Visualizzazione post con etichetta Marchese del Vasto. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Marchese del Vasto. Mostra tutti i post
29 aprile 2024
25 marzo 2024
Vasto di Goito e Sordello da Goito. Legami con l'Abruzzo.
Una frazione di Goito (MN) prende il nome della località abruzzese di Vasto (CH).
Si potrebbe ipotizzare che ciò derivi dai legami storici tra i Gonzaga di Mantova e i d'Avalos.
Isabella Gonzaga, Marchesa di Pescara di Valentín Carderera, 1831c, Collezione María Pilar Carderera Biblioteca nazionale di Spagna. |
Infatti Isabella Gonzaga (1537-1579), figlia del Duca di Mantova, sposò nel 1556 Francesco Ferdinando d'Avalos d'Aquino d'Aragona (1530 - 1571), secondo Principe di Francavilla, quarto Marchese di Pescara, terzo Marchese del Vasto e Conte di Monteodorisio.
Medaglia celebrativa raffigurante Francesco Ferdinando d'Avalos, Annibale Fontana, National Gallery of Art, Washington |
Sordello da Goito
Miniatura di Sordello da Goito tratta da un manoscritto del XIII secolo |
Nel VI canto del Purgatorio, viene presentata la figura di Sordello da Goito, un importante poeta trovatore italiano, appartenente alla piccola nobiltà mantovana.
Egli divenne signore dei feudi abruzzesi di Civitaquana, Monteodorisio, Paglieta, Borrello e Palena, ricevuti in dono nel 1269 da Carlo I d’Angiò, morendo poco dopo in Abruzzo.
Etichette:
Abruzzo,
Chieti,
Civitaquana,
Cultura,
Curiosità,
Francavilla al Mare,
L'Aquila,
Letteratura,
Marchese del Vasto,
Monteodorisio,
Paglieta,
Palena,
Pescara,
Storia,
Vasto
22 marzo 2024
Il Polittico d’Avalos - Convento dei frati minori di Sant'Antonio, Ischia.
Il Polittico d’Avalos - Convento dei frati minori di Sant'Antonio, Ischia. |
Le due nobildonne ritratte nel 1512 sono: a sinistra la principessa di Francavilla Costanza d’Avalos, figlia di Innico d'Avalos e di Antonella d'Aquino contessa di Loreto Aprutino, a destra la marchesa di Pescara Vittoria Colonna, signora di Pescocostanzo, poetessa, molto amica di Michelangelo, all’epoca ventenne e sposata da tre anni (1509) con Ferrante d’Avalos, quinto marchese di Pescara, abbigliata con abiti eleganti, gioielli, capelli adornati da perle, nastri di seta e una retina d’oro.
IL POLITTICO D’AVALOS
Lettura di un’opera
Gina Menegazzi
Quanti tesori sconosciuti abbiamo a Ischia, e quanto poco sappiamo valorizzarli e sfruttarli per allargare quell’offerta turistica che vogliamo presentare ai nostri ospiti! Una scoperta in questo senso ci è stata offerta dalla storica dell’arte Serenaorsola Pilato che unisce a un’ottima preparazione e a una grande cultura artistica un linguaggio chiaro e pulito, con cui illustra gioielli grandi e piccoli della nostra isola. Presso la sagrestia del convento dei Frati Minori a Ischia, annessa alla chiesa di S. Antonio, è conservato, anche se suddiviso sulle quattro pareti, il Polittico D’Avalos e la ricercatrice ci ha condotto alla sua scoperta.
“Il polittico – spiega la Pilato -, smembrato in più parti e certamente mancante di alcuni elementi, è costituito da sette tavole. Lo sportello centrale è articolato su due livelli: nella parte superiore la Madonna delle Grazie, circondata da una schiera di puttini, in quella inferiore le due committenti. A questo sportello centrale andavano affiancati i due laterali, uno per parte: a sinistra S. Francesco e S. Ludovico di Tolosa; a destra S. Giovanni Battista e S. Tommaso d’Aquino. Che fossero affiancati risulta evidente dal piano pavimentale, che è lo stesso nelle tre tavole, e dalla continuità nel paesaggio. Le tavole più piccole raffigurano invece quattro sante: S. Lucia, identificabile dagli occhi che regge sul piattino; S. Caterina d’Alessandria, con la ruota del martirio; S. Chiara, con il saio francescano e il giglio bianco, e S. Maria Maddalena, riconoscibile dai lunghi capelli e dal vasetto che regge in mano”.
