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29 aprile 2024

Un mondo a parte, film di Riccardo Milani, 2024.

Un mondo a parte, film di  Riccardo Milani, 2024. 



Per il maestro elementare Michele Cortese sembra aprirsi una nuova vita. 
Dopo 40 anni di insegnamento nella giungla romana, riesce a farsi assegnare all’Istituto Cesidio Gentile detto Jurico: una scuola composta da un’unica pluriclasse, con bambini dai 7 ai 10 anni, nel cuore del Parco Nazionale d’Abruzzo (Opi, Pescasseroli, Villetta Barrea).
Grazie all’aiuto della vicepreside Agnese e dei bambini, supera la sua inadeguatezza metropolitana e diventa uno di loro. Quando tutto sembra andare per il meglio però, arriva la notizia che la scuola, per mancanza di iscrizioni, a giugno chiuderà. Inizia così una corsa contro il tempo per evitarne la chiusura in qualsiasi modo. 
Regia: Riccardo Milani
Cast: Antonio Albanese, Virginia Raffaele



11 marzo 2024

Bernardino Scaramella di Palena e i suoi Madrigali, sec.XVI.


 


Bernardino Scaramella (Palena 1552 - ?)

Biografia
Il Maestro Bernardino Scaramella, Compositore originario di Palena nato nel 1552 (cittadina in provincia di Chieti), vissuto nel secolo XVI. Non si hanno precise notizie su un circolo culturale della famiglia Lannoy a Sulmona, più certa è l'attività di Bernardino Scaramella di Palena, con il Primo libro di madrigali a 5 voci del 1591, dedicato a Realto de Sterlich, feudatario di Penne.

Opere
"Il Primo Libro de Madrigali, a cinque voci (ALTO, BASSO, CANTO,TENORE, QUINTO) di Bernardino Scaramella di Palena. Nuovamente da lui composti, et dati in luce." In Venetia, appresso Giacomo Vincenti - Venezia, 1591.

Bernardino Scaramella di Palena e i suoi Madrigali, sec.XVI.

29 ottobre 2023

Abruzzo: I Borghi più Belli da Visitare.


Esplora la Magia degli Incantevoli Borghi dell'Abruzzo: Dal Fascino di Santo Stefano di Sessanio all'Eccellenza di Rocca Calascio. Benvenuti in un viaggio indimenticabile attraverso i borghi più belli dell'Abruzzo, un gioiello nascosto in Italia. Scopri l'essenza di questa regione affascinante, ricca di storia e cultura, mentre esplori antichi borghi come Santo Stefano di Sessanio, Pacentro e Scanno. Incastonati tra le maestose montagne dell'Abruzzo, questi borghi raccontano storie millenarie attraverso le pietre secolari delle loro strade acciottolate. Dai panorami mozzafiato di Rocca Calascio all'atmosfera autentica di Civitella del Tronto, ogni angolo ti avvolgerà in un abbraccio di autenticità e meraviglia. Se sei alla ricerca di esperienze autentiche, lontano dalle mete turistiche più battute, l'Abruzzo è la tua destinazione perfetta. Scopri i posti meno conosciuti come Roccascalegna e Anversa degli Abruzzi, dove la storia si fonde con la natura in un connubio di suggestioni. Le Gole del Sagittario ti regaleranno scorci di bellezza incontaminata, mentre le stradine di Tagliacozzo e Pescocostanzo ti incanteranno con il loro fascino senza tempo. Sulmona, famosa per i suoi confetti artigianali, è una tappa imperdibile in questo viaggio attraverso la tradizione e l'artigianato abruzzese. Lasciati catturare dalla magia di questi borghi autentici, scoprendo cosa vedere e cosa fare in Abruzzo. Dalle avventure all'aria aperta nelle Gole del Sagittario alle esplorazioni culturali nel cuore di L'Aquila, ogni momento sarà un ricordo da conservare. Scopri i borghi più belli d'Italia, abbracciati dall'autenticità e dalla bellezza senza tempo dell'Abruzzo. Unisciti a noi in questo viaggio straordinario per scoprire l'Abruzzo in tutta la sua gloria, tra paesaggi mozzafiato e gioielli nascosti che ti lasceranno a bocca aperta. Preparati a un'avventura indimenticabile nell'incantevole cuore dell'Italia: benvenuti in Abruzzo, un tesoro da scoprire. TIMELINE 00:00 Introduzione 01:25 Anversa degli Abruzzi 02:45 Civitella del Tronto 04:01 Pacentro 05:15 Scanno 06:33 Pescocostanzo 07:37 Rocca Calascio 08:55 Santo Stefano di Sessanio 10:17 Tagliacozzo 11:35 Roccascalegna 12:32 Sulmona

10 ottobre 2023

Artisti Abruzzesi - La bottega dei Conti di Sulmona alla fine dell’800.

Artisti Abruzzesi - La bottega dei Conti di Sulmona alla fine dell’800
di Angelo Iocco


In questa piccola ricerca, desidero far qualche luce su questa bottega sulmonese di scultore e pittori di opere sacre, attiva tra la metà e la fine dell’800, che come i Falcucci di Atessa e i Salvini e Tenaglia di Orsogna, cercarono di riportare una ventata di freschezza neobarocca nel panorama pittorico abruzzese e nelle sue province.
Ringrazio degli amici, e in particolare la pagina ARTISTICO ABRUZZO per alcune notizie e le attribuzioni delle opere.
Non sappiamo molto sulle origini della famiglia Conti. Alcune fonti indicano un busto a Città Sant'Angelo, nella Chiesa collegiata, di un certo Andrea Conti, una statua di una Madonna del Carmine di un certo Raffaele Conti vicino L'Aquila e il quadro della Santissima Trinità di Taranta Peligna indicata come di Vincenzo Conti del 1892 (anche se è un dato impossibile dato che tutte le sue altre opere sono dell'inizio del secolo).

