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2 aprile 2025

Mappa Ortona, Lanciano, Vasto, 1926.

Mappa Ortona, Lanciano, Vasto, 1926.

Luigi Vittorio Bertarelli "Guida d'Italia" per il Touring Club Italiano, relativa all'Italia Meridionale, vol. I, edito dalla Tipografia del Cav. Carlo Sironi a Milano nel 1926, I edizione.
Litografia a colori originale d'epoca (1926) dell'Officina G.Ricordi & C. di Milano.
Misure del foglio cm. 15,5x20,5.

Vasto 1924, professioni.



coll. P.Romondio

27 marzo 2025

Storie di brigantaggio, Furci, 1864.

Storie di brigantaggio, Furci, 1864

Questa storia accaduta nel 1864 merita di essere raccontata …
Un articolo apparso su “L’Italiano - Gazzetta del Popolo”, del 18 settembre del 1864, ci introduce alla storia: “Dagli Abruzzi riceviamo sempre cattive notizie sulle condizioni del brigantaggio. … ora sentiamo che nelle terre di Furci va formandosi una comitiva piuttosto numerosa, la quale ha già dato segni non dubbii della sua natura feroce. Questa comitiva non sembra aver nelle sue file che una quindicina di malfattori i quali sono mal vestiti e pessimamente armati. Il loro capo non si conosce; ma sembra essere un ex-gendarme borbonico. Nella prima settimana del corrente mese quella bordaglia recavasi alla cascina di un tal Pasquale Di Santo. Costui viveva insieme alla nuora e non s’aspettava in quel momento una visita tanto poco gradita. La nuora chiamavasi Filomena Galese (in realtà Filomena Angela Gallese), donna di buoni costumi e educata alle nuove idee. Forse questa sarà stata la cagione che i briganti assassinarono quei due malcapitati facendone uno scempio che non vogliamo narrare, perché stanchi di registrar tali avvenimenti “. Cosa era realmente accaduto? Arriviamo alla ore 23 del 30 agosto del 1864. La casa di Pasquale Di Santo viene accerchiata dai “briganti”. Perché? Due furono le tesi: la prima, accreditata dalla forze dell’ordine, fu quella che volessero solo rapinarli (ma è davvero difficile crederlo vista la situazione economica di estrema umiltà della famiglia); la seconda, da testimonianze di “briganti” arrestati, “per spionaggio in favore della forza pubblica” o come altri dissero “perché spie piemontiste”(Le generose taglie, la speranza di veder emendate le proprie colpe o anche il semplice desiderio di vendetta alimentarono le moltissime delazioni). Sta di fatto che la resistenza di Pasquale Di Santo non ebbe successo. I “briganti” riuscirono, ben presto, ad entrare nell’abitazione. Pasquale venne subito finito a colpi di fucile. La giovane nuora venne prima brutalmente violentata e poi uccisa. Secondo alcuni riscontri delle forze dell’ordine “con successivo taglio delle orecchie per entrambi”. Come in molte vicende dell’epoca solo nomi e pochissimo altro. Oggi noi aggiungiamo qualche dato sulle due vittime: 1) Pasquale Di Santo (all’epoca sessantaduenne “contadino” era figlio di Luigi e Caterina e vedovo di Celeste Argentieri); 2) Filomena Angela Gallese (ventiduenne “contadina” era figlia di Angelo e Rosa Argentieri – aveva spostato Antonio Di Sante, di due anni più grande di lei, il 19 gennaio del 1861 – il 27 dicembre del 1862 nacque dal matrimonio una bimba a cui fu dato il nome di Celeste – quando Filomena Angela fu assassinata era probabilmente incinta).
Gli atti di morte furono ratificati dall'allora Sindaco di Furci Scipione Ciancaglini con la scritta "ucciso/uccisa dai briganti".
Va ricordato che inaudite violenze vennero perpetrate da tutte le parti in campo.
Scipione Ciancaglini, 1850, coll. Francesco Amorosi

12 marzo 2025

Vasto: Giuseppe (Peppino) Nasci

Vasto: Giuseppe (Peppino) Nasci

Maurizio Ciccarone, PALAZZO DE NARDIS-CICCARONE TRA STORIA E RICORDI DI FAMIGLIA.