Partendo dal lavoro di altri studiosi, la storica dell’arte ha fornito una lettura affascinante dell’opera, rivelando gli elementi che la configurano come ex voto offerto dalle due donne: Costanza d’Avalos, rappresentata con gli abiti vedovili e in età avanzata, e una giovane Vittoria Colonna, raffigurata come una principessa, con una retina d’oro nei capelli, come è descritta nelle cronache dell’epoca. “Quest’opera di un’importanza straordinaria, un vero capolavoro del Rinascimento, faceva parte dei beni delle Clarisse che abitavano sul Castello, nel convento fondato da Beatrice Quadra, ed era probabilmente arrivata loro per via ereditaria, forse proprio attraverso la stessa fondatrice. Le Clarisse dovevano essere particolarmente legate all’opera perché, quando furono costrette ad abbandonare il convento, scelsero di portarla con loro”. Sono state le stesse Clarisse a deciderne lo smembramento e l’infelice disposizione all’interno dell’ambiente in cui ora si trova.
Se precisi elementi stilistici e l’età delle due donne rappresentate consentono di fissare la data non oltre il secondo decennio del 1500, un elemento, in particolare, conferma che si tratta di un ex voto, legato alla sconfitta a Ravenna di Ferrante d’Avalos – nipote di Costanza e marito di Vittoria Colonna – e alla sua prigionia a Milano presso la rocca di Porta Giovia, l’attuale Castello Sforzesco. “Sappiamo che la sua fu una prigionia dorata, perché a Milano era custodito dallo zio Giangiacomo Trivulzio, marito di Eleonora d’Avalos, sorella di Costanza”. L’elemento da osservare è l’edificio che compare al centro del dipinto: “l’autore conosce perfettamente la tecnica prospettica e dispone l’asse centrale del pavimento in corrispondenza di questo elemento architettonico che si trova al di sotto della Madonna delle Grazie; inoltre, in un paesaggio piuttosto generico, realizza questo edificio con dovizia di particolari, che richiamano decisamente alcuni elementi di quello che doveva essere il palazzo sforzesco di Milano nel 1510-12, quando Ferrante vi era prigioniero, per esempio la sporgenza dell’architettura chiaramente gotica, e l’arco a tutto sesto. La rocca milanese era originariamente in serizzo bianco, una pietra locale ancora evidente nel basamento della stessa, e in pietra bianca, chiara, è raffigurata la torre nel dipinto, e si contrappone alla torre cilindrica scura. Questa somiglianza architettonica è talmente forte da non poter essere semplicemente un caso: la struttura architettonica occupa un posto così centrale perche il dipinto è una richiesta di grazia per Ferrante custodito all’interno della prigione. Questo ex voto ha inoltre complessi significati religiosi e spirituali: la corte d’Avalos è non soltanto la corte più importante nell’Italia meridionale, ma una delle più importanti d’Italia, e ha esigenze umanistiche e letterarie complesse; l’autore che lavora per una committenza del genere deve essere in grado di trasformare in immagine gli articolati significati politici, spirituali, religiosi che un committente del genere richiede.
Una tale opera lascia inoltre trasparire la spiritualità di chi l’ha commissionata e, analizzando i santi raffigurati, permette di affermare che la committente sia stata proprio Vittoria Colonna. La scelta dei santi non è casuale: Maria Maddalena e Caterina d’Alessandria hanno un ruolo sostanziale nella spiritualità della Colonna; è certamente vero che tale spiritualità si manifesta in maniera totale dopo la morte del marito nel 1525, ma è anche vero che le sue origini dovevano essere precedenti: in una lettera inviata a Costanza Piccolomini, la Colonna parla del ruolo fondamentale di Maria Maddalena, considerata come la vita attiva per aver tanto amato, e di Caterina d’Alessandria, l’aspetto contemplativo, perché ha dedicato tutta la sua vita a Cristo.
