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Atlante Ferroviario 1913, Abruzzo e Molise |
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Orario Treni |
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Traversa ferroviaria |
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Interno scompartimento treno |
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Interno scompartimento treno |
"Quella
del Fucino è una storia che unisce natura, ingegneria, ambizione e
trasformazione. Un lago che non c'è più, ma che per secoli è stato protagonista
della vita – e delle difficoltà – di un'intera regione."
Ci
troviamo nel cuore dell’Abruzzo, nell’area della Marsica, dove oggi si estende
una delle più fertili pianure d’Italia centrale: la piana del Fucino. Ma un
tempo, proprio lì, c’era un lago. Il Lago Fucino, terzo per estensione in
Italia dopo il Lago di Garda e il Lago Maggiore.
Questo lago era però particolare: non aveva emissari naturali, e il suo livello variava continuamente. A volte si gonfiava fino ad allagare le terre coltivate, altre volte si ritirava, lasciando paludi malsane. Era una minaccia costante, oltre che una barriera naturale tra i paesi.
Già gli
antichi Romani, con la loro maestria ingegneristica, avevano capito che
bisognava fare qualcosa. E così, nel 41 d.C., l’imperatore Claudio avviò uno
dei progetti più ambiziosi dell’epoca: prosciugare il lago.
12.000 operai, 11 anni di lavoro, un canale lungo 6 chilometri scavato nel monte Salviano, noto ancora oggi come l'emissario di Claudio. Un’opera straordinaria… ma non del tutto efficace. Il lago si abbassò, sì, ma non scomparve. Mancavano strumenti moderni per mantenere il controllo idraulico costante.
Per secoli
il lago restò lì, instabile e imprevedibile… fino a quando, nell’Ottocento, un
imprenditore illuminato decise di riprendere il sogno romano: Alessandro
Torlonia.
Tra il
1854 e il 1878, con mezzi più moderni, Torlonia fece riaprire e migliorare
l’antico emissario, aggiungendo canali, cunicoli e opere di drenaggio. E
finalmente, il lago Fucino scomparve. Al suo posto, nacque una pianura fertile,
ben irrigata, ideale per l’agricoltura.
Oggi,
quella che era una distesa d’acqua è diventata un giacimento agricolo. Patate,
carote, spinaci, finocchi: una produzione intensiva, controllata, persino
aiutata da satelliti e centri spaziali, come quello presente proprio a
Ortucchio, il Centro Spaziale del Fucino.
Una
storia, insomma, che parla di trasformazione. Di come la conoscenza, la tecnica
e la determinazione possano cambiare il volto di un territorio, risolvendo
problemi antichi e aprendo nuove possibilità per il futuro.
"E
questo – diremmo – è il miracolo della scienza… e dell’ingegno umano."
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1.
L’opera di prosciugamento: un sogno romano, un'impresa ottocentesca.
"La
natura non sempre collabora con l’uomo. Ma quando l’ingegno interviene, può
trasformare un problema in una risorsa."
Già nel
I secolo d.C., l’Imperatore Claudio volle domare il Lago Fucino, che con i suoi
155 chilometri quadrati rappresentava una minaccia per le popolazioni locali.
Non avendo un emissario naturale, il lago era soggetto a pericolose
oscillazioni di livello. Così fu avviata un’impresa colossale: scavare un
canale sotterraneo lungo 6 chilometri attraverso il Monte Salviano, per far
defluire le acque nel fiume Liri.
L’opera,
condotta da 12.000 schiavi e operai, fu completata dopo 11 anni. Era un tunnel
perfettamente calcolato, con una pendenza di circa 1 metro ogni 1.000, per
permettere il deflusso. Ma, a causa della mancanza di manutenzione e limiti
tecnici dell’epoca, l’opera non riuscì a prosciugare completamente il lago.
Quasi
1800 anni dopo, fu il banchiere e nobile Alessandro Torlonia a riprendere
l’impresa. Tra il 1854 e il 1878, con tecnologie moderne e grandi capitali,
migliorò e riaprì l’antico emissario. Furono costruiti canali di bonifica, una
rete di drenaggio sotterraneo, e impianti per la regolazione del livello
idrico.
