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19 settembre 2025

La Cucina Vastese, a cura di Pino Jubatti.



Il brodetto alla vastese e i suoi ritorni alle origini...moderne (prima parte)

Il brodetto alla vastese e i suoi ritorni alle origini...moderne (seconda parte)

Cucina Vastese: Piatti

La Cucina Vastese è a base soprattutto di Pesce dell'Adriatico

Tra le squisitezze autenticamente vastesi occorre segnalare:

Condimenti, sughi e intingoli:

- Aglio, olio e peperoncino piccante in polvere;

- Brodo di carne (gallina, gallinaccio, pollo o vitello);

- Brodo di pesce fresco con pomodoro;

- Brodo di pesce senza pomodoro;

- Brodo vegetale;

- Condimento alle erbe (peperoni, carote e zucchine a lische, in bianco);

- Friarelli (peperoni verdi);

- Intingolo di Zia Libbrate (al sugo nero di seppie);

- Marinata composta detta tipo scapece;

- Marinata semplice detta carpiselle;

- Odori e peperoncino piccante conservati sott'olio;

- Pomodori spezzati (trattati e con aggiunta di basilico) fatti bollire in bottiglia ermetica;

- Ragù di castrato;

- Ragù di agnello e peperoni;

- Ragù (lu rentrocele);

- Salsa ristretta (al sole) di pomodoro fatta in casa;

- Soffritto semplice di cipolla (o di aglio);

- Soffritto di cipolla con guanciale (con o senza pomodoro);

- Sugo al carciofo;

- Sugo di carni assortite (majale, vitello, pollo) e pomodoro.

- Sugo finto;

- Sugo di frutti di mare (o di soli molluschi; di pesce; di crostacei); al pomodoro;

- Sugo (ristretto) di pesce con pomodoro;

- Sugo (umido) di pomodoro;

 

Antipasti e Contorni:

- Acciughe al tartufo; crude al limone; in salsa piccante;

- Acciughe all' abruzzese;

- Acciughe crude al limone;

- Acciughe in salsa piccante;

- Alici spinate a la carpiselle;

- Cannolicchi gratinati;

- Capesante brasate con leggera fonduta e tartufo bianco

- Capesante gratinate;

- Cicale (Panocchie) al Forno;

- Cicale (Panocchie) con aglio, olio e limone;

- Cicale (Panocchie) in salsa aromatica

- Cozze al dragoncello;

- Cozze al forno;

- Cozze alla birra;

- Cozze alla marinara;

- Cozze con aglio e prezzemolo;

- Cozze gratinate con guscio;

- Cozze gratinate senza guscio;

- Cozze ripiene;

- Gamberoni e zucchine;

- Lumache di mare in insalata;

- Panocchie (Cicale) con aglio, olio e limone; al forno; in salsa aromatica; ripiene;

- Pilìuse (polpa) all'agro;

- Polipi veraci in insalata;

- Vongole al basilico; alla marinara;

- Cestini di vongole all'arancia;

- Coctail di scampi;

- Crudo assortito di mare;

- Friarelli (peperoni veri);

- Giardiniera di moscardini e frutti di mare;

- Insalata di frutti di mare;

- L'Acqua - Sale (l'Accasále);

- Patè di tonno;

- Polpette al Purgatorio;

- Scapàce di Vasto (sorta di pesce marinato allo zafferano), ."al verde";

- Scarpitelle di cannizze con prezzemolo e peperoncino piccante;

- Sformato tricolore (peperoni - patate - pomodori);

- Spiedini di Cozze;

- Spiedini di gamberoni e zucchine

- Tartine miste di pesce;

- Timballini di melanzane ai frutti di mare;

- Vongole al basilico;

- Vongole alla marinara;

 

16 agosto 2025

Benedetto Croce: Discorso pronunciato all'Assemblea Costituente il 24 luglio 1947, in occasione del Trattato di Pace del 10 febbraio 1947.

Benedetto Croce e le figlie


Benedetto Croce (1947)

Benedetto Croce (Pescasseroli, 25 febbraio 1866 – Napoli, 20 novembre 1952) filosofo, storico, letterato. Senatore dal 26/01/1910 fino alla morte. Croce votò contro il Trattato di Pace (10/02/0947) con le potenze vincitrici della II Guerra Mondiale.

Qui raccontiamo questa pagina indimenticabile della vita pubblica del grande filosofo.

