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16 novembre 2025

Pescara: Il Teatro Pomponi.

IL TEATRO POMPONI:  STORIA


Il  Teatro  Pomponi  venne  costruito su  2.600  metri  quadri  di  proprietà  del demanio: l’aveva fatto sorgere dal nulla, sulle spoglie del fatiscente Padiglione marino in appena 60 giorni, il cavalier Teodorico Pomponi un affarista che si era arricchito commerciando con i muli durante la prima guerra mondiale e nel 1910 era stato   appaltatore  anche dell’ippodromo della Pineta.
Il 12 febbraio 1920 il Comune, retto dall'allora sindaco di Castellamare Adriatico, Puca, ottenne per 29 anni la concessione del lungo fabbricato costituente il Padiglione Marino, il vecchio stabilimento balneare in fondo a Corso Umberto  e di una vasta area all'intorno per ampliarlo e trasformarlo in un grandioso Kursaal con un albergo, teatro e casinò. Ma la delibera presentava tante imperfezioni e doveva essere corretta; poi la Giunta provinciale amministrativa bloccò tutto. Pomponi, che dichiarava “Un paese civile la prima cosa che fa , costruisce un teatro”,  non si diede per vinto e il 29 dicembre 1922  ottenne una sorta di liberatoria, su cui pesava l’ormai imminente Settimana Abruzzese del 1923, con la visita della Famiglia reale e dei gerarchi fascisti e la mancanza di un luogo dove riceverli decorosamente.   
Castellamare ebbe così  il suo teatro con più di mille posti più grande del  «Michetti» della dirimpettaia  e rivale Pescara. Un volo d’ottimismo per una cittadina che faceva sì e no 12.000 abitanti. Fu  lo stesso Pomponi,  in occasione  della Settimana  Abruzzese,  ad accogliere Benito Mussolini che fece il suo discorso dall'alto del balcone del Padiglione Marino annesso al Pomponi  nell'agosto del 1923 e poi, nel  teatro ancora  privo di una degna facciata, nella serata di gala in onore del capo del governo,  fu eseguita l’opera “I Compagnacci”  di  Primo Riccitelli su libretto di Gioacchino Forzano, noto autore di libretti d’opera  per Leoncavallo e Mascagni. Nei primi degli anni Trenta il Pomponi fu sede di un Circolo del Littorio, il quale insieme col Circolo Aternino della vecchia Pescara  aveva il compito di raccogliere il meglio della cultura della città.  
Ma oltre a feste e balli degna di memoria  in questi anni fu l’attività della  filodrammatica “Aterno” composta di attori dilettanti diretta dal dottor Leopoldo Mascaretti.
L’attività  gestionale del Pomponi venne affidata dal 1937 alla Società Gestione cinema teatri, di cui era amministratore unico il cavalier  Guido Costantini. L’edificio ospitava  la gelateria Glacia, con i suoi eleganti tavolini all'aperto, una birreria, il circolo  della  stampa, il  circolo  degli impiegati, il liceo musicale. Era il cuore cultural mondano della città rinata dalle ferite della guerra.

Ma ai costruttori che stavano cambiando il volto di Pescara cominciò a fare gola il posto in cui  il teatro Pomponi era situato. Nel 1947 era stato predisposto dall'architetto Piccinato un piano di ricostruzione che ne prevedeva  l’abbattimento nel quadro della creazione del Parco della Riviera. Ma come ci ricorda Raffaele Colapietra, in uno dei primi numeri del periodico l’Adriatico, Filandro de Collibus, deputato fascista, aveva proposto la stessa condanna, senza riferimento a parchi da creare, parlandone solo come “un groviglio edilizio” privo di arte e bellezza da radere al suolo.

La sua  manutenzione per dieci anni  venne ridotta al minimo indispensabile e Martedì 12 agosto 1958 il Giornale d’Italia anticipava che il Palazzo Pomponi sarebbe stato presto abbattuto per far posto al progetto di un albergo di 12 piani.  Il 24 maggio 1964 venne ordinato un ulteriore sopralluogo nel corso  del quale i tecnici rilevarono «rilevanti dissesti generali in tutte le sue parti».  Il  28  Mariani   firmò  l’ordinanza di sgombero.  L’ultimo spettacolo  è del 4 giugno 1963:  una morte annunciata. A fine settembre del 1963 il  vice sindaco Evo Di Blasio firma l’ordinanza di demolizione in quanto ritenuto pericolante: si compiva così   il destino  del  Teatro  Pomponi. Ma la struttura non veniva giù, perché Pomponi era sì un avventuriero  ma  aveva usato il cemento armato. Si dovette far ricorso alle cariche esplosive.