Il Quadro di Taranta Peligna

Molto ricordato, tra gli artisti di questa famiglia fu Vincenzo Conti, di lui Vincenzo Bindi scrisse alcune note biografiche nella relativa voce nel suo Dizionario degli Artisti Abruzzesi, ma non di particolare aiuto per l’attribuzione delle sue opere.

Vincenzo Conti, San Michele Arcangelo

Vincenzo Conti, San Giovanni Evangelista, chiesa parrocchiale di Campana di Fagnano, 1817

17 gennaio 2023

Giuseppe Lorentini, Perché l’Abruzzo? Un arcipelago di campi di concentramento fascisti durante la Seconda Guerra Mondiale (1940-1943).


Costantino Di Sante, Dall’internamento alla deportazione. I campi di concentramento in Abruzzo (1940-1944).

Costantino Di Sante

Dall’internamento alla deportazione

I campi di concentramento in Abruzzo (1940-1944)

 

Indice

Introduzione 

I. L’internamento 

  • 1.1. Le prime disposizioni del regime fascista
  • 1.2. Il primo campo di concentramento
  • 1.3. L’applicazione delle norme di sicurezza
  • 1.4. Le disposizioni contro gli ebrei
  • 1.5. L’internamento nell’organizzazione della nazione alla guerra
  • 1.6. L’internamento e le altre forme di repressione
  • 1.7. Prescrizioni per i campi di concentramento
  • 1.8. I primi internati
  • 1.9. Categorie di internati
  • 1.10. I campi di concentramento in Italia

II. Abruzzo regione d’internamento 

  • 2.1. Località di internamento e campi di concentramento in Abruzzo
  • 2.2. L’istituzione dei campi di concentramento
  • 2.3. Casoli, il campo per gli ebrei
  • 2.4. Il campo di concentramento nell’asilo infantile "Principessa di Piemonte" a Chieti
  • 2.5. Il campo per gli italiani "pericolosi" di Istonio Marina (Vasto)
  • 2.6. Il campo di smistamento di Lama dei Peligni
  • 2.7. Il campo femminile di Lanciano
  • 2.8. Tollo, il campo per i comunisti Jugoslavi
  • 2.9. L’unico campo in provincia di Pescara a Città S.Angelo.
  • 2.10. Il campo di concentramento nella città fortezza di Civitella del Tronto
  • 2.11. Il campo di concentramento nella Badia Celestina di Corropoli
  • 2.12. I cinesi internati nella Basilica di S.Gabriele a Isola del Gran Sasso
  • 2.13. I campo di concentramento di Nereto
  • 2.14. I campo di concentramento di Notaresco
  • 2.15. I campi di concentramento di Tortoreto Stazione (Alba Adriatica) e Tortoreto Alto
  • 2.16. Gli zingari internati nel campo di concentramento di Tossicia

III. La gestione e la vita nei campi di concentramento

  • 3.1. Direzione e vigilanza dei campi di concentramento
  • 3.2. L’alimentazione
  • 3.3. Sussidi e assistenza
  • 3.4. Condizioni igieniche e sanitarie
  • 3.5. Corrispondenze Postali
  • 3.6. Lavoro e tempo libero
  • 3.7. Sovraffollamento e spostamenti

IV. L’occupazione tedesca 

  • 4.1. Gli internati e i campi di concentramento durante i quarantacinque giorni
  • 4.2. I campi di concentramento dopo l’8 settembre
  • 4.3. La persecuzione degli ebrei e le "anticamere dello sterminio"
  • 4.4. L’occupazione tedesca, gli internati e i campi di concentramento abruzzesi
  • 4.5. Il Konzentrationlager di Teramo
  • 4.6. Il contributo alla resistenza degli internati
  • 4.7. Dalla deportazione alla liberazione

Appendice

Bibliografia (non fornita dall'Autore)

 

Introduzione: nell’introduzione si chiarisce il significato dell’internamento e dei campi di concentramento fascisti e gli obiettivi che la tesi vuole raggiungere.

Capitolo I: il primo capitolo è una ricostruzione storico-giuridica dell’internamento. Nel primo paragrafo si analizza la fase organizzativa, prima dell’entrata in guerra dell’Italia, riportando le principali normative che disciplinarono l’apertura dei campi di concentramento. Nel secondo paragrafo si prende in considerazione le due forme di internamento attuate dal regime fascista e di come vennero applicate in Abruzzo.

Capitolo II: nel primo paragrafo viene riportata una cartina dei campi di concentramento in Abruzzo e per ogni campo la prassi seguita per la sua istituzione e le opere realizzate per renderlo operativo.

Il secondo paragrafo è costituito prevalentemente dagli elenchi degli internati nei singoli campi abruzzesi distinti per nazionalità, sesso, data dell’internamento e dove è riportato il motivo dell’internamento.

Capitolo III: in questo capitolo si riportano le varie condizioni di vita degli internati nei campi abruzzesi e come erano gestiti.

Il primo paragrafo oltre a riportare un elenco dei vari direttori dei campi definisce anche le loro competenze, lo stipendio che ricevevano, le rimozioni e dove ci sono i verbali delle ispezioni ministeriali e della Croce Rossa Italiana.

Nel secondo paragrafo vengono riportate le condizioni di vita degli internati, gli episodi di carenza alimentare e igienica e le restrizioni alle quali erano sottoposti.

Il terzo paragrafo ricostruisce, oltre ai vari casi di evasione avvenuti nei campi di concentramento abruzzesi, anche i trasferimenti di internati per motivi di sovraffollamento e quelli rimessi in libertà per l’atto di clemenza di Mussolini nell’ottobre del 1942 per il ventennale della marcia su Roma.

Capitolo IV: nel primo paragrafo viene riportata la situazione dei campi abruzzesi, ancora funzionanti, durante l’occupazione tedesca.

Il secondo paragrafo è dedicato all’ultimo campo di concentramento istituito in Abruzzo e alle differenze che lo contraddistinsero rispetto agli altri campi.

