27 agosto 2024
16 giugno 2024
Tratturi e Transumanze. Le vie della pastorizia, tra Abruzzo e Puglia, e l’arte della lana che portò Leonardo a L’Aquila.
di Gabriella Izzi Benedetti *
I camminamenti, l’incrocio tra vie hanno da sempre prodotto fusione fra culture e popoli. Questa realtà da tempi preistorici concerne anche i tratturi la cui origine è datata intorno a 10.000 anni fa. Sono vie di transito che, con un sistema reticolare, spostando masse di greggi dalla montagna alla pianura e viceversa, oltre alla migrazione hanno favorito lo smercio, il baratto, creato scambio di saperi. L’Abruzzo possiede tracce antichissime del fenomeno, sicuramente dal VI millennio. Testimonianze sono reperibili nella valle Subequana e a Civitaretenga. Le direttrici tratturali erano spesso fortificate; se ne trovano di simili nei camminamenti dei Sanniti e in quelle dei Sabelli.
Nel museo civico di Sulmona un interessante bassorilievo documenta scene dell’attività pastorale durante il trasferimento delle greggi. Per millenni la transumanza è stata libera da imposte, poi i romani le introdussero, creando conflitti anche perché il mondo pastorale ha avuto, da sempre, carattere fortemente devozionale. Ecco perché è calzante l’osservazione di Goethe: “L’Europa, è nata peregrinando e la sua lingua è il Cristianesimo” peregrinare nel senso di spostarsi, viaggiare. Goethe nell’indicare il Cristianesimo come lingua comune e unificante, si riferisce a più recenti cronologie; ma il senso del sacro già in età classica, ellenica, preromana e romana è stato un fattore di continuità tra il viaggio, in specie transumante e la sacralità.
L’Antico e il Nuovo Testamento, attraverso i Re pastori, coniugano l’aspetto autorevole e il devozionale. Il pastore è colui che guida, che salva. In Abruzzo i percorsi tuttora esistenti, per quanto minimi, rivelano lo stretto legame tra viabilità storica e religiosa. Presso Scanno scavi archeologici hanno evidenziato resti di un tempio sacro a Giove Lanario; e Scanno è sulla direttrice del Tratturo Regio. Presso Sulmona esiste un’intera area sacra a Ercole Quirino, e Sulmona è sulla direttrice tratturale L’Aquila-Foggia. La pratica di fede che accompagnava la lunga marcia delle greggi, trovava nelle strutture religiose una rete protettiva. Lungo i percorsi chiese e cappelle cristiane vennero edificate su ruderi di quelle romane e preromane.
La pieve di Santa Maria dei Cintorelli, a Caporciano, a ridosso del Tratturo, mostra residui di attività del mondo pastorale arcaico. In particolare furono fondamentali le strutture benedettine poste lungo il cammino transumante, e per la prima volta troviamo annessi ai conventi luoghi di ospitalità e cura; questo perché i Benedettini furono i primi, seguendo la regola ora et labora che Benedetto da Norcia dettò nel 542, a vivere non solo di preghiera. Divennero fra l’altro medici e infermieri, come architetti, giuristi, musicisti, artigiani.
In Abruzzo la realtà benedettina fu floridissima: circa 300 strutture. In zona Sangro la badia di Santa Maria di Cinquemiglia era dotata di un Hospitale per i viandanti. In modo particolare la devozione era rivolta alla Madonna dell’Incoronata e all’arcangelo Michele. A Vasto troviamo sull’antico tragitto il Convento dell’Incoronata, San Lorenzo e Sant’Antonio abate. Benedetto Croce parla di un poeta pastore abruzzese, Cesidio Gentile, cultore del rito mariano, che inventò un patto di gemellaggio fra Pescasseroli e Foggia, paesi collegati da un tratturo Regio o Magno, come quello, che dall’Aquila raggiungeva Foggia.
