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3 novembre 2024

Corografia della bassa valle del Trigno, di Anton Ludovico Antinori, 1751.


Corografia della bassa valle del Trigno, del 1751, di Anton Ludovico Antinori, in cui si evidenziano gli abitati di Montenero, San Salvo e Vasto, il casale di Montebello – con la scafa per l’attraversamento del Trigno – il formale del Mulino e la torre di Pantanella, la Fonte del Fico nel vallone Buonanotte e lo “Stradone” che collegava la costa con la Cuccetta di Lentella (Archivio della Biblioteca Provinciale de L’Aquila).

17 settembre 2024

Sandro Galantini, Beautiful Atri, mon amour, da Tesori d'Abruzzo.


 Beautiful Atri, mon amour

Ecco come hanno celebrato e descritto la «Città vetusta» scrittori, poeti e viaggiatori di fama, italiani e stranieri, tra Otto e Novecento

Testo di Sandro Galantini

Vaga e solarina, la ginestra si estenua in trama di sussurro appigliandosi sopra il precipizio che serba nelle sue rughe storie di vento e di pioggia. Gli spettacolari calanchi di Atri, che fanno dirupare lo sguardo su una landa asprigna in cui pare arda il cuore della terra, sono immoti eppure sembrano non avere quiete. Difficile immaginare come queste bolge audaci e magre, su cui volteggiano i falchi pecchiaioli, preludano l’incontro con una città di remotissime origini, intima e fascinosa al contempo, che aduna straordinari tesori d’arte e monumenti dalla bellezza disarmante.

Calanchi di Atri (ph. Giancarlo Malandra)

La naturale propensione alla seduzione di Atri, irresistibile nella tessitura delle ore diurne allorché – come ricordava lo scrittore Michele Prisco ne Il cuore della vita del 1995 – rifulge «d’uno splendore nitidissimo e animato», diviene addirittura sortilegio con la morbidezza felina della sera. Ed allora quando vie, piazze e stradine vengono addomesticate dai bagliori struggenti dei lampioni, questa città «alta, nobilissima» ed estranea agli «adescamenti marini», ancor di più «coinvolge, stupisce, dà emozioni sapientemente articolate», scrive con efficacia ustionante Giorgio Manganelli ne La favola pitagorica, l’intrigante libro uscito per Adelphi nel 2005 che raccoglie i suoi reportage dal 1971 al 1989. Sicché non appare un cedimento all’iperbole quella tripletta di sintetiche definizioni – «perla della collina abruzzese», «limpido esempio di fusione tra architettura e natura», «stupendo centro per i cultori dell’arte e della bellezza» – che il senese Luigi Volpicelli, pedagogista di fama internazionale, aveva riservato in un suo articolo su Atri pubblicato nel 1969 nella rivista del Touring Club Italiano “Le vie d’Italia e del mondo”.

Veduta di Atri (ph. Giancarlo Malandra)

Torniamo però a Manganelli, coriféo del viaggio come immersione passionale e totalizzante nei luoghi. Secondo lo scrittore e giornalista milanese, Atri, la cui cattedrale giudicata splendida da Guido Piovene nel 1956 e citata da Paolo Volponi nel suo romanzo Il palazzo ducale del ’75 gli appare «una mole di indimenticabile potenza geometrica», è decisamente «una città più che antica, arcaica».

Accanto e in aggiunta al paesaggio ed alle emergenze architettoniche, è dunque la storia, in questo caso plurimillenaria, a costituire un elemento ulteriore di attrattività urbana.

Veduta di Atri, 1792

La pensava così anche uno dei protagonisti del Grand Tour, il globetrotter Edward Lear, che il 29 settembre 1843 guada tre fiumi e affronta la faticosa salita per Atri spinto dalla fama dell’«antica Hadria», quella stessa precedentemente osservata da lontano, e descritta sul piano storico, dal connazionale Keppel Richard Craven. Una vetusta città che – annota il viaggiatore londinese – per quanto «decaduta» pure è in grado di calamitare l’attenzione per alcuni «ruderi ciclopici» e per le «mura pittoresche», oltre che per la spettacolare veduta sull’Adriatico e sul retroterra. Ma a stordire e meravigliare Lear, come fosse un balenio fosforico, è la cattedrale, «uno degli edifici in stile gotico italiano più perfetti» tra quelli da egli visitati in Abruzzo e della quale pertanto non lesina inchiostro nella descrizione che consegnerà al suo volume Illustrated Excursions in Italy, pubblicato nel 1846.

