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4 agosto 2025

L’Abruzzo incantato di Georg Heinrich Busse.


L’Abruzzo incantato di Georg Heinrich Busse

di Fausto D'Addario
Dalle rovine di Forcona ai delicati acquerelli di Tagliacozzo fino al Velino: il viaggio emozionante di Georg Heinrich Busse nell’incanto di un Abruzzo perduto

Sommario [Mostra]

Tra la fine del Settecento e l’Ottocento, quando il Grand Tour era il sogno dei colti europei, alcuni spiriti curiosi si spinsero oltre le rotte consuete per esplorare un Abruzzo ancora sconosciuto, selvaggio, profondamente autentico. A muoverli fu la sete di bellezza, storia e verità. Tra di loro Georg Heinrich Busse, artista tedesco e viaggiatore dell’anima, seppe cogliere ciò che oggi ci sfugge: la poesia silenziosa dei borghi, la sacralità diffusa del paesaggio, il respiro lento della storia.

Un viaggiatore dell’anima

Nato il 17 luglio 1810 a Bennenmühlen, nei pressi di Hannover, Busse fu un artista silenzioso, appartato, uno di quelli che non ha fatto grande rumore, ma profondamente devoto alla bellezza. Dopo gli studi a Dresda, ecco il primo riconoscimento: vinse il primo premio per l’incisione nel 1834. Ma fu l’Italia, dove visse per dieci anni, a formarlo davvero. A Roma, sotto la protezione del legato Kestner, e poi in Umbria, Toscana, Napoli, la campagna romana e fino alle vette dell’Etna, Busse assorbì la luce, la pietra, la storia di quello che era considerato il giardino d’Europa. Il suo stile si nutrì delle lezioni di Poussin, Claude e Koch, ma ciò che rese unica la sua opera fu la capacità di unire precisione documentaria e sentimento poetico.

Nei suoi viaggi negli Abruzzi – terra ancora indomita e misteriosa – visse anche un singolare episodio: mentre era intento nel suo lavoro, fu scambiato da alcuni contadini per una creatura misteriosa e leggendaria il cui apparire presagiva sciagure. Minacciato con fucili e sortilegi, fu poi salvato da un sacerdote che lo riconobbe e lo accolse come ospite gradito. Una parabola quasi fiabesca che racconta meglio di ogni saggio la distanza tra la modernità del disegno e l’arcaicità di un’Italia ancora sospesa nel mito.



Le rovine di Forcona

Tra i disegni più suggestivi di Busse, spicca l’acquaforte “Ruine di una chiesa dell’antica Forcona negli Abruzzi”. Realizzata nel 1839, questa incisione è il foglio n. 32 della serie “Acqueforti pittoresche di varie regioni d’Italia”, (titolo originale “Malerische Radirungen verschiedener Gegenden Italiens”) pubblicata tra il 1840 e il 1846. L’opera è un piccolo capolavoro di sensibilità romantica, capace di trasformare le rovine in frammenti poetici.

L’incisione raffigura le rovine della Cattedrale di San Massimo, oggi situate nella frazione aquilana di Civita di Bagno, sul sito dell’antica Forcona, anticamente nota come Civitas Sancti Maximi. Nel 1257, per disposizione di Papa Alessandro IV, il vescovo e le reliquie di San Massimo furono trasferiti nella nuova città dell’Aquila, segnando la fine del ruolo centrale di Forcona. Busse coglie un momento di silenziosa desolazione, ma anche di sublime bellezza, quella che regna ancora oggi: le rovine solitarie, immerse in un lussureggiante paesaggio agreste.

Gli elementi architettonici riconoscibili sono la torre della facciata, danneggiata anche dai sismi che nei secoli hanno colpito la zona, insieme al portale, agli archi e alle colonne. La resa grafica di Busse è precisa, quasi archeologica, ma allo stesso tempo carica di una malinconia tutta romantica. E questa è forse la cifra più toccante del suo sguardo nordico su un’Italia meridionale: la capacità di cogliere l’anima del paesaggio, più che la sua forma. Sulla roccia, appena visibile, il discreto monogramma inciso dell’artista: G. H. B.



