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15 novembre 2024

Matteo Liberatore, Le campane di S.Maria Maggiore in Vasto.


Buonasera a tutti.
Dedico a tutti i vastesi questo video / documentario che vede come protagonista il magnifico concerto di campane della Chiesa di Santa Maria Maggiore presso il Comune di Vasto (CH).
Il campanone è il più grande della città e risale al 1833. La campana più antica invece è la seconda per grandezza, che risale invece al 1747.
Nel video osserviamo la grandiosa suonata a Plenum Solenne che viene suonata solo per le occasioni più importanti dell'anno, registrata direttamente dalla cella campanaria per mostrare il moto delle campane da questa prospettiva esclusiva.
Ringrazio infinitamente il Parroco Don Domenico Spagnoli per avermi concesso di realizzare questo documentario molto importante.
Buona visione!

Matteo Liberatore
da: Aprutium Bells - Campane d'Abruzzo

13 novembre 2024

La Guerra degli Antò (1999), di Riccardo Milani. Film girato a Montesilvano.


La guerra degli Antò è un film del 1999 diretto da Riccardo Milani.

Il film, tratto dal romanzo omonimo di Silvia Ballestra, è ambientato tra la fine del 1990 e l'estate successiva e racconta delle vicende d'un gruppo di quattro giovani punk abruzzesi originari di Montesilvano in provincia di Pescara.


Trama:
Montesilvano, ottobre del 1990. Quattro amici condividono il nome proprio e l'appartenenza alla subcultura punk; per distinguerli tra di loro vengono soprannominati, aggiungendo al diminutivo dialettale "Antò", l'epiteto, rispettivamente, di "Lu Malatu" (infermiere presso una clinica del luogo), "Lu Zombi" (postino in un paese della provincia pescarese), "Lu Zorru" (giornalista freelance per il quotidiano abruzzese Il Centro) e "Lu Purk". I quattro ragazzi sono nauseati dalla vita di provincia e dal servilismo dei loro concittadini verso l'ingegnere Treves, potente speculatore edile della zona, in particolar modo Lu Purk che decide di trasferirsi come studente al DAMS dell'Università di Bologna. Inizia così a frequentare l'ambiente culturale alternativo locale, insieme alla compaesana Sballestrera, ma presto le sue aspettative sono deluse, a causa delle difficoltà riscontrate negli studi, ma soprattutto della dolorosa rottura di una breve relazione amorosa con una studentessa. Convinto ormai di essere stato amato in tutta la sua vita solo da sua nonna, da tempo defunta, per reazione decide di partire alla volta della tanto idealizzata Amsterdam, città di riferimento per il mondo punk; per finanziarsi il viaggio si fa assumere presso un cantiere edile del capoluogo emiliano ma un infortunio sul lavoro, e conseguente degenza ospedaliera, sembrerebbero inizialmente impedire la sua partenza. La prospettiva di essere costretto a tornare come pietoso storpio al paese, per vivere con la famiglia, è l'impulso decisivo che gli fa decidere di fuggire dall'Italia, grazie al supporto fornitogli dagli altri Antò e da Sballestrera. Poco tempo dopo Lu Zorru, datosi alla macchia per evitare il servizio di leva nella Marina Militare, conseguenza dello scoppio della guerra del Golfo (chiamata alle armi in realtà fittizia), raggiunge nella città olandese Lu Purk. I famigliari de Lu Purk, non avendo più sue notizie da diverso tempo, decidono di rivolgersi a Chi l'ha visto?, con la speranza di ottenere maggiori informazioni sulla sorte del giovane, durante cui si aggiungerà la notizia della scomparsa di Lu Zorru. Ai parenti dell'amico, si aggiungono come testimoni pure Lu Malatu e Lu Zombi, a conoscenza della vera identità degli autori dell'inganno subito da Lu Zorru: la loro partecipazione al programma, condotto da Donatella Raffai, si trasforma però in un atto di denuncia, urlato in diretta televisiva, nei confronti del sistema di potere che regge Montesilvano, e contro lo stile di vita dell'intera società occidentale, con conseguente allontanamento forzato da parte del servizio di sicurezza della trasmissione. Intanto tra i due fuggiaschi scoppia un diverbio, con esito disastroso quasi immediato, a causa del quale saranno rimpatriati coercitivamente dalla polizia olandese, finendo amaramente per ricongiungersi con gli altri Antò nel loro paese natale.
Da: Wikipedia

Golfo di Vasto.