Nel terzo paragrafo viene riportato l’elenco degli internati del campo di Teramo con il motivo del loro internamento e la situazione igienico sanitaria del campo.

Nel quarto paragrafo, le ultime disposizioni prese nei confronti degli internati e quando e come avvenne la liberazione dei campi nella primavera del 1944.

Conclusioni

Nell’appendice vengono riportati alcuni documenti che riguardano i campi di concentramento abruzzesi.

La bibliografia oltre a riportare i testi di riferimento conterrà un indice analitico dei vari fondi dell’Archivio Centrale dello Stato sull’internamento.

 "l’internamento degli ebrei

rappresentò la premessa

organizzativa essenziale

per la deportazione del 1944"

LUTZ KLINKHAMMER

17 novembre 2022

Amelio Pezzetta: La Chiesa e la vita religiosa in Abruzzo durante Il Viceregno Spagnolo (1503-1707).

1.      Stato, Chiesa e vita religiosa nel Regno di Napoli durante il XVI secolo.

Il dominio spagnolo dell’Italia Meridionale iniziò nel 1503 con Ferdinando il Cattolico e si concluse il 7 luglio 1707 quando le truppe austriache entrarono a Napoli e il Regno passò agli asburgici.

Durante i due secoli di dominio, i monarchi spagnoli delegarono l’amministrazione del Regno a un viceré, non favorirono lo sviluppo del paese, lo appesantirono con un’esosa pressione fiscale e conservarono la sua natura di stato feudale. Nell’epoca in considerazione i baroni vecchi e nuovi conservarono l’ampio potere amministrativo-giudiziario di cui godevano e ampliarono i possedimenti feudali; la chiesa rafforzò il suo potere e prestigio morale e politico; i rappresentanti della borghesia iniziarono la loro ascesa acquisendo prestigio nell’amministrazione civica, l’economia e le libere professioni; i ceti più umili continuarono a vivere in generalizzate condizioni di asservimento e d’indigenza.

Il Regno di Napoli era uno stato vassallo della Chiesa che il papa assegnava a chi assecondava i suoi piani di potere temporale e le sue finalità spirituali. Al momento dell'investitura Ferdinando il Cattolico riconobbe lo stato di vassallaggio con tutte le condizioni a esso connesse tra cui il versamento al pontefice del censo annuale di 8000 once d’oro e l’omaggio della chinea. Ai fini di conservazione del potere, per gli spagnoli l'alleanza con la Chiesa era indispensabile nonostante la condizione di asservimento e il suo alto costo in termini economici.

Nel Regno di Napoli gli spagnoli assunsero nei confronti della Chiesa due atteggiamenti: da un lato se ne servirono per rafforzare il potere; dall'altro pur riconoscendole privilegi e diritti, non assecondarono tutte le sue pretese e talvolta anziché respingerle frontalmente, le attaccarono di fianco. In particolare gli spagnoli non si opposero alle pretese della Chiesa quando erano enunciate nei concili o con le bolle, ma ostacolavano la loro attuazione se contrastavano con gli interessi dello Stato. Un esempio in tal senso è costituito dall'atteggiamento che assunsero nel 1568 con la pubblicazione della bolla "In coena Domini" con cui il papa Pio V voleva riaffermare il primato della chiesa e far presente che le ingiuste imposizioni fiscali erano moralmente perseguibili. In realtà per i suoi particolari contenuti era un chiaro tentativo di violazione dei diritti sovrani di uno Stato laico e fu utilizzata per la difesa dei privilegi e interessi clericali dalle autorità civili. Infatti, la bolla consentiva alle autorità clericali di ricorrere all’arma della scomunica anche nei confronti degli amministratori zelanti che volendo far applicare le norme statali in materia tributaria minacciavano il patrimonio ecclesiastico. In particolare essa minacciava di scomunica coloro che: appoggiavano gli eretici; sostenevano la superiorità dei concili rispetto al sommo pontefice; imponevano nuove tasse al clero o aumentavano quelle già esistenti senza l'approvazione della Camera apostolica; violavano le immunità ecclesiastiche sulla base del principio  che non si fondavano sul diritto divino; impedivano agli ecclesiastici l'esercizio della loro giurisdizione anche contro i laici, l'esecuzione dei rescritti di Roma e l'esazione delle tasse della Chiesa. Il governo spagnolo, nel rispetto dell’atteggiamento politico verso la chiesa precedentemente delineato, quando la bolla fu promulgata non si oppose, ma in seguito cercò di ostacolarne la diffusione e conoscenza.

Tenuto conto degli aspetti generali enunciati, il presente saggio prosegue con l’esposizione sintetica di alcuni significativi aspetti del rapporto Stato-Chiesa nel Regno di Napoli durante il XVI secolo.

Il 29 giugno 1529 il papa Clemente VII e il re Carlo V firmarono il trattato di Barcellona in cui al sovrano spagnolo fu concesso il diritto di presentare i vescovi di 24 diocesi di regio patronato del viceregno napoletano. L’accordo prevedeva che nell’Italia Meridionale l’amministrazione diocesana potesse essere affidata anche a presuli non indigeni e di conseguenza alcune di esse iniziarono a essere rette da prelati d’origine spagnola.

