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25 marzo 2024

Vasto di Goito e Sordello da Goito. Legami con l'Abruzzo.



Una frazione di Goito (MN) prende il nome della località abruzzese di Vasto (CH). 
Si potrebbe ipotizzare che ciò derivi dai legami storici tra i Gonzaga di Mantova e i d'Avalos. 

Isabella Gonzaga, Marchesa di Pescara di Valentín Carderera, 1831c, 
Collezione María Pilar Carderera Biblioteca nazionale di Spagna.


Infatti Isabella Gonzaga (1537-1579), figlia del Duca di Mantova, sposò nel 1556 Francesco Ferdinando d'Avalos d'Aquino d'Aragona (1530 - 1571), secondo Principe di Francavilla, quarto Marchese di Pescara, terzo Marchese del Vasto e Conte di Monteodorisio.

Medaglia celebrativa raffigurante Francesco Ferdinando d'Avalos, Annibale FontanaNational Gallery of ArtWashington




Sordello da Goito

Miniatura di Sordello da Goito tratta da un manoscritto del XIII secolo

Nel VI canto del Purgatorio, viene presentata la figura di Sordello da Goito, un importante poeta trovatore italiano, appartenente alla piccola nobiltà mantovana. 
Egli divenne signore dei feudi abruzzesi di Civitaquana, Monteodorisio, Paglieta, Borrello e Palena, ricevuti in dono nel 1269 da Carlo I d’Angiò, morendo poco dopo in Abruzzo.

27 giugno 2023

Monteodorisio: Alfonso Suriani (1840-1905), presidente della Provincia e tra i promotori della Scuola Agraria di Scerni

coll. Romondio
Monteodorisio: Alfonso Suriani (1840-1905), presidente della Provincia e tra i promotori della Scuola Agraria di Scerni

di Giuseppe Catania

Tra le figure che maggiormente spiccano nel periodo a cavallo tra l'800 ed il primo '900, e che più seppero rappresentare le istanze e le aspirazioni delle popolazioni del Circondario di Vasto, oltre a mantenere desta la fama dell'operosità nella provincia di Chieti, spicca quella di Alfonso Suriani. Nacque egli nel 1840 a Monteodorisio da una delle più note famiglie di antica nobiltà, e per oltre mezzo secolo, divenuto uno fra i più
apprezzati esponenti della vita pubblica, seppe conquistarsi la stima e la testimonianza di apprezzamento generale.

dagherrotipo di famiglia, Ottavio, Alfonso, Giuseppe e Edoardo Suriani

Alfonso Suriani fu anche un patriota di fervido coraggio, tanto che, appena ventenne, dopo il 1860, nella lunga e delicata campagna di repressione del brigantaggio in Abruzzo, si segnalò, col grado di tenente della Guardia Nazionale, per solerzia ed acume nel portare a termine operazioni di notevole e delicato impegno logistico.
Ma la sua inesauribile energia doveva emergere attraverso le doti di equilibrio e di rettitudine, nelle numerose cariche assunte in seno alle amministrazioni comunali e provinciali; proprio in quest'ultima rivestì il ruolo di Presidente del Consiglio Provinciale di Chieti fino al 1905, quando lo rapì la morte. La passione per l'Agricoltura lo condusse prima ad operare un radicale rinnovamento delle attività agricole del Comprensorio del Vastese e, successivamente, guidato da fervida esperienza e da buon senso nel considerare le premesse di rinascita della zona, lo portarono a patrocinare, insieme a Giuseppe De Riseis e Nicola Colonna, la fondazione della Scuola Agraria di Scerni.
Intellettuale di profonda vocazione, di Alfonso Suriani si ha un particolare inedito ricordo a proposito della amicizia intrecciata con il poeta Gabriele D'Annunzio, riscontrabile in un epistolario poco noto. D'altra parte Monteodorisio, paese natale di Alfonso Suriani, era già famosa per aver creato un cenacolo di artisti nel sontuoso palazzo Suriani, dove già si affermavano per acume intellettuale e lirismo di fresca e genuina ispirazione, Ottavio, Eduardo e Giuseppe Suriani.
Nel 1904, quale Presidente del Consiglio di Amministrazione della Provincia di Chieti, Alfonso Suriani aveva inviato un telegramma per esprimere al vate abruzzese le felicitazioni per i successi ottenuti in Italia dalle rappresentazioni teatrali de «La Figlia di Jorio». Gabriele D'Annunzio rispose con un messaggio telegrafico del 13 aprile 1904 (conservato nella Biblioteca Provinciale) così concepito: «On. Suriani, Presidente del Consiglio Chieti. Voglia ella esprimere al Consiglio la mia calda riconoscenza per il saluto nobilissimo con cui ha voluto onorare in me il poeta che serba nel cuore il culto religioso della vita di una stirpe. Creda ella alla mia profonda devozione. Gabriele D'Annunzio». L'amicizia di Gabriele D'Annunzio con Alfonso Suriani ebbe una più ampia e salda manifestazione di cordialità, perché, subito dopo, il poeta acconsentì, sia pure per breve soggiorno, a godere dell'ospitalità offertagli a Palazzo Suriani a Monteodorisio. Gabriele d'Annunzio certamente non mancò d'approfittare per passeggiare e lambire le onde dell'Amatissimo Adriatico, lungo la spiaggia di Marina di Vasto.
Giuseppe Catania

