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25 novembre 2024

Attilio Fuggetta e Nino Saraceni, due giganti della canzone popolare abruzzese.

Ritratto di Nino Saraceni di Fossacesia, poeta col quale Fuggetta scrisse diverse canzoni per le Maggiolate

Attilio Fuggetta e Nino Saraceni, due giganti della canzone popolare abruzzese

di Angelo Iocco

Nacque a Lavello, provincia di Potenza nel 1894 e morì a Chieti nel 1980. Ringraziamo il prof. Andrea Giampietro, il quale ne dà notizia in una nota al suo saggio Studi di letteratura abruzzese, Ortona, 2024. Si trasferì giovanissimo a Sulmona per scopi lavorativi, facendo il capostazione, e per gli stessi motivi di lavoro, ebbe incarichi anche alle stazioni di Lanciano e Fossacesia. Ironia della sorte, Fuggetta era destinato ad adottare l’Abruzzo come seconda patria, e soprattutto a entrare in contatto con il poeta Nino Saraceni di Fossacesia, nato nello stesso anno, con cui collaborò in diverse edizioni delle Maggiolate di Ortona. Purtroppo al momento ignoriamo come egli possa aver studiato musica, e in quale istituto o conservatorio, per poter iniziare a produrre già canzoni nei primi anni ’20, con l’istituzione delle Maggiolate a Ortona. Resta ancora un mistero, così come per la formazione artistica di altri compositori abruzzesi quali Vito Olivieri di San Vito e Arturo Colizzi di Rocca S. Giovanni. Preso anni più tardi il diploma per l’insegnamento di musica, si perfezionò a Lanciano, dove ebbe incarichi anche nei Corsi di perfezionamento estivi voluti dal Sen. Enrico D’Amico.





Fuggetta fece le sue prime apparizioni, come detto, alle Maggiolate Ortonesi, entrando subito in sintonia col poeta Saraceni. Ecco le canzoni scritte con lui:

M’à ditte ca scì, III Maggiolata di Ortona 1922

Affaccite tisore, IV Maggiolata 1923

Lu niducce, V Maggiolata 1924

Ggenta nostre, VI Maggiolata 1925

Lu ndruvarelle, VII Maggiolata 1926

Lu starucce, VIII Maggiolata 1927



Tra queste figura anche Maccarune a la chitarre, canzonetta scritta dal Saraceni, ancora oggi riproposta da diverse corali, specialmente dal Coro Voci delle Ville di Ortona del

M° Rosanna Meletti. La canzone è un omaggio ai tradizionale maccheroni abruzzesi, ascoltando la melodia, sembra di trovarci in una cucina, con una buona cuoca intenta ad impastare la farina con l’acqua e le uova, lei sì che sa “accordare” la chitarra per una sana e gustosa canzone:

UOMO: Li maccarune fatte all’abruzzese,

CORO: A la chitarra scì, a la chitarra scì!

UOMO La sposa me’ le sa ‘ccurdfà na prese…

CORO: Mo ve le diche i’, mo ve le diche i’!

 

RITORNELLO

O Mariarò,

ssi vraccia robbuste

la paste fa’ toste

e lu cannelle arebberrute e sberrute

la sfoje fa’ allargà.

 

O Mariarose

Pe’ ffa li maccarune,

‘nti ci l’appòm nisciune

Ca na matrona siè!


Il M° Guido Albanese


A questa canzone sembra fare il verso, sempre per ritmo incalzante e allegro, Lu ndruvarelle del 1926, altra celeberrima canzone delle Maggiolate, eseguita da diverse corali ancora oggi, compreso il Coro di Fossacesia diretto da Antonio Fantini, e ancor prima di lui dal M° Giuseppe Melatti, direttore e concertatore della Sagra della Vendemmia di Fossacesia del 21 settembre 1947, quando la canzone fu riproposta.

Una massaia sta lavorando a casa con il fuso di un arcolaio, è una bella fanciulla che sta lavorando, facendo girare col piede l’arcolaio assai vorticosamente; ma l’innamorato che la guarda, sposta lo scenario del tradizionale lavoro abruzzese alla musica, facendo riferimento al girare di un grammofono:

Vota, vota lu ndruvarelle,

li matasse fa la rutelle.

Ma si guard’a ssa vocca belle

Gne lu vinile mi fi’ fa’!

 

Vota, vote lu vinilucce

S’abberrute li cannillucce

I’ vulesse che ssi manucce

Di carezze abbirrut’a mme!

 

La canzone Ggenta nostre, anche se non dichiaratamente, già inizia a risentire di quell’influenza fascista dell’esaltazione della razza, differenziata regione per regione, ma in realtà differenziazione non troppo tangibile, assai convenzionali e vaghi infatti sono i riferimenti al lavoro della campagna: “campème d’aria bbone e de fatije / ‘mmezz’annu ce cante l’allegrije!” si esalta in sostanza il buon e redditizio lavoro dei campi, tra canti e feste, fino all’ultima strofe, in cui il contadino dichiara il suo amore all’amata, paragonandosi a due uccellini che volano. Il tema dell’uccellino ricorrerà spesso nelle liriche di Saraceni, quasi fosse uno schema convenzionale alla canzone abruzzese, per comporre una strofe, per concludere ad effetto un tema; tematiche più o meno solite, e ripetitive, le ebbe ad esempio anche Eduardo Di Loreto di Castelfrentano, che dopo le celebri canzoni A core a core, Tuppe e tuppe, Stu paesette me’, riproponeva il tipico campionario dei due innamorati che vogliono evadere dalla monotonia del paese, andando però a vivere in campagna, o in una casetta sul mare, soli soletti, oppure scappando verso l’avventura, per trovare un luogo sicuro, vivendo di espedienti…e di amore (vedi Lu viagge, 1926).