Carta dell’Abruzzo (da E. Lear, Illustrated Excursions in Italy, 1846).

Quasi esemplate su quelle del Lear, sono le più sintetiche notazioni dello scrittore e poeta francese Charles-Emmanuel Nicolas Didier per l’Italie pittoresque del 1845. Vero è – lui dice, rievocando così la simile osservazione espressa già nel primo ‘400 dall’umanista Francesco Filelfo – che la fisionomia del borgo è quella ormai di una comune «bourgade campagnarde», appollaiata sulla cresta di una collina arida ed immemore della grandezza passata. E però secondo Didier visitare Atri è doveroso trattandosi di una delle «villes primitives de l’Italie», tanto da aver dato nome al mare Adriatico e i natali alla famiglia dell’imperatore Adriano.

Veduta di Atri (da Il Regno delle Due Sicilie descritto ed illustrato, 1858?)

Malioso polo-calamita in grado di coagulare, in virtù del suo passato onusto di gloria, ragguardevoli esponenti della cultura europea (come l’enciclopedico Aubin-Louis Millin, venuto in loco il 12 ottobre 1812 per incontrare Francesco Sorricchio, «persona ragguardevole» e collezionista di antiche monete atriane), la città pure continua ad arpeggiare l’anima di chi desidera farsi soggiogare tout court dalla straripante grazia della cattedrale e dei tanti monumenti presenti.

Cattedrale di Atri (ph. Giancarlo Malandra)

Se per lo scozzese Charles Mac Farlane, salito da Napoli negli Abruzzi nella torrida estate del 1848, l’acquaviviana Atri ancora stretta nelle sue mura è senza dubbio «la più antica, la più romantica e in ogni caso la più interessante» tra le località collinari che prueggiano a ridosso del tracciato litoraneo da Pescara verso nord, mezzo secolo dopo, in uno scenario sideralmente diverso, per il filosofo Augusto Conti è una meta imprescindibile trattandosi di una località storica notevole in cui «guide amorevoli e dotte» conducono il visitatore alla scoperta e alla migliore comprensione delle numerose opere d’arte presenti.

Teatro comunale di Atri, primo ‘900

Tra il 1848 di Mac Farlane e il 1897 del toscano Conti c’è stato intanto un vero profluvio di pubblicazioni d’indole varia che ha posto Atri in luce meridiana. Ai prodotti maggiormente significativi del viaggio borghese ottocentesco come le guide Bradshaw e, più ancora, i Murray Handbooks dalle iconiche copertine rosse coi caratteri dorati, si sono infatti affiancati sia i saggi di numismatica, sia gli studi e le robuste monografie a firma di illustri cultori delle arti: da Heinrich Wilhelm Schulz a Enrico Gennarelli; da Charles Callahan Perkins al duo Cavalcaselle-Crowe. È però grazie ad una novella apparsa nel 1872 se la città irrompe potentemente nello scenario internazionale. Si tratta di The bell of Atri (La campana di Atri) del famosissimo poeta statunitense Henry Wadsworth Longfellow, opera di tale fortuna non solo letteraria da approdare al cinema nel 1920 e da venire riproposta in numerose edizioni, l’ultima delle quali uscita nel gennaio 2024.

Cattedrale di Atri, primo ‘900

Storia ed arte continuano ad essere l’endiadi di Atri anche quando il viaggio cambia pelle e si modernizza, divenendo predace con l’automobile. Ce lo dimostrano icasticamente i resoconti nel 1907 di Ugo Ojetti e di Carlo Placci nell’anno seguente. Ammaliati entrambi dalla cattedrale e dai superbi affreschi al suo interno, i viaggiatori-automobilisti Ojetti e Placci ci consegnano infatti descrizioni che pur nitide, tuttavia sono parsimoniose di parole e si direbbe impazienti, come d’altronde impongono i tempi nuovi. Ed epigrafico, nonostante sia uno storico di vaglia, sarà pure Gustave Schlumberger riferendo della sua visita ad Atri ed alla cattedrale cittadina, «uno dei più bei monumenti religiosi dell’Abruzzo», nei suoi Voyage dans les Abruzzes et les Pouilles del 1916. Ai tornanti della dialettica non aveva rinunciato invece il conte e critico d’arte Arturo Jahn Rusconi, spesosi largamente in dotte dissertazioni sul più importante edificio sacro atriano, e sui pregevoli interni, in un ampio articolo diremmo a metà strada tra divulgazione dotta e saggio scientifico pubblicato da “Emporium” nel gennaio 1905 con ricco corredo di foto.