23 maggio 2023

Antonio Sciarretta, Geo-storia amministrativa d'Abruzzo: Vasto.

Geo-storia amministrativa d'Abruzzo: Vasto

di Antonio Sciarretta

VASTO

Municipio romano, terra pre-napoleonica e comune contemporaneo, corrispondente all'attuale centro con questo nome. Erede della romana Histonium (la fase frentana era a Punta Penna). Attestata nel XI sec. come castello, ma non nel Catalogus Baronum, nemmeno tra i feudi dell'abbazia di S. Giovanni in Venere. Tradizionalmente ritenuta divisa nel periodo alto-medievale in due Terre distinte, Vasto Aimone e Vasto Gisone. Ma la seconda è piuttosto da cercare a nord dell'attuale abitato. Le due terre sono unificate in una sola Università nel 1385, citata come "Vasto Aimone superiore e inferiore" nella prima tassazione aragonese del 1443-7. Toponimo.

Civile:
  • -IX sec.: Loc. in Chieti maggiore.
  • XI sec.-1807: Castello, Università del Vasto Aimone.
    • Nel XIII sec. incorpora Collebono e S. Sisto.
  • 1807-1811: Governo di Vasto.
  • 1811-oggi: Comune di Vasto (1811-1938), Istonio (1938-1944), Vasto (1944-oggi).
  • Provincia: Chieti (-oggi).
  • Distretto/Circondario: Lanciano (1807-1811), Vasto (1811-1927).
  • Circondario/Mandamento: Vasto (1811-1927).
  • Feudo: S. Giovanni in Venere, Fasanella (1269-1273), Caldora (-1442), Regio (1442-1444), de Guevara (1444-1460), d'Avalos (1460-1464), Regia (1464-1471), de Guevara (1471-1485), Regio (1485-1496), d'Avalos (1496-1806), col titolo di Marchesato (1497-1806).

Ecclesiastico:
  • Diocesi: nullius di S. Giovanni in Venere (-1624), Chieti (1624-oggi).
  • Parrocchia: S. Maria Maggiore (-1808) e S. Pietro (-1808), S. Giuseppe (1808-oggi).
  • Filiali: S. Maria Maggiore (1915-oggi), S. Pietro (1915-oggi), S. Maria Stella Maris in Vasto Marina (1927-oggi), S. Lorenzo in C.da S. Lorenzo (1954-oggi), S. Giovanni Bosco (1965-oggi), S. Maria Incoronata in C.da Incoronata (1971-oggi), S. Paolo (1973-oggi), S. Antonio (1973-2001), S. Marco (1982-oggi), S. Maria Immacolata (1982-2001), S. Maria del Sabato Santo (2001-oggi).