– Trattato di Pace:  (Consta di Articoli 90, più  5 Allegati ).


Trattato di Pace – Parigi ; Febbraio 1947



Titolo : “L’Unione delle Repubbliche Sovietiche Socialiste, il Regno Unito di Gran Bretagna ed Irlanda del Nord, gli Stati Uniti d’America, la Cina, la Francia, l’Australia, il Belgio, la Repubblica Sovietica Socialista di Bielorussia, il Brasile, il Canadà, la Cecoslovacchia, l’Etiopia, la Grecia, l’India, i Paesi Bassi, la Nuova Zelanda, la Polonia, la Repubblica Sovietica Socialista d’Ucraina, l’Unione del Sud Africa, la Repubblica Federale Popolare di Jugoslavia, in appresso designate “Le Potenze Alleate ed Associate” da una parte

e l’Italia
dall’altra parte.



– Seduta dell’Assemblea Costituente (24/07/1947) con all’ O.d.G. la Ratifica del Trattato di Pace (Il trattato fu poi ratificato, il 31 luglio 1947 con 262 voti a favore, 68 contrari, e 80 astenuti) 







BENEDETTO CROCE: DISCORSO PRONUNCIATO ALL’ASSEMBLEA COSTITUENTE IN OCCASIONE DELLA RATIFICA DEL TRATTATO DI PACE, IL 24 LUGLIO 1947

“Io non pensavo che la sorte mi avrebbe negli ultimi miei anni riserbato un così trafiggente dolore come questo che provo nel vedermi dinanzi il documento che siamo chiamati ad esaminare, e nell’essere stretto dal dovere di prendere la parola intorno ad esso. Ma il dolore affina e rende più penetrante l’intelletto che cerca nella verità la sola conciliazione dell’interno tumulto passionale.

Vitaliano Brancati, Benedetto Croce, Sandro De Feo

Noi italiani abbiamo perduto una guerra, e l’abbiamo perduta tutti, anche coloro che l’hanno deprecata con ogni loro potere, anche coloro che sono stati perseguitati dal regime che l’ha dichiarata, anche coloro che sono morti per l’opposizione a questo regime, consapevoli come eravamo tutti che la guerra sciagurata, impegnando la nostra patria, impegnava anche noi, senza eccezioni, noi che non possiamo distaccarci dal bene e dal male della nostra patria, né dalle sue vittorie né dalle sue sconfitte. Ciò è pacifico quanto evidente.

Benedetto Croce storico della letteratura

Senonché il documento che ci viene presentato non è solo la notificazione di quanto il vincitore, nella sua discrezione o indiscrezione, chiede e pretende da noi, ma un giudizio morale e giuridico sull’Italia e la pronunzia di un castigo che essa deve espiare per redimersi e innalzarsi o tornare a quella sfera superiore in cui, a quanto sembra, si trovano coi vincitori gli altri popoli, anche quelli del continente nero. E qui mi duole di dovere rammentare cosa troppo ovvia, cioè che la guerra è una legge eterna del mondo, che si attua di qua e di là da ogni ordinamento giuridico, e che in essa la ragion giuridica si tira indietro lasciando libero il campo ai combattenti dall’una e dall’altra parte intesi unicamente alla vittoria, dall’una e dall’altra parte biasimati o considerati traditori se si astengono da cosa alcuna che sia comandata come necessaria o conducente alla vittoria.

Benedetto Croce “Estetica”, una delle sue opere più importanti

Segno inquietante di turbamento spirituale sono ai nostri giorni (bisogna pure avere il coraggio di confessarlo), i tribunali senza alcun fondamento di legge, che il vincitore ha istituiti per giudicare, condannare e impiccare, sotto nome di criminali di guerra, uomini politici e generali dei popoli vinti, abbandonando la diversa pratica, esente d’ipocrisia, onde un tempo non si dava quartiere ai vinti o ad alcuni dei loro uomini e se ne richiedeva la consegna per metterli a morte, proseguendo e concludendo con ciò la guerra. Giulio Cesare non mandò innanzi a un tribunale ordinario o straordinario l’eroico Vercingetorige, ma, esercitando vendetta o reputando pericolosa alla potenza di Roma la vita e l’esempio di lui, poiché gli si fu nobilmente arreso, lo trascinò per le strade di Roma dietro il suo carro trionfale e indi lo fece strozzare nel carcere.