Nel 1541 un decreto della Regia Camera della Sommaria[1] deliberò che i chierici avevano diritto alle esenzioni fiscali sui seguenti beni stabili e di consumo: 1) i territori ecclesiastici e gli animali utilizzati nel lavoro agricolo o come cavalcatura dai chierici e i loro famigliari; 2) l'acquisto di generi alimentari e capi d'abbigliamento. Nello stesso anno, un altro decreto fissò le quantità massime di merci che i chierici potevano acquistare in franchigia: un rotolo di carne giornaliero (circa 0,9 kg), 2,5 tomoli di grano l'anno (1250 kg), 30 rotoli di formaggio l'anno (circa 27 kg), 3 staia d'olio annui (circa 30,2 litri), due botti di vino annui (circa 1047 litri e 40 rotoli di carne da salare annui (circa 36 kg)[2]. Le immunità fiscali furono elargite anche ai coloni delle chiese e agli oblati che donavano beni ai monasteri, non ne riservavano per loro stessi e vi andavano a vivere. Siccome i sacerdoti non pagavano le tasse, i vescovi che favorivano le ordinazioni al di sopra delle necessità delle diocesi che governavano, furono ritenuti dei benefattori. Molti ecclesiastici nel corso del secolo grazie ai privilegi accumulati, incentivarono l'evasione fiscale e cercarono di coinvolgere anche i laici nelle esenzioni da loro godute. Un esempio in tal senso è rappresentato dalle donazioni fittizie di beni immobiliari che i laici facevano agli ecclesiastici allo scopo di non pagare le tasse sul patrimonio. Conseguenza dei fatti accennati è che aumentarono a dismisura gli ecclesiastici nel Regno di Napoli, mentre si contrassero i beni passibili di tassazione e le rendite dello Stato. Contro questo stato di cose le autorità civili cercarono di limitare il numero delle ordinazioni, gli amministratori locali presero numerose iniziative e inoltrarono numerosissimi ricorsi alle autorità centrali affinché prendessero opportuni provvedimenti tendenti a limitare il fenomeno. Purtroppo tutti i tentativi per porre rimedi alla situazione non portarono ai risultati sperati, poiché l'azione del governo non fu molto decisa e di conseguenza gli abusi continuarono a essere perpetrati.

Nel XVI secolo i chierici del Regno di Napoli percepivano rendite molto diverse: la congrua, i diritti di stola, le decime e i redditi censuari da terreni, da fabbricati, beneficiali, da messe, ecc. Nonostante questi benefici e vari provvedimenti favorevoli, molti chierici delle campagne dell’Italia Meridionale non avevano un adeguato benessere economico e talvolta coltivavano i terreni in loro possesso.

La religione nel secolo è un aspetto importantissimo dell'attività statale e amministrativa. I re di Spagna si considerarono ardui difensori del cattolicesimo e in tutti le istituzioni statali dei loro domini fecero obbligarono i funzionari a esercitarsi in pratiche di culto. Infatti, gli ufficiali pubblici intervenivano in forza alle funzioni sacre, i giudici prima di entrare in seduta ascoltavano la messa, i reggimenti avevano i loro cappellani, nelle carceri dovevano esercitarsi pratiche di culto, la bestemmia era considerata un reato e lo Stato ordinava che si facessero pubbliche preghiere. A livello locale le Università[3] possedevano il diritto di patronato di cappelle laicali e chiese, fornivano alle chiese stesse indumenti sacri, cera ed ostie e pagavano al clero le messe celebrate pro populo.

Con una prammatica del 5 gennaio 1571 il viceré De Rivera ordinò ai parroci di registrare tutti i battezzati in un libro e la parrocchia iniziò ad assolvere anche a funzioni d'anagrafe civile[4].

4 novembre 2022

Canti popolari abruzzesi: Etnomusicologia di un territorio. L'Aquila e la sua provincia nel contesto abruzzese: La feste cantate - Omaggio a L'Aquila.


ETNOMUSICOLGIA DI UN TERRITORIO, CANZONI POPOLARI L'AQUILA E PROVINCIA  

PARTE 1: LE FESTE CANTATE
1:LA BONA STRINA canto dell'epifania, versione Marco Notarmuzi scannese
2: CANTO DI QUESTUA PER PASQUARELLA lezione di Tornimparte, dicitrice Natalina Corpetti
3: CANTO DI QUESTUA PER SANT'ANTONIO ABATE, lezione di Collelongo
4: FILASTROCCA DI CARNEVALE lezione di Tornimparte, Mario Santucci
5: CHE VAI FACENDO MADRE MARIA Lez. di Tornimparte, Lorenzo de Paolis
6: STORNELLI PER LA PASQUA lezione di Tornimparte, Mario Santucci
7: TUTTA DI VERDE MI VOGLIO VESTIRE lez. del chietino di Donatangelo Lupinetti, usata anche per la tragedia "La figlia di Jorio" di D'Annunzio
8: LA QUAGLIARELLA lezione peligna di Franco Cercone
9: STORNELLI PASTORALI, area aquilana, cantori pastori circolani
10: CANZONE PER SAN FRANCO D'ASSERGI dicitrice Domenica Carnicelli
11: STORNELLI PER LA MIETITURA versione Tornimparte dicitrice Luigina Vecchioli
12: SERENATA ALL'ANTICA, dicitrice Pina Vecchioli
13: FILASTROCCA
14: AMORE AMORE  lez. orsognese, solisti Luigino Angelini, Emanuele Nanni
15: CANZONE PER SANTA LUCIA lezione peligna di Franco Cercone
16: CANTO PER SAN SILVESTRO lezione peligna di Franco Cercone

PARTE 2: OMAGGIO A L'AQUILA, CANTI DELLA PROVINCIA
1: NON ME' LASSA' di Pina Vecchioli
2: J'ANTICU NATALE di Mario Santucci
3:  A JU PAESE di Giuseppe Porto
4:  LA ROSA 'I LA SPINA di Cesidio di Gravio
5: CANTE DI SCIONNA di Cosimo Savastano
6: BIANCA MADONNA preghiera di montagna di Mario Santucci
7: L'ULTIMA NINNA NANNA di Gerardo Colaiuda
8: INCANTU di Bice Solfaroli Camillocci
9: A SPUSU E SPOSA di B. Solfaroli Camillocci
10: JI FOCU DE SA'GNUANNI di Francesco de Gregorio
11: BACIU RASCHIU di Filippo Crudele
12: BALLATE DE NU BRIGANTE di Sebastiano Ventresca
13: NINNA NANNA FATTA DE GNENTI di Mario Santucci
14: NINNA NANNA DE 'U ARCHUBBALENE di Raffaella del Greco
15: NU FIORE DELLA GIOVENTU' di Mario Lolli
16: PER VIOLE di B. Solfaroli Camillocci
17: ASPETTA CORE ME di Giuliana Cicchetti
18: OMAGGIO A L'AQUILA di Mario Santucci.