Nella tavola di sinistra, poi, vediamo S. Francesco, il mendicante, il poverello per eccellenza, raffigurato in maniere convenzionale con le cinque stimmate a vista, compresa quella del costato, santo che la dice lunga sull’orientamento spirituale e pauperistico di chi ha commissionato l’opera. Lo stesso vale per S. Ludovico, ricollegabile alla Colonna per due diversi motivi: non soltanto perché è un santo legato alla stessa ideologia pauperistica – ha accettato d’indossare la mitra e il mantello vescovile soltanto sull’abito francescano, come è evidenziato nel dipinto -, ma è un santo che ha subito prigionia: una prigionia dorata, sette anni presso Alfonso III d’Aragona, ma pur sempre prigionia, che richiama quella di Ferrante. Quindi, non solo questo dipinto è un ex voto connesso in maniera fortissima a Vittoria, ma è anche una testimonianza, in una data alta – diciamo tra il 1512 e il 1520 – di quello che è già l’orientamento spirituale di questa donna”.
Serena Pilato ha poi collegato i santi raffigurati all’interno del polittico a quelli presenti nella cripta del Castello Aragonese. “In quel luogo elitario, di culto privato, cui potevano accedere solo le famiglie nobili che vi avevano le cappelle, le sante più celebrate sono S. Caterina d’Alessandria e S. Maddalena, rappresentate più volte, per esempio nella cappella Bulgaro, dove sono accostate: S. Caterina, identificabile dalla corona e che regge la veste facendo nodo, riferimento alla sua verginità, e S. Maddalena, bionda – i capelli si vedono sotto il velo – e con il calice. O ancora, nella cappella della Maddalena, di fronte all’entrata, la santa in stucco forte e, accanto, le storie della sua vita; o, nella prima cappella a destra entrando, S. Caterina, con la corona, la palma e il libro, e il Battista, nell’angolo. La cappella Cossa poi ha storie di S. Caterina d’Alessandria, e la cappella Calosirto S. Caterina d’Alessandria e Maria Maddalena. Vittoria Colonna ha trascorso un lungo periodo sul Castello Aragonese, l’amato-odiato scoglio, come lei stessa lo definisce nelle rime, e certamente avrà avuto modo di meditare sui propri orientamenti spirituali all’interno della cripta dove sono raffigurate proprio la Maddalena e Caterina d’Alessandria; mi sembra quasi scontato quindi il rapporto fortissimo tra la cripta del Castello e le figure nel polittico.
Vale infine la pena di osservare i meravigliosi dettagli dell’opera: Vittoria Colonna con il libro e i particolari della veste, o il piviale di S. Ludovico, con figure perfettamente costruite all’interno di architetture realizzate con tecnica prospettica. L’utilizzo dei colori ci dice anche altro: il manto nero di Costanza, o il manto cangiante e bellissimo del Battista, o ancora la veste verde di S. Ludovico, non possono essere compresi senza la pittura veneta del ‘500 a cui va ricondotto anche il paesaggio, così attento e minuzioso. Particolari come il sole dipinto in maniera così dettagliata in S. Tommaso d’Aquino, o, alla cintura del Battista, l’arbusto le cui foglioline poggiano in maniera così perfetta sul bastone, non si possono capire senza i fiamminghi, senza l’influenza che Dürer ha avuto sulla pittura veneta. Non siamo in grado di stabilire chi sia l’autore del dipinto, ma certamente possiamo inserirlo in quello che viene chiamato il filone romano-veneto”.
Trascinati dalle parole di Serena Pilato, ci nasce il desiderio di far conoscere il capolavoro custodito in questa piccola sagrestia, che ancora una volta si connette al Castello Aragonese, a conferma che questo non era una piccola corte di provincia, ma il centro dell’Italia meridionale.
Etichette:
Abruzzo,
Arte,
Cultura,
Curiosità,
D'Avalos Alfonso,
D'Avalos Cesare Michelangelo,
Letteratura,
Loreto Aprutino,
Marchese del Vasto,
Pescara,
Religione,
Siti,
Storia,
Vasto
28 agosto 2023
L'Archivio ritrovato. Docufilm sul recupero dell'archivio gentilizio d'Avalos.