Alla
fine, il Lago Fucino fu prosciugato definitivamente. Dove c’era acqua, nacque
una vasta pianura agricola.
2.
L’agricoltura moderna del Fucino: un giardino high-tech.
"Quando
la scienza incontra la terra, anche una palude può diventare un giardino."
La Piana
del Fucino oggi è una delle aree agricole più avanzate del centro Italia. Si
estende su 14.000 ettari e vanta terreni estremamente fertili, ricchi di humus
e perfettamente irrigati.
Qui si
coltivano:
Patate
(la famosa "patata del Fucino IGP"),
Carote,
spinaci, finocchi, lattughe e cicorie,
Cereali
e barbabietole da zucchero.
Le
aziende agricole del Fucino utilizzano trattori GPS, irrigazione
computerizzata, droni per il monitoraggio delle colture, e sensori nel suolo. I
dati raccolti vengono analizzati per ottimizzare i raccolti, risparmiare acqua,
e ridurre l’uso di fertilizzanti.
In altre
parole: agricoltura di precisione. Quella che un tempo era un lago stagnante è
ora un laboratorio a cielo aperto per le tecnologie agricole più avanzate.
3. Vita
prima e dopo il prosciugamento: il cambiamento sociale.
"Quando
cambia il paesaggio, cambia anche il destino delle persone."
Prima
del prosciugamento, la vita intorno al Lago Fucino era difficile. I villaggi
erano spesso isolati, le paludi causavano malattie come la malaria, e
l’economia era basata sulla pesca e una povera agricoltura in terreni
instabili.
Dopo il
prosciugamento, la zona vide un vero e proprio boom demografico e agricolo. Ma
la terra, all’inizio, rimase di proprietà dei Torlonia. Gli agricoltori erano
mezzadri o affittuari, spesso in condizioni molto dure. Si racconta che nei
primi decenni del Novecento ci furono lotte contadine per ottenere migliori
condizioni di lavoro e il diritto alla terra.
Solo nel
secondo dopoguerra, con la Riforma Agraria, molti contadini ottennero
finalmente la proprietà dei terreni. Fu allora che il Fucino cominciò la sua
vera rinascita economica e sociale.
4. Il
Centro Spaziale del Fucino: dallo zappone al satellite.
"Dove
un tempo si pescavano anguille, oggi si guidano satelliti che viaggiano a
36.000 chilometri dalla Terra."
A
Ortucchio, nel cuore della Piana del Fucino, sorge oggi uno dei più importanti
centri di telecomunicazione satellitare d’Europa: il Centro Spaziale del
Fucino, gestito da Telespazio (gruppo Leonardo).
Operativo
dal 1967, questo centro è specializzato in:
Telecomunicazioni
satellitari,
Controllo
di satelliti per navigazione e meteorologia.
Servizi
di telerilevamento e osservazione della Terra.
Con più
di 170 antenne paraboliche, alcune larghe più di 30 metri, il Centro è in grado
di comunicare con satelliti in orbita geostazionaria e bassa. È un hub
strategico per il programma Galileo, il GPS europeo.
Paradossalmente,
il Centro Spaziale aiuta oggi proprio l’agricoltura del Fucino: con dati
satellitari si monitorano le colture, si controllano i cicli irrigui e si
prevengono malattie delle piante.
Un
simbolo perfetto di come la scienza, l’ingegno e la tecnologia abbiano
trasformato un problema millenario in una risorsa per il futuro.
Da: AbruzzoOnline
Introduzione
Con il presente
saggio si vuole apportare un contributo riassuntivo utile a sviluppare la
conoscenza della storia abruzzese dall’anno successivo alla fine del primo
conflitto mondiale sino all’inizio del regime fascista.
L’analisi
storica inizierà con la citazione di brevi riferimenti nazionali poiché è fondamentale
che qualasiasi storia regionale sia inquadrata nel contesto statale che
concorre a determinarla.