La Marsica nei suoi occhi

Una delle sue opere è recentemente tornata alla luce, grazie alla digitalizzazione dell’Accademia di Belle Arti di Vienna e alla segnalazione di Piccola Biblioteca Marsicana. Si tratta di un acquerello inedito del 1844: una veduta struggente di Tagliacozzo, borgo incastonato nel cuore della Marsica.  Al centro della scena si erge la Chiesa di Santa Maria del Soccorso, con il suo portico umile e dignitoso, mentre il campanile cinquecentesco si staglia come un punto di orientamento eterno. Le stazioni della Via Crucis si snodano verso il Monte Calvario, come spine di una memoria collettiva, mentre piccoli fiori, dipinti con la delicatezza di un respiro, punteggiano il sentiero. La strada si apre davanti allo spettatore come un invito: a camminare, a ricordare, forse a pregare. Le figure umane, minute, si confondono con il paesaggio: non sono protagonisti, ma pellegrini della storia.

Busse realizzò anche una celebre incisione del Monte Velino e del borgo di Albe, dominati da una natura aspra e sublime. Qui, come in tutte le sue vedute, l’uomo è piccolo, quasi invisibile, ma presente. Due figure si chinano a osservare dei reperti, come a voler capire da dove vengono, in un gesto che ricorda lo stesso lavoro dell’artista: scoprire, tradurre, conservare.

Nei suoi disegni compare anche Ovindoli, con la strada che serpeggia tra le rocce, un viadotto che unisce le sponde del tempo, e la città appollaiata come un nido d’aquila. Sono paesaggi che non esistono più così, non nella loro integrità poetica. Eppure, Busse ce li ha lasciati, come chi lascia un messaggio in una bottiglia, destinato a chi saprà ascoltare.

Ricordare il futuro

Al suo ritorno in Germania nel 1844, Busse fu nominato incisore alla corte e alla biblioteca di Hannover. Continuò a lavorare, viaggiò fino a Tunisi e Algeri, dipinse fiori e rovine, e morì nel 1868. Ma la sua anima è rimasta in Italia, tra acquerelli e incisioni, in quei cieli chiari che sovrastano chiese e ruderi, borghi e silenzi.

Nel suo stile, tra il romanticismo tedesco e la visione classica, tra la precisione dell’incisore e la delicatezza dell’acquerellista, si nasconde una nostalgia che è tutta italiana: quella di un paese che viveva nella lentezza, in armonia col paesaggio, nella bellezza che non ha bisogno di essere gridata.

Oggi, riguardando i suoi disegni, non vediamo solo l’Italia del passato. Vediamo ciò che l’Italia era per chi la amava da lontano, e ciò che potrebbe ancora essere, se imparassimo di nuovo a guardarla con occhi pieni di stupore e ad amarla da vicino.

Georg Heinrich Busse non ha solo inciso una delle prime narrazioni internazionali dell’Abruzzo, ma ci ha svelato l’anima nascosta dell’Abruzzo. Un’anima che, ancora oggi, attende chi sappia ascoltarla.


Da: laquilablog.it

Vasto, la Bagnante.

Vasto, la Bagnante

27 luglio 2025

Palombaro: La Madonna della Libera e la Madonna dell'Assunta tra storia e leggenda. - Tradizioni mariane abruzzesi.

 
La Madonna della Libera (particolare), conservata nella chiesa parrocchiale del Santissimo Salvatore di Palombaro