I Tratturi Regi erano enormi, larghi 111 metri e 11 cm esatti; non si conosce il motivo di questa metratura, se riferita all’astronomia o a un calcolo di sfericità terrestre. Se si pensa che una nostra autostrada di 4 corsie non supera i 12 metri, possiamo immaginare la differenza. I tratturi più piccoli, tratturelli o bracci, confluivano in quelli maggiori, o facevano defluire le greggi verso altre zone; quindi formavano una rete gigantesca. Lungo il percorso transumante i “Riposi”, luoghi di sosta, collocati in genere vicino a un fiume, davano modo ai pastori di dedicarsi alla trasformazione del prodotto caseario, della lana, allo scambio di prodotti come zafferano, o prodotti delle cartiere.
Dalle zone vicine convenivano gli abitanti; sul sagrato della chiesa si svolgevano sagre, fiere, e questa aggregazione creava alla fine agglomerati urbani. Ne è esempio la fondazione dell’Aquila che porta un cambio di passo nella logistica non solo locale. La depurazione, filatura e tessitura delle lane raggiunsero in L’Aquila un grado di tale perfezione attraverso telai così particolari che la loro fama indusse Leonardo Da Vinci, tra il 1498 e il 1501, ad avventurarsi negli Abruzzi con un mercante di stoffe suo amico, il milanese Paolo Trivulzio, che scendeva spesso in Abruzzo per la lana aquilana, la più pregiata sul mercato.
I telai aquilani erano all’avanguardia nella tecnica; tecnica di cui Leonardo si appropriò immediatamente e realizzò per i tessitori del luogo dei disegni. Quindi abbiamo delle coperte abruzzesi realizzate secondo il disegno di Leonardo. Uno di essi è conservato presso il castello di Windsor. E presso la “Royal Collection” esistono suoi bozzetti raffiguranti Sulmona, il Morrone, la Majella, gli alti picchi del Gran Sasso, tutti su carta di Celano, cartiera tra le più importanti in Italia.
Poi qualcosa cambiò. Alfonso d’Aragona nel 1447 decise di riorganizzare la Dogana delle pecore in Puglia e fece convergere tutti gli armamentari, le attrezzature, a Foggia, penalizzando le fiere dell’Aquila, Castel di Sangro e abruzzesi in genere. Si salvò quella di Lanciano in quanto unica fiera franca, cioè libera, della regione, e lì vennero a convergere in tantissimi non solo italiani attratti dalla fama della lana abruzzese.
Dalla Toscana arrivavano le grandi famiglie fiorentine come i Biffi, gli Strozzi, i Tornaquinci e si avvantaggiavano di percorsi alternativi, le cosiddette vie della lana. In Abruzzo molto importante quella che da Guardiagrele arrivava a Prato. Guardiagrele era luogo di convergenza di prodotti lanari; e dimostra come i camminamenti interregionali producessero pluralità di relazioni. Per dire, Nicola da Guardiagrele scultore e orafo, (la sua Croce in argento è tra le più belle in assoluto), si formò nella bottega del toscano Lorenzo Ghiberti.
L’enorme intrico di strade intersecanti l’intera Europa potrebbero raccontarci molto di più della evoluzione da esse generate. Tra le direttrici più importanti la via Francigena che dalla Scozia, attraversando la Francia raggiungeva le Puglie, zona d’imbarco dei crociati. E un troncone proseguiva fino a Santa Maria di Leuca. La via che da Monte Sant’Angelo nel Gargano, attraversa l’Italia, si prolunga fino a Mont Saint Michel in Francia e oltre.