Cattedrale di Atri, interno (ph. Alessandro Antonelli)

Per quanto le pagine novecentesche ridisegnino ottiche e rimodulino tempi d’approccio, in ogni caso Atri continua ancora a sorprendere. Sarà forse per la sua «aria segreta, ritrosa quasi» e per la promessa mantenuta del suo «spettacolo di bellezza», come afferma convintamente lo scrittore Mario Pomilio. Sarà – ancora – perché la città sembra desiderosa di restituire racconti in timida trasparenza a chi le si accosta con rispetto e discrezione. Oppure sarà per le sue chiese, per le residenze gentilizie, per le case minute che possiedono, tutte, un loro cuore, una perfezione leggera accentuata dal filo dei tramonti e dai fiori dell’aurora. Sarà come sarà, l’aristocratica Atri è un ritaglio d’anima che ha segreti specchi e sa donare, ieri come oggi, un giro pieno di emozioni.

Da: Tesori d'Abruzzo

Benedetto Marzolla, Mappa della Circoscrizione Ecclesiastica d'Abruzzo, 1859.

Benedetto Marzolla, Mappa della Circoscrizione Ecclesiastica d'Abruzzo, 1859.

Mappa della Diocesi di Larino, 1743.

Mappa della Diocesi di Larino, 1743

4 settembre 2024

Costiera da Termoli sino al Porto d'Ascoli dello Stato Ecclesiastico, di Francesco Cassiano de Silva, 1708.

Costiera da Termoli sino al Porto d'Ascoli dello Stato Ecclesiastico, di Francesco Cassiano de Silva, 1708.



particolare Costa di Vasto



particolare Costa di Vasto

23 agosto 2024

17 agosto 2024

Uomini illustri di Lanciano: Luigi Renzetti (1860-1931) e Giuseppe Maria Bellini (1860 - 1940).

Luigi Renzetti

Uomini illustri di Lanciano: Luigi Renzetti (1860-1931) e  Giuseppe Maria Bellini (1860-1940)

di Angelo Iocco

Luigi Renzetti (1860-1931) 

Lanciano tra la fine dell’800 e il primo ventennio del Novecento, ebbe due importanti personaggi di spicco nel campo della ricerca storica, prima che le loro opere venissero oscurate da ricerche più documentate e esaustive sulla città, dal benemerito Corrado Marciani.

Il Renzetti nacque a Lanciano il 14 ottobre 1860, nel quartiere Lancianovecchia nel palazzo di famiglia, lungo la salita dei Frentani. Morì nella stessa città il 2 dicembre 1931 in povertà, malato da tempo. Una targa ricorda ancora oggi il luogo nativo, una struttura antica, rimaneggiata più volte, che forse poteva fungere da torre di avvistamento. Figlio di un impiegato, Luigi fu avviato agli studi privati presso il patriota risorgimentale Carlo Madonna (1809-1890), che tanto dette per la patria, e visse gi ultimi anni della vita nella miseria, lui figlio di un illustre giureconsulto presso la Sottoprefettura di Lanciano quale fu Antonio Madonna da Lama dei Peligni (ricordato dal De Crecchio nel suo Il triangolo della Giustizia a Lanciano, 2012) dopo l’agognata Unità d’Italia, e ridotto a scrivere versi d’occasione e per committenti appositi per motivi alimentari. Renzetti sicuramente fu influenzato in giovinezza dal sentimento per la Patria del Madonna, e soprattutto dovette assorbire quel sentimento di amore per le belle lettere, per la musica, e di amore per la Patria, per la piccola patria di Lanciano, verso cui nutrì profonda venerazione. Lo approfondiremo, infatti nel 1878, quando viene fondata la casa editrice Carabba in città, Renzetti pubblica giovanissimo una raccolta di memorie su Lanciano, dal titolo Notizie storiche della Città di Lanciano; lavoro encomiabile per un ragazzo di nemmeno vent’anni! Come successivamente verrà notato, Renzetti realizzò sì un lavoro apprezzabile che riportava l’attenzione, in assenza di volumi stampati di Storia patria, le notizie essenziali per la storia lancianese. Si trattava del primo lavoro edito che riunisse in maniera succinta e abbastanza scorrevole le varie notizie sulla città, già compilate da diversi storiografi locali, come Giacomo Fella, Anton Ludovico Antinori, Pietro Pollidori, Uomobono Bocache, Antonio Maranca, Carmine de Giorgio e Domenico Romanelli. Il lavoro tuttavia risulta abbastanza sbrigativo, specialmente nella citazione delle note, alquanto approssimative, nel citare vagamente l’opera di Bocache o dell’Antinori. Su quest’ultimo c’è da dire qualcosa in più. Nel 1790 Romanelli già aveva edito dei manoscritti di Antinori riguardanti i fascicoli mss. della Istoria critica di Lanciano, presso la Biblioteca nazionale di Napoli, dal titolo Antichità storico critiche dei Frentani, e poi lo stesso parlò ampiamente di Lanciano nelle Scoverte Patrie dei Frentani, 1805-1809…ma ahimè che critiche feroci ci saranno a posteriori! A piene mani Renzetti parafrasò interi capitoli dalle memorie di Antinori, facendo il “bel riassunto”, nel trattare le vicende storiche della Città dalle remote origini, con i soliti campanilismi dell’ipotetica fondazione del 1 settembre 1180 a.C. da parte di Anxa compagno di Enea a Troia, dell’eroe frentano Osidio Oplaco, delle magnificenze dei templi romani, del ponte di Diocleziano, dei conciliaboli alla Fiera, ecc. ecc. sino alle vicende delle guerre commerciali con Ortona (qui il sentimento post-risorgimentale del Renzetti prevale al punto da giudicare Lanciano superiore a Ortona), e arrivando finalmente alle vicende del sentimento nazionale dei Lancianesi nelle rivolte francesi del 1799, nell’attacco del generale Pronio, nei movimento carbonari di Madonna, di don Floraspe Renzetti, di Fioravante Giordano, di Pasquale Maria Liberatore e altri, fino ai fatti a lui contemporanei.