3 novembre 2022

Fiorentini, Lombardi, Veneti, Piemontesi e molti altri sulla “Via degli Abruzzi”, di Francesco Sabatini.


Fiorentini, Lombardi, Veneti, Piemontesi e molti altri sulla “Via degli Abruzzi”

di Francesco Sabatini.

«Più là che Abruzzi»: l’espressione proverbiale messa in bocca dal Boccaccio al semplicione Calandrino nella celebre novella del Decameron (VIII, 3) ha fatto a lungo testo nella nostra letteratura, come indicazione di una terra lontana da ogni dove. Ancora una volta, in altra novella (VI, 10), la nostra regione è evocata come luogo sperduto, quando ne accenna nella predica ai villici di Certaldo l’affabulatore frate Cipolla, che racconta di un interminabile viaggio cominciato a Venezia e proseguito a lungo nel Mediterraneo e in altri Paesi fantastici, passando anche «in terra d’Abruzzi» e in luoghi più lontani ancora. Ma anche Guido Guinizzelli, quasi un secolo prima, si serve in poesia dell’espressione «e’ non è om de qui ‘n terra d’Abruzzo» (sonetto Chi vedesse a Lucia un var cappuzzo) per indicare una distanza notevolissima rispetto alla sua Bologna. Si tratta veramente di un brutto scherzo giocato da un topos letterario. La sua notevole ricorrenza è, però, carica di significato, addirittura ambivalente: l’Abruzzo era sì una regione abbastanza lontana dai centri maggiori del Centro e del Nord d’Italia, e per di più marcata dall’asprezza delle strade e del clima, ma era anche terra di passaggio obbligato per tutti coloro che da quei luoghi si recassero, per vie di terra, nelle regioni meridionali e più specificamente a Napoli, il polo di maggiore attrazione nel Regno. Da area periferica o estrema, l’Abruzzo appariva, dunque, nella memoria o nell’immaginario dei viaggiatori, anche come regione strategica, inevitabile, e quindi, in qualche modo, centrale.

La moderna ricerca storica ha, infatti, dimostrato appieno il ruolo di area di primario snodo stradale che l’Abruzzo ha assunto per secoli per tutto il flusso di commerci, missioni diplomatiche, spedizioni militari, rapporti culturali che si intrecciavano tra le regioni centrali e settentrionali da una parte e il Mezzogiorno della penisola dall’altra. Questo dato fondamentale può apparire oggi inconcepibile o esagerato a chi, vivendo mentalmente sull’asse stradale peninsulare dell’Italia postunitaria, non abbia considerato una serie di dati di geopolitica e di storia economica dell’Italia tra il VI secolo e la fine del XIX secolo. I fatti da considerare sono, in estrema sintesi, i seguenti:
– la formazione dei domìni longobardi d’Italia (dal 568 in poi), che non comprendevano il Lazio pontificio (area avversaria) e nel Centro-Sud avevano le loro capitali in Spoleto e Benevento, collegate appunto da itinerari appenninici che attraversavano l’Abruzzo seguendo i solchi tra le catene montuose principali, toccando soprattutto Teramo, Penne, Chieti e Sulmona, nei cui territori si documenta, infatti, un fitto insediamento di fare;
– la formazione, in regime di frequente conflittualità con il papato, del Regno normanno, che giunse (nel 1140-44) a comprendere tutto l’Abruzzo e ne fece da allora (fino al 1860) la regione di frontiera con le Marche e l’Umbria pontificie;
– la successione sveva (1194) al Regno normanno, con il potenziamento demografico e urbano dell’area amiternina, dove sorse, a metà del Duecento, la nuova e vivace città dell’Aquila, polo di forte confronto con il potere pontificio;
– la successione angioina (1266) al Regno svevo, accompagnata dal fortissimo legame dei nuovi regnanti con Firenze (finanziatrice della spedizione di Carlo I d’Angiò): si attivarono allora intensi commerci di questa città con L’Aquila e Sulmona, per i rifornimenti della lana, della seta e dello zafferano che si producevano soprattutto in questi territori, e anche con i porti abruzzesi che ricevevano e smistavano i prodotti pugliesi;
– la successione aragonese (1442) al Regno angioino, con periodi di rinnovata intesa con Firenze e soprattutto, fatto decisamente nuovo, l’instaurarsi di legami politici e persino familiari tra i sovrani di Napoli e gli Sforza di Milano (che ebbero anche il Ducato di Bari) e di alleanze con le città emiliane (Ferrara e Bologna);
– la successione spagnola (1503-1504) al Regno aragonese, che diventò Viceregno, stretto per ben due secoli da legami con il dominio spagnolo in Lombardia.

In tutto questo tempo, e ancora nel secolo e mezzo successivo, gli itinerari più frequentati tra il Centro-Nord e il Sud evitavano il più delle volte Roma, sia per le possibili complicazioni politiche con il Papa, sia anche per l’impraticabilità delle zone malariche della Campagna Romana (la Campania romana) e la presenza in essa di un indomito brigantaggio (in parte a tratti debellato, invece, nelle regioni del Regno). A queste condizioni avverse di varia natura, esistenti sul versante tirrenico, si contrapponevano le seguenti condizioni favorevoli sul percorso appenninico e su quello adriatico:
– la catena di collegamenti con centri appenninici e adriatici molto attivi per produzioni e commerci (Perugia e le altre cittadine umbre; Rieti; Urbino, Pesaro, Ancona, Ascoli e le altre città marchigiane) prima di giungere alle montagne o ai porti abruzzesi, luoghi di rifornimento di quei beni sopra ricordati;
-la maggiore rettilineità dei percorsi stradali, che all’interno si svolgevano nei lunghi fondovalle compresi tra le grandi catene montuose, sia pure separati da una serie di ardui valichi, e sul versante adriatico correvano a breve distanza dal litorale, da Rimini fino alla foce del Pescara, per risalire poi il corso di questo fiume e congiungersi con la via interna a Popoli, e di qui proseguire unitariamente per Sulmona, Castel di Sangro, Isernia, Venafro, Capua, fino a Napoli (avendo sfiorato anche Montecassino).