Per la
descrizione dei vari fatti sono state utilizzate fonti archivistiche e
pubblicazioni varie.
La situazione nazionale
Il periodo
storico in esame, in tutto il territorio nazionale è ricco di avvenimenti di
notevole interesse storico, politico e religioso.
Con la fine del
primo conflitto mondiale in Italia si aprì una profonda crisi politico-sociale
i cui caratteri essenziali sono riassumibili nei seguenti punti: 1) la crisi
dello Stato liberale che nonostante avesse portato a termine l'unità nazionale
lasciava irrisolti ancora molti problemi tra cui la questione meridionale; 2)
il disagio degli ex combattenti che non furono adeguatamente
ricompensati per
gli sforzi e i sacrifici sostenuti durante la permanenza al fronte; 3) la
coscienza della nazione che l’Italia aveva subito una vittoria mutilata in
quanto non le furono riconosciuti tutti i diritti previsti dagli accordi di
Londra del 1915; 4) la svalutazione della lira e l’inflazione
galoppante che provocò un aumento del costo della vita di oltre il 400%; 5) la
mancanza di materie prime, la difficoltà delle industrie a riconvertirsi, la
disoccupazione e l’eccesso di manodopera causato dai soldati che tornarono dal
fronte.
Questi problemi alimentarono
in parte della popolazione uno spirito rivoltoso che diede vita a varie forme
di protesta sociale, rivendicazioni operaie e contadine tra cui: 1) i moti per
il carovita che scoppiarono nell’estate del 1919 e si estesero in tutto il
paese; 2) le rivendicazioni operaie che nel 1920 culminarono con gli scioperi e
l'occupazione delle fabbriche dell’Italia settentrionale; 3) le agitazioni
delle masse rurali per la conquista della terra.
I governi e le
forze d’opposizione esistenti dall’inizio del conflitto, non riuscirono ad imporre
le loro scelte e a trovare soddisfacenti soluzioni ai problemi dell’epoca. Di
conseguenza, accanto ai socialisti ed alle forze risorgimentali emersero nuove formazioni
politiche che proponevano di dare risposte più concrete per risolvere i
problemi dell’epoca o di contrapporre soluzioni conservatrici ai movimenti di
protesta. Tra essi il partito popolare, l’associazione nazionale combattenti,
il partito comunista e quello fascista.
Nel 1919, durante il
pontificato di Benedetto XV e in seguito all’abrogazione ufficiale del non expedit imposto dalla gerarchia cattolica, il sacerdote siciliano Luigi Sturzo fondò il partito popolare, già
vagheggiato nel 1905 come
partito di ispirazione cattolica, aconfessionale ed indipendente dalle autorità
ecclesiastiche per le sue scelte politiche.
Il partito
assunse come proprio simbolo lo stemma dei comuni medioevali con la scritta
"Libertas", trovò ispirazione nella dottrina sociale della chiesa e
portò al riavvicinamento dei cattolici alla vita politica nazionale.
I popolari
entrarono per la prima volta nella scena politica nelle elezioni politiche del
1919 in cui, grazie anche al supporto assicurato dalle parrocchie, riuscirono a
far eleggere 100 candidati delle loro liste.
La sua rapida diffusione
nella penisola fu favorita dalle strutture ed organizzazioni ecclesiastiche
esistenti nei Comuni peninsulari. In alcuni casi, il partito popolare fu
guardato con diffidenza e sospetto dalle autorità delle Chiesa, in particolare
nelle località dell'Italia meridionale in cui fu fondato dai vecchi notabili
liberali che si riconvertirono e resero conto che l'adesione ad un partito
d'ispirazione cattolica avrebbe allargato la base del consenso politico.
Un altro raggruppamento politico che sorse
nell’immediato dopoguerra fu l’Associazione Nazionale Combattenti (ANC) che fu
fondata a Milano il 18 marzo 1919 allo scopo di tutelare i diritti dei reduci e
assicurare la loro rappresentanza nelle istituzioni. Nel giro di pochi mesi raggiunse
la quota di circa 600000 iscritti. Nel 1919,
dopo lo scioglimento della Camera, l'ANC decise di prendere direttamente parte
alle elezioni politiche con la denominazione di partito dei combattenti, ottenendo
il 4,1% dei voti e 20 seggi. Alle successive elezioni
politiche anticipate del 1921, il partito ottenne l'1,7% dei voti e 10
seggi.