Golfo di Vasto, foto di Renato Cieri

L’Abruzzo visto da Escher, l’artista dei mondi impossibili.

 

L’Abruzzo visto da Escher, l’artista dei mondi impossibili

A Roma, la più grande e completa mostra su Escher a Palazzo Bonaparte con più di 300 opere legate all'artista olandese. 

di Fausto D'Addario

A cento anni dalla sua prima visita a Roma, Maurits Cornelis Escher è tornato nella Capitale a Palazzo Bonaparte nella più grande e completa mostra interamente dedicata alla tecnica, alla bellezza, alle vorticose illusioni e disillusioni di uno dei più celebri artisti del Novecento. Amato dagli appassionati d’arte, matematica, scienze, design e grafica, Escher è stato capace di creare un linguaggio assolutamente unico e inconfondibile: le sue architetture fantastiche, le prospettive apparentemente semplici e chiare, ma geometricamente impossibili sono state riprodotte nei modi più diversi, fra copertine di libri e dischi e scenografie teatrali e cinematografiche. La mostra antologica, organizzata in otto sezioni per più di 300 opere, esplora passo dopo passo la produzione e l’evoluzione del celebre incisore olandese: dagli inizi, sotto l’influenza dell’Art Nouveau, al periodo italiano, tra i più belli e fecondi della sua vita, fino alle oniriche metamorfosi e agli infiniti paradossi, che producono un completo straniamento in chi guarda. C’è anche una ricostruzione dello studio che l’artista aveva a Baarn in Olanda, con gli strumenti originali, compreso il cavalletto che portava con sé nei suoi viaggi in Italia. 


Dal novembre del 1923, sulla scia del Grand Tour, Escher si trasferì nella nostra penisola risiedendo stabilmente a Roma, ma ogni anno intraprendeva un viaggio attraverso l’Italia per catturarne i magnifici paesaggi. La sua predilezione andava alle regioni centro-meridionali, dalla Costiera amalfitana alla Calabria, dall’Abruzzo alla Toscana, dalla Sicilia alla Corsica. Lasciò definitivamente l’Italia solo nel 1935 a causa della crescente oppressione del movimento fascista, ma l’Italia e l’Abruzzo rimasero nel suo cuore. Prima di partire, l’Istituto Storico Olandese gli dedicò un’ultima mostra, recensita con queste parole dall’Osservatore romano: 

A vero dire Escher è una vecchia conoscenza per chi frequenta il mondo artistico romano. Chi non conosce quell’alto biondo pittore olandese, che beve il sole con gli occhi […]. A forza di vivere in Italia non è più l’olandese fantastico e pur analitico di quando illustrava libri di leggende nordiche”.

Escher si recò tre volte in Abruzzo tra il 1928 e il 1935, vagabondando a piedi, con vettura postale, a cavalcioni sui muli, insomma, con ogni mezzo allora disponibile. Il primo viaggio, che fu quello che lo stregò, avvenne nell’aprile del 1928, quando scoprì questa terra selvaggia, “tra le aree più inospitali dell’Italia“, come ebbe ad ammettere; il secondo avvenne nei mesi di maggio e giugno del 1929 nelle zone interne della Regione, con l’intenzione di realizzare un libro illustrato sull’Abruzzo; il terzo ed ultimo nel febbraio del 1935. Per un artista che veniva dalla geografia orizzontale dei Paesi Bassi, il paesaggio abruzzese gli appariva così imprevedibile con i suoi dirupi, le gole e le valli scoscese, per i contrasti nettissimi tra luci e ombre, impensabili nelle atmosfere olandesi. Ed era una continua emozione. In una lettera al suo amico Bas Kist, Escher scriveva: 

Mi sono abituato a fare questo tipo di viaggi ogni primavera, mi restituiscono vigore nel corpo e nell’anima e poi raccolgo del materiale per i mesi successivi. Non conosco altra gioia che vagabondare per le colline e attraverso le valli, da paese a paese, sentire gli effetti della natura incontaminata“. 