Facciata di Palazzo Ciccarone, 1929.
 

PALAZZO DE NARDIS-CICCARONE TRA STORIA E RICORDI DI FAMIGLIA

di Maurizio Ciccarone

Il Palazzo “de Nardis-Ciccarone è ubicato in corso del Plebiscito 34. Il nome della strada fu cambiato dopo l'unità d'Italia, essendosi svolte in questa via, in un basso edificio non più esistente di fronte al Palazzo,  le operazioni di voto per l'annessione  del Regno delle Due Sicilie al Regno d' Italia. Il vecchio nome della strada e del quartiere adiacente era via San Giovanni, da una chiesa di tale nome, che si trovava nei paraggi, nei pressi dell’incrocio con l’attuale corso Dante, più o meno dove fino ad alcuni decenni fa, come ricordano i vastesi diversamente giovani, esisteva una farmacia che era originariamente Farmacia d’Ettorre, essendo stata stata successivamente, dopo la morte del titolare, acquistata dal dottor Leone, venuto a Vasto dal Molise e più precisamente da Guglionesi,  era  diventata Farmacia Leone. In quella zona di Vasto vi erano allora vari luoghi di culto, specialmente conventi: vi era quello di Santo Spirito, ubicato dove si trovano attualmente il Teatro Gabriele Rossetti ed il nuovo parcheggio di via Aimone, che occupa quello che era il chiostro del monastero, il convento del Carmine, dove per un certo periodo operò un liceo, istituito per interessamento dei d'Avalos e tenuto dai Padri Lucchesi; esso fu chiuso poi con la soppressione degli ordini religiosi sotto Gioacchino Murat, il monastero dei frati ospitalieri di san Giovanni da Gerusalemme, ordine dedito alla cura dei malati ed all’accoglienza di eventuale pellegrini, passato poi ai domenicani, trasformato successivamente in Palazzo dai Rulli con l’annessa chiesa, dedicata attualmente a Santa Filomena, ma chiamata dai Vastesi Genova-Rulli, il convento di Sant' Antonio di cui fu Priore un de Nardis, componente della famiglia che costruì il palazzo de Nardis-Ciccarone; egli decorò la chiesa, unica parte del monastero ancora esistente, con dei riquadri in stucco che si possono tuttora osservare; il convento annesso, fu poi trasformato ed adibito  prima a Sottoprefettura, successivamente fu sede dell'Istituto Tecnico Commerciale, tale edificio occupava il sito dove si possono ora visitare le Terme Romane. Il quartiere occupa la parte centrale dell'antica Histonium; tipicamente romano è l'impianto urbanistico  con strade ampie e diritte gli incroci ortogonali delle strade, resti di “opus reticolatum” sono visibili verso la fine di via Anelli, posta a sinistra di chi osserva la facciata del palazzo ed in varie altre parti del quartiere. Di fronte al palazzo, al di là di alcuni bassi edifici, correvano le mura  della Vasto medievale, fatte costruite da Giacomo Caldora, allineate, verso Nord, lungo la linea che va dalla torre Damante a quella di Santo Spirito ed a Sud verso il castello.

Sotto il piano stradale di corso Plebiscito, davanti al palazzo e subito al di qua delle mura, vi erano dei magazzini dove veniva conservato il frumento  ed altri generi di prima necessità,  venivano per questo chiamate fosse del grano; queste furono adibite successivamente a cantine dai proprietari dei palazzi situati all’altro lato della strada. Quando il comune costruì la rete idrica, una semplice conduttura di piombo che passava al centro della strada sopra tali fosse, il tubo sospeso nel vuoto si ruppe, allagando tali locali ed imbibendo le fondamenta del palazzo, mettendo così a repentaglio la staticità dell’edificio che dovette essere puntellato. Successivamente il Comune, condannato per i danni provocati, si  accordò per pagare le spese per i lavori necessari a riparare lo stabile dai danni provocati.