Soprattutto per i tratturi risulta importante la via degli Abruzzi che da Firenze arrivava a Napoli, incrociando Spoleto, L’Aquila, Sulmona, Castel di Sangro, giudicata tra le più sicure per la ricchezza di castelli e torri di avvistamento abruzzesi. In alcuni tratti viari come avviene per la via Traiana, è evidente l’intreccio tratturo e strada, il sovrapporsi. La transumanza abruzzese che, non dimentichiamo, era la più importante in Europa seconda solo alla Spagna, si collegava ad altre regioni. Dalla maremma, da Siena, i tratturi si congiungevano a quelli umbri. Il termine Paschi vuol dire pascoli e il Magistrato dei Paschi in Siena aveva un grande potere perché come avveniva all’Aquila, a Foggia, la transumanza era fondata sul meccanismo doganale; attraverso un atto di “fida”, con diritti e privilegi in cambio del versamento di un canone, i pastori erano soggetti a “giustizia speciale”.
Dall’Umbria poi i tratturelli raggiungevano Marche e Abruzzo e tutto questo ha influito sull’ambiente, sicché molto di quello che oggi siamo lo dobbiamo a questo incrocio di saperi. Oggi le vie erbose, bersaglio di speculazioni, risultano smembrate e snaturate. É auspicabile l’accelerazione di iniziative intersettoriali, come il restauro dei monumenti in degrado, la costruzione di infrastrutture viarie e turistiche. Queste zone, grazie alla loro storia, hanno dato origine a una biodiversità ricchissima, per flora e fauna; e ci auguriamo che vengano istituiti seminari e incentivi per la ricerca.
La mia proposta è promuovere un turismo ambientale e culturale attraverso l’osservazione leonardesca della natura e delle attività legate al mondo agricolo e pastorale. Recuperare idealmente il percorso della via degli Abruzzi associando allo sguardo scientifico sulla odierna diversità, quello etico ed estetico espresso nel “Trattato della pittura” di Leonardo. Far partire percorsi museali e ambientali diffusi e approfondire lo studio della biodiversità e dell’ecosistema che accomunano le regioni centrali.
Curiosamente queste regioni, in specie Toscana Umbria Abruzzo, sono accomunate da un forma di eccellenza riferita alla drammaturgia sacra medievale, che raggiunse forme grandiose specie in Abruzzo e Toscana. In Umbria si affermò la Lauda. Nel Medioevo il teatro era a carattere sacro, il teatro classico inesistente, per il resto relegato nell’area dei guitti e saltimbanchi. Potrebbe essere in seguito questa una nuova proposta culturale. Per il momento ci auguriamo che la vocazione di eccellenza, che è stata la realtà transumante in Abruzzo, venga fatta risorgere con concreti contesti di investimenti in beni e servizi.
*Presidente della Società Vastese di Storia Patria
13 giugno 2023
Abruzzo Forte e Gentile, cori di Adria e Castel di Sangro. Canti popolari abruzzesi.
Abruzzo Forte e Gentile, cori di Adria e Castel di Sangro.
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13 dicembre 2022
Il mistero delle Triplici Cinte a Castel di Sangro.
“Noi siamo le pedine del gioco del Cielo, che si diverte con noi sullo scacchiere dell’Essere. Poi, uno dopo l’altro, rientriamo nella scatola del Nulla…”
(Umar al-Khayyam, matematico e poeta persiano del XI secolo)
Cosa sono le misteriose “triplici cinte”, e cosa rappresentano? Ed è vero che sono simboli legati alla figura dei monaci guerrieri Templari?
La triplice cinta è un’antica incisione, presente in molte parti del Mondo, costituita da tre quadrati concentrici divisi da linee mediane. Ma esistono altre versioni, meno classiche, come tre quadrati concentrici divisi oltre che da linee mediane anche da diagonali.
Su vecchi gradini di abitazioni private, sui parapetti di palazzi e case tra le più antiche del paese, nella versione classica, e in quella con le diagonali, addirittura in una variante costituita da quattro (o cinque) quadrati concentrici : le triplici cinte presenti a Castel di Sangro sono almeno 7. Sono relativamente tante, per un paese che ha subito, ripetuti terremoti e pesantissimi danni di guerra nel corso dei secoli.
