Un mondo a parte, film di Riccardo Milani, 2024.
29 aprile 2024
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11 marzo 2024
Bernardino Scaramella di Palena e i suoi Madrigali, sec.XVI.
27 novembre 2023
29 ottobre 2023
Abruzzo: I Borghi più Belli da Visitare.
10 ottobre 2023
Artisti Abruzzesi - La bottega dei Conti di Sulmona alla fine dell’800.
di Angelo Iocco
10 settembre 2023
2 agosto 2023
R. Di Vestea, L'Abruzzo: per le scuole medie e le persone colte, 1926.
6 marzo 2023
Il Regno di Napoli diuiso in dodici prouincie, con vna breue descrittione delle cose più notabili. I nomi delle città ... i re ... i sette officii del regno ... i vescouadi, et arciuescovadi, etc, - di Enrico Bacco, Giovanni Pietro Rossi, 1629.
17 gennaio 2023
Giuseppe Lorentini, Perché l’Abruzzo? Un arcipelago di campi di concentramento fascisti durante la Seconda Guerra Mondiale (1940-1943).
Costantino Di Sante, Dall’internamento alla deportazione. I campi di concentramento in Abruzzo (1940-1944).
Costantino Di Sante
Dall’internamento alla deportazione
I campi di concentramento in Abruzzo (1940-1944)
Indice
- 1.1. Le prime disposizioni del regime fascista
- 1.2. Il primo campo di concentramento
- 1.3. L’applicazione delle norme di sicurezza
- 1.4. Le disposizioni contro gli ebrei
- 1.5. L’internamento nell’organizzazione della
nazione alla guerra
- 1.6. L’internamento e le altre forme di
repressione
- 1.7. Prescrizioni per i campi di concentramento
- 1.8. I primi internati
- 1.9. Categorie di internati
- 1.10. I campi di concentramento in Italia
II. Abruzzo
regione d’internamento
- 2.1. Località di internamento e campi di
concentramento in Abruzzo
- 2.2. L’istituzione dei campi di concentramento
- 2.3. Casoli, il campo per gli ebrei
- 2.4. Il campo di concentramento nell’asilo
infantile "Principessa di Piemonte" a Chieti
- 2.5. Il campo per gli italiani
"pericolosi" di Istonio Marina (Vasto)
- 2.6. Il campo di smistamento di Lama dei Peligni
- 2.7. Il campo femminile di Lanciano
- 2.8. Tollo, il campo per i comunisti Jugoslavi
- 2.9. L’unico campo in provincia di Pescara a
Città S.Angelo.
- 2.10. Il campo di concentramento nella città
fortezza di Civitella del Tronto
- 2.11. Il campo di concentramento nella Badia
Celestina di Corropoli
- 2.12. I cinesi internati nella Basilica di
S.Gabriele a Isola del Gran Sasso
- 2.13. I campo di concentramento di Nereto
- 2.14. I campo di concentramento di Notaresco
- 2.15. I campi di concentramento di Tortoreto
Stazione (Alba Adriatica) e Tortoreto Alto
- 2.16. Gli zingari internati nel campo di
concentramento di Tossicia
III. La
gestione e la vita nei campi di concentramento
- 3.1. Direzione e vigilanza dei campi di
concentramento
- 3.2. L’alimentazione
- 3.3. Sussidi e assistenza
- 3.4. Condizioni igieniche e sanitarie
- 3.5. Corrispondenze Postali
- 3.6. Lavoro e tempo libero
- 3.7. Sovraffollamento e spostamenti
- 4.1. Gli internati e i campi di concentramento
durante i quarantacinque giorni
- 4.2. I campi di concentramento dopo l’8 settembre
- 4.3. La persecuzione degli ebrei e le
"anticamere dello sterminio"
- 4.4. L’occupazione tedesca, gli internati e i
campi di concentramento abruzzesi
- 4.5. Il Konzentrationlager di Teramo
- 4.6. Il contributo alla resistenza degli
internati
- 4.7. Dalla deportazione alla liberazione
Bibliografia (non fornita dall'Autore)
Introduzione: nell’introduzione si chiarisce il
significato dell’internamento e dei campi di concentramento fascisti e gli
obiettivi che la tesi vuole raggiungere.
Capitolo I: il primo capitolo è una
ricostruzione storico-giuridica dell’internamento. Nel primo paragrafo si
analizza la fase organizzativa, prima dell’entrata in guerra dell’Italia,
riportando le principali normative che disciplinarono l’apertura dei campi di
concentramento. Nel secondo paragrafo si prende in considerazione le due forme
di internamento attuate dal regime fascista e di come vennero applicate in
Abruzzo.