 

Pianta di Lanciano, “la farfalla di pietra”, dell’ing. Nicola Maria Talli, prima metà dell’800, presso la Biblioteca comunale di Lanciano.

 

Trattoria La Volpetta lungo via del commercio, poi via Valera; nell’attuale Larghetto Gemma di Castelnuovo, dove Renzetti si recava a pranzo con gli amici.

L’antico stabilimento tipografico Carabba, all’inizio di viale Cappuccini da Largo Santa Chiara, demolito negli anni ’60.


L’opera sulla storia di Lanciano è abbastanza buona, ancora oggi è consultata da chi vuole accingersi a iniziare gli studi sulle cose di Lanciano, anche se come naturalmente è, appare datata, superata da nuove vicende ampiamente documentate ad esempio da Corrado Marciani che andò a fare le ricerche negli appositi archivi, e da altri studiosi come Domenico Priori, anche ampiamente trattò delle vicende lancianesi nei suoi tre volumi della Frentania, o ancora da Florindo Carabba, che in 2 volumi tra il 1995 e il 2000 ha esaustivamente riportato alla luce le Notizie storiche di Lanciano.

Ciò che, con buona pace del Bellini, si contesta al Nostro, è la mancanza di originalità, dettata appunto dalla forse troppo giovanile età, quando pubblicò il suo libro. Bisogna anche parlare qui dei rapporti del Renzetti che ebbe con le fonti, avendo potuto consultare anche i manoscritti del Bocache, che dal 1880 furono acquistati dal Comune e conservati nella biblioteca del Liceo ginnasio, e successivamente nella Comunale, o che per rapporti di parentela, poté accedere a Casa Maranca, e alle carte del giureconsulto Antonio Maranca (1773-1858), nipote diretto dell’arcivescovo Antonio Ludovico Antinori. Tuttavia, Renzetti non riuscì a pubblicare granché, anzi, per dirla tutta, fece delle azioni non proprio ortodosse nei confronti degli antichi manoscritti, aggiungendo note personali ai manoscritti di Bocache (da ricordare ad esempio una nota aggiunta e firmata nel 1886 circa la consuetudine di baciare il ginocchio al Mastrogiurato all’apertura della Fiera), note denunciate, senza però fare nomi in quanto il Renzetti viveva ancora, già illo tempore dal Coppa-Zuccari nell’introduzione al 1° volume dell’Invasione francese negli Abruzzi nel 1798-99, L’Aquila 1928, per non parlare delle sue aggiunte personali al manoscritti inedito del Maranca Biografia degli uomini illustri di Lanciano presso la Biblioteca provinciale di Pescara, come abbiamo potuto vedere, poiché questo manoscritto, come si legge nella pria pagina, fu donato dal Renzetti alla famiglia Brasile nel 1886, e poi per vicende alterne fu acquistato insieme al Fondo Renzetti, dall’amministrazione provinciale pescarese. Diciamo, lassismi, nomi a parte, che potevano essere evitati, ma tant’è la cultura della provincia!