Benedetto Croce, Pescasseroli, Targa sulla casa natale

….Si è preso oggi il vezzo, che sarebbe disumano se non avesse del tristemente ironico, di tentare di calpestare i popoli che hanno perduto una guerra, con l’entrare nelle loro coscienze e col sentenziare sulle loro colpe e pretendere che le riconoscano e promettano di emendarsi; che è tale pretesa che neppur Dio, il quale permette nei suoi ascosi consigli le guerre, rivendicherebbe a sé, perché egli non scruta le azioni dei popoli nell’ufficio che il destino o l’intreccio storico di volta in volta a loro assegna, ma unicamente i cuori e i reni, che non hanno segreti per lui, dei singoli individui. Un’infrazione della morale qui indubbiamente accade, ma non da parte dei vinti, sì piuttosto dei vincitori, non dei giudicati, ma degli illegittimi giudici.

Benedetto Croce, Pescasseroli, Palazzo Sipari, facciata


L’Italia dunque, dovrebbe, compiuta l’espiazione con l’accettazione di questo dettato, e così purgata e purificata, rientrare nella parità di collaborazione con gli altri popoli. Ma come si può credere che ciò sia possibile se la prima condizione di ciò è che un popolo serbi la sua dignità e il suo legittimo orgoglio ?

Non continuo nel compendiare gli innumeri danni ed onte inflitte all’Italia e consegnati in questo documento, perché sono incisi e bruciano nell’anima di tutti gli italiani; e domando se, tornando in voi stessi, da vincitori smoderati a persone ragionevoli, stimate possibile di aver acquistato con ciò un collaboratore in piena efficienza per lo sperato nuovo assetto europeo.

Noi italiani, che non possiamo accettare questo documento perché contrario alla verità, e direi alla nostra più alta scienza non possiamo, sotto questo secondo aspetto, dei rapporti fra i popoli accettarlo, né come italiani curanti dell’onore della loro patria, né come europei, due sentimenti che confluiscono in uno, perché l’Italia è tra i popoli che più hanno contribuito a formare la civiltà europea.

Alcide De Gasperi (Presidente del Consiglio), Carlo Sforza (Ministro degli Esteri): Conferenza di Pace, Parigi (1947)

Ma se noi non approveremo questo documento che cosa accadrà ? In quali strette ci cacceremo ? Ecco il dubbio e la perplessità che può travagliare alcuno o parecchi di voi, i quali nel giudizio di sopra esposto e ragionato del cosiddetto trattato so che siete tutti e del tutto concordi con me ed unanimi, ma pur considerate l’opportunità contingente di una formalistica ratifica. Ora non dirò ciò che voi ben conoscete: che vi sono questioni che si sottraggono alla spicciola opportunità e appartengono a quella inopportunità opportuna o a quella opportunità superiore che non è del contingente ma del necessario; e necessaria e sovrastante a tutto è la tutela della dignità nazionale, retaggio affidatoci dai nostri padri da difendere in ogni rischio e con ogni sacrificio. Ma qui posso stornare per un istante il pensiero da questa alta sfera che mi sta sempre presente, e, scendendo anch’io nel campo del contingente, alla domanda di quel che sarà per accadere rispondere, dopo avervi ben meditato, che non accadrà niente, perché in questo documento è scritto che i suoi dettami saranno messi in esecuzione anche senza l’approvazione dell’Italia; dichiarazione in cui, sotto lo stile di Brenno, affiora la consapevolezza della verità che l’Italia ha buona ragione di non approvarlo. Potrebbero bensì quei dettami, venire peggiorati per spirito di vendetta; ma non credo che si vorrà dare al mondo di oggi, che proprio non ne ha bisogno, anche questo spettacolo di nuova cattiveria, e, del resto, peggiorarli mi par difficile, perché non si riesce a immaginarli peggiori e più duri. Il governo italiano certamente non si opporrà all’esecuzione del dettato; se sarà necessario coi suoi decreti o con qualche suo singolo provvedimento legislativo la seconderà docilmente, il che non importa approvazione, considerato che anche i condannati a morte sogliono secondare docilmente nei suoi gesti il carnefice che li mette a morte.

Ma approvazione no!

Non si può costringere il popolo italiano a dichiarare che è bella una cosa che esso sente come brutta, e questo con l’intento di umiliarlo e di togliergli il rispetto di se stesso, che è indispensabile a un popolo come a un individuo e che solo lo preserva dall’abiezione e dalla corruzione.