La famiglia d’Avalos ha prodotto e custodito per oltre cinque secoli un importante archivio, che è stato oggetto dalla fine del 2019 di una risolutiva azione di recupero promossa dalla Soprintendenza archivistica e bibliografica della Campania con il supporto del Nucleo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di Napoli.
A partire dagli anni ’60, diversi furono i tentativi – tutti infruttuosi – di visionare il materiale, al punto che l’archivio fu dichiarato di particolare interesse storico senza una effettiva istruttoria.
Solo nel 2019, dopo un incontro tra il Soprintendente archivistico e bibliografico della Campania Gabriele Capone e l’ultimo erede della famiglia Andrea d’Avalos, il materiale fu trasferito all’Archivio di Stato di Napoli.
Al trasferimento delle oltre 150 casse di documentazione ha fatto seguito un impegnativo progetto di riordino e descrizione dell’intero fondo che, finanziato dalla Direzione Generale Archivi del Ministero della Cultura e curato dalla Soprintendenza archivistica e bibliografica della Campania, ha portato in due anni alla realizzazione di un inventario analitico di circa 500 pagine.
Tutte le fasi, dal trasferimento ai lavori archivistici, sono raccontate in questo docufilm prodotto dalla Soprintendenza archivistica e bibliografica della Campania.
Da: SAB Campania
Etichette:
Abruzzo,
Arte,
Chieti,
Cultura,
D'Avalos Alfonso,
D'Avalos Cesare Michelangelo,
Letteratura,
Marchese del Vasto,
Molise,
Siti,
Storia,
Vasto,
Video
27 agosto 2023
300° anniversario del Toson d'Oro. La diretta da Vasto della 35ª rievocazione storica del 27.08.2023.
Si tratta della rievocazione storica della consegna del Toson d'oro, con figuranti in costume dell’epoca che sfilano lungo le vie della città per ricordare il conferimento della prestigiosa insegna cavalleresca (collare dell'ordine), avvenimento che si è svolto a Vasto il 24 Ottobre del 1723 ed ha visto protagonisti il marchese del Vasto, Cesare Michelangelo d'Avalos che, su incarico dell'imperatore Carlo VI, consegnò al Conestabile del Regno, principe romano, Fabrizio Colonna per i servigi resi dalla sua famiglia alla corte di Napoli.
Cesare Michelangelo d'Avalos, Marchese del Vasto (Vasto, 15 gennaio 1667 – Vasto, 27 agosto 1729) |
Oltre al valore simbolico, il conferimento dell'istituzione rappresentò un tassello importante per la diffusione del cattolicesimo in Europa, in quanto il principe Fabrizio era il nipote del cardinale Carlo Colonna.
Le cronache raccontano con dovizia di particolari la cerimonia a cui parteciparono nobili, principi e prelati di tutta Europa e che fu seguita da festeggiamenti che durarono fino al 2 novembre.
L'ordine cavalleresco del Toson d'oro è stato istituito a Bruges da Filippo il Buono, duca di Borgogna nel 1430 in occasione del suo matrimonio con l'infanta Isabella del Portogallo. Oggi sono conferiti di questa onorificenza il re di Spagna Juan Carlos e il figlio Felipe, erede al trono che, in occasione delle sue nozze con la giornalista televisiva Ortiz, aveva sull'alta uniforme il Toson d'oro o vello d'oro.
Il gioiello, riprodotto per la rievocazione storica dall'orafo vastese Crisci, simboleggia la ricchezza e la libertà e raffigura un ariete con le corna ritorte in giù e con il corpo appeso ad un pendaglio che rappresenta un fulmine che lo colpisce.
6 agosto 2023
15 giugno 2023
Luigi Murolo, (Vasto) Santa Lucia: da villa delle delizie, a orto botanico, a rudere.