PALOMBARO: LA MADONNA DELLA LIBERA E LA MADONNA DELL’ASSUNTA TRA STORIA E LEGGENDA – Tradizioni mariane abruzzesi

di Angelo Iocco

La leggenda popolare 

La Madonna della Libera, è venerata da tempi remoti. La tradizione popolare riporta che essa è benefica contro i terremoti. Infatti nel 1456 un gravissimo terremoto funestò l’Abruzzo e la Majella, distuggendo diversi paesi. L’antica chiesa parrocchiale del Santissimo Salvatore, e andò distrutta. Venendo ricostruita, il parroco si raccomandò alla Vergine insieme a tutta la comunità. Nel 1706, il 3 novembre, di notte, un nuovo catastrofico terremoto della conca sulmonese devastò diversi paesi gravitanti sulla Majella. Ma Palombaro rimase illesa. Questo fu interpretato come un chiaro segno di speciale protezione della Madonna. I palombaresi, che nel frattempo erano fuggiti nel pieno buio fuori dal paese, rifugiatisi in ricoveri di fortuna, decisero che il pericolo fosse cessato, e ritornarono in paese. E con gran sorpresa nella chiesa madre trovarono la statua della Vergine col Bambino intatta, posta in piedi sull’altare maggiore. Il Miracolo del salvataggio di Palombaro dalla catastrofe tellurica era compiuto!

Segue in pdf

Nicodemo Napoleone, La Torre di Cerrano, 2000.

Nicodemo Napoleone, La Torre di Cerrano, 2000, olio su tela, cm 100x200.
 

Nicodemo Napoleone, (Pescara, 1947)
La Torre di Cerrano, 2000
Olio su tela, cm 100x200
Collezione privata.

24 luglio 2025

Filippo Palizzi, “Il giovane capraio”, 1852.

Filippo Palizzi, “Il giovane capraio”, 
1852, olio su tela, cm 37x52, collezione privata.


Filippo Palizzi (Vasto, 16 giugno 1818 – Napoli, 10 settembre 1899)
“Il giovane capraio”, 1852
Olio su tela, cm 37x52
Collezione privata. 

Da: Vasto Gallery

13 luglio 2025

Teofilo Patini, "Uomo che sale la scala di una chiesa", 1887.

Teofilo Patini, "Uomo che sale la scala di una chiesa", 1887, 
olio su tavola, cm 25,5x26,5, collezione privata.
 

Teofilo Patini (Castel di Sangro, 5 maggio 1840 – Napoli, 16 novembre 1906)
"Uomo che sale la scala di una chiesa", 1887
Olio su tavola, cm 25,5x26,5
Collezione privata.

12 luglio 2025

Filippo Palizzi, “La fermata al lago di Bolsena”, 1877.

Filippo Palizzi, “La fermata al lago di Bolsena”,
1877, olio su tela, cm 55,5x76,5, collezione privata.


Filippo Palizzi (Vasto, 16 giugno 1818 – Napoli, 10 settembre 1899)
“La fermata al lago di Bolsena”, 1877
Olio su tela, cm 55,5x76,5
Collezione privata.

Da: Vasto Gallery

10 luglio 2025

"Pesce belle...". Canzonetta popolare, canta Francescopaolo Gileno.



Testo, trascrizione di F.Marino:

Pesce belle ...

I

Se vulesse fa na cure,

Se vulesse dimagrì

Gli ha messe la paure

Ca lu pesce fa ngrassà.

 

Io ti do la garanzia

Ca mangiando semplice

Vi mettete in allegria

 

Rit.

Pesce belle, pesce rosce

Pesce tutte qualità

Pesce belle, pesce rosce

Pesce, stock e baccalà

Il pesce è sempre buono

Saperlo cucinà

Attenzione ca la resche (?)

te la resche(?) d’affunnà.


II

I li volle ogne sera

Pe t’ammette a cucinà

La ….    si dispera

Perchè senza pesce stà.

 

Non va a letto

Non si addorme

Non va a letto

Per riposar

 

Tutte quelle

Vo lu pesce

In quantità

 

Rit.

 

III

Sono stato a pescare

e ho visto Washington (?)

Mi so messe un po' a pensare

Se pescare o si o no


Non c'è pesce no padella 

Non c'è donna pe' sto forno

Non c'è donna che accucina (?)

Per poterlo cucinà.


Rit. 2 volte

8 luglio 2025

Padre Donatangelo Lupinetti (1909-2000): frate missionario, etnologo e studioso abruzzese.