Spendiamo altre parole sul Renzetti. Nella Biblioteca provinciale D’Annunzio di Pescara si conserva un manoscritto dal titolo Ricerche storico cronologiche della nobile famiglia degli Arcucci in Lanciano, compilato nel 1885 circa, con in allegato altri inserti di ricerche, come notizie estratte dal Libro di memorie di Antinori della diocesi di Lanciano sul vescovo Gaspare de Aventinis (XV sec.). Operetta a metà tra la leggenda e la commemorazione patria, poiché se da una parte abbiamo conferma di un ramo degli Arcucci napoletani che ebbero nel 1648 il feudo di Arielli e Villanova (Poggiofiorito), divenendone baroni, dall’altra abbiamo gaie leggende e invenzioni sulla figura inesistente di tal Simone da Lanciano cardinale di San Sisto a Roma nel XV sec., quando Renzetti non fa altro che confondersi con i suoi “colleghi” predecessori di storia patria circa Simon Langham inglese; oppure pretende che il poeta napoletano Giovanbattista Arcucci fosse a tutti i costi lancianese sulla base di presunti documenti oggi irrintracciabili.

Forse l’attività più congeniale al Renzetti fu quella di poeta. Scrisse e improvvisò diverse poesie nei momenti di allegria, come ricorda Federico Mola, dei pranzi alla trattoria La Volpetta di Lanciano, in compagnia di Modesto Della Porta, Vincenzo Gagliardi, Raffaele Mariani e altri buontemponi. Era la fine dell’800, periodo delle origini della canzonetta popolare abruzzese, e proprio in quegli anni da Lanciano uscirono due fresche canzonette: Li bille di Lanciane su testo di Rafaele Mariani e musica di Francesco Bellini (1860-1928), ricantata ancora oggi dal gruppo folk Lu Cantastorie, e Prime ca scì…dope ca no su testo di Cesare de Titta e musica dello stesso Bellini, zio dell’ispettore onorario Giuseppe, di cui tra poco si tratterà.

Giulio Sigismondi


Il Renzetti fece di più, come ricorda il poeta Virgilio Sigismondi, figlio del celebre don Giulio di San Vito, e ancor prima di lui un articolo di Guido Albanese nell’introduzione al libretto VII Maggiolata di Ortona, 1926. Nel 1896 in contrada Santa Liberata, Renzetti organizzò un piccolo coro di contadine che con la loro gaiezza civettuola, cantò alcune canzoni scritte da lui e dal fratello maggiore Camillo Renzetti, nato a San Vito. Purtroppo i testi non si conservano, ma alcuni versi sono stati tratteggiati dall’Albanese nella sua introduzione alle origini della canzone abruzzese. Virgilio ci racconta anche che la simpatia di “don Luiggine” per il teatro e lo spettacolo lo portò a far parte delle prima Filodrammatiche lancianesi, e ad essere il mentore di un giovanissimo Giulio Sigismondi, alle prime armi negli anni ’10 con la poesia e lo spettacolo. Luigi paternamente gli fornì dato consigli del mestiere, nell’inventare le sue prime macchiette popolari, ispirate ai fatti di tutti i giorni, che poi Giulio avrebbe perfezionato insieme al fratello Aristide, come l’Urtulane, e probabilmente anche Lu rifilatore, che nel 1921 mise in musica con Antonio Di Jorio, portando i suoi sketch da one-man show per i teatri di Lanciano e della provincia, con grande successo. Inutile soffermarsi, tornando alle origini della canzone abruzzese, sulla fama della festa del Martedì in Albis del 1888 al Convento di F.P. Michetti, con il coro diretto dal M° Vittorio Pepe che cantò la canzonetta La viulette di Bruni-Tosti. Infatti di lì a poco, Arturo De Cecco di Fara San Martino, insegnante a Pescara, nel 1911 organizzò una Rassegna di canti a Francavilla al mare, di cui resta memoria la canzone Oh, Francaville! di Merciaro-Tancredi, che verrà ripresa alla Maggiolata di Giulianova del 1928 con gli stessi versi, ma il ritornello cambiato in Oh, Giulianove!