Gli studiosi tendono ad associare le triplici cinte all’omonimo gioco con le pedine chiamato anche filetto, o tris. Un gioco antichissimo, di origine orientale (così come la dama, gli scacchi e altri giochi da tavolo, di cui vi sono numerose testimonianze letterarie ed archeologiche). A conferma di ciò, antichi esemplari di questo gioco sono stati rinvenuti in Medioriente, in Cina, nello Sri Lanka.
In Italia la più antica testimonianza del gioco della triplice cinta è stata ritrovata in una necropoli di epoca romana a Brindisi, e pare risalga al primo secolo a.C.
Ma è durante il Medioevo che in Europa la triplice cinta ebbe la sua massima diffusione. Non a caso, si presume che il gioco venne introdotto (o reintrodotto) dai Crociati di ritorno dalla Terrasanta. È notorio che i Crociati, e soprattutto i Cavalieri Templari, tornarono dall’Oriente con un bagaglio di nuove conoscenze. Taluni, ad esempio, attribuiscono ai Cavalieri del Tempio il fiorire delle cattedrali gotiche, chiese straordinarie e affascinanti sia sotto il profilo artistico che per quello simbolico ed esoterico. Di qui, una serie di leggende. Come quella che racconta che i Templari, a Gerusalemme, erano entrati in possesso dell’anello di Mosè, oggetto capace di controllare i numeri, i pesi e le misure in base ad una proporzione, misura, divina. E, proprio questi segreti, decifrati dall’ordine dei Cistercensi, avevano permesso la costruzione delle cattedrali gotiche.
Inoltre, Gerusalemme, nel Medioevo, a volte veniva rappresentata, come la città ideale, all’interno di tre cinte concentriche.
Quindi, altrettanto avvalorata è l’ipotesi che il gioco della triplice cinta non abbia solo un significato ludico, ma sia anche un simbolo, volto a racchiudere significati allegorici, religiosi, e, azzardiamo, anche esoterici. Escludendo forme di riutilizzo delle lastre di pietra, pratica molto comune nel passato, non si spiegherebbero altrimenti alcune incisioni, sparse in tutta Europa, fatte su superfici già verticali all’origine, o di dimensioni talmente ridotte da impossibilitare il gioco.
Non solo. Triplici cinte vennero incise da Cavalieri Templari sulle pareti della loro prigione nella fortezza di Chinon in Francia. Difficile pensare che, in una tale occasione, un simbolo posto in verticale, possa essere servito da “scacchiera”.
Tornando a Castel di Sangro, la presenza del gioco, e simbolo, della triplice cinta, avvalora l’ipotesi della presenza templare, dato che questa incisione compare altrove, in maniera diffusa, nei territori percorsi dall’Ordine del Tempio. Non dimentichiamo infatti, l’importanza strategica, durante il Medioevo, dell’antico ponte di origine romana (attuale ponte della Maddalena). Non è un caso che alcune triplici cinte si trovino non lontano da detto ponte e da una delle strade più battute dai pellegrini e viaggiatori dell’epoca. Strada che ovviamente, data la sua enorme importanza, presumiamo, doveva essere per forza presidiata dai Cavalieri.
Sembrerebbe tutto spiegato. Tutto già detto. Ma non è così.
La relativa abbondanza, e soprattutto la densità di triplici cinte a Castel di Sangro e nella zona (ad Alfedena pare se ne contino più di una ventina in un’area ristretta) ci porta a fare altre considerazioni, e a sollevare altri interrogativi.
È possibile che alcune delle triplici cinte siano state tracciate per imitazione, magari anche in periodi successivi?
Inoltre, le pietre su cui sono tracciate le triplici cinte, sono spesso state oggetto di recupero per costruzioni successive. Perché premurarsi di conservare, recuperare, un semplice gioco, o un simbolo sconosciuto? Sarebbe stato più conveniente ribaltare le pietre laddove non erano consunte.
Può darsi che consapevolmente, o inconsapevolmente, qualcuno abbia dato loro un valore apotropaico.