Lo scopo era prendere appunti, scattare foto, abbozzare schizzi e preparare i disegni: anche se il volume sperato non vide mai la luce, le sue incursioni abruzzesi produssero un risultato meraviglioso, con le stampe di paesi come Goriano SicoliScannoAnversa degli AbruzziCastrovalvaFara San Martino, Pettorano sul Gizio, Alfedena, Opi e Cerro al Volturno, per la maggior parte nell’aquilano e nel Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise. La composizione dei paesaggi è sempre filtrata dalla sua interiorità: 

«Nelle mie incisioni cerco di provare che noi viviamo in un mondo bello e ordinato e non in un caos senza norme, anche se talvolta sembra sia così. I miei soggetti sono spesso giocosi: sento forte il bisogno di dimostrare l’assurdità di alcune certezze che noi consideriamo irrefutabili. È, per esempio, un piacere combinare volutamente oggetti di due e di tre dimensioni, rapporti di superficie e di spazio, e farsi gioco delle leggi di gravità». 

Nella sognante veduta di Fara San Martino Escher indugia sulle sue abitazioni arroccate l’una sull’altra, adagiate sulla collina che va verso il quartiere di San Pietro. Si vede anche il ruscello che scorreva in superficie, con i vari ponticelli; a destra si il quartiere di Terra Vecchia che si arrampica su una ripida altura. La montagna invece è rappresentata da un disegno molto particolare, che riproduce astrattamente le scanalature della roccia. Il tutto sospeso in una dimensione fra la realtà e l’immaginazione. 

Nei disegni successivi Escher si concentra sull’architettura della natura: ne capta gli elementi essenziali, si sofferma sui particolari e predilige vedute fortemente prospettiche. Ad Alfedena rimase colpito dai molti alberi potati in maniera strana, con un solo ciuffo di foglie sulla cima. Qui furono gli abitanti del paese ad essere i veri artisti: avevano appena raccolto le foglie per le capre, perché in inverno gli animali non potevano andare al pascolo con la neve, dando così al paese un aspetto surreale. Nella litografia di Scanno emerge il dato architettonico e realistico: Escher raffigura uno scorcio ancora oggi rimasto inalterato, Vico Ciorla, con una scalinata in discesa e il gioco di contrasti in salita delle gradinate di accesso alle case. Due figure femminili che lavorano al tombolo in abiti tradizionali e in lontananza un monte con degli alberi che si infittiscono coronano l’opera. Ancora oggi questo scorcio esiste sostanzialmente inalterato e una riproduzione dell’opera viene esposta su una parete del vico. Ad Opi Escher rimase incantato dalla fisionomia urbanistica: due filari di case in groppa sul dorso di un monte; il panorama quasi metafisico e le stradine che si allargano aprono l’orizzonte della stampa, anziché rinchiuderla in una sequenza claustrofobica di architetture e scalinate. L’artista olandese amava ripetere “Lo stupore è il sale della terra“.


Con il paesaggio lontano e sconfinato di Castrovalva, tra i borghi più inaccessibili della Regione, Escher realizza una delle sue migliori litografie, sintesi delle sue esperienze in Abruzzo. La natura appare fantastica e reale allo stesso tempo: la ripida pendenza su cui sorge l’abitato, i tornanti del sentiero di montagna, le nuvole, il perdersi dell’orizzonte e della valle, l’essenza dell’intera composizione coglie il mistero delle antiche origini dei severi scenari abruzzesi. A lui è intitolato l’ultimo tornante prima dell’ingresso nel paese, il Girone Escher, da dove è possibile ammirare Castrovalva dalla stessa angolazione e prospettiva raffigurata nella litografia. Ecco cosa ha scritto l’olandese nel suo diario ricordando quella giornata: “Ho trascorso quasi un giorno intero seduto a disegnare a lato di una stretta strada di montagna. Sopra di me c’era la scuola e mi divertivo a sentire le chiare voci dei bambini mentre cantavano le loro canzoni”. 