Il  Teatro Pomponi imperioso e nello stesso tempo discreto, sorgeva proprio di fronte all'attuale nave di Cascella, non era certamente  un capolavoro di estetica, ma  svolgeva  la  sua funzione culturale di  fondamentale polo di aggregazione della nascente area metropolitana. Lo testimoniano molti documenti dell’Archivio comunale tra questi anche la concessione di lire 2500 che  Domenico Tinozzi  medico e letterato e senatore, che fece costruire il palazzo della Provincia e  del Comune, istituì il liceo ginnasio e la biblioteca provinciale, elargì per la stagione lirica del Teatro Pomponi.
D’estate i villeggianti facevano la fila per assistere agli spettacoli delle migliori compagnie dell’epoca.  Si davano proiezioni cinematografiche e nell'intervallo, il varietà o l’avanspettacolo, ma anche la lirica e l’operetta.  Vi  si  esibirono Totò e Peppino De Filippo. Nel 1930 il  Pomponi ospitò  il primo  film sonoro, “La canzone dell’amore” di Ghirelli, e subito dopo una pellicola di  Petrolini: tutta  Pescara  si  radunò lì davanti. fregi, i lampadari, gli stucchi in stile liberty, le  poltrone  in  velluto rosso  ne facevano  una struttura raffinata  che qualsiasi altra città si sarebbe tenuta ben stretta. Ma Pescara decise diversamente.                                                                                             

Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli 
I documenti e le immagini (quelle prive di firma) sono tratti dall'Archivio di Stato di Pescara e da “Pescara” di Luigi Lopez.

10 novembre 2025

Il pittore Camillo De Innocentiis di Chieti (1827-1919) e le sue opere.

Veduta di Orsogna, di Camillo De Innocentiis – olio su tela- collez. privata – color 

Si notano da sinistra la casa del dazio, il castello-palazzo Colonna, il torrione, casa Vozzo, il caseggiato di viale R. Paolucci e la chiesa di S. Rocco, nel restauro di Filippo Santoleri. Grossolana anche la resa “miniaturizzata” delle persone, troppo piccole rispetto alla reale grandezza degli edifici.

Il pittore Camillo De Innocentiis di Chieti (1827-1919) e le sue opere.

di Angelo Iocco

Poco o niente si sa di questo pittore abruzzese di Chieti, di chiaro cognome orsognese. Nacque a Orsogna nel 1827 da Vincenzo De Innocentiis ed Elena Masci, e morì a Chieti, dove si trasferì giovane, il 26 febbraio 1919[1]. Era fratello di altri personaggi notabili nel contesto culturale e politico teatino: Francesco De Innocentiis[2] e Michele. Camillo studiò disegno a Napoli presso la scuola del celebre abruzzese Filippo Palizzi[3], e dunque aderì, come un altro suo convicino, Vincenzo Gagliardi da Lanciano (1864-1904) a quella scuola del naturalismo e del verismo, detta “di Posillipo”, capeggiata da Domenico Morelli. Come vedremo, molti paesaggi e vedute panoramiche del De Innocentiis aderiscono a questo sentimento artistico napoletano, così magnificamente trasfuso in Abruzzo dai fratelli Palizzi e continuato poi da Francesco Paolo Michetti.

Prospettiva della piazza Mazzini di Orsogna dal viale Trento e Trieste. Primi del ‘900, qualche anno dopo la realizzazione del dipinto di de Innocentiis


Nel 1847 espose un gruppo di acquarelli con soggetti arabi[4].

Nel 1909 donò 5 lire per l’obolo di S. Pietro raccolto dalla rivista La Civiltà cattolica[5]. Nel 1918 donava per lo stesso motivo, 10 lire[6].

Fu amico e corrispondente del filosofo Bertrando Spaventa di Bomba[7].

Era amico dell’Avv. Camillo De Attiliis[8] e del sindaco e storico Cesare De Laurentiis. Il fratello di Camillo, Francesco De Innocentiis, era membro della giunta comunale, nonché direttore della Cassa di Risparmio di Chieti[9].

Il De Laurentiis nativo di Chieti (1865-1927) fu un politico e storico.  Nato a Chieti e morto a Firenze (1865-1927). Instancabile, appassionato e acculturato ricercatore-storico della sua Chieti. Scrisse diversi “Quaderni” manoscritti, oggi conservati presso la Biblioteca Provinciale “A.C. De Meis”, densi di informazioni tuttora molto utili per gli studiosi. Il Consiglio Comunale di Chieti nel 1888 affidò a Cesare De Laurentiis il compito di riordinare le antiche scritture (dal 1461 al 1826) esistenti nell’archivio, riguardanti le vicende storiche della Città. Però, per cause non conosciute, antecedentemente al 1985, la busta n. 128 che conteneva gli atti più antichi, è andata dispersa. Dedicò la sua vita alla rivalutazione della sua Chieti ricoprendo più volte l’incarico di sindaco. Contribuì all’accoglienza di Gabriele d’Annunzio quando nel 1904 al Teatro Marrucino rappresentò la prima abruzzese de la Figlia di Jorio; ad organizzare la 1° Mostra dell’arte antica abruzzese tenutasi a Chieti nel 1905; ad accogliere ed ospitare il Re Vittorio Emanuele III° e la consorte, Regina Elena Petrovich, principessa di Montenegro, venuti a Chieti per l’inaugurazione della Mostra dell’arte antica abruzzese e, in concomitanza, all’inaugurazione della linea tranviaria che collegava la città alta con Chieti Scalo. È stato un grande personaggio di spicco per Chieti e profuse molte energie e beni personali per la valorizzazione della città, andrebbe ricordato di più.[10]