La coppia Luigi-Camillo Renzetti partecipò a diverse rassegne degli anni ’20 con le loro canzoni. Ricordiamo per le Maggiolate ortonesi Lassàteme durmì (III Maggiolata 1922), e Se vvu minì nghe mme (VII Maggiolata 1926). Poco nota per la rarità, ma alquanto salace e direi crudele, è la canzone La sirinate di lu suspette, scritta dalla coppia per la Festa delle Canzoni per il Settembre lancianese del 1921, in cui l’innamorato tradito, augura a mo’ di canzone a dispetto, seguendo i canoni della serenata della gelosia, i peggiori mali e disgrazie alla sua ex ragazza. Luciano Flamminio ne conserva una copia con spartito che riproduciamo.



Camillo Renzetti continuerà a scrivere canzoni anche per le Feste dell’Uva di Poggiofiorito (1929-1938), e per la Sagra della canzone fasciata abruzzese nello stesso paese. Sua è Ci sta na casarelle alla IX Sagra dell’Uva (1938), con musica di Antonio Ricchiuti da Palombaro.


Concludiamo la biografia del Renzetti con un inedito di Carlo Madonna, poeta lancianese, il quale, tornando al testo sulla famiglia Arcucci, tradusse per il Renzetti in italiano, dal latino, un carme di Bernardino Rota in lode del poeta Giovanbattista Arcucci:

Vivrà, vivrà, me ‘l credi, Arcucci, il carme,

comunque osti di Lachesi la destra

Inesorata, e più l’avida sempre

Voracità del Tempo.

Spregia de’ Fati l’implacabil ira,

che mal della cieca urna? Ah, da l’estreme

assurgerà del cenere faville

superstite la Fama.

Coro a le Muse, te ridice l’antro

Äonio, e te la sacra onda disseta.

Le falde ime di Pindo aver potuto

Noi costeggiarl ne basti!



Il Renzetti dopo il suo primo successo giovanile, continuò fino alla fine, come dimostrano i suoi manoscritti conservati a Pescara,  a occuparsi di storia lancianese, pubblicando la Storia di Lanciano, seguita nel 1894 dalle Memorie di Casa Nostra, una raccolta di personaggi illustri della città Lancianese e altre situazioni non trattate nel precedente libro, e poi colla pubblicazione del libro del Santuario di Nostra Signora del Ponte ecc., dove ricostruiva tutte le vicende storiche (e ovviamente pure quelle leggendarie) della Basilica della Madonna del Ponte, delle tradizioni popolari e religiose, della Cappella musicale, e delle bellezze architettoniche e artistiche dell’edificio, sino agli ultimi restauri a fine ‘800, il nostro Renzetti si fabbricò la fama di grande custode di memorie patrie della Città. Ebbe specialmente la fortuna di accedere all’archivio Stella-Maranca, avendo tra le mani i manoscritti del già citato Antonio Maranca, come la Biografia degli uomini illustri lancianesi, anch’ess conservato a Pescara, su di cui, in una maniera che oggi farebbe discutere i filologi, apportò correzioni, cancellature e aggiunte di altri personaggi illustri lancianesi.

Eppure c’era qualcosa che lo rendeva infelice, come confidò a vari amici, testimonianze orali e anche manoscritte giunte sino a noi. Egli era un dipendente statale, faceva parte di quel ceto piccolo-borghese che si aspettava di più dalla vita, fu impiegato anche alla Sottoprefettura di Lanciano, andò a Roma, dove collaborò con il giornale “Capitan Fracassa”, dove scrivevano anche altri abruzzesi come D’Annunzio, Scarfoglio, e altri, e ivi pubblicò varie poesia, liriche dal gusto antico toscano alla Cecco Angiolieri o al Burchiello, autori di cui era assai appassionato; la sua passione per la poesia non lo abbandonerà mai, e infatti il professor Federico Mola, a che lui fine penna e “forchetta”, ricorderà gli agoni di poesia tra una spaghettata e l’altra tenuti alla trattoria La Volpetta di Lanciano, che sta in via del commercio, poi via Umberto I. Qui Renzetti si sfidava con un giovanissimo Modesto Della Porta di Guardiagrele, destinato a grandi successi nella lirica abruzzese. L’entusiasmo per la poesia e per l’arte, portò Renzetti a istituire una sorta di Filodrammatica al teatro comunale di Lanciano, e nello stilare un programma per gli spettacoli. Negli anni ’20 con la nascita dei festival della canzone abruzzese, come la Maggiolata di Ortona, nel 1922 si dette da fare per partecipare col fratello musicista Camillo alle gare dei canti. Compose varie canzoni, tra cui una “Sitinate de lu suspette”, presentata a un concorso di canzoni a Lanciano nel settembre 1921; e scrisse canzoni anche per qualche Maggiolata a Ortona….Poi, dopo aver inaugurato la stagione del Teatro Dialettale Abruzzese a Lanciano con due testi di Cesare de Titta, la tragedia! Renzetti divenne cielo, e passò gli ultimi anni della sua vita in semi-indigenza nella casa nata, dove morirà nel 1931. Chiese di essere sepolto con molta riservatezza, ancora oggi nel colombaio del cimitero comunale c’è la sua lapide, spoglia, accanto quella della sorella.