Signori deputati, l’atto che oggi siamo chiamati a compiere non è una deliberazione su qualche oggetto secondario e particolare, dove l’errore può sempre essere riparato e compensato, ma ha carattere solenne e perciò non bisogna guardarlo unicamente nella difficoltà e nella opportunità del momento, ma portarvi sopra quell’occhio storico che abbraccia la grande distesa del passato e si volge riverente e trepido all’avvenire. E non vi dirò che coloro, che questi tempi chiameranno antichi, le generazioni future dell’Italia che non muore, i nostri nipoti e pronipoti ci terranno responsabili e rimprovereranno la generazione nostra di aver lasciato vituperare e avvilire e inginocchiare la nostra comune madre a ricevere un iniquo castigo; non vi dirò questo perché so che la rinunzia alla propria fama è in certi casi estremi richiesta all’uomo che vuole il bene o vuole evitare il peggio; ma vi dirò quel che è più grave, che le future generazioni potranno sentire in se stesse la durevole diminuzione che l’avvilimento, da noi consentito, ha prodotto nella tempra italiana, fiaccandola.

Questo pensiero mi atterrisce, e non debbo tacervelo nel chiudere il mio discorso angoscioso. Lamentele, rinfacci, proteste, che prorompono dai petti di tutti, qui non sono sufficienti. Occorre un atto di volontà, un esplicito no. Ricordate che, dopo che la nostra flotta, ubbidendo all’ordine del re ed al dovere di servire la patria, si fu portata a raggiungere la flotta degli alleati e a combattere al loro fianco, in qualche loro giornale si lesse che tal cosa le loro flotte non avrebbero mai fatto. Noi siamo stati vinti, ma noi siamo pari, nel sentire e nel volere, a qualsiasi più intransigente popolo della terra”.

Esuli istriani dopo la fine della II Guerra Mondiale


Da: Il Grande Inquisitore

18 luglio 2025

12 luglio 2025

Francesco Ippoliti (1865 - 1938), medico degli ultimi, anarchico e antifascista abruzzese.


Francesco Ippoliti nacque il 12 febbraio 1865 a San Benedetto dei Marsi, provincia dell’Aquila, da una famiglia di piccoli proprietari terrieri.
Dopo aver completato gli studi superiori, si trasferì a Napoli, dove si laureò in Medicina e Chirurgia. 
Proprio nell’ambiente universitario partenopeo entrò in contatto con l’anarchismo, maturando una coscienza politica che avrebbe segnato tutta la sua vita. 
Tornato nel suo paese natale scelse invece di praticare la medicina come strumento di giustizia sociale. 
Curava gratuitamente i poveri, comprava i medicinali per chi non poteva permetterseli e si spostava in tutte le zone più isolate. 
Oltre all’attività medica, Ippoliti lottava contro il dominio dei grandi latifondisti, in particolare la potente dinastia Torlonia, che aveva trasformato la Marsica in una terra di sfruttamento intensivo dopo l’essiccazione del lago Fucino. 
Denunciava le condizioni di semi-schiavitù dei contadini e cercava di costruire un’alleanza tra lavoratori attraverso l’istruzione popolare e la solidarietà. 
La sua notorietà e il suo attivismo lo resero bersaglio delle autorità fin dal regime liberale, che lo sottopose a perquisizioni e denunce. 
Con l’avvento del fascismo, la repressione e le violenze divennero sistematiche, tanto più che Ippoliti era il punto di riferimento di diversi militanti attivi nella zona. 
Nel 1926 fu arrestato e mandato al confino politico prima a Pantelleria e poi a Lipari, dove scrisse diari in cui descrisse le dure condizioni dei reclusi e la pervasiva sorveglianza del regime. 
Anche in esilio continuò a curare i compagni detenuti e ad agire come figura di riferimento morale. 
Tornato in Abruzzo nel 1928, visse sorvegliato e poverissimo, costretto a smettere di esercitare la professione. 
Rifiutò sempre ogni compromesso con il fascismo, conducendo una vita austera e solitaria.
Negli anni Trenta, sempre più isolato e debilitato, fu assistito solo da pochi compagni fidati, in particolare Francesco De Rubeis e Pasqualina Martino. 
Morì il 7 gennaio 1938 nel suo paese natale, dove fu sepolto in forma anonima. 
La sua memoria, per decenni silenziata, è stata riscoperta solo di recente grazie a testimonianze familiari e studi storici.