L’attività artista di Camillo, fervente patriota e legato a quei sentimenti di acculturamento regionale, voluti da Francesco Vicoli con la rivista Album pittorico letterario abruzzese (1859-60), e prima di lui da Pasquale De Vergilii con la rivista Giornale abruzzese di lettere, scienze e arti, ambedue riviste create sulla falsariga delle napoletane Poliorama pittoresco e Napoli nobilissima, si concentra proprio con alcuni disegni pubblicati nell’Album pittorico letterario[11]. Come avevamo detto all’inizio del capitolo, egli aveva studiato presso il Palizzi, e quando aveva raggiunto la maturità, negli anni ’60 dell’800 egli dava lezioni di disegno ai fratelli Francesco Paolo e Quintilio Michetti come privatisti, i quali studiavano anche presso i pittori Marchiani di Ortona, residenti a Chieti, dove avevano impiantato la loro litografia[12], apprendendo da loro quella grazia per il naturalismo, e quella ieraticità candida verso la raffigurazione del sacro e dei santi, che successivamente il Michetti modificherà e connoterà con accenti modernisti nei primi del Novecento.

Veduta di Orsogna, di Camillo De Innocentiis – olio su tela- collez. privata 

Purtroppo del De Innocentiis attualmente non resta granché, se non delle pitture di collezione privata. Tra di questi, per gentilezza di Marco Jajani che mi ha fornito una fotoriproduzione, figura una magnifica veduta di Orsogna in prospettiva dalla via del tratturo (attuale viale Trento e Trieste) in direzione della Piazza. Il dipinto fu realizzato negli anni ’80 dell’800, e lo dimostrano la presenza di casa Vozzo sull’attuale via L. Parladore, e la facciata della chiesa di S. Rocco sulla destra, frutto dei restauri voluti dall’ing. Filippo Santoleri orsognese. Qualche licenza poetica qua e là, ad esempio la veduta della Majella all’orizzonte del viale, appositamente spostata, altrimenti non visibile perché occultata dal torrione del castello Colonna, andato distrutto nel 1943-44, che tanto impressionò il Michetti per la sua tela de La figlia di Jorio, dipinta a Orsogna.

D. Ignazio De Innocentiis di Orsogna, era zio del nostro Camillo.

Scrisse componimenti, insieme a Francesco Auriti di Guardiagrele, Raffaele de Novellis di Alanno, Antonio D’Orazio e Francesco Vicoli nella Raccolta di prose e poesie varie scritte nell’infausta circostanza della morte dell’Avv. D. Felice Scoperta[13], avvenuta a Chieti il 14 gennaio 1849, Chieti, tip. F. Vella, 1849.[14] 

30 ottobre 2025

Vittorio Pepe, lo Strauss d'Abruzzo.



Nato a Pescara i 23 luglio 1863, figlio di Giuseppe Pepe e Rachele Carabba, crebbe nel rione di Porta Nuova. 
Si diplomò nel 1885 in pianoforte presso il Conservatorio di San Pietro a Majella di Napoli, nel contempo fu introdotto dall'amico e coetaneo Gabriele D'Annunzio nel cosiddetto "Cenacolo" presso il Convento Michetti, un edificio religioso di Francavilla al Mare trasformato nella seconda metà dell'Ottocento in un polo culturale e musicale dal pittore Francesco Paolo Michetti. 
Vittorio Pepe fu molto apprezzato e suscitò l'interesse di alcuni importanti artisti e intellettuali del suo tempo, come il compositore Francesco Paolo Tosti e lo stesso D'Annunzio che lo definì "meraviglioso cembalista" e lo propose alla guida artistica della corporazione musicale "Luisa D'Annunzio". 
Trasferitosi per un breve periodo a Milano collaborò con Casa Ricordi dell'editore Giulio Ricordi. Successivamente partecipò alle attività promosse dalla Casa Musicale Sonzogno e da altre case editrici come Pigna e Carisch. 
La sua fama di compositore e musicista si consolidò e raggiunse l'apice tra la fine del XIX secolo e gli anni trenta del Novecento quando gli furono concessi, per meriti artistici, l'onorificenza di Cavaliere della Corona d'Italia e nel 1924 il grado di commendatore. 
Tornato in Abruzzo insegnò in alcuni istituti scolastici di Pescara e Chieti e diresse la banda musicale pescarese tra il 1888 e il 1893. 
Ritiratosi dalla scena culturale morì all'età di circa 80 anni a causa dell'ultimo bombardamento aereo che nel corso della seconda guerra mondiale contribuì a devastare la città di Pescara. 
Il drammatico evento dell'8 dicembre del 1943, oltre a provocare la morte del maestro, causò il crollo della sua abitazione di viale Vittoria Colonna con la conseguente perdita di gran parte del materiale d'archivio, anche relativo alla sua florida produzione artistica che spazia dall'operistica, alla musica sinfonica e romanza e risulta principalmente composta da opere per pianoforte ma anche polke, mazurche e valzer.