Padre Donatangelo Lupinetti

Nato a Castilenti il 29/08/1909 è deceduto a Lanciano in data 12/12/2000.
Dopo aver preso i voti dell'Ordine francescano, che più si confaceva alla sua necessità di contatto umano, e dopo aver affinato i suoi studi linguistici (greco, latino, sanscrito), storici e teologici, previa l’accurata formazione universitaria, appositamente condotta presso il Pontificio Ateneo Antoniano di Roma, esercitò l’attività pastorale nei conventi francescani dell’Aquila, di Orsogna, Tocco Casauria e Lanciano. La sua vocazione missionaria lo condusse verso l’Africa e la Terra Santa..
Negli anni ’30, fu missionario in Somalia, al tempo appartenente all’Italia e non ancora convertita all’islam. Il contatto fraterno con le popolazioni indigene, specie dei Rahanuìn dell'interno e gli Ammarruìn della costa, gli diede il motivo e la possibilità di provare sul campo le teorie di etnografia, etnologia e missionologia precedentemente apprese. In seguito, venne trasferito a Mogadiscio, al fine di ricoprire ruoli direzionali e didattici presso collegi, convitti e scuole cattoliche. Fu allora che poté concentrare su alcuni settori specifici le sue ricerche etnologiche, comprensive anche dei canti dell'epica locale. Ma di tutto il materiale prodotto in Africa e inviato in Italia (monografie, relazioni, studi sui canti religiosi delle popolazioni conosciute e sulle peculiarità del loro modo di recepire l’evangelizzazione) si è conservato poco, così come delle pubblicazioni effettuate a Mogadiscio; ricordiamo alcuni articoli contenenti relazioni di viaggi e di eventi locali, nonché una coraggiosa polemica contro le leggi razziali del governo fascista. 
Tornato in patria, nel Dopoguerra, il religioso poté finalmente dedicarsi ad un campo a lui già noto, cioè quello della cultura popolare abruzzese, rivedendola, però, alla luce delle esperienze africane. Parallelamente all’attività canonica, egli effettuò un’approfondita ricognizione del materiale di ricerca folklorica e dialettologica già esistente. Così, le sue ricerche sul campo si tradussero in studi completi e rigorosi di letteratura popolare, puntualmente pubblicati e diffusi in Abruzzo e fuori regione. 
Tra articoli e volumetti, spiccano una completa trilogia di canti e tradizioni e una prima raccolta di Novellistica Sacra, interessante raccolta di novelle religiose abruzzesi anche inedite, presentate in dialetto e nella traduzione italiana. L’opera fu redatta in collaborazione con Ernesto Giammarco e pubblicata a Pescara nel 1958 per le edizioni di "Attraverso l'Abruzzo", di Francesco Amoroso. 
Lo stesso anno, in occasione del VII Congresso Nazionale delle Tradizioni Popolari, espresse il suo peculiare contributo tracciando il quadro fondamentale della letteratura religiosa abruzzese nel Medioevo. 
In questi anni, divenne amico di studiosi abruzzesi, tra i quali, oltre ai già citati Giammarco e Amoroso, ricordiamo Bruno Mosca, Francesco Verlengia, Domenico Priori, autori di opere e pubblicazioni che segnarono le tappe del progresso culturale abruzzese. Particolarmente viva fu la sua amicizia con Paolo Toschi, demologo di fama nazionale, docente di Storia delle Tradizioni Popolari presso l'Università di Roma. In particolare, l'amicizia intrattenuta con Cesare De Titta, illustre latinista e poeta dialettale, con il quale si dedicava a traduzioni ed esercitazioni di forma salmodica in dialetto, latino, greco antico ed ebraico, fece sì che Lupinetti desse anche vita a componimenti poetici propri, di ispirazione religiosa e popolare.
Tra questi si annoverano, pubblicati all'Aquila presso la Cattedra Bernardiniana dal 1962 al 1981, Lu Presépie di Natale, poemetto natalizio con versione in lingua ed introduzione storica sul presepio; La santità de la Live, antica leggenda natalizia abruzzese, versificata e annotata; Lu sandìssime Voldesande, poemetto sacro in dialetto abruzzese con note illustrative; Lu cante di Natale, poemetto dialettale; Lu cante di PasqueLu cante di la MadonneLu cante di S. Francesche, componimento in dialetto abruzzese in onore di S. Francesco, S. Chiara, S. Bernardino e S. Giovanni da Capestrano, stampato a Gerusalemme. 
La sua vocazione missionaria lo riportò, a fasi alterne, di nuovo in Africa, a Gerusalemme e a Betlemme, per oltre vent’anni. Qui, nonostante le difficoltà del conflitto ebraico-palestinese, trovò modo di approfondire e rifinire gli studi sulla canzone epico-lirica in Abruzzo, consegnando alla rivista di etnologia "Lares" i suoi utili contributi su La canzone di Rinaldo e il Testamento dell’avvelenato, pubblicati tra il 1958 e il 1963. Un'ultima serie di studi storici occasionali, di stampo agiografico e basata su ricerche archivistiche, riguardò la vita della Beata Antonia da Firenze, ricostruita tramite i manoscritti del Monastero di S. Chiara Povera de L'Aquila, e la vita di Padre A. Ronci da Atri, poeta e missionario di Terra Santa (1500-1504). 
Attraverso la storia locale approfondì le incidenze e le coincidenze di usi e costumi popolari tra varie zone dell'Abruzzo quali Lama dei Peligni, Castiglione Messer Raimondo, Castilenti, servendosi del metodo comparativo e dell’approccio multidisciplinare. Le sue opere rappresentano uno dei più vasti repertori della cultura abruzzese, dotta e popolare, costruito in oltre 50 anni di infaticabile ricerca. 
Padre Lupinetti rientrò definitivamente dalla Terra Santa negli anni ’80; dopo una permanenza a Pescara, trascorse i suoi ultimi anni a Lanciano, ospite dell'albergo per anziani del Convento Antoniano, amorevolmente accudito dai confratelli.