SANTA LUCIA: DA VILLA DELLE DELIZIE, A ORTO BOTANICO, A RUDERE
Uno dei tanti ruderi disseminati nella città. L’occhio ne è talmente abituato che nessuno se ne accorge. Al più percepisce un vuoto disdicevole che deprime la visione tra palazzi e teoria di villette sequenziate queste ultime l’una dall’altra. Malgrado la sua eroica Resistenza, il rudere è ormai prossimo alla caduta (fig. 1).
Si poteva pensare che tutto il crollato rendesse libera la terra da ogni impedimento. Che fosse sufficiente saper attendere. Ma quando un vincolo esiste con lo stesso occorre sempre fare i conti.
E che, dunque, il «Palazzetto d’Avalos» o, se si vuole, «Santa Lucia», veniva decretato dal Ministero per i Beni culturali e Ambientali «di intere interesse particolarmente importante» e sottoposto a tutte le disposizioni di tutela previste dalla legge 1° giugno 1939 n. 1089. Il Decreto Ministeriale datato 30 giugno 1986 veniva notificato al precedente proprietario il 30 ottobre dello stesso anno (figg. 2-3). E aggiungo, inoltre – come si evince dal testo –, che il documento comprende anche il vincolo per giardino annesso (la notifica viene pubblicata in questa sede cancellando il nome del destinatario). Il decreto ministeriale non spiega la ragione. Ma anche se ciò accade, il motivo si comprende benissimo dal fatto che risulta parte integrante – vero e proprio «luogo delle delizie» – dell’ex-complesso monumentale.
A tutta prima, la storia si presenta nel modo appena accennato. Ma questa è solo una parte. Perché l’altra, rimasta nascosta nella sua funzione, presenta notevole importanza sul versante dell’istruzione agraria (nel caso specifico, una scuola di mestiere). Da quest’ultimo punto di vista, la vicenda apre una diversa lettura della storia agraria dell’Abruzzo meridionale e della sua arretratezza denunziata dallo storico Luigi Marchesani, lamentando i precedenti fallimenti nell’istituzione di una scuola ad hoc: «Non so dolermi abbastanza del modo, onde l’agricoltura si esercita: […]. Ma tal è l’uso che i figli seguano immutabilmente le pratiche dei’ genitori, quasiché i nuovi lumi dell’agricoltura non esistessero: imperciò nel 1820 il Decurionato e ‘l Sindaco Quirino Majo cercarono stabilire in Vasto la cattedra di agricoltura». (Storia ecc., p. 162). Aggiungo, senza però riuscirvi. Ecco perché l’«orto botanico» di cui si sta parlando rispecchia proprio il modello professionalizzante del produttore in proprio di frutta camangiari; vale a dire, l’«ortolano». E ciò, secondo i criteri impartiti dalla Reale Istituzione Agronomica di Grignon (Savoia) fondata nel 1826, trasformata in Scuola Nazionale di Agronomia nel 1852. Vale a dire la stessa tipologia formativa adottata dal marchese Cosimo Ridolfi (cui è intitolato l’Istituto Agrario di Scerni) che, nel 1834, introduce presso la fattoria di Meleto Valdelsa (Firenze), la prima scuola di agraria in Italia indirizzata all’istruzione di fattori e direttori d’azienda. Va da sé che, in quelle istituzioni, decisiva risulta la presenza dell’orto botanico.
Mentre ciò accade, il medico vastese Francesco Romani (1785-1852) (fig. 4) lega gran parte del suo patrimonio (500 ducati) «in favore della sua Patria» per la realizzazione di «una scuola teorico-pratica di agricoltura». Nel testamento si legge che occorre «dimostrare col fatto la verità e utilità delle dottrine e delle pratiche che si insegnano […]. Perché, trattandosi di cose agrarie, il linguaggio più persuasivo che torna a generale profitto, ed è compreso da ogni classe di persone, è il fatto e l’esempio». Per realizzare tale programma, il dott. Romani prevedeva una Commissione di concorso per la nomina di uno studente da destinare ai corsi di Meleto Valdelsa e di Grignon. Si andava delineando, in tal modo, la concretizzazione del disegno romaniano. Nel 1855 avrebbe vinto il giovane Francesco Cerella di San Buono attraverso cui gli insegnamenti degli istituti francese e toscano si sarebbero innervati nella scuola vastese (a partire dal 1858). L’intreccio tra generale e particolare sarebbe così avvenuto un anno prima dell’Unità d’Italia.