Capitolo II: nel primo paragrafo viene riportata
una cartina dei campi di concentramento in Abruzzo e per ogni campo la prassi
seguita per la sua istituzione e le opere realizzate per renderlo operativo.
Il secondo paragrafo è costituito
prevalentemente dagli elenchi degli internati nei singoli campi abruzzesi
distinti per nazionalità, sesso, data dell’internamento e dove è riportato il
motivo dell’internamento.
Capitolo III: in questo capitolo si riportano le
varie condizioni di vita degli internati nei campi abruzzesi e come erano
gestiti.
Il primo paragrafo oltre a
riportare un elenco dei vari direttori dei campi definisce anche le loro
competenze, lo stipendio che ricevevano, le rimozioni e dove ci sono i verbali
delle ispezioni ministeriali e della Croce Rossa Italiana.
Nel secondo paragrafo vengono
riportate le condizioni di vita degli internati, gli episodi di carenza
alimentare e igienica e le restrizioni alle quali erano sottoposti.
Il terzo paragrafo ricostruisce,
oltre ai vari casi di evasione avvenuti nei campi di concentramento abruzzesi,
anche i trasferimenti di internati per motivi di sovraffollamento e quelli
rimessi in libertà per l’atto di clemenza di Mussolini nell’ottobre del 1942
per il ventennale della marcia su Roma.
Capitolo IV: nel primo paragrafo viene riportata
la situazione dei campi abruzzesi, ancora funzionanti, durante l’occupazione
tedesca.
Il secondo paragrafo è dedicato
all’ultimo campo di concentramento istituito in Abruzzo e alle differenze che
lo contraddistinsero rispetto agli altri campi.
Nel terzo paragrafo viene
riportato l’elenco degli internati del campo di Teramo con il motivo del loro
internamento e la situazione igienico sanitaria del campo.
Nel quarto paragrafo, le ultime
disposizioni prese nei confronti degli internati e quando e come avvenne la
liberazione dei campi nella primavera del 1944.
Conclusioni
Nell’appendice vengono riportati alcuni documenti
che riguardano i campi di concentramento abruzzesi.
La bibliografia oltre a riportare i testi di
riferimento conterrà un indice analitico dei vari fondi dell’Archivio Centrale
dello Stato sull’internamento.
"l’internamento degli ebrei
rappresentò la premessa
organizzativa essenziale
per la deportazione del
1944"
LUTZ KLINKHAMMER
11 gennaio 2023
Città dell'Abruzzo, le storiche cartoline della collezione Cordella, da Vasto Gallery.
17 novembre 2022
Amelio Pezzetta: La Chiesa e la vita religiosa in Abruzzo durante Il Viceregno Spagnolo (1503-1707).
1. Stato, Chiesa e vita religiosa nel Regno di Napoli durante
il XVI secolo.
Il
dominio spagnolo dell’Italia Meridionale iniziò nel 1503 con Ferdinando il
Cattolico e si concluse il 7 luglio 1707 quando le truppe austriache entrarono a
Napoli e il Regno passò agli asburgici.
Durante
i due secoli di dominio, i monarchi spagnoli delegarono l’amministrazione del
Regno a un viceré, non favorirono lo sviluppo del paese, lo appesantirono con un’esosa
pressione fiscale e conservarono la sua natura di stato feudale. Nell’epoca in
considerazione i baroni vecchi e nuovi conservarono l’ampio potere
amministrativo-giudiziario di cui godevano e ampliarono i possedimenti feudali;
la chiesa rafforzò il suo potere e prestigio morale e politico; i
rappresentanti della borghesia iniziarono la loro ascesa acquisendo prestigio
nell’amministrazione civica, l’economia e le libere professioni; i ceti più
umili continuarono a vivere in generalizzate condizioni di asservimento e
d’indigenza.
Il
Regno di Napoli era uno stato vassallo della Chiesa che il papa assegnava a chi
assecondava i suoi piani di potere temporale e le sue finalità spirituali. Al
momento dell'investitura Ferdinando il Cattolico riconobbe lo stato di
vassallaggio con tutte le condizioni a esso connesse tra cui il versamento al
pontefice del censo annuale di 8000 once d’oro e l’omaggio della chinea. Ai
fini di conservazione del potere, per gli spagnoli l'alleanza con la Chiesa era
indispensabile nonostante la condizione di asservimento e il suo alto costo in
termini economici.
