ospitare il passaggio dei defunti che donavano poi ai bisognosi del Paese;
  • Roccapia (Aq) la leggenda afferma che si celebrasse di notte la messa degli spiriti dei defunti.
  • Sulmona (Aq) la popolazione un tempo seguiva “la rossa processione” fino al cimitero dove si celebrava la messa e poi “chiasso e bicchieri” per celebrare la vita che si rinnovava;  i ragazzi, usavano, con pallottole di calce fresca o con secchio di calce stemperata e con pennello, scarabocchiare di bianco tutte le porte di casa;
  • Nell’Alto Vastese, si prepara una bacinella d’acqua con un telo perché i defunti arrivati in casa dopo un lungo viaggio possano lavarsi;
  • Cappadocia (Aq), i bambini girano per le strade del paese con lo “scampanaccio di San Martino" e il borgo si anima con la Sagra della panuntella, fette di pane con braciolette di maiale, canti e balli popolari.
  • Villa Sant’Angelo (Aq) si festeggia con l'evento "Zucche infuocate", gara di mangiatori di peperoncino.
  • Calascio, a Carapelle, a Castel vecchio CarapelleGioia dei Màrsi, in provincia dell'Aquila, si distribuisce una minestra di legumi e granturco, detta “ju granate”  ai poveri e ai vicini.
  • Gessopalena (Ch) le case vengono preparate per accogliere i defunti che, malinconici, vanno a visitarle;
  • Campli (Te), sulle tombe le candele si mettono dalla sera, affinché i morti, che nella notte lasciano il loro sepolcro, possano arrivare a casa;
  • Francavilla al Mare (Ch) nelle case si fa ardere per tutta la notte qualche lume perché ogni morto va a bere nella sua casa;
  • Vasto (Ch) si mettono le conche con dentro il ramaiolo con una candela accesa sul tavolo;
  • Chieti, si poggiano pane acqua sul tavolo, vicino ad un lume, che sarà donato ai poveri al mattino successivo. Si racconta che per vedere i defunti, occorra posizionarsi presso un crocicchio, col mento appoggiato a una forca. I ragazzi usavano i picchiare i portoni, portando zucche vuote con fori a mo' di teschio;
  • Fara Filiorum Petri (Ch) si racconta che per vedere la processione dei morti, si deve stare sotto il recipiente dell'acqua santa, con una forca a due punte sotto il mento, tenendo in mano un gatto oppure guardando in un bacino d'acqua, messo sulla finestra, con un lume vicino.  Sia a Fara che a Campli sui davanzali si mettono piatti di minestra, affinché ne mangino i morti che vanno in processione;
  • A Ortona (Ch) è usanza non lasciare la camicia sulla sedia, ma metterla sotto il guanciale, perché i morti potrebbero rovinarla per vendicarsi d'essere stati sepolti senza i dovuti onori.
    Roccaraso (Aq) si racconta che i morti lasciano i luoghi in cui penano ed hanno libertà di tornare nelle proprie case, dove possono restare fino al giorno dell'Epifania recitando spesso "Tutte le fèste vade vije ; ne' vvenga maje la 'Pifanije" e dal 2 di novembre la sera, fino all'Epifania, si bada a non far oscillare la catena del camino, per non svegliare i morti che dormono in casa;
  • A Pescina (Aq) gli anziani raccontano di una fornaia che andava ad accendere il forno e, nel passare avanti a una chiesa, entrò. La chiesa era illuminata e piena di gente. Inginocchiatasi una sua comare già morta, le si avvicina e dice : "Comare, qui non stai bene; va via. Siamo tutti morti, e questa è 