SINELLO

Castello medievale sito nell'attuale loc. Torre Sinello. Va forse identificato col castello Cileno, attestato nell'a. 1000 prope Senellam e di cui in seguito non si hanno tracce. Nel XI sec. è diviso in più porzioni. Non è citato dal Catalogus Baronum, nemmeno tra i feudi dell'abbazia di S. Giovanni in Venere. Incorporato in Pennaluce dopo la fondazione di quest'ultima. Toponimo.

12 maggio 2023

Il processo dei Templari in Abruzzo contro frate Cecco Nicola da Lanciano e frate Andrea da Monteodorisio, 1305.

Il processo dei Templari in Abruzzo contro frate Cecco Nicola da Lanciano e frate Andrea da Monteodorisio, 1305

di Angelo Iocco e Marino Valentini

Nell’immaginario collettivo il venerdì 13, per gli scaramantici, è il giorno da evitare per l’assunzione di decisioni rilevanti e per fare qualsiasi cosa d’importante, perché è il giorno iellato per eccellenza. Molti ritengono che questo giorno maledetto sia da legare all'infausto venerdì 13 ottobre 1307, quando Filippo IV “il Bello” di Francia diede l’ordine di arrestare tutti i templari presenti nel suo regno. Ma come si arrivò a tale decisione e perché?

Intanto va detto che l’Ordine dei cavalieri templari, in circa due secoli dalla sua costituzione, aveva accumulato così tante ricchezze, da diventare un innegabile strumento di potere economico e politico in Europa. Allo stesso tempo il re di Francia si trovava a fronteggiare una pesante situazione finanziaria, ereditata dal predecessore, fortemente incisa da un indebitamento tale da far svalutare la moneta del Paese. Di fronte a siffatta situazione, il sovrano pensò bene di risolvere il problema delle finanze e risanare le casse di Stato, guardando nell’orto dei templari, verso i quali si trovava in uno stato di preoccupante indebitamento, a causa di prestiti contratti anche da chi lo aveva preceduto.

Bisognava trovare però un pretesto per incastrare l’ordine monastico e lo stesso venne offerto da un cavaliere pentito (sic!) che avallò le voci e le dicerie che da tempo circolavano sulle strane usanze dei templari. Filippo diede credito al fuoriuscito dall’Ordine e vennero pronunciate le prime tre formali accuse:

1) IL RINNEGAMENTO DI CRISTO E GLI SPUTI SULLA CROCE (ERESIA);

2) L’OMOSESSUALITÀ E LA SODOMIA (SODOMIA);

3) L’ADORAZIONE DI IDOLI (IDOLATRIA).

 

La caduta dei Templari sotto Clemente V

Con la perdita di San Giovanni d'Acri, i cristiani furono costretti a lasciare la Terra Santa. Nemmeno gli ordini religiosi poterono evitare tale esodo e i Templari scelsero di ripiegare verso Cipro dove insediarono la loro sede centrale. Tuttavia, una volta che questi ebbero abbandonato la Terrasanta, con pochissime probabilità di poterla un giorno riconquistare, in occidente sorse la questione dell'utilità dell'Ordine del Tempio il cui scopo originario per cui erano stati fondati, difendere i pellegrini diretti a Gerusalemme sulla tomba di Cristo, si era oramai reso irrealizzabile.

Per diversi decenni, il popolo aveva percepito i cavalieri anche come signori orgogliosi e avidi, che conducevano una vita disordinata (le espressioni popolari "bevi come un templare" o "giura come un templare" sono rivelatrici a questi sintomi), tanto che dal 1274 al concilio di Lione II i più alti dignitari dell'ordine dovettero produrre un libro di memorie per giustificare la loro esistenza. Abitualmente si parlava dei Templari come di un covo di eretici e di viziosi; voci probabilmente alimentate dal fatto che molti peccatori erano in effetti approdati all'Ordine per riceverne protezione a fronte di un, non sempre sincero, pentimento.