Accontentiamoci di questa breve carrellata: non possiamo purtroppo soffermarci su tutti i disegni. Escher lasciò l’Italia nel 1935, dopo un ultimo nostalgico viaggio in Abruzzo; da questo momento la sua arte e i suoi esperimenti evolvono verso le forme astratte, le composizioni geometriche e le architetture impossibili, che lo hanno reso celebre. Ma l’antico ricordo dell’Abruzzo, con la sua gente, i suoi scorci e la sua struggente bellezza dovette rimanergli impresso nel cuore. Già nella Natura morta con specchio, che segna una svolta nella sua maturazione artistica, si riconosce una delle stradine del borgo di Villalago nel vicolo rappresentato nello specchio. Ancora, nel 1958 le montagne sullo sfondo del labirintico Belvederedel 1958 sono una ripresa di quelle già raffigurate nel disegno di Pettorano sul Gizio.

La sua salute fu sempre cagionevole: l’ultima opera, Serpenti, è del 1969. Poi, sempre più malato, si limitò a ristampare le sue opere. Maurits Cornelis Escher morì il 27 marzo 1972 all’ospedale Diakonessenhuis di Hilversum, in Olanda. Fu un grande maestro, che visse in quattro nazioni diverse affrontando i tempi difficili delle due guerre, ma la sua ricerca artistica non ne venne scalfita e rimase un unicum. Escher ha trasfigurato il visibile, intrecciando ciò che vedeva con ciò che percepiva. Quell’alto biondo pittore olandese, che beveva il sole con gli occhi, ha espresso con semplicità e chiarezza la sua vocazione:

Vedere due mondi diversi nello stesso identico luogo e nello stesso tempo ci fa sentire come se fossimo in balìa di un incantesimo. Solo un artista ci può dare questa illusione e suscitare in noi una sensazione eccezionale, un’esperienza dei sensi del tutto inedita“.

Da: L'Aquilablog.it

1 novembre 2024

Tommaso Ciampella di Miglianico, compositore abruzzese delle Maggiolate, musicologo e autore di musiche sacre.

 

Tommaso Ciampella di Miglianico, compositore abruzzese delle Maggiolate, musicologo e autore di musiche sacre.

di Angelo Iocco

Nacque a Miglianico nel 1893, lo stesso anno del famoso compositore abruzzese Guido Albanese a Ortona. Apprese i rudimenti della musica con la banda locale, poi continuò gli studi, insegnando infine musica privatamente. Si sposò nel 1922; apprezzato musicista si trasferì a Chieti, dove nel 1930 fu chiamato a dirigere l’orchestra al Teatro Marrucino di Chieti per un Galà fascista, dove si erano riunite le delegazioni degli Squadristi provinciali. Pubblicò in questi anni a Ortona, per la tip. Bonanni, delle raccolte di studio per musica. Dopo la guerra continuò a fornire le lezioni di musica, e pubblicò: Il canto nella scuola : 15 composizioni didattiche per le scuole elementari e ad uso degli Istituti magistrali, scuole di tirocinio, scuole di avviamento. Con aggiunta di 3 quadri sinottici tonali per esercizi teorico-pratici. Parte I Firenze : Tip. G. E P. Mignani, [1947]. Collaboratore della Rivista Abruzzese a Chieti, che poi si trasferirà a Lanciano, il Ciampella pubblicò due scritti di musica abruzzese: La personalita e l'arte di F. Paolo Tosti, e Venerdi Santo e il Miserere di F. S. Selecchi . Quest’ultimo uno dei primi studi moderni critici, che si svincolava dalle estetiche esagerazioni degli scrittori di Chieti, come Francesco Vicoli, e riportava un’analisi musicale del celebre Miserere. Partecipe alle Maggiolate di Ortona, risorte dalle devastazioni belliche, nel 1947 si presentò con la canzone Amore me’, amore me!, forse la più famosa della sua produzione, tanto da essere adottata dal Coro folk “Antonio Di Jorio” di Atri, incisa nel cd “Venticelle d’Abruzze” a cura del M° Concezio Leonzi. E’ una canzone che è simbolica nel periodo in cui fu scritta, un periodo di un Abruzzo in macerie, la piccola Miglianico era in macerie, così come Ortona e Francavilla, ricordate nel programma finale dalla canzone dell’Albanese: Ci manche all’Adriatiche na perle, presentata nella Maggiolata del ’47. Il canto di Ciampella invece invoca l’amore, la felicità, la gioia di continuare a vivere, quasi volesse esorcizzare lo spettro della devastazione ancora tangibile.