SULLA TRIPLICE CINTA ESOTERICA (OVVERO DIGRESSIONI SUL SIMBOLO)
La triplice cinta adorna spesso soglie di abitazioni, finestre e loggiati, al punto che viene quasi automatico pensare che ad esse fosse attribuito un significato magico, il simbolismo del varco: di qui si entra nel luogo sacro agli iniziati (prendendo il termine “sacro” nella sua accezione più letterale: riservato), o magari che venisse usata a mo’ di benedizione, o di stregoneria oppure di qualsiasi altra diavoleria per cui fosse propizio imprimere il segno sulla pietra longeva nei secoli, che per giocare a filetto si sarebbe ben pensato di sedere comodamente su una panca davanti una tavoletta disegnata e buon bicchiere di vino, più che intralciare la soglia della propria abitazione.
Quel che però ci tenta a percorrere le vie lunghe e tortuose della curiosità è: perché quel simbolo? Perché quello schema e non un altro? Ebbene molti studiosi si sono posti questa domanda ed hanno tentato di darvi risposta, come del resto anche noi abbiamo fatto, riflettendo a lungo, cercando di leggere qualcosa in quei segni calpestati da generazioni di iniziati e profani.
Una delle teorie più affascinanti sul simbolo è quella che lo vuole ereditato direttamente dalla Atlantide come descritta da Platone, con l’unica eccezione che la città perduta era costruita su tre cinte murarie circolari e non quadrate mentre altri studiosi come Guenon l’accostavano alla Gerusalemme Celeste: la città del Giudizio descritta nell’Apocalisse di Giovanni
Apocalisse 21
10 L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. 11 Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino. 12 La città è cinta da un grande e alto muro con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele. 13 A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e ad occidente tre porte. 14 Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello.15 Colui che mi parlava aveva come misura una canna d’oro, per misurare la città, le sue porte e le sue mura. 16 La città è a forma di quadrato, la sua lunghezza è uguale alla larghezza. L’angelo misurò la città con la canna: misura dodici mila stadi; la lunghezza, la larghezza e l’altezza sono eguali.
Dodici porte, come i 4 lati dei 3 quadrati intersecati dalle linee; la pianta quadrata e alta esattamente quanto la base. Certo il simbolo si accosta molto alla descrizione della città ultraterrena del Giorno del Giudizio ma con un pizzico di fantasia potremmo vedere la triplice cinta proprio come un cubo in prospettiva oppure come una piramide tronco-conica (tipo uno Ziggurat) vista dall’alto.
Molti ancora la vedono come una proiezione della Gerusalemme Celeste, che sarebbe circolare (geometria più adatta a Dio), sulla terra e quindi quadrata. Altri ancora vi figurano i 3 gradi dell’iniziazione massonica e forse un intero trattato non riassumerebbe tutte le suggestioni possibili infuse da questo glifo.
Studiando Guenon, infine, non possiamo non ragionare sul simbolismo del Triregnum: i regni dello spirito, dell’anima e del corpo così come rappresentati sulla Tiara papale: il copricapo antico che porta tre corone concentriche, una più piccola dell’altra a risalire la forma conica del cappello fino alla sommità, sormontata dal globo con la croce.
Da: https://misterias.altervista.org/le-triplici-cinte-a-castel-di-sangro/
5 luglio 2022
Teofilo Patini, Vanga e latte, 1884.
Teofilo Patini, Vanga e latte, 1884. |
Teofilo Patini (Castel di Sangro, 5 maggio 1840 – Napoli, 16 novembre 1906)
"Vanga e latte", 1884
Olio su tela, cm. 213x372
Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste, Roma.
5 gennaio 2022
Angelo Iocco, La tradizione della pasquetta di Epifania in Abruzzo.