Papa Clemente V

9 gennaio 2022

Antonio Mezzanotte, Quando il Marchese D'Avalos del Vasto fece causa al Comune di Furci.


Quando il Marchese D'Avalos del Vasto fece causa al Comune di Furci.
di Antonio Mezzanotte

Molti ricorderanno la famigerata tassa sul macinato, imposta all’indomani dell’unità d’Italia per il risanamento del bilancio statale e negli stessi anni è ambientato uno dei più interessanti romanzi storici di Andrea Camilleri, “La mossa del cavallo”, che ha ad oggetto, appunto, una indagine su un mulino itinerante abusivo controllato dalla mafia.
All’interno di ogni mulino veniva applicato un contatore meccanico che conteggiava i giri effettuati dalla ruota macinatrice. La tassa era così dovuta in proporzione al numero dei giri, che, secondo la previsione di legge, doveva corrispondere alla quantità di macinato.
Quanto sopra per rammentare la centralità del mulino nella vita sociale delle comunità in ogni epoca e intorno ai mugnai e ai mulini vi è tutta una letteratura di racconti, leggende, tradizioni… e contenziosi!
Accadde, così, che alla fine del 1752 un’alluvione travolse l’antico mulino comunale ad acqua collocato lungo le sponde del fiume Treste, nel territorio di Furci, nel vastese.
L’utilizzo del mulino non era annoverato tra i diritti feudali vantati dalla Casa d’Avalos, alla quale era stata investita la Contea di Monteodorisio, di cui Furci costituiva una delle tredici Terre. L’Università (come veniva definito il Comune nell’antico regime), pertanto, a spese proprie e senza chiedere alcuna autorizzazione al feudatario, si accinse a riedificare il mulino, ma con ricorso datato 13.03.1753 il Marchese Diego II d’Avalos si rivolgeva alla Regia Camera della Sommaria con sede in Napoli al fine di impedirne la ricostruzione, sostenendo di avere per tutta la Contea di Monteodorisio la giurisdizione delle acque e dei mulini con il diritto proibitivo nei confronti delle stesse Università e che i furcesi erano obbligati da sempre a macinare solo ed esclusivamente nel mulino baronale.
I Furcesi, però, non si lasciarono intimorire dalle pretese del Marchese e nominarono due avvocati per sostenere le proprie ragioni: Gaetano Celani, celebre giurista napoletano (difese il Duca di Modena in una complessa questione di eredità e sarà anche consulente giuridico del Consiglio di Reggenza durante la minore età di Re Ferdinando), e Francesco Giacomucci, di probabili origini vastesi.
La richiesta di sospensiva dei lavori fu rigettata con decreto presidenziale del 15.06.1753 e il fascicolo processuale venne trasmesso alla Regia Udienza di Chieti per l’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio in rogatoria a mezzo del perito Gerardo Lanti, affinché, attraverso un sopralluogo, relazionasse sui fatti di causa e sullo stato dell’arte.
Il CTU Lanti si recò a Furci e nei luoghi limitrofi, raccogliendo dodici testimonianze di persone che avevano conosciuto i fatti: furono ascoltate sei persone residenti in San Buono e Carpineto Sinello (ossia in località non annoverate tra i possedimenti dei d’Avalos) e altre sei residenti in Liscia e Casalanguida (ossia in due feudi del Marchese d’Avalos), le quali confermarono tutte che i furcesi avevano sempre goduto della libertà di macinare nel proprio e in altri mulini, senza chiedere alcuna autorizzazione al Marchese, così come aveva attestato anche lo "Stato discusso" di Carlo Tapia nel secolo precedente.
Con successivo decreto presidenziale del 17.08.1753 la Sommaria concesse provvisoriamente all’Università di Furci la libertà di macinare in qualsivoglia mulino senza impedimenti o richieste di pagamento da parte del feudatario. Nelle more, i Furcesi avevano completato la riedificazione del mulino e con un nuovo decreto presidenziale fu autorizzato l’utilizzo delle acque del Treste.
Finiva così la fase cautelare del giudizio, con il pieno riconoscimento del libero diritto degli abitanti di Furci di costruire il proprio mulino, di macinare in esso e di utilizzare le acque del fiume Treste senza alcun peso feudale da parte della Casa d’Avalos.
Nello stesso anno si incardinò la fase processuale di merito ed il 10.07.1756 gli avvocati di Furci stamparono a Napoli la propria memoria conclusionale, nella quale ripercorrevano la vicenda e, soprattutto, offrivano svariati spunti inediti per la ricostruzione della storia locale, della geografia di quei territori, del diritto feudale e degli usi civici, delle magistrature del Regno di Napoli.
Nel 2015 ho scoperto quel libello defensionale presso la Biblioteca dell’Abbazia di Casamari e ne ho dato un ampio commento sul n.1/2016 della Rivista Abruzzese (per chi ne vuol sapere di più).
Chi vinse la causa? Non abbiamo la sentenza, ma l'orientamento della giurisprudenza, anche relativa ad analoghe questioni sorte tra feudatari e altre comunità della Valle del Treste, ci fanno ipotizzare che la spuntarono i Furcesi, il cui mulino continuò a macinare nei secoli successivi, almeno fino al 1943/44, come mi hanno raccontato gli anziani del paese.
(Nella foto: Antonio Fontanesi, "Il mulino", 1858-1859, olio su tela)