Cultura d’Abruzzo – Il Centro Studi Abruzzesi e Attraverso l’Abruzzo di Pescara. Una rivista abruzzese nata nel dopoguerra (1952-1978).

Copertina di Luigi Dommarco, “Nu ‘ccone di tutte”, edizioni Attraverso l’Abruzzo, Pescara

Cultura d’Abruzzo – Il Centro Studi AbruzzesiAttraverso l’Abruzzo di Pescara. Una rivista abruzzese nata nel dopoguerra (1952-1978)

di Angelo Iocco

Fondata dal giornalista e cultore di studi patrii Francesco Amoroso (San Severo, 1901 – Pescara, 1978)[1], aveva la sua redazione in viale N. Fabrizi, nel centro pescarese. La rivista, che a seguire pubblicò anche dei volumetti o “quaderni” di ricerche, nacque in seno alla Rivista Abruzzese di Chieti del 1948 con redattore Francesco Verlengia, nei primi anni ’50, precisamente nel 1953[2]. Il compito era appunto quello di pubblicare periodici con saggi di studi sulla storia, sul dialetto, sulla poesia, sulle arti e le curiosità varie d’Abruzzo, e l’intento specialmente, nella centrale Pescara, era quello di riunire gli scrittori regionali in una sola famiglia, per “attraversare” l’Abruzzo.

 I collaboratori e poeti

Raduno dei poeti d’Abruzzo al convento di Collecorvino (provincia di Pescara) nel 1964. Tra i convenuti si riconoscono, il terzo da sinistra, in piedi e basso di statura, il prof. Federico Mola di Orsogna (1887-1978), il quinto Mario Salvitti, l’ottavo con il plico in mano è il dott. Guido Giuliante (1912-1976). Foto archivio privato Mario Salvitti


Fotografie di Francesco Amoroso e Antonio Del Pizzo, metà anni ’70 – da Antonio Del Pizzo – Tutte le poesie, a cura di Giuseppe Del Pizzo, 2012


Tra i collaboratori in effetti vediamo in primis l’instancabile Verlengia, che con una serie di saggi di folklore, devozione popolare e note d’arte, riempì le pagine della rivista, a partire dal 1955. Gli indici pubblicati nel quaderno Francesco Verlengia – Scritti (1910-1966), Rivista Abruzzese, 2007, indicano i vari argomenti di cui trattò, la festa di San Cetteo di Pescara, la favola del cavallo di Atri, presenza di Ferdinando II di Borbone a Chieti, il sor Paolo di Teramo, la festa di San Martino sulla Majella, la statua di Sant’Anna metterza di Chieti, e tanto altro. Per  “Attraverso l’Abruzzo”, Verlengia curò anche un pregiato volumetto dal titolo “Tradizioni e leggende sacre Abruzzesi”, 1958. Non fu l’unico, spinto dall’Amoroso, a scrivere di tradizioni popolari. 


Attraverso vari articoli, riuniti poi in un pregevole volumetto, da servire negli studi attuali come “introduzione generale” alla ricerca nel campo, anche padre Donatangelo Lupinetti da Castilenti (1909-2000) produsse un bel volumetto dal titolo “Canto popolare abruzzese di genere sacro”, 1973. Fu allegato nella collana del Centro Studi Abruzzesi di viale Fabrizi; nel piccolo saggio Lupinetti deplora lo scarso studio serio del canto d’Abruzzo nell’epoca presente, e si richiama all’infaticabile opera di Gennaro Finamore di Gessopalena (1836-1923) edita a Lanciano, deplora la negligenza di certi studiosi improvvisati, i quali non si servono delle moderne tecnologie di registrazione, ma si limitano a citare quanto già scritto, e fa appello ad esempio al grande lavoro di Ettore Montanaro di Francavilla, che nei primi del ‘900 raccolse in 2  volumi di “Canti della Terra d’Abruzzo”, Milano, Curci (1924-28), diverse arie popolari della nostra zona, come ad esempio “A la Lancianese”, “A la Francavillese” (che oggi è più nota come “Maria Nicola”), il Lamento della vedova, il Coro delle mietitrici, il Canto dei boscaioli, Tutte le funtanelle e tante altre; sebbene nello studio presente, Lupinetti abbia posto a confronto varie arie del canto religioso, come i lamenti e le nenie per la Settimana Santa, o le arie dei pifferi per la Novena dell’Immacolata, o canti che si recitano in chiesa alla Madonna.

Un altro grande saggio degno di nota, di questa collana, il quarto della serie del Centro Studi Abruzzesi, è “Antologia dei poeti dialettali Abruzzesi” di Ernesto Giammarco. In queste pagine egli raccoglie liriche inedite di vari poeti contemporanei, quali Merciaro, Mola, Giuliante, D’Aristotile, De Carolis, Polsi, Giannangeli e altri.