LA TRADIZIONE DELLA PASQUETTA DI EPIFANIA IN ABRUZZO
di Angelo Iocco
La tradizione
dell'Epifania in Abruzzo varia: per concludere il ciclo delle feste natalizie,
usanze antiche raccolte da Gennaro Finamore e Antonio de Nino vogliono che dal
tizzone o dal pane gettato dalla finestra si raccolgano auspici per il
benessere o per il futuro marito della sposa; mentre comune in Abruzzo è la
carrellata di canzoni augurali della "Pasquetta" o della
"Bbuffanie". Questi gruppi improvvisati di cantori che girano le per
le strade del paese di sera il 6 gennaio vanno augurando il buon anno nuovo
("E dumane è la Pasquette!" ecc ecc), la prosperità familiare, e
chiedono anche alla fine qualcosa da mangiare o un bicchiere di vino. Famosa
tra queste è la serenata delle Chezette che si canta a Scanno. Una tradizione
della Pasquetta abruzzese che nulla ha a che vedere col Lunedì di Pasqua! A
Rivisondoli invece dal 1947 si inscena il Presepe vivente, in ricordo della
rinascita sociale e morale del paese dopo le distruzioni belliche apportate dai
tedeschi, e in particolare in questo paese del Piano delle Cinquemiglia, si
seleziona tra i bambini colei che farà la Madonnina per tale evento del Presepe
vivente.
Il repertorio delle canzoni ha a che fare con l’arrivo dei Re Magi alla Capanna di Betlemme dove è nato Gesù; per l’occasione soprattutto nella zona vastese del chietino, delle compagnie di buontemponi con strumenti improvvisati, come ricordano Finamore, Lupinetti e Giancristofaro, andavano per le strade e le case di notte, alla vigila dell’Epifania, annunciando l’arrivo dei Magi a Betlemme, e chiedendo alla fine da mangiare come ricompensa per il canto. Qualcosa che precede il rituale di Sant’Antonio abate del 17 gennaio, sempre con un repertorio narrativo che riguarda questa volta le tentazioni e le imprese del Santo Anacoreta.
Nell’800 Antonio Rossetti, barbiere squattrinato e poeta, fratello del famoso poeta Gabriele, nella città di Vasto componeva un Dies Irae, e soprattutto un Canto della Pasquetta, come rilevato da Filippo Marino, che ancora oggi viene eseguito, e registrato anche dal prof. Emiliano Giancristofaro.
La canzone strofica è la seguente:
Con la nuova più che vera:
Domattina è la Pasquetta,
che sia santa e benedetta!
X 2
Si riempie il nostro cuore,
di contento e di stupore,
vanno gli angioli cantando
e i pastori festeggiando! X 2
Quanti scendon per la via,
è nato il Gran Messia!
E il Gran Re dell’Oriente
Si dipartiva allegramente! X 2
28 novembre 2021
Antonio Mezzanotte, I Caracciolo di Santobono, chi erano costoro?
14 novembre 2021
Antonio Mezzanotte, "Giovanni Costanzo Caracciolo di Santobono, il Cardinale della Fontana di Trevi".
Il Leone dei Caracciolo di Santobono e un ritratto di Giovanni Costanzo Caracciolo |
Fontana di Trevi |
7 novembre 2021
Antonio Mezzanotte, Da Bucchianico al Perù: Carmine Nicola Caracciolo di Santobono.
Carmine Nicola Caracciolo nel giorno del suo ingresso a Lima, capitale del Perù, il 5 ottobre 1716, di artista anonimo. |
Antonio Mezzanotte, Storia di una truffa, di uno zio spendaccione e di un giudizio durato 109 anni.
"Il Tribunale della Vicaria" di Napoli, presso Castel Capuano, olio su tela, sec. XVII, attribuito a Carlo Coppola ovvero ad Ascanio Luciani |
Antonio Mezzanotte, Quando Ferrante Caracciolo di Santobono comprò all'asta la città di Chieti.
Particolare del frontespizio della "Historia della Città di Chieti" di Girolamo Nicolino, 1657 |