Foto senile di Renzetti, Archivio Giacomo de Crecchio

Renzetti ebbe un’altra iattura, quella di entrare in competizione con Giuseppe Maria Bellini, quasi suo coetaneo, ispettore onorario ai Monumenti d’Abruzzo nell’area di Lanciano. Ad esempio, come avremo modo di scrivere, Bellini denunciò lo stato deplorevole in cui a fine ‘800 versava il celebre monastero benedettino di San Giovanni in Venere, all’abbandono e allo sfacelo totale, e ci scrisse un opuscolo storico. Bellini e Renzetti appartenevano a quell’intelligentia che si affaticava nelle ricerche storiche, che produceva saggi e opuscoli, con le nuove case editrici, per rendere grande la gloria della propria città. Non sempre però il rigore storico era scientifico, e qualche informazione veniva falsificata. Bellini criticò l’opera del Renzetti, e si dette da fare per produrre una raccolta di Memorie Lancianesi da pubblicare in risposta all’opera giovanile, fortunata, e avvantaggiata dal “rimaneggiamento” di vari testi consultati dal Renzetti in biblioteca, che rimase manoscritta, e che dal palazzo di famiglia presso palazzo Berenga, che si trovava lungo corso Roma, demolito dopo la guerra, oggi è in archivio privato.


***

Giuseppe Maria Bellini (1860 - 1940)

Giuseppe M. Bellini, ph  Anxanum.net


Con Renzetti ebbe ad avere rivalità l’ispettore onorario ai Monumenti dell’Abruzzo Giuseppe Maria Bellini (1860-1940), di antica famiglia lancianese, fratello del celebre musicista e maestro di cappella della Cattedrale, Francesco Paolo Bellini. Quasi coetaneo del Renzetti, Bellini a sua volta visitò le carte del Bocache, e anche qui lasciò la sua traccia, un po’ qui e un po’ lì, annotando errori, o aggiungendo altre notizie a lui contemporanee su un preciso fatto accaduto, inserendo firma e data di aggiunta. Dalle carte di Antinori, Maranca e Bocache, anche il Nostro Bellini cercò di compilare una raccolta di notizie lancianese, dal titolo Effemeridi di Storia Lancianese, opera rimasta inedita, confluita nell’archivio privato Giacomo de Crecchio, quando ne entrò in possesso dagli ultimi eredi residenti nel quartiere Borgo. Qualcosa tuttavia il Bellini pubblicò, vari articoli sui giornali locali, come ad esempio I 3 Abruzzi, avviato nel 1889 presso la tip. Masciangelo, con notizie estratte principalmente dagli studi e saggi di Vincenzo Bindi, Vincenzo Balzano e Ignazio Carlo Gavini, che confluiranno poi in un volume del 1889. Ecco alcuni monumenti abruzzesi studiati dal Bellini: chiesa di Santa Maria Maggiore (solite note delle origini dal tempio di Apollo), cita il portale di Perrini (che lui dice Petrini), ricorda la Croce di Nicola da Guardiagrele del 1422 (che però sbaglia nel dire Nicola di Andrea Gallucci, seguendo gli studi di Filippo Ferrari). Nei numeri successivi parla della basilica di San Bernardino di L'Aquila, poi Santa Maria di Collemaggio, il Duomo, riaperto al culto nel 1887 da Mons. Valentini, le varie chiese aquilane, il Castello spagnolo, l'abbazia di San Clemente a Casauria, la Cattedrale di Atri, i monasteri di Santo Spirito a Majella e San Liberatore alla Majella, la Cattedrale di Teramo e le chiese più pregevoli, l'abbazia di Santa Maria del Lago, la Cattedrale di Chieti.