L’area di incrocio di questi itinerari era inconfondibilmente l’Abruzzo e si comprende perché questa regione potesse dare anche nome all’intero sistema viario che in essa aveva il punto nevralgico. In molte cronache e altri documenti dei secoli passati ricorre infatti come ovvia, per l’itinerario seguito o da seguire da chi viaggiava, l’indicazione «per la via degli Abruzzi» o altra simile.
A sostegno di quanto detto fin qui si può mettere insieme una lunghissima serie di singoli eventi, ben certi almeno per le epoche dal basso medioevo all’Unità d’Italia: movimenti di eserciti, missioni diplomatiche, cortei nuziali, carovane di mercanti, viaggi di artisti, religiosi, podestà. Ne segnalo qui solo alcuni più significativi.
Per l’età angioina, spicca la vicenda di Celestino V, la cui ascesa al papato, proclamato a Perugia il 5 luglio 1294, si compì nell’agosto successivo con l’intervento di Carlo II d’Angiò e con il suo viaggio, in compagnia dell’eremita e di un foltissimo seguito, da Sulmona a L’Aquila a Napoli. Varie volte Boccaccio in persona, nel suo peregrinare tra Firenze e Napoli, passò da Sulmona e vi strinse amicizia con una cerchia di preumanisti che erano anche in contatto con Petrarca residente ad Arquà. Non è un caso se la prima copia del Decameron si segnala (nel 1360) tra le mani dei mercanti Acciaioli che facevano sosta a L’Aquila e a Sulmona, città che pullulavano di sedi anche dei Bardi, dei Peruzzi, degli Scali, degli Alberti, dei Bonaccorsi, degli Strozzi, ecc., stretti da legami con intraprendenti mercanti locali. Citiamo ancora Boccaccio narratore, quando a personaggi del suo Filocolo fa compiere viaggi che toccano «le fredde montagne, fra le quali Sulmona uberissima di chiare onde dimora» e L’Aquila, la città «ove l’uccello di Dio, mutato in contrario pelo, da rustica mano si dovea ancora portare in insegna» (V, 32; in III, 33 altra descrizione dello stesso itinerario, con particolare esaltazione della patria di Ovidio, è in III, 33).

Per il Quattrocento si ricordano, oltre ai numerosi passaggi di eserciti e di cortei principeschi (come quello degli accompagnatori di Ippolita Sforza che tornarono da Napoli a Milano nel novembre del 1465), i viaggi di San Bernardino da Siena a Napoli (con passaggio da Roccaraso) e la sua tappa finale a L’Aquila (dove morì il 20 maggio 1444).

Per il Cinquecento, sappiamo delle comitive che su questa strada riconducevano a Napoli Isabella d’Aragona, duchessa di Milano, nel 1500, e Beatrice d’Aragona, moglie ripudiata di Mattia Corvino, re d’Ungheria, nel 1501; dei movimenti di eserciti, con truppe francesi e tedesche negli anni 1528 e 1529; di un viaggio di Torquato Tasso da Ferrara a Sorrento nel 1578, compiuto per «la strada de Abruzzo, in pessima stagione, senza compagnia, con tutti i disagi e con molti pericoli», come ricordava in una sua lettera, un’esperienza legata anche all’ospitalità dei conti Cantelmo, a Popoli, e dei conti Belprato, ad Anversa, e riecheggiata in alcuni versi della sua Gerusalemme Conquistata (l. 1, 93, vv. 5-8).

I moti rivoluzionari della fine del Settecento, gli anni del Regno murattiano e poi i primi moti risorgimentali del 1820 e 1821 riportarono grandi movimenti di truppe – francesi, napoletane repubblicane, borboniche, napoleoniche, austriache, di estrazione popolare abruzzese – sulle solite direttrici di penetrazione o di controllo del Regno sulle vie dell’Abruzzo. Finché proprio questi tracciati entrarono nello scenario della fase conclusiva delle campagne risorgimentali.
Vinti gli Austriaci in Lombardia nel 1859, ottenuta l’adesione dell’Emilia-Romagna e della Toscana, occupata l’Umbria e le Marche, ribellatesi al potere pontificio, l’esercito piemontese era entrato ad Ancona il 29 settembre 1860. Il re Vittorio Emanuele II nei primi di ottobre era in questa città, in attesa che evolvesse positivamente la situazione più a Sud: con il consolidamento di Garibaldi a Napoli, un pronunciamento favorevole alla causa liberal-monarchica e un tamponamento della spinta repubblicana in Abruzzo e Molise. Quel pronunciamento, promosso vivacemente dai liberali abruzzesi (guidati dal grande scienziato Salvatore Tommasi e dai fratelli Bertrando e Silvio Spaventa), avvenne ai primi di ottobre e l’esercito sabaudo dalle Marche si mosse verso l’Abruzzo, sulle tradizionali due vie di accesso: con il grosso della truppa lungo la costa adriatica e una colonna minore attraverso i valichi a nord dell’Aquila. Il re varcò lo storico confine del Tronto il 15 ottobre, il 16 era a Giulianova e la sera a Castellammare, sulla sponda sinistra del Pescara; il 17 mattina, alle 8, attraversò anche questo fiume ed entrò nella fortezza della cittadina, già da qualche giorno espugnata ai borbonici dalla Guardia nazionale comandata dai liberali abruzzesi. Il 18 era a Chieti, il 19 sera a Popoli, il 20 a Sulmona, il 21 a Castel di Sangro, dove ricevette già le prime notizie dell’andamento dei plebisciti di adesione delle province meridionali. I reparti avanzati, guidati dal generale Cialdini, stavano intanto ingaggiando e vincendo sulle montagne d’Isernia (sul monte Macerone) l’ultima battaglia del nostro Risorgimento (in attesa della campagna per il Veneto, del ’66, e della conquista di Roma nel ’70). Si aprì così, su quest’ultimo tratto della “Via degli Abruzzi” tra Molise e Campania, il varco per il celebratissimo incontro cosiddetto di Teano (in realtà in territorio di Caianello) del 26 ottobre, tra il Savoia e Garibaldi.
Ma ancora altro peso della storia risorgimentale sarebbe spettato alla nostra via: nel novembre successivo, fuggendo da Napoli, con mandato di cattura per la manifesta avversione alla soluzione monarchica, Giuseppe Mazzini raggiunse L’Aquila, dove fu alloggiato dal suo fraterno amico Pietro Marrelli, avviandosi così all’espatrio verso Lugano e poi Londra. Negli ultimi giorni dell’anno ripassò per Sulmona e Pescara il re Vittorio, diretto in Piemonte.