3 maggio 2021

Angelo Iocco, Maestro Francesco Perrini da Lanciano, principe del tardo gotico abruzzese in frentania e il maestro Rogerio de Fragenis.

 

Rosone della chiesa di Santa Lucia a Lanciano

Maestro Francesco Perrini da Lanciano, principe del tardo gotico abruzzese in frentania e il maestro Rogerio de Fragenis.

di Angelo Iocco

Francesco Petrini, o meglio “Perrini” da Lanzano ossia “Lanciano”, fu un architetto abruzzese che operò in Abruzzo e Molise nella prima metà del Trecento. Se non avessimo l’iscrizione presso la lunetta del portale con il gruppo della Crocifissione, della chiesa di Santa Maria Maggiore di Lanciano, non avremo saputo nulla di lui, se nonché in Abruzzo ci fu una scuola che si specializzò nella realizzazione di portali e rosoni dello stile “tardo gotico italiano” o Gotico internazionale. Del resto l’architetto Franco Valente, su questo personaggio così nebuloso, ha posto un dubbio in più, chiedendosi se in una composizione così armoniosa quale è il portale di Santa Maria Maggiore, il nostro Maestro Francesco avesse potuto rovinarlo con una iscrizione incastonata in maniera così raffazzonata e sgraziata, come a voler in tutti i modi comunicare allo spettatore che lui, solo lui fu capace di realizzare quella bellezza! Sembra un controsenso, eppure è così, ma date le committenze numerose che il maestro ebbe a Lanciano e dintorni tra il 1317, datazione del portale di Santa Maria, e il 1319, datazione del portale del Duomo di Larino, la critica ha supposto che Perrini iniziasse i suoi lavori, e gli allievi di bottega completassero, in modo che un allievo probabilmente completò l’iscrizione in questo modo alquanto goffo e pacchiano.
L’iscrizione sul portale riporta: HOC OP• F • FRAC •PRINI DE LANZAN, che il Sargiacomo risolse in Hoc opus fecit Franciscus Petrini de Anxano An. Dom. MCCCXVII. Tutto corretto, solo che come ha evidenziato anche il Prof. Gandolfo, la P a mezz’asta in paleografia si risolve in “PER”, e non PET, quindi PRINI = PERRINI.
Sebbene nel portale di Larino, che è quasi uguale a quello di Santa Maria Maggiore a Lanciano, anzi, molto più equilibrato ed elaborato, rispetto alle figure tozze del gruppo della Crocifissione di Lanciano, nonché per l’uso sapiente di tutte le tecniche innovative che Perrini portò in Abruzzo, come la ghimberga che racchiude il gruppo dell’Agnello crucifero e del Tetramorfo sopra la cornice rotonda del rosone (elementi che si riscontrano anche nelle altre opere perriniane a Lanciano: Santa Lucia e Sant’Agostino, rosoni, e ad Atessa nel rosone del Duomo), appaia un’altra abbondante iscrizione che recita
SI PRAESENS SCRIPTUM PLANE VIDEBIS, TEMPORA NOSTRAE LOCATIONIS HABEBIS A.D. MCCCXIX ULTIMO IULII IN CHRISTO PONTIFICATUS DOMINI NOSTRI IOANNIS P.P. XXII ANNO III REGNORUM SERENISSIMI REGIS ROBERTI ANNO XI SUB PRAESULATU RAONIS DE COMESTABULO HUIUS CIVITATIS OMNIBUS MEMORIA FUIT