 Il palazzo venne costruito nel Settecento dai De Nardis appartenenti ad una ricca famiglia, originaria di Barete nell’Aquilano, e si era qui trasferita assieme a dei loro parenti i Trecco, essi acquistarono anche verso l’Incoronata dei terreni nella contrada che da loro prende il nome di Villa De Nardis.

  Come scrive nelle sue memorie Francesco Ciccarone, la nostra famiglia e, specificatamente Francesco Paolo Ciccarone, sicuramente non si sarebbe mossa da da Scerni, se non ve lo avessero spinto dissapori familiari con alcuni cugini e tristi fatti che insanguinarono la sua casa, quando due suoi germani Cassiodoro e Giuseppe furono uccisi dai fratelli Prassede ed egli stesso corse tale rischio. Il duplice omicidio fu eseguito su commissione dei Marchesi d’Avalos, nel fallito tentativo di impossessarsi  di alcuni documenti inerenti una causa che li vedeva contrapposti al comune di Scerni per la proprietà di alcuni terreni. Questi fratelli avevano già trucidato il notaio Boschetti di Cupello, presso la cui abitazione in un primo momento pensavano si trovasse il documento. Questo in realtà era nelle mani della nostra famiglia e venne poi consegnato al prefetto di Chieti, cosìcchè la lite, che tanti lutti aveva provocato, si chiuse felicemente per il comune di Scerni. 

  L'intenzione  di non muoversi da Scerni  è avvalorata d’altro canto dalla decisione presa poco tempo prima di tali avvenimenti, da parte Francesco Paolo Ciccarone, di acquistare lì, proprio dai d’Avalos, il palazzo-castello marchesale ancora esistente e riconoscibile da una torre angolare con un bel balcone in ferro battuto; i marenghi necessari all'acquisto, avvolti in un rotolo, erano stati rinchiusi in cassaforte da don Cassiodoro prima di andare a dormire. Sentendo poi nella notte dal piano sottostante dei rumori , egli si mosse dalla camera da letto e si trovò così di fronte uno dei Prassede, che nascosto aveva osservato dal di fuori le mosse del sacerdote, il malvivente lo freddò; dopo averlo ucciso essi si impadronirono delle monete d'oro, ma non riuscirono a trovare le carte che cercavano.

  Trasferitosi  Francesco Paolo a Vasto, non ebbero fine le persecuzioni da parte dei  Prassede, che più volte cercarono di aggredirlo, una volta addirittura a Roma, dove uno di essi lo aveva seguito. Due dei fratelli furono alla fine arrestati e giustiziati a Chieti, dove erano stati rinchiusi: I parenti degli uccisi furono invitati all'esecuzione; al contrario della vedova del Boschetti che seguì il triste spettacolo da una finestra, il nostro trisavolo non volle andarvi.

  L'ultimo dei fratelli Prassede fu ucciso dal superstite fratello, Francesco Paolo che, informato del fatto che l'assassino si aggirava a Vasto nella zona di Santa Lucia, allora piena campagna, vi si avviò, accompagnato da  Isidoro Barbarotta, esimio cacciatore. Arrivarono verso il luogo dove l’assassino era stato avvistato, e si appostarono a poca distanza l'uno dall'altro. Avvistarono il Prassede, nascosto con la sua arma dietro un albero; partirono, quasi simultaneamente tre colpi, due dei quali andarono a segno, uccidendo l'assassino.