Con la raggiunta Unità d’Italia, alla storia delle strade subentrava quella delle ferrovie. All’antico itinerario emiliano-adriatico che da Bologna si spingeva fino a Pescara e oltre, si era affiancata subito la ferrovia litoranea adriatica che il 13 maggio 1863 da Ancona raggiungeva già Pescara e il 15 settembre Ortona; nel 1870 i binari raggiunsero addirittura Otranto. Verso l’interno, nel 1873 Pescara venne collegata con Sulmona; che a sua volta nel ‘75 fu allacciata con L’Aquila e poi con Terni, nel 1888 con Roma, nel 1897 con Isernia, già collegata con Napoli. L’Abruzzo era di nuovo un crocevia di linee, che ricalcavano in sostanza l’antica rete degli assi portanti, con in più il forte collegamento tra Roma e l’Adriatico, ben più significativo, con il nuovo potente mezzo di locomozione e con capolinea la capitale d’Italia e l’esordiente Pescara, di quanto fosse stata l’antica Tiburtina-Valeria-Claudia. Ma tutto stava cambiando nelle correnti di traffico, non solo perché Roma era rientrata pienamente nel contesto della vita italiana, ma perché l’economia tradizionale e l’assetto sociale dell’intero Abruzzo venivano sconvolti dalle tendenze evolutive della modernità, che si affermava con la formazione del nuovo Stato.

Non ho voluto interrompere il filo della narrazione degli eventi esterni, evocandoli di secolo in secolo quasi come si sarebbero osservati mettendosi ai bordi delle strade, lasciando indietro l’indicazione degli effetti che quegli eventi producevano nel tessuto sociale e urbano e nella vita culturale delle nostre città e dei nostri paesi. Ne tratto ora prendendo solo qualche esempio da L’Aquila e Sulmona e loro territori e velocemente da altre località.
È un dato di prima grandezza il fatto che il poeta aquilano Buccio di Ranallo (1290/95-1363), cantore delle origini della città e delle fiere imprese dei suoi concittadini, nei suoi componimenti (che si datano dal 1330 in poi) echeggi più volte versi della Commedia dantesca. Sono molti i pittori e scultori aquilani del Quattrocento (cito solo Andrea dell’Aquila, Silvestro di Giacomo, sulmonese di origine, Saturnino Gatti, Cola dell’Amatrice) le cui opere riflettono pienamente gli ambienti della grande arte toscana e umbra. Si deve certo ai commerci del prezioso zafferano, che collegavano stabilmente L’Aquila con Venezia (e anche direttamente con la Germania), se nel 1481 alcuni aquilani fecero società con un allievo diretto di Gutenberg, Adamo di Rottweil, che aveva operato fino ad allora a Venezia e da quell’anno si trasferì nella loro città e vi introdusse l’arte della stampa. Nel 1579 la Baronia di Carapelle, che comprendeva vari comuni a Sud del capoluogo, passò in mano a Francesco I de’ Medici, Granduca di Toscana: fino al 1743 questo territorio fu una base dei commerci della lana gestiti dalla famiglia granducale, il cui stemma è ancora visibile su una delle porte della cinta muraria di Santo Stefano di Sessanio.

Se molto intensa era stata, dalla fine del Duecento al pieno Quattrocento, l’influenza toscana e umbra su L’Aquila e il suo territorio (attraverso il braccio appenninico direttamente orientato verso quelle regioni), nonché, come abbiamo già visto, su Sulmona, non meno profonda e prolungata fu, nei tre secoli successivi, l’influenza specifica delle regioni settentrionali sull’Abruzzo meridionale e costiero, attraverso l’immissione di una folta componente di maestranze “lombarde” portatrici di tecniche raffinate nell’edilizia e nelle attività connesse: lavorazione della pietra, dei marmi, del legno, del ferro battuto.
A Sulmona un Mastro Petri da Como firmò un portale del palazzo Tabassi nel 1449; nel 1478 viveva in città un Simone architetto veneziano, che forse edificò, sei anni dopo, il palazzo del Maestro Giovanni dalle Palle Viniziano di Sermona; nel 1508 la natio dei maestri lombardi residenti a Sulmona fondò una propria cappella nella chiesa di San Francesco (e i loro discendenti la restaurarono nel 1709); nel 1710 Pietro Fantoni milanese progettò la ricostruzione della chiesa dell’Annunziata. Il caso di massima concentrazione di questa influenza ci è offerto da Pescocostanzo, dove dalla metà del Cinquecento alla prima metà del Settecento si ebbe una piena fioritura di tutte le arti dell’edilizia e dell’arredo urbano, e dove addirittura fu introdotto il battesimo di rito ambrosiano (per immersione), tuttora praticato, e alcune famiglie di muratori hanno conservato fino agli anni più recenti l’uso di un gergo di mestiere detto lingua lombardesca, che trova riscontro nei gerghi analoghi delle valli alpine dal Comasco al Bergamasco. Non è un caso se lo stesso gergo è affiorato tra i muratori di Vasto, situata sul ramo costiero della “Via degli Abruzzi” e in stretto contatto con Milano quando uno dei D’Avalos, marchesi della cittadina abruzzese, divenne capitano di Carlo V in Lombardia. A Pescocostanzo nel 1555 insegnava “grammatica” (latina o volgare?) un Giovanni Maria veneziano e, a metà del Seicento, operava un non identificato pittore veneto di nome Diodato. Nel 1614 vi giunse, commissionata da una ricca pescolana, una grande tela del caravaggesco Tanzio da Varallo.