28 aprile 2021

Angelo Iocco, Sulle tracce dei Templari in Abruzzo, tra storia e leggenda.


 Sulle tracce dei Templari in Abruzzo, tra storia e leggenda.

di Angelo Iocco


Anche l'Abruzzo, terra ancora "misteriosa" e idilliaca, ha le sue leggende sul Sacro Graal, su monasteri perduti, castelli diroccati, personaggi oscuri, tutto materiale che ha sapore di leggenda, campato in aria di sana pianta. Invece ciò che poco si conosce è una pubblicazione degli anni '80, che ha cercato di fare vera luce sulla presenza dei Templari in Abruzzo, essendo la documentazione scarseggiante, tanto che gli stessi storici di fiducia abruzzesi, Antonio Antinori e Nunzio Fraglia, hanno scritto ben poco in merito, pur rimettendosi ai documenti da loro citati nelle opere pubblicate. Mi riferisco allo studio A. GILMOUR-BRYSON, "The Trial of the Templars in the Papal State and the Abruzzi", Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1982, che è al momento la raccolta più completa dei processi inerenti l'anno 1310, scritti in un tribunale della Basilica di Santa Maria di Collemaggio in Aquila, contro alcuni cavalieri Templari macchiatisi di sacrilegio e ignominia, come frate Cecco Nicolai Ragonis da Lanciano, e frate Andrea Armanni da Monteodorisio, che nel XIV secolo, all'epoca del processo, era sede di una contea.

Da questi atti del processo, pescati dalla Gilmour-Bryson da un faldone conservato nell'Archivio Segreto Vaticano, si apprende dalla confessione di questi due uomini, i cui capi d'accusa erano stati affissi presso le porte vescovili di Chieti, Sulmona e Penne, come fosse organizzato il sistema di magioni Templari nel Territorio di Abruzzo e Puglia, con un unico Gran Maestro, monasteri e relative grance.

 


Apprendiamo che probabilmente, per maggiore vicinanza al mare Adriatico, e ai porti abruzzesi quali Pescara, Ortona, Buca del Vasto, Punta Penna, i Templari nell'Abruzzo preferirono, come riportato in un altro documento del 1320 dal Faraglia, essere insediati nell'Apruzzo Citeriore al fiume Pescara, ossia il territorio di Chieti, anche per un collegamento più agevole con la Puglia attraverso il tratturo Magno. Papa Urbano predicò alla fine del Mille nella Cattedrale di Chieti (1097), e dopo di lui Enrico VI figlio di Federico Barbarossa in San Giovanni in Venere la Crociata per la Terra Santa, e dalla vicina Aterno oggi Pescara, molti cavalieri Crociati si imbarcarono per il Santo Sepolcro da liberare dagli infedeli. Per San Giovanni in Venere abbiamo notizie di cavalieri crociati imbarcatisi da lì anche grazie al Chronicon di Santo Stefano in Rivomaris redatto da un tal Berardo; anche se l'unico esemplare di quest'opera, che proverrebbe dalla distrutta abbazia di Santo Stefano in tenimento di Casalbordino, fu trascritto nelle Antichità dei Frentani dal noto abate falsario Pietro Polidori da Fossacesia nel XVIII secolo, e dunque la fonte va vagliata con tutte le pinze; soprattutto per quanto riguarda il carme del "Plangite" scritto dal monaco, quando si menziona il disordine e il numero di saccheggi causati nel Porto di Pennaluce vicino Vasto, per l'imbarco dei Templari, durante la presenza di Enrico VI negli Abruzzi.