Per Miglianico, Ciampella scrisse anche un suggestivo Miserere, ancora oggi eseguito, sui versi dei Salmo 50; una composizione per banda che per tonalità ascendente, in certi punti ha delle affinità con il Miserere del Selecchy di Chieti, ma ovviamente il colto Ciampella lo reinterpreta e ne fa un pezzo originale. Acute le voci al v. “secundum magnam misercordiam tuam”, per poi ridiscendere in tonalità, nella conclusiva “Miserere, miserere mei Deus!”.

A Miglianico si eseguono da parte della Confraternita S. Pantaleone le musiche del Miserere di Ciampella, dal Salmo 50, che comprende le strofe del “Misere mei Deus – Et secundum multitudinem miserationem tuarum – Amplius lava me”; mentre del Maestro di Banda Ettore Paolini, storica figura miglianichese, la Marcia funebre. Il testo è tratto dalle Sette ultime parole (Le tre ore di Agonia di Nostro Signore) di Saverio Mercadante, mov. 1: Già trafitto, andante mosso. È uno spettacolo ancora oggi, ascoltare queste due musiche nella chiesa madre di Miglianico suonate dalla Corale, e poi partecipare al commovente corteo della processione del Cristo morto per le strade del paese, seguendo il Feretro e la Banda.


Ecco le canzoni presentate dal Ciampella alle Maggiolate di Ortona

Amore me, amore me! (1947)

La fije e lu core di tatà (1948)

Villanelle annamurate (1950)

Mare e sonne (1952)

 

31 ottobre 2024

Coro Folk Pierino Liberati di Castel Frentano, CD canzoni abruzzesi.

Coro Folk Giulio Sigismondi, Concerto di Canzoni Abruzzesi, 1980.

Coro Folk Guido Albanese di Frisa, Canti abruzzesi, registrazione 1970.

Coro Tommaso Coccione, Canzoni del Folklore Abruzzese, 1987.

Costantino Barbella scultore d'Abruzzo e il Cenacolo michettiano.

18 ottobre 2024

Jean Joseph Xavier Bidauld, “Vue de la ville d’Avezzano, au bord du lac de Celano, royaume de Naples", “Veduta della città di Avezzano, sulle rive del lago di Celano, regno di Napoli”, 1789, Musée du Louvre, Parigi.

Jean Joseph Xavier Bidauld, “Vue de la ville d’Avezzano, au bord du lac de Celano, royaume de Naples", “Veduta della città di Avezzano, sulle rive del lago di Celano, regno di Napoli”, 1789, Musée du Louvre, Parigi.



Jean Joseph Xavier Bidauld, (Provenza, 1758 – 1846)

“Vue de la ville d’Avezzano, au bord du lac de Celano, royaume de Naples", “Veduta della città di Avezzano, sulle rive del lago di Celano, regno di Napoli”, “Monte Tino o Serra di Celano dipinto da Avezzano”, 1789
Olio su tela, cm 37x49
Musée du Louvre, Parigi.