Il 21 gennaio
1921 a Livorno, durante lo svolgimento del 17° congresso
del partito socialista italiano, avvenne un’importante scissione nella quale
una parte dei convenuti fondò un nuovo raggruppamento politico a cui diede il nome di Partito Comunista d'Italia (PCdI)
- sezione italiana dell'Internazionale comunista,
una denominazione che fu mantenuta fino al 15
maggio 1943. Questa scissione anziché portare alla rivoluzione
proletaria, come auspicavano i fondatori del PCdI, provocò un indebolimento
della sinistra italiana che favorì le forze reazionarie e conservatrici. Il
PCdI si presentò alle elezioni politiche del 1921 ottenendo nel complesso 304 719 voti (4,6%) e 15 seggi.
Un’altra importantissima forza politica dell'immediato
dopoguerra fu il partito dei Fasci di Combattimento che fu fondato il 23 marzo
1919 da Benito Mussolini, un ex socialista e direttore dell'Avanti. Mussolini
riuscì a coagulare nel suo partito un insieme di forze sociali conservatrici
che con la crisi del partito liberale, erano preoccupate da un’eventuale affermazione
socialista e manifestavano la propensione al mantenimento dell'ordine
precostituito: elementi di destra, ex combattenti, esponenti del ceto medio, possidenti
agrari, industriali, ecc.
Dopo il
Congresso di Roma del 1921 gli iscritti ai Fasci di Combattimento fondarono il
Partito Nazionale Fascista a cui tra l’altro aderirono molte sezioni dell’ANC
disperse lungo la penisola.
Agli
inizi, i fascisti avevano accettato un atteggiamento anticlericale che fu riportato
nel loro programma politico e dimostrato dalla violenza con cui tra il 1921-1922,
i suoi squadristi colpirono le leghe bianche.
Il giudizio iniziale della
Chiesa su questa formazione politica fu molto duro. Infatti,
nel 1922, in un’editoriale della Civiltà Cattolica si scrisse: “Il Fascismo ha
lo spirito di violenza del socialismo a cui pretende di rimediare, imitandone
non solo ma superandone ben anche le prepotenze, le uccisioni e le barbarie”. Diversi ordinari diocesani, durante i primi anni del
regime diffusero lettere pastorali in cui sottolineavano che il fascismo, per
la sua natura violenta era contrario ai principi cristiani e pertanto non
poteva godere l'appoggio della Chiesa. Una parte della Curia Pontificia anche
dopo la marcia su Roma era convinta che il fascismo, alla stessa stregua del
liberalismo, della massoneria e del socialismo fosse un’ideologia sviluppatasi
a causa dell’abbandono della religione e della secolarizzazione affermatisi nel
mondo moderno dopo la rivoluzione francese. Un’altra parte, invece riteneva che
potesse apportare un efficace contributo al processo di ricristianizzazione della società che perseguiva il papa Pio XI.
Nell'ottobre del
1922, dopo la marcia su Roma, il re Vittorio Emanuele III incaricò Mussolini di
formare un nuovo governo ed ebbe così inizio l'era fascista.
Al primo gabinetto mussoliniano collaborarono alcune forze politiche, tra cui i popolari che ottennero 4 sottosegretari, il ministero del Lavoro assegnato a Stefano Cavazzoni e quello del Tesoro che fu assegnato a Vincenzo Tangorra.
Altro importante
fatto dell’epoca in considerazione è il governo della chiesa cattolica che fu
affidato dal 3 settembre 1914 al 22 gennaio 1922 al papa Benedetto XV e dal 6
febbraio 1922 al 10 febbraio 1939 a Pio XI.
Benedetto XV
promosse il culto del Cuore di Gesù, si adoperò per evitare la guerra e con
l’enciclica Pacem Dei Munus Pulcherrimum
scritta nel 1920 dettò le sue idee per avere una pace stabile.
