Viaggio nella provincia italiana. Vasto 1938: un equilibrio sociale perduto. Alcune considerazioni.
Esplorare il passato per interpretare il presente e programmare il futuro.
di Filippo Marino
Sfogliare le pagine ingiallite dell’Annuario generale d’Italia e dell’Impero italiano del 1938 è come fare un viaggio nel passato.
Può sembrare un gesto da semplici appassionati di storia, ma ciò che emerge da questi fogli dedicati a Vasto - la mia città, allora chiamata Istonio - ma anche in altre località, è una fotografia sociale che oggi appare sorprendentemente distante.
Vedo non una sterile elencazioni di nomi e mestieri, ma una comunità in cui il tessuto delle professioni era equilibrato, armonico, vario, identitario e profondamente radicato nel territorio.
Un mosaico di mestieri, spesso tramandati, di artigiani, contadini, commercianti e professionisti che coesistevano in un fragile ma percepibile equilibrio sociale.
La varietà dei ruoli – il fabbro, il calzolaio, il sarto, l’ortolano, il medico, il farmacista, ecc. – racconta di una società in cui ogni lavoro aveva un significato, una funzione, legata a un valore personale e a un riconoscimento collettivo.
Oggi questo panorama è radicalmente cambiato.
La scolarizzazione di massa, lo sviluppo industriale, l’urbanizzazione, la tecnologia, la digitalizzazione, la globalizzazione, sono tutti fattori che hanno portato a una trasformazione epocale della società.
Tutto è mutato. Zygmunt Bauman parla di “società liquida”.
Le professioni manuali sono state sostituite da attività tecnico-scientifiche, le campagne si sono svuotate, l’artigianato si è ridotto a nicchia.
Secondo dati ISTAT, in Italia nel 1938 circa il 50% della popolazione attiva era impiegata in agricoltura; oggi non arriva al 4%.
Le attività manifatturiere di piccola scala hanno ceduto il passo a grandi industrie e multinazionali.
Nel settore commerciale, la diffusione della grande distribuzione organizzata ha quasi azzerato il piccolo commercio di quartiere.
Penso, ad esempio, al mestiere dell’ortolano di quei tempi che era molto di più di un semplice lavoratore agricolo: era un custode di conoscenze pratiche e teoriche, acquisite e tramandate all’interno della famiglia.
La sua capacità di selezionare semi, piante, curare i raccolti, gestire le stagioni e vendere i prodotti di altissima qualità direttamente ai clienti, lo rendeva una figura centrale nel sistema locale.
Oggi la globalizzazione e le norme imposte dal mondo della grande distribuzione hanno reso questa figura economicamente insostenibile.
La qualità dei prodotti ha ceduto il passo a logiche di quantità e profitto.
I guadagni più alti per pochi sono costati la perdita di posti di lavoro, di saperi, di sapori e la scomparsa di un legame diretto tra produttore e consumatore.
Ha tenuto abbastanza il ruolo del medico che è rimasto fondamentalmente invariato nel tempo, nonostante il suo sviluppo con le specializzazioni e la sua organizzazione nelle Asl, negli ospedali e nelle cliniche, non di certo, però, per la parte burocratica.
L’Annuario del 1938 non è solo un documento storico: è uno specchio che ci interroga.
Possiamo immaginare un futuro in cui parte di quell’equilibrio venga recuperata?
È possibile conciliare il progresso tecnologico con un ritorno a forme di produzione più genuine, umane e sostenibili?
Esperienze contemporanee come i mercati a chilometro zero, le cooperative agricole e i laboratori artigiani che resistono nelle città italiane sembrano suggerire che una strada, seppur difficile, esiste.
Forse la vera lezione del passato, però, non sta nel riproporre modelli superati, ma nel riscoprire il valore umano e sociale del lavoro e il legame tra comunità, territorio e professioni.
Vasto - Istonio, San Salvo: professioni, 1938. (selezione P.Romondio)
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