    la messa che si dice per noi. Spenti i lumi, moriresti dalla paura a trovarti in mezzo a tanti morti". La comare ringraziò, e andò via subito, ma per lo spavento perdette la voce;
  • Lanciano (Ch) gli sposi mandano il giorno dei morti in regalo alle spose la pizza (stiacciata) con le sardelle e nelle famiglie se ne mangia come cibo di rito;
  • Cugnoli (Pe), come in molti borghi d'Abruzzo, si ha cura di non lasciare nessun carbone acceso, nessuna scintilla perché quella notte non c'è vita.
  • A Perano (Ch) e nel pescarese grida e burle animavano la processione verso il camposanto per esorcizzare la paura; le anziane peranesi ponevano su un tavolinetto due candele accese e un bacino con l'acqua, prendevano una forca di legno, puntando per terra il manico e mettendo il collo sull'inforcatura per guardare i defunti che apparivano nell'acqua.
  • Gioia dei Marsi (Aq) si crede che chi giunge prima in chiesa, libera un'anima dal purgatorio
  • Ad Altino (Ch) Atessa (Ch), Casalbordino (Ch), Fara San Martino (Ch), Perano (Ch), Pratola Peligna (Aq) la catena del camino non si può toccare perchè così si scuoterebbe la testa dei morti disturbandoli nella loro quiete;
  • Santo Stefano di Sessanio (Aq) da qualche anno la notte del 31 ottobre ha luogo la “Festa delle Lumère” ispirata alla tradizione di costruire figure e maschere con le sembianze di teschi per esorcizzare l’idea della morte nei giorni in cui il mondo dei vivi entrava in contatto con quello dei defunti;
  • A Spoltore (Pe) ogni anno si rinnova “La Tavola dei Morti’ che riporta alla luce una tradizione importante diffusa in tutto il meridione sino agli anni ’50 e che purtroppo si è andata perdendo, ossia le pratiche devozionali per onorare i defunti che tornano nelle loro case per un breve attimo nella notte di Ognissanti. Con la sola luce delle candele ci si incammina, seguendo un percorso delimitato dai lumini, con alcune pause, ciascuna delle quali è caratterizzata da un racconto, come "la storia delle ‘ossa a la vutate de lo lope’, ossia del ritrovamento di ossa umane a seguito dell’impianto di vigne e oliveti, o il rinvenimento di un’antica sepoltura facendo attenzione a non incappare nei dispetti de Lu Mazzamurille, uno spiritello con un berretto rosso in testa che si diverte a infastidire i vivi con scherzi di ogni sorta. La “Processione dei frati morti”, in silenzio e con i ceri accesi, segue i presenti scortati dalle anime dei cavalieri. All’esterno di ogni abitazione ci sono dei simboli, come il sacchetto di grano o la scopa rovesciata e, ogni volta, ne viene narrato il significato.  Le tavole sono imbandite per accogliere le anime che passano la notte da quella cucina e che potranno ritrovare i piatti tanto amati in vita. Particolare è l’allestimento dell’altare delle Anime Pezzentelle, le anime del purgatorio in cerca di grazia con la possibilità di ascoltare il racconto di una devozione tutta abruzzese e meridionale. Al termine dell’evento, a tutti i partecipanti viene offerto gratuitamente il ‘cibo penitenziale’, anch’esso rigorosamente rispettoso della tradizione, ovvero ‘il grano dei morti’, ossia grano bollito con noci, melograno e mosto cotto, fave lesse, ceci abbrustoliti, zucca e patate con vino rosso