Nelle
relazioni con il Regno
d'Italia eliminò il non expedit
e appoggiò la formazione del Partito
Popolare Italiano d’ispirazione cristiana.
Il suo
successore PIO XI con l’enciclica Ubi arcano
Dei consilio del 23 dicembre 1922, manifestò il programma del suo
pontificato facendo presente che i cattolici dovevano impegnarsi nella
fondazione di una società totalmente cristiana.
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Regione ecclesiale Abruzzo-Molise |
La situazione
abruzzese
Le varie vicende
politico-sociali e di crisi che investirono la nazione toccarono anche
l’Abruzzo. Infatti, agli inizi del 1919 questa regione era profondamente scossa
dalle vicende del primo conflitto mondiale in cui persero la vita oltre 23000
giovani soldati provenienti dai suoi Comuni.
In diverse
località il successivo ritorno dei reduci delusi nelle loro aspettative favorì
nuovi motivi di scontri sociali e contribuì a riacutizzare quelli esistenti
prima della guerra.
La maggioranza
della popolazione regionale dell’epoca continuava a vivere in condizioni di
notevole indigenza poiché ricavava i mezzi di sussistenza da un’agricoltura
poco redditizia, particolarmente sensibile ai capricci della natura e praticata
su terreni generalmente aridi, montagnosi non propri e gravati da pesanti
prestazioni e tributi.
A questi
problemi sono da aggiungere quelli creati da: 1) la lunga permanenza dei
soldati al fronte e la massiccia emigrazione, due eventi che ridussero la forza
lavoro disponibile e i redditi di diverse famiglie; 2) il carovita che investì
la Regione; 3) la crisi della pastorizia dovuto alla caduta del prezzo della
lana e all’aumento di quello di pascolo nei luoghi di transumanza [1].
In particolare
l’emigrazione che colpì in modo più intenso le zone rurali ebbe anche diversi
riflessi culturali e politici. Infatti, quando gli emigranti arrivavano nei
luoghi d’accoglienza scoprivano che esistevano nuovi stili di vita che in parte
acquisirono e con il loro ritorno trasferirono nelle terre d’origine contribuirono a modificare antiche abitudini e atteggiamenti locali.
Anche i reduci, a causa del contatto quotidiano con i soldati di altre regioni,
acquisirono nuovi modelli culturali che trasferirono ai luoghi d’origine.
I fatti
descritti e i problemi elencati furono le principali cause che in Abruzzo crearono
gli spunti per la nascita di nuovi atteggiamenti, modelli di comportamento, aspettative
di vita, formazioni politiche e forme di protesta organizzata che saranno ampiamente
descritti ed analizzati nei paragrafi successivi del presente saggio.
La vita religiosa e l’organizzazione ecclesiastica in Abruzzo dal 1919 al 1922.
Nel periodo in
esame i Comuni che ora appartengono all’Abruzzo erano ripartiti in otto diocesi
di cui in questa sede si riporta la cronotassi
dei loro vescovi e i principali aspetti della vita religiosa.
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Mons. Gennaro Costagliola |
Nell’epoca
in considerazione l’Arcidiocesi fu
retta da Gennaro Costagliola, (15
aprile 1901 -
15 febbraio 1919) e Nicola Monterisi
(15 dicembre 1919 -
5 ottobre 1929).
Il 21 marzo 1920, l'ingresso a Chieti di mons. Monterisi fu accolto favorevolmente dai rappresentanti delle organizzazioni cattoliche e dal clero diocesano. Nello stesso tempo alcuni militanti socialisti, radicali e di altre forze anticlericali inscenarono una contromanifestazione ostile al presule, come tra l’altro dimostra il seguente scritto che pubblicato il primo aprile 1920 su “La Conquista Proletaria”: “I socialisti hanno voluto avvertire il sig. Monterisi che il popolo di Chieti non è composto di tutte pecore rassegnate a farsi quotidianamente tosare” [2].
Mons. Nicola Monterisi |