Da: https://www.facebook.com/share/p/16bx9jsVh4/

Per approfondimenti:

https://www.bfscollezionidigitali.org/entita/13234-ippoliti-francesco

9 luglio 2025

Alessandro Torlonia. L'eredità del lago Fucino.

                    Alessandro Torlonia                                                          Lago Fucino
Alessandro Torlonia. L'eredità del lago Fucino
di Filippo Neri 

Nei primi mesi del 1870 Alessandro Torlonia, che aveva 70 anni e solamente una figlia, Annamaria, di 15 anni, era molto preoccupato sul futuro del suo immenso patrimonio.
Il lavoro di prosciugamento del lago del Fucino, dove 4.000 operai al giorno lavoravano dal 1854 senza sosta, era quasi terminato.
Stava realizzando un’opera faraonica: 16.000 ettari, da affittare a 11.000 contadini, con 285 km di strade. 
Possedeva decine di palazzi e centinaia di tenute in tutta l’Italia, una banca, partecipazioni in tante società. 

Non voleva lasciare tutto ai parenti, né far sposare la figlia con il figlio di suo fratello, come suggeritogli da quest’ultimo. 
E allora si incontrò con Pio IX e gli chiese di aiutarlo a trovare una soluzione. 
Pio IX
Parlando venne l’idea di proporre ad Annamaria di sposare Giulio Borghese, ventitreenne figlio cadetto del principe Marcantonio V Borghese, a condizione che lui cambiasse il cognome, da Borghese in Torlonia. 
Gli interessati accettarono e la cosa andò avanti, pur con l’annessione, a settembre, dello Stato della Chiesa nel Regno d’Italia. 
Il matrimonio fu celebrato nel marzo del 1872 e il cambio del cognome avvenne nel 1875. 
Non fu facile perché altri Torlonia fecero opposizione, ma con l’appoggio di Re Vittorio Emanuele si concluse l’operazione. 
Alessandro Torlonia con la figlia Anna Maria, 1872

Marcantonio V Borghese nel 1839 aveva ereditato 14.000 ettari nell’Agro Romano; ma poco dopo li riportò ad oltre 20.000 con l’acquisto del grande feudo di Nettuno e dei feudi nel viterbese. 
Villa Borghese a Nettuno (dipinto di Paolo Anesi, 1750)
Marcantonio V Borghese
Dagli anni Quaranta agli anni Ottanta dell’Ottocento c’era stata una crescita costante della rendita agricola. 
Così Marcantonio poteva mantenere un tenore di vita degno di una casa regnante per sé e per i suoi dieci figli, frutto dei suoi due matrimoni con Gwendoline Talbot dei conti di Shrewsbury e con Teresa de la Rochefoucauld, entrambe eredi della maggiore nobiltà inglese e francese. 
L’adozione del codice civile italiano, nel 1865, comportò la fine dei fidecommessi, dei diritti di primogenitura e di maggiorascato, di tutta l’impalcatura su cui si reggeva la consuetudine di “rendere eterne le famiglie con i loro beni fondiari”. 
Nel 1854 la figlia Agnese, avuta dalla prima moglie, aveva sposato Rodolfo Boncompagni Ludovisi. 
I nove figli avuti dalla seconda moglie sposarono esponenti di importanti famiglie. 
Nel 1865 Annamaria sposò Gerino Gerini, Paolo, il primogenito sposò l’anno dopo Ilona Appony, Francesco nel 73 sposò Francesca Salviati, e così via. 
I Torlonia possedevano circa 27.000 ettari ed i Borghese circa 20.000 ettari di terreni. 
Ma nel decennio 1880/90 le cose cambiarono, cambiò sia l’economia che le leggi, e tutte le famiglie nobili, tranne i Torlonia, si trovarono a mal partito. 
Nel 1886 morirono prima Alessandro Torlonia e poi Marcantonio Borghese. 
Nel momento della “febbre edilizia” Paolo Borghese aveva fatto investimenti sbagliati e la famiglia accumulò grandi debiti con le banche, finché nel 1892 il palazzo Borghese venne addirittura venduto all’asta. 
tavola che evidenzia i rapporti tra le varie famiglie