  • Schiavi di Abruzzo (Ch), dopo circa 60 anni, è tornata l'antica tradizione de "Le casette degli Angeli" : i bambini, con l'aiuto delle mamme, costruiscono casette in miniatura con materiale riciclato ponendo all'interno un piccolo lume dedicato ai defunti, che una volta benedette, vengono sistemate sulla scalinata centrale del paese.

  • Al Castello di Palmoli (Ch) si celebra "La notte dei mazz’marill", che, nascosti tra gli arbusti, attendono i visitatori, per portare notizie dal mondo ultraterreno.  Lungo il viale d'ingresso ci sono i lumini accesi creano un'atmosfera suggestiva. Protagonisti leggende, tradizioni popolari e le anime dei defunti, narrate nelle stanze dell'antico maniero.

La notte di Ognissanti non è animata solo dalle care anime dei defunti, ma anche da spiriti malevoli, streghe e folletti dispettosi e su tutte regna nell'immaginario collettivo abruzzese la figura della "pantafica", dagli occhi spettrali, bianca  e minuta, che si materializza nel letto del malcapitato durante il sonno, paralizzandolo e impedendogli di proferire parola. Il rimedio contro le sue apparizioni è semplice: lasciarle un po' di vino da bere, poiché ne va pazza, lasciare dietro l'uscio una scopa di saggina o una consistente treccia d'aglio.

Laura Toppeta

Da: Abruzzoturismo.it

https://lifeinabruzzo.com/capetiempe-new-year-abruzzo/

21 ottobre 2022

Gabriele, Michele e Giacomo Falcucci, la dinastia degli scultori e pittori Atessani dell’800.

Giacomo Falcucci, Santa Filomena (1837), chiesa di Santa Maria del Popolo, Altino 

 
Gabriele, Michele e Giacomo Falcucci, la dinastia degli scultori e pittori Atessani dell’800
di Angelo Iocco

Giacomo Falcucci nacque in Atessa il 14 dicembre 1807 da Maria Rosa D’Onofrio e Pasquale; ebbe due figli, Michele Falcucci, nato nel 1831 (di cui si ignora la data di morte), e Gabriele Olivio Falcucci (1838-1895), nato con un grave difetto fisico, che lo lasciò a vita sordo-muto; Giacomo stesso nelle sue opere, si firmava così, facendo del suo difetto, allora considerato una vera e propria sciagura, una eccezione che lo rese il grande scultore che fu. Non si conosce come Giacomo Falcucci studiò disegno, forse andò a Napoli, prese a ispirazione dei modelli della Capitale del Regno, e una volta appresa l’arte e aperta una bottega in Atessa, insegnò disegno ai figli Michele e Gabriele, quest’ultimo supererà il padre nella maestria e seppe ben esercitare l’arte dell’affresco e lo scultore e pittore delle statue. Giacomo uscì dai confini dell’area chietina, e si spinse sino in Molise. Il Molise dell’area isernina era una zona di passaggio della via vecchia per Castiglione Messer Marino, onde arrivare a Napoli, e la sua fama si sparse per questi paesetti di montagna; una prima committenza a Giacomo la vediamo nella chiesa madre di Montenero di Bisaccia, la Madonna del Carmine, datata e firmata 1837. A seguire il Falcucci realizzò una statua del Santissimo Redentore benedicente per la chiesa madre di Tavenna, ben lodata dal parroco don Francesco Batescia.

Giacomo Falcucci, Madonna del Carmine (1837), chiesa omonima, Montenero di Bisaccia (CB)