Jean Joseph Xavier Bidauld, “Vue de la ville d’Avezzano, au bord du lac de Celano, royaume de Naples", “Veduta della città di Avezzano, sulle rive del lago di Celano, regno di Napoli”, 1789, Musée du Louvre, Parigi.


“Vue de la ville d’Avezzano, au bord du lac de Celano, royaume de Naples.”

Al secondo piano del Museo del Louvre, a pochi passi dalla celebre bagnante di Valpinçon ritratta da Jean Auguste Dominique Ingres, si trova un dipinto di Jean-Joseph-Xavier Bidauld con una veduta del lago del Fucino datata 1789. In questo splendido panorama, si riconoscono perfettamente Avezzano, con il profilo del Castello Orsini-Colonna, i campanili di San Bartolomeo e San Giovanni, Paterno e Celano. Sulle acque del Lago del Fucino si riflettono i colori del cielo e degli alberi. Piccoli ciuffi di nuvole sfiorano le cime del Monte Tino - la Serra di Celano -, mentre il fumo si solleva dai comignoli e due personaggi che sembrano ricordare Dante e Virgilio si fermano vicino a una barca attraccata a riva.



particolari

Da: Piccola Biblioteca Marsicana
  


Il celebre dipinto di Bidauld: dal Louvre di Parigi ad Avezzano.

Francesco Proia
Dipinto di Bidauld al Louvre
Dipinto di Bidauld esposto al Louvre di Parigi
Da italiani non possiamo che essere orgogliosi che il simbolo del Louvre, il museo più visitato al mondo, sia la Gioconda di Leonardo da Vinci. Eppure anche da Marsicani possiamo toglierci qualche soddisfazione giacché nelle sale del museo esiste un meraviglioso quadro rappresentante il lago del Fucino, davanti al quale passano ogni anno circa 8.8 milioni di turisti.

Il quadro in questione è stato dipinto dal pittore francese Jean-Joseph-Xavier Bidauld nel 1789, anno in cui in Francia scoppiò l’omonima rivoluzione. Questo pittore provenzale, come tanti suoi coetanei dell’epoca, fece un viaggio nell’Italia centro-meridionale denominato “Gran Tour”. A partire dal diciottesimo secolo infatti, i giovani aristocratici di alcune nazioni europee, si avventuravano in questo viaggio in cui imparavano a conoscere gli aspetti culturali, politici e artistici dei diversi paesi. Le mete erano la Francia, l’Olanda e la Germania, ma la metà più ambita e ricercata era indiscutibilmente l’Italia. Tra i giovani che fecero questo “Gran Tour” i più famosi furono Goethe e Lord Byron, ma quelli che più di tutti lasciarono dei documenti sul loro viaggio furono Kappel Craven, Kurt Hassert, Edward Lear e Mautits Escher, che descrissero e disegnarono meravigliosamente gli stupendi scenari dell’Abruzzo dell’epoca. Fece altrettanto anche Bidauld che, durante uno dei suoi viaggi, raffigurò con olio su tela (cm. 37 x 49) una veduta dal titolo “Monte Tino o Serra di Celano dipinto da Avezzano”. In realtà, secondo il catalogo del Louvre dove il dipinto è tutt’ora conservato, il titolo originale dell’opera era “Vue de la ville d’Avezzano, au bord du lac de Celano, royaume de Naples” ovvero “Veduta della città di Avezzano, sulle rive del lago di Celano, regno di Napoli”. Dal pregiato dipinto si può vedere come doveva apparire Avezzano alla fine del 1700, sui bordi dell’allora lago Fucino e con alle spalle in prospettiva la riconoscibilissima sagoma della Serra di Celano. Bidault, che ai più potrebbe anche sembrare un pittore minore, con le sue tele partecipò a tutte le esposizioni universali del tempo tra cui quelle di Parigi, Torino, Roma e Londra.
Dipinto di Bidauld esposto ad Avezzano

In pochi però sanno che per apprezzare quest’opera non è necessario recarsi a Parigi ed entrare nella sala 59 del Louvre destinata ai “Paesaggi d’autore del 1800” in quanto ne abbiamo una fedele riproduzione proprio qui ad Avezzano. Dove? La prossima volta che vi trovate su Via Garibaldi entrate nella Farmacia De Bernardinis, alzate lo sguardo verso l’alto e godetevi la “Vue de la ville d’Avezzano”. 