Altri saggi del Bellini:

Lo stemma della Città di Lanciano estr. da: Arte e storia, 15 marzo 1892

Nicola da Guardiagrele e la grande croce processionale nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Lanciano, tip. Masciangelo, Lanciano 1891

Il Marchese d’Ormea e il conclave del 1730, Teramo : tip. del Corriere abruzzese, 1892

L’Arte in Abruzzo: brevi notizie di vari monumenti abruzzesi dichiarati nazionali, Lanciano : tip. F. Tommasini, 1889

La musica sacra in Lanciano: appunti storici, tip. Masciangelo, 1904

In Abruzzo: storia, critica, e arte, Firenze : Tipografia Minori Corrigendi, 1897

Pubblicò dei discorsi commemorativi per la morte di Francesco Masciangelo e il centenario della nascita Giuseppe Palizzi, poi un discorso nel 1893 per il centocinquantesimo della morte dell’abate e storico Pietro Pollidori da Fossacesia, letto nel liceo ginnasio di Chieti

Il Castellano ed una lettera inedita dello storico D. Uomobuono Bucacchi sul rinvenimento di un'antica iscrizione, dalla rivista Arte e Storia, A. XII, n. 8

Il Bellini riprende queste brevi notizie già edite per un capitoletto dell’opuscolo Notizie sulla contrada di Santa Giusta vergine e martire in Lanciano – Brevi note sulla vita della santa e sacra novena, a cura di Vincenzo Villante, Lanciano, tip. Masciangelo 1932, citato anche in AA.VV., Fede, storia e tradizione. Santa Giusta e la sua contrada, Lanciano 2006)

 

L’articolo del Bellini sulla rivista fiorentina mostra solamente la “pura erudizione” nel citare la sua fonte, il Bocache, che attraverso il suo collega canonico Silvestro Finamore, corrispondente per suo tramite con la Reale Accademia di Belle Lettere di Napoli e il Real Museo archeologico, cercava di far conoscere al Regno le anticaglie romane di Anxanum. E qui si parla sempre della famosa iscrizione dei Decurioni rinvenuta nel ‘500, e di altri frammenti e tegole, come quello del 1791 con l’iscrizione osca indecifrata, che Bocache fece spedire a Napoli, oggi persa. Poco o nulla di interessante, o almeno di quanto non fosse stato già scritto dal Romanelli nelle sue Scoverte Patrie, vol. 1, 1805.

Elogio funebre del prof. cav. Gennaro Finamore : letto nei funerali il 10 Luglio 1923 / da Giuseppe M. Bellini

Lanciano : Stab. tip. fratelli Mancini, 1924

Il Pontificato di Mons. Antonio Ludovico Antinori in Lanciano / Giuseppe Maria Bellini

Fa parte di: Anton Ludovico Antinori e il 2. centenario della sua nascita

Notizie storiche del celebre monastero benedettino di San Giovanni in Venere e tre dissertazioni inedite di Pietro Pollidoro / Giuseppe Maria Bellini ; introduzione di Emiliano Giancristofaro, presentazione di Giovanni Di Rito

Lanciano : Rivista abruzzese, 2008

 

Anton Ludovico Antinori e il 2. centenario della sua nascita / pubblicazione della Società di storia patria negli Abruzzi

Aquila : Tip. di A. Perfilia, 1904

 

Le Notizie storiche del celebre monastero di San Giovanni in Venere sono una continuazione “ideale” dello studio di qualche anno prima edito da Vincenzo Zecca di Chieti, nel tentativo di suscitare l’attenzione del Ministero dell’Interno sulle condizioni pietose di abbandono in cui versava la celebre abbazia fossacesiana. Naturalmente la fonte principale, oltre allo Zecca, è quella del Bindi, che attinse ampiamente agli studi di Romanelli e Pollidori, pubblicandone anche 3 dissertazioni inedite. Bellini si interessò della figura dell’abate fossacesiano e nel 1887 in occasione del bicentenario della nascita, partecipò a un convegno commemorativo sulla sua vita, e dettò la lapide affissa alla chiesa del Rosario di Fossacesia. Purtroppo c’è da dire che allora, come oggi, la figura di questi due dotti uomini fossacesiani, Pollidori e Romanelli, sono ancora studiati e soprattutto le loro stramberie credute come oro colato, senza che si vada dettagliatamente a verificare la fonte di provenienza delle loro congetture. E dunque ancora oggi la storia locale è ancora “viziata” da falsi e invenzioni sfornate da questi due dotti uomini di cultura, in cui purtroppo caddero anche il Renzetti e il Bellini.