Tra le sue ultime pubblicazioni si ricordano:

- Castiglione Messer Raimondo e il suo tesoro. Breve studio monografico sul Paese e sulla devozione a San Donato, Tip. D. Ambrosini, Penne, 1950.
- Castilenti.Breve studio monografico di un tipico paese d'Abruzzo, Cooperativa Editoriale Tipografica, Lanciano  1973.
- Durantiniana frate missionario d'America. Studio bio-bibliografico sul francescano p. Antonio Maria Durantini OFM (1867-1940), Curia prov. frati minori d'Abruzzo-San Bernardino, L'Aquila 1989.

4 luglio 2025

Georg Heinrich Busse (1810-1868), "Gebirgspass bei Tagliacozzo in den Abruzzen" (Passo di montagna vicino a Tagliacozzo in Abruzzo), 1844.


 🎨 Vale la pena soffermarsi su tutti i dettagli di questo acquerello inedito di Tagliacozzo, realizzato nel 1844 dall’artista tedesco Georg Heinrich Busse e recentemente digitalizzato dalle collezioni dell’Accademia di Belle Arti di Vienna. Al centro della composizione riconosciamo subito la Chiesa di Santa Maria del Soccorso, con il suo caratteristico portico esterno e il campanile cinquecentesco. Sono ben visibili le stazioni della Via Crucis che si snodano verso il Monte Calvario. L’artista non ha mancato di inserire alcune figure all’esterno della chiesa, punteggiando di fiori colorati la strada che si apre davanti allo spettatore e lasciando un monogramma con le sue iniziali inciso su una roccia. Il titolo originale, leggibile anche in calce all'opera, è "Gebirgspass bei Tagliacozzo in den Abruzzen" (Passo di montagna vicino a Tagliacozzo in Abruzzo).


Georg Heinrich Busse (1810-1868), paesaggista e incisore, fu autore di numerosi disegni e vedute realizzati durante i suoi viaggi in Italia centrale. Tra i lavori realizzati nella Marsica, oltre a questo acquerello di Tagliacozzo, c’è anche una celebre incisione raffigurante il Monte Velino e il borgo medievale di Albe.

Da: Piccola Biblioteca Marsicana