La coppia Saraceni-Fuggetta partecipò anche alla II festa del Mare di San Vito Chietino con la canzone Vie’ ssintì. È una canzonetta molto delicata nell’impostazione, a cui sembra richiamarsi la poesia del palenese Ermindo Campana La Maiell’a primaviere; il poeta-corteggiatore, calandosi panicamente in un ravanello, si rivolge all’amata celebrando lo sbocciare dei fiori e delle rose sulla montagna Maiella a maggio (si tenga presente che questa è una delle poche canzoni del concorso canoro sanvitese in cui si fa un’eccezione alle regole del bando di concorso, che prevedeva per tematica il mare, così come si può vedere negli altri concorsi della Sagra delle canzoni abruzzesi di Pescara del 1922, o le varie Maggiolate ortonesi):

Mo’ la chiara ruvanelle

A li jirvitell’a llate,

nchi na vocia dilicate

quante cose ‘tte cuntà!

 

I’ tè ddì a la Majelle

À cagnate lu vistite,

li ciardin’à fiurite

e è feste ugn’addò.

 

Ogni ritornello ha ottonari diversi, nel primo si introduce l’arrivo della primavera sulla Maiella, dove il freddo lascia posto alla rinascita dei fiori, nella seconda il poeta introduce il canto dei cardellini e degli uccellini, e infine nell’ultimo le rose che spoppano sui colli a migliaia. Attilio Fuggetta, in contemporanea con la Maggiolata ortonese, fu coinvolto anche nelle Sagre dell’uva di Poggiofiorito degli anni ’30, e con il poeta poggese Tommaso Di Martino, compose Sirinatelle vecchie, un motivo “a dispetto” della serenata alla finestra dell’immancabile Rusinelle, con il mandolino e la zampogna; e Pacchianelle su versi di Saraceni, altra canzone d’amore dedicata a una ragazza contadina. Una inedita canzone fascista del duo Fagiani-Fuggetta è stata rinvenuta nell’Archivio dell’Associazione “Tommaso Coccione” di Poggiofiorito, la canzone è Uno-due! Essa fu composta probabilmente per qualche scuola elementare di Lanciano dove il Fagiani insegnava. Non siamo riusciti al momento a rintracciare una eventuale pubblicazione a stampa, e quindi immaginiamo che essa sia inedita, il testo è battuto a macchina, lo spartito di Fuggetta è manoscritto. Impossibile non immaginare il passo dell’oca adottato dai ragazzi balilla in omaggio al Duce Mussolini:

Di feste se ne fa, ma la cchiù bille

È quande le balille

Fa’ la sfilate a lu pajese me’!

Quande le vide, chi mi po’ tinè,

a nen scruccà le mane,

a nen fa’ lu salute a la rumane!

 

Ti fa’ ‘ncantà

A riguardà

Gna t’è passà

Sti cardellucce de la Patria me!

E pe’ marcià

Che passe te’:

“Uno-due!

Uno-due!”

 

Nel 1929 per la X Maggiolata scrive con A. Tattoni Nen te’ marite cchiù! Con il poeta pescarese Oberdan Merciaro (1892-1970) il Fuggetta fu prolifico, con le seguenti canzoni:

Oh, Cuncittine!, XI Maggiolata di Ortona, 1930

S’aricànte, Maggiolata di Ortona del 1947

Pirulì….Catarì, Maggiolata di Ortona 1948

Cante lu marenare, XX Maggiolata del 1952

 

S’aricànte fu composta per l’edizione dopo i disastri della seconda guerra mondiale, c’era bisogno, per il popolo, di svagarsi, e la Maggiolata poteva risorgere dalle ceneri, grazie all’infaticabile Guido Albanese, che presentò le canzoni Ma Urtone è sempre Urtone su versi di Dommarco, e Ci manche a l’Adriatiche na perle. Il tema veicolante di questa edizione, inevitabilmente non poteva esulare dal citare, come un’eco mostruosa ormai lontano, di cui ancora però si percepivano i segni spaventevoli, la guerra che tanta morte arrecò all’Abruzzo.

Stando a Lanciano, Fuggetta non poté escludere dalle sue conoscenze il maestro e poeta Cesare Fagiani, con cui nella Maggiolata del 1939 presentò La giuvintù di mo’; più tardi con Guido Giuliante di Pennapiedimonte, scrisse Tuppe-tuppe e lariulà nella Maggiolata del 1957. Conobbe anche il poeta teramano Andrea De Majo, con cui scrisse alcune canzoni per le Rassegne di Francavilla al mare, svoltesi agli inizi degli anni ’30; nel 1932 per la XIII Maggiolata presentano insieme la canzone Che scì ‘ccìse!

Nell’Archivio T. Coccione di Poggiofiorito abbiamo trovato una canzone inedita del duo Saraceni-Fuggetta: Mattinate d’Abruzze, è una canzone davvero piacevole e soave, delicata come i versi del poeta fossacesiano, che descrive la notte di stelle nel cielo abruzzese, proprio poco prima dell’alba, quando inizia a fare giorno, dalla seconda strofe, e il sole spunta dietro la Maiella, irradiando nella terza strofe con i suoi raggi tutto il paesaggio, le valli, e i monti. Si può dire che anche questa canzone faccia eco a un’altra, presentata dal saraceni alle Settembrate di Pescara, con la musica di Antonio Di Jorio: Venticelle d’Abruzze, altra canzone “descrittiva”, da accludere al secondo filone della produzione del Saraceni, dopo quelle dei canti d’amore.
























































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