L’opera fa una cernita dei poeti abruzzesi che si susseguirono dall’epoca più antica, ossia il Medioevo, sino a oggi, e quindi sono passati in rassegna Buccio di Ranallo, Antonio di Buccio, cronista aquilano, Serafino de’ Cimminelli aquilano, Giovanni Quatrario di Sulmona, poi Romualdo Parente, Giuseppe Paparella di Tocco Casauria col suo brindisi del cafone, Modesto Della Porta, Giulio Sigismondi, Cesare de Titta, Luigi Dommarco, insomma tutto il campionario. Giammarco stava infatti lavorando a un’opera più corposa, che vedrà la luce qualche anno più tardi, la “Storia della Letteratura Abruzzese”, voluminoso testo ancora oggi fondamentale per gli studi sui nostri scrittori, non solo dialettali!

L’attività di questa Collana di Studi vide uscire anche piccoli quaderni sui poeti d’Abruzzo, poeti viventi che volevano pubblicare nuove raccolte di poesie, come ad esempio Antonino Di Donato, Nicola Del Casale, Francesco Brasile o Luigi Dommarco, oppure saggi su poeti defunti, come Della Porta, Sigismondi, De Titta e altri.


Il primo pubblicò un’opera di A. Di Donato, il secondo una scenetta teatrale di Cesare Fagiani di Lanciano con un’appendice dell’Amoroso su Della Porta, il terzo una raccolta di Cosimo Savastano con un’appendice sulla poesia di don Evandro Marcolongo, il quarto Giovanni Chiola, con un’appendice sulla poesia di Cesare De Titta, il quinto un’opera di Francesco Brasile di Lanciano, con in appendice un suo saggio sulla raccolta “Acqua, foco e vento” di De Titta, il sesto Benedetto Ventura, con appendice di Mario Morelli sul poeta aquilano emigrante Giovanni De Paulis, poi un’opera di Italo Bomba di Lanciano con un saggio su Cesare Fagiani, che era scomparso nel 1964, a seguire un’opera di Ilaria Garzarelli, con appendice sul poeta vastese Luigi Anelli, poi Vincenzo De Meis, con un’appendice dell’Amoroso sul poeta raianese Umberto Postiglione, poi un’opera di Nicola Del Casale con un’appendice del Brasile su Giulio Sigismondi, e via dicendo. Anche l’orsognese, ma residente a Roma, Pio Costantini, fratello del celebre Beniamino, illustre storico orsognese prematuramente scomparso, ebbe a scrivere della sua patria, e trattò del Risorgimento, tema carissimo a questi studiosi, con un saggio su Silvio Spaventa, e un altro sulla presa francese di Guardiagrele nei moti del 1799; Alfredo Sacchetti scrisse di Giuseppe Romualdi, Angelo Vasconi scrisse di Corrado Gizzi, Giorgio Morelli scrisse dell’arte della tintoria abruzzese, sul costume antico di Scanno, sull’arte dell’oreficeria regionale, Pasquale Di Cicco fece un cenno sul prelato e illustre storico abruzzese Anton Ludovico Antinori, Felice Menna scrisse sulla storica Banda “B. D’Annunzio” di Casalanguida; il prof. Enrico Pappacena, che insegnò negli anni ’30 al liceo classico di Lanciano, scrisse sulla poesia dell’abruzzese dimenticato Nicola Moscardelli, Galeazzo Valentinetti sulla rivolta popolare di Ortona del 1885, Antonino Fiori sul celebre monastero di San Clemente a Casauria.

Lo spoglio sarebbe lunghissimo! La rivista si conserva nella Biblioteca provinciale “G. D’Annunzio” di Pescara e nella biblioteca “A.C. De Meis” di Chieti. Nel 1963 uscì parzialmente un volume che riuniva tutti gli articoli scritti dal 1952 di Francesco Amoroso, estratti dai vari numeri.


I Quaderni di Poesia dialettale del Centro Studi Abruzzesi



1)    Antonino Di Donato, Lu vetelle, prefazione di Ottaviano Giannangeli – in appendice: Giuseppe Paparella, di Francesco Verlengia, 1964

2)    Cesare Fagiani, Lu pijatòre de le feste, prefazione di Francesco Amoroso – in appendice: Modesto Della Porta, di Francesco Amoroso, 1965[3]

3)    Cosimo Savastano, Che sarrà, prefazione di Rino Panza – in appendice: Evandro Marcolongo, di Hilde Mammarella[4], 1965

4)    Giovanni Chiola, La feste de lu Prutettore, prefazione di Francesco Amoroso – in appendice: Cesare De Titta, di Peppino Bellano, 1966

5)    Francesco Brasile, Da Venezie a Lanciane, prefazione di Maria Teresa Gentile – in appendice: Acqua, foco e vento di Cesare De Titta, di F. Brasile, 1967