Nel
Regno di Napoli gli spagnoli assunsero nei confronti della Chiesa due
atteggiamenti: da un lato se ne servirono per rafforzare il potere; dall'altro
pur riconoscendole privilegi e diritti, non assecondarono tutte le sue pretese
e talvolta anziché respingerle frontalmente, le attaccarono di fianco. In
particolare gli spagnoli non si opposero alle pretese della Chiesa quando erano
enunciate nei concili o con le bolle, ma ostacolavano la loro attuazione se
contrastavano con gli interessi dello Stato. Un esempio in tal senso è
costituito dall'atteggiamento che assunsero nel 1568 con la pubblicazione della
bolla "In coena Domini" con
cui il papa Pio V voleva riaffermare il primato della chiesa e far presente che
le ingiuste imposizioni fiscali erano moralmente perseguibili. In realtà per i
suoi particolari contenuti era un chiaro tentativo di violazione dei diritti
sovrani di uno Stato laico e fu utilizzata per la difesa dei privilegi e interessi
clericali dalle autorità civili. Infatti, la bolla consentiva alle autorità
clericali di ricorrere all’arma della scomunica anche nei confronti degli
amministratori zelanti che volendo far applicare le norme statali in materia
tributaria minacciavano il patrimonio ecclesiastico. In particolare essa
minacciava di scomunica coloro che: appoggiavano gli eretici; sostenevano la
superiorità dei concili rispetto al sommo pontefice; imponevano nuove tasse al
clero o aumentavano quelle già esistenti senza l'approvazione della Camera
apostolica; violavano le immunità ecclesiastiche sulla base del principio che non si fondavano sul diritto divino; impedivano
agli ecclesiastici l'esercizio della loro giurisdizione anche contro i laici,
l'esecuzione dei rescritti di Roma e l'esazione delle tasse della Chiesa. Il
governo spagnolo, nel rispetto dell’atteggiamento politico verso la chiesa
precedentemente delineato, quando la bolla fu promulgata non si oppose, ma in
seguito cercò di ostacolarne la diffusione e conoscenza.
Tenuto
conto degli aspetti generali enunciati, il presente saggio prosegue con
l’esposizione sintetica di alcuni significativi aspetti del rapporto
Stato-Chiesa nel Regno di Napoli durante il XVI secolo.
Il
29 giugno 1529 il papa Clemente VII e il re Carlo V firmarono il trattato di
Barcellona in cui al sovrano spagnolo fu concesso il diritto di presentare i
vescovi di 24 diocesi di regio patronato del viceregno napoletano. L’accordo
prevedeva che nell’Italia Meridionale l’amministrazione diocesana potesse
essere affidata anche a presuli non indigeni e di conseguenza alcune di esse iniziarono
a essere rette da prelati d’origine spagnola.
Nel
1541 un decreto della Regia Camera della Sommaria[1] deliberò
che i chierici avevano diritto alle esenzioni fiscali sui seguenti beni stabili
e di consumo: 1) i territori ecclesiastici e gli animali utilizzati nel lavoro
agricolo o come cavalcatura dai chierici e i loro famigliari; 2) l'acquisto di generi
alimentari e capi d'abbigliamento. Nello stesso anno, un altro decreto fissò le
quantità massime di merci che i chierici potevano acquistare in franchigia: un
rotolo di carne giornaliero (circa 0,9 kg), 2,5 tomoli di grano l'anno (1250
kg), 30 rotoli di formaggio l'anno (circa 27 kg), 3 staia d'olio annui (circa
30,2 litri), due botti di vino annui (circa 1047 litri e 40 rotoli di carne da
salare annui (circa 36 kg)[2].
Le immunità fiscali furono elargite anche ai coloni delle chiese e agli oblati
che donavano beni ai monasteri, non ne riservavano per loro stessi e vi
andavano a vivere. Siccome i sacerdoti non pagavano le tasse, i vescovi che
favorivano le ordinazioni al di sopra delle necessità delle diocesi che
governavano, furono ritenuti dei benefattori. Molti ecclesiastici nel corso del
secolo grazie ai privilegi accumulati, incentivarono l'evasione fiscale e cercarono
di coinvolgere anche i laici nelle esenzioni da loro godute. Un esempio in tal
senso è rappresentato dalle donazioni fittizie di beni immobiliari che i laici
facevano agli ecclesiastici allo scopo di non pagare le tasse sul patrimonio.