Le vicende del «Legato Romani» avrebbero avuto una storia piuttosto complicata e ingarbugliata risoltasi solo nel 1902. In quegli anni i poderi sperimentali cambiano più volte sede: ex-Belvedere Romani, S. Onofrio, contrada Paradiso. Sicché, è a partire dal 1910 che, legando il patrimonio Romani alla Cattedra ambulante di Agricoltura, sarebbe stato istituito, insieme con Comune, Ministero dell’Agricoltura, Provincia di Chieti, il «Consorzio per la manutenzione della Cattedra Ambulante di Agricoltura del Circondario di Vasto». Da quel momento, sarà presa in affitto dai d’Avalos il complesso di Santa Lucia (fig. 6) (torre angolare della cinta muraria ora abbattuta), per iniziare l’attività didattica. La pianta che viene qui presentata è quella relativa all’«Orto Botanico» cantierato nel 1911. Da quel momento in poi, il Legato Romani avrebbe seguito il destino della Cattedra Ambulante di Agricoltura.
Di questa struttura fisica che ha garantito il funzionamento e l’organizzazione della coltura ortense nel territorio non esiste più nemmeno la polvere (fig. 7). Figuriamoci se si riesce a pensare al trasferimento della cultura internazionale di Grignon e Meleto Valdelsa in quel di Vasto! E perché no, anche a ricordare il galantomismo di un personaggio nato nell’ ancien règime ma che, con il suo patrimonio, ha pensato alla modernizzazione dell’agricoltura. Al contrario, malgrado la presenza della cappella di Santa Lucia, la cecità dei contemporanei sta procedendo a passi veloci per cancellare perfino la memoria toponomastica di Francesco Romani. «Così è se vi pare», potremmo dire con Pirandello, sottolineando l’inconoscibilità del reale, di cui ognuno può offrire la propria interpretazione. Ho detto “potremmo” se si trattasse di un fatto tragico. Ma si tratta solo di una commedia eseguita, tra l’altro, piuttosto maluccio. Del resto la fine di villa d’Avalos (Santa Lucia) e dell’Orto botanico è solo l’ultimo atto compiuto di un «cupio dissolvi» in atto. C’è ancora un bel po’ da cancellare. Ma tra breve sarà tutto risolto. Con la «cancel culture» alle porte nulla resterà come prima.
Le foto seguono l'ordine indicato nel testo.
18 maggio 2023
7 febbraio 2023
Regno di Napoli. Le zecche minori.
Etichette:
Abruzzo,
Atri,
Biblioteca,
Chieti,
Cultura,
Curiosità,
D'Avalos Cesare Michelangelo,
Guardiagrele,
L'Aquila,
Marchese del Vasto,
Molise,
Ortona,
Pescara,
Siti,
Storia,
Tagliacozzo,
Teramo,
Vasto
4 febbraio 2023
2 novembre 2022
28 settembre 2022
26 settembre 2022
Consalvo Carelli, “Castello D’Avalos a Vasto”, sec. XIX (color by F.Marino).
22 settembre 2022
20 settembre 2022
Li Regni di Granata e d'Andalucia: Dedicati all'Illmo. et Eccmo. Sigre.il Sigr. D. Cesare Michel'Angelo d'Avalos ... Domenico de Rossi. Descritti da Giacomo Cantelli Geografo, e dati in luce da Domco. de Rossi erede di Gio. Giaco. de Rossi dalle Sue Stampe in Roma alla Pace con Priuil. del S.P. e licenza de Sup. l'Anno 1696 il di primo Settembre.
Cesare Michelangelo D'Avalos e Alfonso D'Avalos, in: Il genio bellicoso di Napoli; memorie istoriche d'alcuni capitani celebri napolitani, c'han militato per la fede, per lo Re, per la patria nel secolo corrente raccolte dal p. fra Raffaele Maria Filamondo ... abbellite con cinquantasei ritratti intagliati in rame. 1694.
Iscriviti a:
Post (Atom)