6)    Benedetto Ventura, Ddu’ solde de povesia paiesàne, prefazione di Lello Sartorelli – in appendice Giovanni De Paulis di Mario Morelli, 1967

7)    Italo Bomba, Come parlé mamma mé, prefazione di Francesco Amoroso – in appendice: Cesare Fagiani di Francesco Paolo Giancristofaro, 1968

8)    Valeria Garzarelli, Nuvele e serene, prefazione di Francesco Brasile- in appendice: Luigi Anelli, di Francesco Amoroso[5], 1968

9)    Vincenzo De Meis, Vallescùre, prefazione di Francesco Amoroso – in appendice: Umberto Postiglione, di Francesco Amoroso, 1969

10)                      Antonio D’Ercole, Lu ritorne, presentazione di Francesco Amoroso – in appendice: La poesia dialettale frentana, di F. Amoroso, 1970

11)                      Luigia Garzarelli, L’anime siempre cante, prefazione di Luigi De Giorgio – in appendice: Alfredo Polsoni di Rino De Ritis, 1971

12)                      Nicola Del Casale, Lu Vuaste dumane, prefazione di Giuseppe Perrozzi – in appendice: La poesia di Giulio Sigismondi, di Francesco Brasile, 1971

13)                      Antonio Del Pizzo, Trombone e la Grotta del Cavallone – in appendice: Romualdo Parente, di Giorgio Morelli, 1971

14)                      P. Donatangelo A. Lupinetti, Li femmine de lu paese me – in appendice: Fiore d’Amico, di P. Donatangelo Lupinetti, 1973

15)                      Oberdan Merciaro[6], Pescara me…. – in appendice, La poesia dialettale vestina di Francesco Amoroso, Pescara 1974

16)                      Dario Di Gravio……………………………………………………….…?

17)                      Ermando Magazzeni…………………………………………………..…?

18)                      Luigi Dommarco, Nu ‘ccone di tutte[7], a cura di Alessandro Dommarco, 1975

19)                      Rino Panza, La scale – in appendice: Fecchia e Petrucci poeti dialettali peligni di R. Panza, 1975

20)                      Francesco Amoroso, Autori diversi della zona linguistica teramana – in appendice: Natale Cavatassi, Luigi Illuminati, Giuseppino Mincione, Fedele Romani, 1975.

 

 

Altri Quaderni di studi abruzzesi

1)    AA.VV., Nozze d'oro del poeta Antonio del Pizzo : Lama dei Peligni, 16 agosto 1972 / a cura del Centro Studi Abruzzesi. Pescara: Tipografia Giannini, [1972?]

2)    Francesco Brasile, Voce d'Abruzzo : componimenti dialettali abruzzesi con versione in lingua, prefazione di Raffaele Paolucci di Valmaggiore – illustrazioni Elio D’Epifanio, Pescara, Attraverso l’Abruzzo, 1955

3)    Ernesto Giammarco, Antologia dei poeti dialettali abruzzesi : dalle origini ai nostri giorni con profilo storico, studio ortografico e illustrazioni di artisti abruzzesi, prefazione di Gino Bottiglioni. - Pescara : Ediz. "Attraverso l'Abruzzo", 1958

4)    Francesco Brasile, Saggi, prefazione di Raffaello Biordi ; edizione a cura del Centro studi abruzzesi. - Pescara : Attraverso l'Abruzzo, 1969

5)    Vito Giovannelli, L' antico volto di Pescara, con note di O. Giannangeli, R. Panza, G. Rosato ; a cura del Centro studi abruzzesi e con la collaborazione dell'amministrazione provinciale, del Comune e dell'Azienda di soggiorno di Pescara. - Pescara : Istituto artigianelli abruzzesi, 1973

6)    Donatangelo Lupinetti, Il carnevale nelle tradizioni popolari abruzzesi - Pescara : stab. tip. ed. Amoroso, 1958

7)    Quinto Matricardi, Note su alcuni pittori abruzzesi e altri scritti. - Pescara : A cura del Centro studi abruzzesi, 1971

 

Bibliografia essenziale di Francesco Amoroso e della rivista Attraverso l’Abruzzo – Centro Studi Abruzzesi

* Il Centro Studi Abruzzesi non esiste più, Pescara, Centro Studi Abruzzesi, 1959

*Attraverso l’Abruzzo: saggi critici, bibliografici e storici, Pescara, edizioni Attraverso l’Abruzzo

* Federico Mola vessillifero dell’ideale, Chieti, Solfanelli, 1963

*Modesto Della Porta – Il poeta della gente d’Abruzzo, prefazione di Ottaviano Giannangeli, Pescara, edizioni Attraverso l’Abruzzo, 1966

* La mano di sangue : tragedia dell'epoca masanelliana : atto unico in due quadri con saggio introduttivo dell'Autore; prefazione di Raffaello Biordi, Pescara, Centro Studi Abruzzesi, 1967

* Note storiche sul Convento di Isola del Gran Sasso, Pescara, Centro Studi Abruzzesi, 1967