Conseguenza dei fatti accennati è che aumentarono a dismisura gli ecclesiastici
nel Regno di Napoli, mentre si contrassero i beni passibili di tassazione e le
rendite dello Stato. Contro questo stato di cose le autorità civili cercarono
di limitare il numero delle ordinazioni, gli amministratori locali presero
numerose iniziative e inoltrarono numerosissimi ricorsi alle autorità centrali affinché
prendessero opportuni provvedimenti tendenti a limitare il fenomeno. Purtroppo
tutti i tentativi per porre rimedi alla situazione non portarono ai risultati
sperati, poiché l'azione del governo non fu molto decisa e di conseguenza gli abusi
continuarono a essere perpetrati.
Nel
XVI secolo i chierici del Regno di Napoli percepivano rendite molto diverse: la
congrua, i diritti di stola, le decime e i redditi censuari da terreni, da
fabbricati, beneficiali, da messe, ecc. Nonostante questi benefici e vari
provvedimenti favorevoli, molti chierici delle campagne dell’Italia Meridionale
non avevano un adeguato benessere economico e talvolta coltivavano i terreni in
loro possesso.
La
religione nel secolo è un aspetto importantissimo dell'attività statale e
amministrativa. I re di Spagna si considerarono ardui difensori del
cattolicesimo e in tutti le istituzioni statali dei loro domini fecero obbligarono
i funzionari a esercitarsi in pratiche di culto. Infatti, gli ufficiali
pubblici intervenivano in forza alle funzioni sacre, i giudici prima di entrare
in seduta ascoltavano la messa, i reggimenti avevano i loro cappellani, nelle
carceri dovevano esercitarsi pratiche di culto, la bestemmia era considerata un
reato e lo Stato ordinava che si facessero pubbliche preghiere. A livello
locale le Università[3]
possedevano il diritto di patronato di cappelle laicali e chiese, fornivano alle
chiese stesse indumenti sacri, cera ed ostie e pagavano al clero le messe
celebrate pro populo.
Con
una prammatica del 5 gennaio 1571 il viceré De Rivera ordinò ai parroci di
registrare tutti i battezzati in un libro e la parrocchia iniziò ad assolvere
anche a funzioni d'anagrafe civile[4].
13 novembre 2022
4 novembre 2022
Canti popolari abruzzesi: Etnomusicologia di un territorio. L'Aquila e la sua provincia nel contesto abruzzese: La feste cantate - Omaggio a L'Aquila.
3 novembre 2022
Fiorentini, Lombardi, Veneti, Piemontesi e molti altri sulla “Via degli Abruzzi”, di Francesco Sabatini.
Fiorentini, Lombardi, Veneti, Piemontesi e molti altri sulla “Via degli Abruzzi”
di Francesco Sabatini.
«Più là che
Abruzzi»: l’espressione proverbiale messa in bocca dal Boccaccio al semplicione
Calandrino nella celebre novella del Decameron (VIII, 3) ha
fatto a lungo testo nella nostra letteratura, come indicazione di una terra
lontana da ogni dove. Ancora una volta, in altra novella (VI, 10), la nostra
regione è evocata come luogo sperduto, quando ne accenna nella predica ai
villici di Certaldo l’affabulatore frate Cipolla, che racconta di un
interminabile viaggio cominciato a Venezia e proseguito a lungo nel
Mediterraneo e in altri Paesi fantastici, passando anche «in terra d’Abruzzi» e
in luoghi più lontani ancora. Ma anche Guido Guinizzelli, quasi un secolo
prima, si serve in poesia dell’espressione «e’ non è om de qui ‘n terra
d’Abruzzo» (sonetto Chi vedesse a Lucia un var cappuzzo) per
indicare una distanza notevolissima rispetto alla sua Bologna. Si tratta
veramente di un brutto scherzo giocato da un topos letterario. La sua notevole
ricorrenza è, però, carica di significato, addirittura ambivalente: l’Abruzzo
era sì una regione abbastanza lontana dai centri maggiori del Centro e del Nord
d’Italia, e per di più marcata dall’asprezza delle strade e del clima, ma era
anche terra di passaggio obbligato per tutti coloro che da quei luoghi si
recassero, per vie di terra, nelle regioni meridionali e più specificamente a
Napoli, il polo di maggiore attrazione nel Regno. Da area periferica o estrema,
l’Abruzzo appariva, dunque, nella memoria o nell’immaginario dei
viaggiatori, anche come regione strategica, inevitabile, e quindi, in qualche
modo, centrale.
Per il Quattrocento si
ricordano, oltre ai numerosi passaggi di eserciti e di cortei principeschi
(come quello degli accompagnatori di Ippolita Sforza che tornarono da Napoli a
Milano nel novembre del 1465), i viaggi di San Bernardino da Siena a Napoli
(con passaggio da Roccaraso) e la sua tappa finale a L’Aquila (dove morì il 20
maggio 1444).