Michele Pasquale nel descrivere le fattezze della statua, nota come Giacomo si fosse ispirato a un modello del paese, il rilievo della Madonna in trono col Bambino presso la campane della chiesa stessa di Montenero. A seguire realizzò un San Michele che configge il Demonio per la chiesa madre di Lucito; le due statue di Giacomo sono ben modellate, anche se soffrono ancora di un aspetto troppo rigido e poco fluido. Nel 1837 Giacomo realizzò la statua di Santa Filomena per la parrocchiale di Altino, non molto distante da Atessa. Anche qui notiamo con la cura del dettaglio per la statua sia abbastanza buono, il volto con l’espressione meditabonda e concentrata è ben riconoscibile, ormai Giacomo ha creato la sua scuola coi suoi modelli, ma ugualmente si denotano degli atteggiamenti di schematismo e rigidità nella postura eretta, e nelle braccia lievemente piegate in atteggiamenti di benedizione. Il panneggio con il suo colore toccante tuttavia rende la statua molto piacevole a vedersi, peccato per gli angioletti laterali con i simboli del martirio, ancora rozzi e ancorati a una tradizione popolaresca abruzzese, che non si curava troppo di decorare i due puttini. Per la chiesa madre di Fraine, sempre nell’area chietina, Falcucci realizzò un Sant’Alfonso dei Liguori. Altre sue importanti opere si trovano nelle chiese di Atessa, specialmente in quella di San Domenico o della Congrega del Rosario: una statua di Santa Lucia firmata e datata coi simboli del martirio, un San Sebastiano, un Sant’Antonio di Padova con il cartiglio: “A devozione di Angelo Damiani, 1853”, statua purtroppo scialbata dal restauro di Pasquale Bravo di Atessa. Un artista locale che imperversò per le chiese atessane e dei paesi circonvicini, fino a Bomba e Orsogna, ristrutturando statue “laccandole a lucido”, rendendole irriconoscibili e gommose, e realizzando soffitti moderni in stile falso soffitto barocco a cassettoni lignei dipinti, con ghirigori e fioroni dipinti di gusto falso manierista (evidentissimi i soffitti con bassorilievi di angeli e simboli del Tetramorfo “a didò e plastilina”) delle chiese di Santa Croce e del convento di San Pasquale in Atessa, con incassate le tele del cugino Ennio Bravo, e del santuario di San Mauro in Bomba. In questo santuario, il Falcucci realizzò una bella statua di San Mauro, molto venerato anche in Atessa, di cui esiste una bella statua nella chiesetta di Sant’Antonio, scolpita come reca il cartiglio, da Pasquale Giuliani di Atessa nel 1898 per conto del sacerdote Vittorio de Ritiis. Brevi cenni sul Giuliani, era atessano e forse si formò presso la bottega dei Falcucci, e ne fu in un certo senso il continuatore, anche se non con la stessa fama dei maestri, tanto che è censito principalmente in Atessa e nei dintorni; ad esempio nella vicina Paglieta gli fu commissionata come reca il cartiglio, una statua di San Nicola vescovo per la parrocchia. In Atessa invece abbellì la suddetta chiesetta di Sant’Antonio con la statua di S. Mauro, e nel cappellone dell’Addolorata, con la statua della Vergine dei Dolori e con la statua del Santo di Padova, firmate e datate. Benché tal Giuliani non ebbe modo di farsi conoscere assai, la sua arte dimostra come Atessa fosse, alla pari di Guardiagrele e Orsogna, terra di artigiani, i quali erano abbastanza quotati e coscienti del proprio mestiere da far scrivere il loro nome nelle loro opere, a testimonianza per una memoria futura.

29 ottobre 2020

Concezio Talone, "E'belle la Majelle", in dialetto abruzzese di Altino.

Da. Angelo Iocco

E' belle la Majelle, poesie dialettale abruzzese di Concezio Talone di Altino (CH) presentata al 9° festival Poesia dialettale abruzzese "Tommaso di Martino" a Poggiofiorito, 2000.

TESTO

E' belle la Majelle quande nengue,
lu lope va 'rrutènne diènte le ngue,
le rocchie de jenestre ze scumbonne
e 'nterre z'arebele chiècchie e fronne,
sott' a lu mante bianghe gne 'na spose
nghe la Majella bbelle z'arepose.

E' belle la Majelle gna ve' lujje
e chela neve ze fenisce a strujje,
lu vola vole de le rundenelle
quanda z'aretorne a fa la vutarelle,
le rìlle, terra terre, te sbulacchie
e va 'n mezz'a a la jerve ch'arecacchie.

E' bbelle la Majelle a la suriente
mentre lu cane e le pequere te' 'mmente,
lu pequerale arrote lu curtelle
ca ze vulesse fa nu ciuflarelle
pe' ciufelà da 'ngime a Mont'Amare
e fàrele sentì, pur' a lu mare.