* La strega del Cavallone : leggenda della montagna abruzzese : tragedia pastorale in tre atti; prefazione di Maria Teresa Gentile, Pescara, Centro Studi Abruzzesi, 1967

*”La fratte” di Cesare De Titta – “Il discorso della siepe” di Gabriele d’Annunzio, traduzione dal dialetto di Ottaviano Giannangeli, Pescara, edizioni Attraverso l’Abruzzo, 1969

* Ceneri e faville: 70 anni di lotte, Pescara, Centro Studi Abruzzi, 1971

* Modesto della Porta – Ricostruzione dell’uomo e del poeta, prefazione di Vittorio Clemente, versioni metriche di Ottaviano Giannangeli, Pescara, Centro Studi Abruzzesi, 1971

* Il dramma della croce, oggi : con una lettera di Achille Fiocco, Pescara, Centro Studi Abruzzesi, 1973

* (a cura): Bibliografia delle opere risorgimentali abruzzesi pubblicate in occasione delle celebrazioni centenarie dell'unita d'Italia, Pescara : Attraverso l'Abruzzo, 1975

* La transumanza in Capitanata e i suoi riflessi economici e sociali, Pescara, Centro Studi Abruzzesi, 1977

 

Bibliografia delle pubblicazioni di Attraverso l’Abruzzo – Centro Studi Abruzzesi

·        Attraverso l'Abruzzo : rassegna mensile di cultura e di vita regionale organo del Centro Studi Abruzzesi. - [S. l. : s. n., 1975- (Pescara : tip. abruzzese).

·        AA.VV., Prospettive per il teatro abruzzese : convegno dell'11 giugno 1962 a Loreto Aprutino, Pescara, Centro Studi Abruzzesi, 1967

·        Antonio Del Pizzo[8], Tra le botte de martielle – Centro Studi Abruzzesi – Poeti dialettali di oggi, n. 1, introduzione di Francesco Amoroso, Pescara 1971

·        Francesco Brasile, Canti della selva dell'Orinoco : tradotti in dialetto abruzzese, Pescara, Centro Sturi Abruzzesi, 1972

 

Le prospettive sul teatro dialettale abruzzese e conclusione

L’Amoroso, insieme al Giuliante, e ad amici come Di Donato, Merciaro e il poeta Giulio Sigismondi, nel 1959 parteciparono a un convegno sul teatro abruzzese a Chieti. Si propose una commissione culturale per organizzare una rassegna periodica di teatro dialettale abruzzese, ma l’iniziativa non ebbe seguito. Nel 1962, come pubblicato in un quaderno di atti, a Loreto Aprutino si tenne un ulteriore convegno sul valore del teatro abruzzese e sulle prospettive per avviare una rassegna ufficiale e in pianta stabile di lavori da presentare nei teatri regionali[9]. Addirittura furono proposte 4 commissioni per le 4 province regionali, il che già rese, come osserva il Moretti, macchinoso l’avvio di questo progetto, che di fatto si arenò immediatamente.

Traendo le nostre conclusioni, su questa prospettiva a Loreto, Giuliante prese una sua personale strada per la composizione di lavori teatrali, alternando produzione in lingua, produzione favolistica per bambini e produzione dialettale, come L’Emigrante e Giovannella di Scanno, o sacra, come Le tre primavere d’amore su musica di Ottavio de Caesaris. Non sta qui commentare il suo lavoro, magari in altra sede. Merciaro, Sigismondi & colleghi lavorarono ad altri copioni teatrali, presentati a varie rassegne, comprese le Settembrate pescaresi.

L’intento tuttavia, da sempre agognato dagli abruzzesi, di “costruire” un teatro identitario e soprattutto unitario, rimane tutt’ora una chimera. Forse per la stessa “pluri-identità” degli abruzzesi, siamo destinati a non avere una pièce teatrale, una storia, una leggenda, che possa accontentare tutte le micro-realtà regionali, una storia che funziona a Pescara, a L’Aquila non verrà accolta con lo stesso entusiasmo, gli abitanti non si riconosceranno in quei personaggi, così come una leggenda sacra, più congeniale alla cultura tradizionale aquilana, verrebbe presa dalla fascia adriatica come una “medievalata di costume”.

Da sempre in Abruzzo si è cercato, con dibattiti, fiumi di inchiostro sui giornali, polemiche tra autori quali Evandro Marcolongo, Luigi Antonelli, Cesare De Titta ed Eduardo Di Loreto, di fornire alla regione una identità teatrale. Nel 1923 ci si è provato allestendo la versione in vernacolo detittiana de La figlia di Jorio di D’Annunzio, alla Settimana abruzzese di Pescara, con la regia di Antonelli. Il risultato fu deludente per mala organizzazione e per “macchinosità” del progetto. Ma questi autori pur avevano già composto e continuarono a comporre farse, sketch, operette musicali in abruzzese, e in lingua, così come la seconda generazione dell’epoca del Centro Studi Abruzzesi produsse i suoi lavori, alcuni sulla falsa riga del “mito dell’età dell’oro” cantato nel Trittico di Terra d’oro di Dommarco e Albanese alle Maggiolate ortonesi. E così anche la terza e quarta generazione dagli anni ’80 ad oggi ha continuato e continua a proporre i propri lavori abruzzesi.