A proposito di Vasto, lo storico Marchesani, prendendo anche dal suo predecessori Nicolafonso Viti, ricorda la presenza a Vasto di due chiese dedicate al Santissimo Salvatore, una dentro le mura di Guastum Aymonis (rione San Pietro), e l'altra nel casale San Salvatore de Linari, oggi distrutto. Anche nei documenti Vaticani dei possedimenti Templari in Abruzzo questa proprietà è menzionata, e qualcuno ha congetturato, leggendo "Sancti Salvatoris de Linari propre Guastum", ossia "vicino Vasto", che il territorio menzionato doveva essere l'attuale Casalbordino, ricordando che nei documenti del XIII secolo, questo feudo iniziò ad essere chiamato con il nome del feudatario, ovvero  Roberto Bordinus, e per la presenza di una parrocchia oggi del XVIII secolo, dedicata al Salvatore. Ma la congettura non regge. Regge piuttosto la menzione nei documenti della presenza di un monastero dei Cavalieri di Gerusalemme dedicato a San Giovanni, che era nel rione Guasto d'Aimone, all'altezza dell'incrocio di Corso Plebiscito con Corso Dante, antica strada del Bando, dove si trova pressappoco la chiesa del Carmine; monastero citato in documenti insieme ad altri possedimenti Templari Abruzzesi in una bolla di Papa Alessandro III nel 1173, che rimase integro sino alla metà del XIX secolo, quando ridotto a fienile, venne demolito.

 

S.Giovanni, Vasto, coll.F.Marino

Probabilmente grance Templari nei dintorni dovevano essere anche presso la scomparsa chiesa di San Martino con torre fortificata a Pennaluce, poi ad Atessa in località Castelluccio, come menzionato sempre nei documenti Vaticani, e a Monteodorisio, patria di frate Andrea, processato e interrogato nel palazzo vescovile di Chieti. Inoltre altra località, che la leggenda locale vuole di proprietà dei Templari, è Colle Flocco di Atessa, per la presenza della chiesa di San Nicola; giudicando l'aspetto novecentesco della chiesa, a meno che non si compiano scavi archeologici, non è possibile stabilire presenza di questi cavalieri in situ. Piuttosto interesserebbe l'assonanza, in queste località, tra presenza di Monaci Templari e Monaci dell'Ordine dei Celestini di Pietro da Morrone, con l'edificio rappresentativo della Badia di Santa Maria di Collemaggio, per cui si è scritto tanto anche sulla presenza templare in questo sito; a Monteodorisio il santuario della Madonna delle Grazie era anticamente un monastero celestino, e sopravvive ancora oggi il torrione di difesa dei Celestini nel centro storico, a Vasto i Celestini avevano sede nel monastero di Santo Spirito presso Torre Del Moro, dove oggi sorge il teatro Rossetti, in parte ricavato dalle sue rovine; ad Atessa esisteva il monastero dei Celestini presso il colle della Colonna di San Cristoforo, oggi scomparso; e così anche a Chieti, i Celestini avevano due possedimenti dentro le mura, Santa Maria della Civitella presso l'anfiteatro romano, e la chiesa poi passata alle Monache Clarisse nel XVI secolo, che si trasferirono dalla vecchia chiesa di San Giovanni, che ospitò invece l'ordine dei Cappuccini, a Porta Sant'Anna.