Per il Cinquecento,
sappiamo delle comitive che su questa strada riconducevano a Napoli Isabella
d’Aragona, duchessa di Milano, nel 1500, e Beatrice d’Aragona, moglie ripudiata
di Mattia Corvino, re d’Ungheria, nel 1501; dei movimenti di eserciti, con
truppe francesi e tedesche negli anni 1528 e 1529; di un viaggio di Torquato
Tasso da Ferrara a Sorrento nel 1578, compiuto per «la strada de Abruzzo, in
pessima stagione, senza compagnia, con tutti i disagi e con molti pericoli»,
come ricordava in una sua lettera, un’esperienza legata anche all’ospitalità
dei conti Cantelmo, a Popoli, e dei conti Belprato, ad Anversa, e riecheggiata
in alcuni versi della sua Gerusalemme Conquistata (l. 1, 93, vv. 5-8).
Con la
raggiunta Unità d’Italia, alla storia delle strade subentrava
quella delle ferrovie. All’antico itinerario emiliano-adriatico che da Bologna
si spingeva fino a Pescara e oltre, si era affiancata subito la ferrovia
litoranea adriatica che il 13 maggio 1863 da Ancona raggiungeva già Pescara e
il 15 settembre Ortona; nel 1870 i binari raggiunsero addirittura Otranto.
Verso l’interno, nel 1873 Pescara venne collegata con Sulmona; che a sua volta
nel ‘75 fu allacciata con L’Aquila e poi con Terni, nel 1888 con Roma, nel 1897
con Isernia, già collegata con Napoli. L’Abruzzo era di nuovo un crocevia
di linee, che ricalcavano in sostanza l’antica rete degli assi portanti,
con in più il forte collegamento tra Roma e l’Adriatico, ben più significativo,
con il nuovo potente mezzo di locomozione e con capolinea la capitale d’Italia
e l’esordiente Pescara, di quanto fosse stata l’antica
Tiburtina-Valeria-Claudia. Ma tutto stava cambiando nelle correnti di traffico,
non solo perché Roma era rientrata pienamente nel contesto della vita italiana,
ma perché l’economia tradizionale e l’assetto sociale dell’intero Abruzzo
venivano sconvolti dalle tendenze evolutive della modernità, che si affermava
con la formazione del nuovo Stato.
Francesco Sabatini
Leggi l’articolo“Sulle tracce della Lombardesca”.
Riferimenti
bibliografici essenziali
Raffaele Colapietra, Abruzzo. Un profilo storico. Carabba Editore,
Lanciano 1977.
Paola Gasparinetti, La “via degli Abruzzi” e l’attività commerciale di
Aquila e Sulmona nei secoli XII-XV, in “Bullettino della Deputazione
Abruzzese di
Storia Patria”, LIV-LVI, 1964-1966, pp. 5-103.
Hidetoshi Hoshino, I rapporti economici tra l’Abruzzo aquilano e
Firenze nel Basso Medioevo, Deputazione Abruzzese di Storia Patria, Studi e
Testi, 11, L’Aquila, 1988.
Ezio Mattiocco e Giuseppe Papponetti (curr.) Sulmona, città d’arte e
poeti, Pescara, Carsa, 1996.
ID. (cur.), Dal Tronto al Sangro. Una settimana in Abruzzo con Vittorio
Emanuele II (ottobre 1860, Deputazione Abruzzese di Storia Patria e
Università Sulmonese della Libera Età, L’Aquila, 2011.
Francesco Sabatini, La Regione degli Altipiani maggiori d’Abruzzo.
Storia di Roccaraso e Pescocostanzo, Genova, Sigle Effe, 1960.
ID. (cur.), L’Aquila e la Provincia Aquilana. Economia, società e
cultura nei primi sessant’anni di attività della Cassa di Risparmio della
Provincia dell’Aquila (1859- 1920), L’Aquila, 1992.
ID. (cur.), Pescocostanzo, città d’arte sugli Appennini, Pescara Carsa, 1997
(1a ediz. 1992).
ID., Abruzzo. Una civiltà diffusa e le sue capitali, in Guglielmo
Ardito (cur.), Scanno. Storia di gente di montagna. Bisturi e tramonti sul
lago, Pescara, ESA Edizioni Scientifiche Abruzzesi, 2004, pp. 19-60.
Da: newsletter.rotaryitalia.it