La peculiarità forse, sta proprio nel fatto che in Abruzzo, retaggio degli storici “Abruzzi” divisi dalla Pescara e dai confini montani, abbiamo molteplici micro-realtà culturali, ciascuna delle quali ha una propria identità. E questo tessuto connettivo molto labile, che sembra trovare l’ostacolo proprio negli incontri/sconti tra le varie culture nella stessa provincia, nella stessa macro-area, hanno generato grandissimi lavori, collegati in un certo senso da un fil-rouge per la ripetitività della storia, dell’intreccio, quasi sempre di gusto agreste, con situazioni paesane. Ma siamo assai lontani, e forse è inutile, affannarsi a proporre la ricerca e il conseguimento di partorire una “grande opera” di stampo regionale abruzzese.

Negli archivi delle associazioni culturali e teatrali abbiamo fin troppe pagine di copioni già dimenticati, già abbandonati, che però ogni tanto “risorgono” grazie all’interesse di qualcuno, come per il caso di Nu marite pe’ Catarine di Virgilio Sigismondi, figlio del celebre Giulio. Forse quanto a “larga distribuzione” e “reclàme” questa è la commedia abruzzese contemporanea meglio riuscita, portata un turnè per tutta la regione. Ne abbiamo certamente altre, insieme a drammi, operette e altro.

La ricerca è ancora in essere!


Quanto al Centro Studi Abruzzesi, con la morte di Francesco Amoroso nel 1978, cessarono i lavori, cessò la ricerca. Esso tuttavia, insieme alla rivista Attraverso l’Abruzzo, si pose in prima linea nel campo culturale regionale, nell’ambito di un ventennio, quando l’identità dell’Abruzzo era ancora da riformare, quando predominavano ancora gli scontri politici e culturali per trarre acqua al mulino di questa o quella provincia, quando nel 1949 ancora si lottava affinché la regione avesse un capoluogo, e L’Aquila e Pescara si contendevano il primato, dibattito reso ancora più aspro nel 1971, quando l’Abruzzo, prima del 1963 era ancora legato amministrativamente al Molise, quando l’Abruzzo-Molise non aveva ancora una Università statale degli Studi, e lo stesso Raffaele Paolucci, con Giuliante, se ne lagnava con articoli e discorsi pubblici. E immancabilmente L’Aquila faceva la voce grossa, Chieti per la sua “centralità” territoriale ambiva al riconoscimento dovuto, perché Teramo era troppo fuori mano.

Problemi orografici, che per scontri politici e forze centrifughe sociali, alimentate da ideali di comodo, ancora oggi attanagliano la regione. Il Centro Studi Abruzzesi ebbe l’onere di valorizzare la nostra regione, che usciva gravemente martoriata dalla Seconda guerra mondiale, i poeti della vecchia guardia, che appoggiarono il fascismo, come Marcolongo, Sigismondi, Merciaro, Dommarco, ebbero modo di avere una “rivalsa sociale e culturale”; il dibattito continuava, i nuovi poeti ebbero modo di farsi sentire ed essere bravamente apprezzati, come il Brasile, ma ancor più il poeta ciabattino Antonio Del Pizzo. Il nostro ricordo sarà sempre ad essi presente, col cuore, e la riconoscenza.



[1] Per le informazioni biografiche, ringrazio Andrea Giampietro, custode dell’Archivio “Ottaviano Giannangeli” di Raiano, il quale ha fornito informazioni biografiche sull’Amoroso, nel suo Studi di letteratura abruzzese, Ortona, edizioni D’Abruzzo, 2021

[2] La Rivista fu una delle più longeve del secondo novecento in Abruzzo, dal 1953 fino al 1978. Vita a parte ebbe il Centro Studi Abruzzesi di Chieti-Pescara, chiuso nel 1959, come si vedrà.

[3] Postumo, Fagiani morì nel 1964.

[4] La stessa curerà il volume di tutte le poesie di Evandro Marcolongo: A chiuse ciglia.

[5] Già edito nell’an. VIII de Attraverso l’Abruzzo.

[6] Postumo, Merciaro era nato nel 1892 a Pescara.

[7] Postumo, Dommarco morì nel 1969.

[8] Del Pizzo pubblicò anche Lu Palazzo de le Fate, ossia La Grotta del Cavallone, con relazione storica e introduttiva di Giampietro Tabassi, tenuta nel Congresso speleologico di Chieti del 4, 5, 6, 7, 8 agosto 1946, litografia Pascucci, Guardiagrele, 1978

[9] Ne parla anche Vito Moretti nella prefazione a Guido Giuliante, Teatro, Chieti, Solfanelli, 2023.