Anche altri centri della regione abruzzese furono poli di attrazione di correnti esterne di provenienza centrale o settentrionale. Fin dall’inizio del Trecento Lanciano, prossima al ramo costiero della «Via degli Abruzzi» e ai porti di Ortona e Vasto, era luogo di fiere a cui affluivano mercanti da tutta l’Italia, dall’altra sponda dell’Adriatico e da altri Paesi d’Europa: le sue fiere duravano per più mesi, tanto che a Firenze era diffuso il detto, rivolto a persona lenta nelle sue azioni, «Tu non faresti a tempo alla fiera a Lanciano, che dura un anno e tre dì» (riportato nel Vocabolario delle Crusca, già nell’edizione del 1612, s.v. fiera). Sul versante opposto, nella Marsica, si faceva sentire anche l’influenza di Roma e, mediata da questa città, ancora quella di alcuni centri toscani. La Contea di Celano appartenne ai senesi Piccolomini dal 1463 al 1591; Tagliacozzo, centro ben noto a Dante per la storica battaglia (1268) che decise il prevalere del dominio francese (angioino) su quello tedesco (svevo) nell’Italia meridionale e rafforzò per secoli il potere papale in Italia, sotto il dominio degli Orsini vide, nel Quattrocento, realizzarsi un ricco patrimonio d’arte.
Ho mirato a rendere evidenti piuttosto le correnti “discendenti” dal Centro e dal Nord verso l’Abruzzo, perché è certamente questo il dato ignoto ai più. Ma non vanno affatto dimenticate le correnti che percorsero lo stesso tracciato provenendo dal Sud: intendo qui, chiaramente, da Napoli, luogo secolare di formazione della massa dei professionisti e dei veri e propri intellettuali abruzzesi (da Marino da Caramanico e Luca da Penne agli Spaventa, a Tommasi e a Benedetto Croce); ma anche, nell’età barocca, centro di irradiazione di modelli artistici soprattutto nell’architettura (dominata dal bergamasco-napoletano Cosimo Fanzago), con importanti episodi anche nel campo della pittura (Stanzione; Solimena). Per non parlare della letteratura, della pittura e della musica dell’Ottocento. Si dà per risaputo che l’Abruzzo abbia avuto un continuo e fortissimo dare e avere sociale e culturale con l’antica capitale del Regno, ma si finisce per dimenticare la funzione che ha avuto, fino a tutto il secolo XIX, quel battuto e ribattuto asse stradale. Percorso fino all’ultimo, in ostinata concorrenza con il vapore, dalla famosissima diligenza dei Fiocca, sulla quale montavano schiere di studenti avviati allo Studio di Napoli, che con lo stesso mezzo tornavano addottorati nei loro Paesi.

Il quadro storico che si delinea percorrendo, lungo i secoli dal XIII al XIX, la storia delle comunicazioni della regione abruzzese con l’esterno mostra chiaramente che questa non era affatto una regione “isolata” nel contesto italiano, non solo per effetto della sua posizione geografica, di cerniera tra due grandi ambiti politico-economici, ma soprattutto perché alle sollecitazioni esterne, portate dai grandi assi stradali, la società locale rispondeva vivacemente: era detentrice di una sicura ricchezza (la produzione e il commercio della lana), che gestiva ampiamente in proprio, ed era capace di aggiornamento culturale e quindi anche di farsi conoscere al di fuori.
Chiunque voglia oggi riflettere sulle condizioni e le prospettive di vita dell’Abruzzo del nostro tempo e dell’immediato futuro dovrebbe prendere le mosse proprio da un confronto tra quel quadro e l’immagine che al presente la regione trasmette di sé al mondo esterno. Un’immagine che appare debole, per mancanza di rappresentazione proveniente dalla parte interna. (Un caso emblematico: nella cognizione generale degli abitanti del nostro Paese è pressoché assente la nozione, pochissimo elaborata dai soggetti interessati, dell’intera campagna di guerra che si svolse per nove mesi dal settembre 1943 al giugno 1944 lungo la Linea Gustav, che seminò immense distruzioni e stragi nell’Abruzzo meridionale). Eppure oggi una robusta rete autostradale, intrecciata con altri percorsi anche di alta prestazione, rende pienamente raggiungibile e conoscibile l’intera regione, con facilità nettamente superiore, in proporzione, a quella offerta per secoli dai vari bracci della gloriosa “Via degli Abruzzi”. I risultati però non sono comparabili e bisogna indagarne le cause. Le risorse odierne di tipo diffuso (legate ai valori dell’ambiente e del patrimonio culturale) non sono paragonabili a quella secolare della lana? O manca il concorso delle forze interne (chiaramente rarefatte) paragonabile a quello dei mercanti e artisti aquilani, sulmonesi e lancianesi del passato?

Francesco Sabatini

Leggi l’articolo“Sulle tracce della Lombardesca”.

Riferimenti bibliografici essenziali
Raffaele Colapietra, Abruzzo. Un profilo storico. Carabba Editore, Lanciano 1977.
Paola Gasparinetti, La “via degli Abruzzi” e l’attività commerciale di Aquila e Sulmona nei secoli XII-XV, in “Bullettino della Deputazione Abruzzese di
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ID., Abruzzo. Una civiltà diffusa e le sue capitali, in Guglielmo Ardito (cur.), Scanno. Storia di gente di montagna. Bisturi e tramonti sul lago, Pescara, ESA Edizioni Scientifiche Abruzzesi, 2004, pp. 19-60.


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