Luca Fornaci, pittore abruzzese di Chieti del ‘500.

 Luca Fornaci, Resurrezione di Cristo, Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, Ortona.

Luca Fornaci, pittore abruzzese di Chieti del ‘500

di Angelo Iocco

Un recente studio del Prof. Marco Vaccaro dell’Università di Chieti, apparso in Chieti – Scritti di Storia e di Arte dal Medioevo all’Ottocento, Chieti, Assoc. Sacro e Profano, 2021, fornisce più lumi su questo pittore, di cui si erano occupati in maniera sparuta Cesare de Laurentiis, Vincenzo Balzano e Francesco Verlengia, senza fornire particolari note critiche sulla sua carriera. Grazie anche alla pubblicazione di atti notarili dall’Archivio di Stato di Chieti a cura di Van Verrocchio in Theate Regia Metropolis, è possibile ricostruire in parte la carriera del pittore. Nacque a Chieti e visse e operò nella seconda metà del ‘500, e agli inizi del ‘600. Visse in un periodo di fervore culturale a Chieti e in Abruzzo, dove pittori della Maniera del Vasari, si cimentavano nella realizzazione di tele e affreschi per parrocchie e conventi. Rimanendo in ambito chietino, furono attivi artisti del calibro di Leonzio Compassino da Penne, Giovan Battistista Ragazzini da Ravenna con suo fratello Francesco (sue opere si trovano a Castelli, Penne e qualche paese dell’area vestina), Felice Ciccarelli, Tommaso Alessandrino e altri.

Luca Fornaci, Terzo ordine Francescano, dalla chiesa di Sant’Andrea di Chieti, ora in San Domenico di Chieti, foto Oscar D’Angelo.


Di Fornaci si conosce che fu attivo tra il 1585 e il 1592 con le sue opere principali a Chieti e nei dintorni. Nella Città di Achille, egli dipinse una tela ritraente il Trionfo dell’Ordine Francescano, proveniente dall’ex convento di Sant’Andrea degli Zoccolanti, oggi ex ospedale militare alla villa comunale e conservato, stando a quanto scrivono Vincenzo Zecca e Cesare de Laurentiis, dapprima nella Pinacoteca civica del palazzo comunale, e di recente nell’oratorio della chiesa di San Domenico al Corso, insieme ad altre opere d’arte sacra di Chieti e provincia. La grande tela mostra diverse parti danneggiate, con caduta di colore, al centro vi è l’Albero dell’Ordine di San Francesco, in basso a sinistra il Cristo benedicente, a destra Sant’Andrea, al centro San Francesco, dal cui corpo si erge l’Albero, sul primo ramo vi sono i Santi Francescani: San Bonaventura, Sant’Antonio di Padova, San Bernardino, San Giovanni di Capestrano; sul secondo ramo vi sono le Sante Clarisse: Santa Chiara, Santa Rita e altre; al terzo San Ludovico di Francia, Santa Elisabetta d’Ungheria patroni del Terzo Ordine. Nel cielo, attorniati dagli Angeli in gloria, vi sono Dio Padre, la Colomba dello Spirito Santo, e Cristo che indica l’Albero. Vi sono notevoli affinità con un’altra tela dell’Ordine Francescano presente nel convento di Sant’Antonio di Padova di Lanciano, nella Cappella del Santo, risalente al XVI secolo, ma restaurata, pare, di recente da padre Giovanni Lerario che dipinse le parti cadute. L’iscrizione dedicatoria recita: OPERA FATTA FARE DA GIOVAN MARINO TOMASO E GIOVAN IACOVO COLA FERRO.

Luca Fornaci, Terzo ordine Francescano, dalla chiesa di Sant’Andrea di Chieti, ora in San Domenico di Chieti (particolare)

Albero Francescano, chiesa di Sant’Antonio di Padova, Lanciano (XVI-XVII sec.)


Altre  opere realizzate dal Fornaci sono nella chiesa di Santa Maria di Costantinopoli di Ortona: Cristo risorto tra gli Apostoli, alla sinistra della scena il Salvatore appare in Maestà, nell’atto di benedire, alla destra gli Apostoli confusi, e in alto la scena della Casa di Pietro, realizzata come un sontuoso tempio, in alto al centro gli Angeli sopra una nuvola assistono meravigliati al prodigio. La firma di Fornaci si trova presso un cartiglio retto da un  Apostolo.

Archi (CH), Madonna del Rosario e Misteri, chiesa di Santa Maria dell’Olmo 



Filetto (CH), Luca Fornaci, Madonna del Rosario, chiesa di Santa Maria ad Nives (XVI sec.)

Presso la chiesa parrocchiale di Santa Maria ad Nives di Filetto si trova sulla destra una tela della Madonna del Rosario: la Vergine col Bambino è al centro, e nei riquadri della cornice sono raffigurati i Misteri del Santo Rosario. La Madonna porge un Rosario con la destra a San Domenico e ai seguaci, mentre il Bambino sulla mano sinistra della Vergine, si sporge a dare la benedizione a Santa Rosa da Lima e suore seguaci, mentre due donne, probabilmente le committenti dell’opera, appaiono a mezzo busto in basso a destra, nell’atto di adorare la scena. la stanza dove la Madonna siede in trono è abbellita da tende, e da un pavimento a lacunari disposti in ordine simmetrico, con figure geometriche di cerchi e rombi; schiere di devoti si trovano disposte dietro San Domenico e Santa Rosa, compreso Papa Pio V, vittorioso nella battaglia di Lepanto. Il quadro si trovava nella chiesa di Santa Maria di Filetto, nella parte antica del paese, andata distrutta nella seconda guerra mondiale. L’opera è di fattura mediocre, ma denuncia uno stile di rappresentazione abbastanza convenzionale nell’Abruzzo della fine del XVI secolo della Madonna del Rosario, culto diffusosi dopo il 1571; notevoli affinità si riscontrano in un quadro di autore seguace di Pompeo Cesura, conservato nella cappella del Rosario della chiesa parrocchiale di Santa Maria dell’Olmo in Archi in val di Sangro. La resa è decisamente migliore: la Vergine col Bambino è seduta, avvolta in un mantello a fogliame dorato, simile alle tele presenti nella chiesa di Costantinopoli in Ortona, e la schiera dei santi domenicani e dei dignitari papali è più movimentata, ed alcuni volti, come quello di Santa Rita, sembra denunciare tratti addirittura giorgioneschi, mentre la scena del Mistero dell’Incontro tra Maria ed Elisabetta denuncia echi della celebre tela di Raffaello realizzata per i Bedeschini nella chiesa di San Silvestro di Aquila.

Orsogna, convento francescano dell’Annunziata del Poggio

Nel convento del Ritiro dell’Annunziata di Orsogna si conserva una tela della Crocifissione: come da tradizione iconografica, il Cristo è al centro, due angeli accorrono ai lati delle braccia, per raccogliere in calici il sangue che sgorga dalle ferite delle mani, la Maddalena abbraccia il legno piangente; il Fornaci probabilmente per ragioni di committenza, non inserì gli Apostoli, ma San Francesco e altri francescani attorno la Croce, in atto di dolore, mentre sulla destra si staglia in posa solenne e mesta, la Madonna, con in basso il Serpente del Peccato originale. Opera più originale della tela di Filetto, che risente degli echi del dipinto di Ortona.

9 ottobre 2024

Peppe Millanta, QuotaMille - Rubrica per il TGR Abruzzo. Alla scoperta dei borghi d'Abruzzo a più di mille metri d'altezza.


Un viaggio alla scoperta dei luoghi d'Abruzzo posti a più di mille metri d'altezza.


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