  Si stabilì quindi a Vasto, lasciando affidata la cura dei propri interessi a Scerni al fratello superstite Antonio Maria; Francesco Paolo, che aveva nel frattempo sposato Michelina Volpe di Calascio, prese casa dapprima a Palazzo d’Avalos nel mezzanino sopra l’attuale museo, occupato fino ad alcuni decenni fa dai Di Michele, successivamente vicino a piazza Caprioli al Palazzo Celano poi Pantini, successivamente a palazzo Barbarotta nell'omonima via. Vissero per un certo periodo anche in via Vittorio Veneto in un edificio all’angolo con via Giulia,  dove nel 1821 venne alla luce il primo Ciccarone nato a Vasto, mio bisnonno Silvio. Questa casa venne poi ceduta da nonno Francesco che vendette in seguito anche alcuni terreni lì intorno, lungo via delle Croci.

 Finalmente nel 1823 fu acquistata gran parte della casa in via Plebiscito da Antonia de Nardis, ultima componente di tale famiglia; l'edificio era allora molto diverso da come si presenta attualmente, il secondo piano era molto più basso; come ancora si può vedere in via San Francesco, non sopravanzava la linea di grondaia ancora visibile al di sopra della chiesa di San Teodoro; osservando attentamente la parete si scorge come accanto alle finestre del secondo piano il muro sia stato scalpellato per buttar giù la vecchia grondaia e sopraelevare il secondo piano; guardando da una certa distanza la facciata si può poi osservare come sopra la parte centrale ci sia un soppalco fatto eseguire da Francesco Paolo Ciccarone per costruire un grande salone con una volta molto più alta di quella delle altre camere. Tali lavori furono realizzati una ventina di anni dopo l’acquisto e furono completati con la sostituzione della scalinata, precedentemente più semplice e posta vicino al portone d’ingresso, con quella attuale più imponente e scenografica; tale modifica portò alla necessità di realizzare delle scale al di là dei portoncini di ingresso del primo piano ed il sacrificio degli stucchi che decoravano le volte. Tali lavori dovevano conferire all’edificio un aspetto di solennità che fosse un segno tangibile della posizione economico-sociale raggiunta dalla famiglia.

  Francesco Paolo ospitò lì per vari anni il nipote Pompeo Conti Ciccarone, futuro sindaco di Vasto, rimasto orfano della madre Giustina Felicia, morta di parto, e del padre, un Conti originario di Carunchio; egli si addottorò all’Aquila e svolse poi la professione di avvocato.

  Nonno Francesco nelle sue memorie racconta  come, prima di tali lavori, quasi tutta la parte che occupa attualmente il secondo piano erano veri e propri soffitti, adibiti addirittura a pollaio e deposito di cose vecchie ed ingombranti, salvo una piccola parte dove esisteva anche una stanza, adibita attualmente a biblioteca, che costituiva la camera da letto dell'arcidiacono de Nardis. Si racconta che, nella notte che precedette la sua morte, queste camere, dove egli era rimasto solo, venissero svaligiate da alcuni vicini di casa che riuscirono a penetrare dai tetti.

 Francesco Paolo Ciccarone, noto carbonaro, che aveva partecipato anche agli ordini di Ettore Carafa, alla difesa della Repubblica Partenopea alla fortezza di Pescara, per le sue risapute idee liberali era tenuto d’occhio dalla Polizia borbonica che più volte visitò, in seguito alla delazione di personale di servizio, il Palazzo alla ricerca di documenti compromettenti, ivi custoditi,  che fortunatamente non furono mai ritrovati. Egli partecipava alle riunione segrete che si tenevano nella rivendita, come venivano chiamate le sedi  carbonare, che a Vasto era  ubicata nei vicoli di Santa Maria, alla presenza degli affiliati di Vasto e dintorni. Egli era stato anche condannato al confinio all’isola di Lipari, da cui lo salvò l’amnistia con cui Ferdinando II volle iniziare il proprio regno dopo la morte di Francesco I.

 La casa divenne in seguito con il figlio Silvio, iscritto alla Giovane Italia, una delle sedi dei convegni segreti dei patrioti della Provincia; di lì si mossero quei Vastesi che, alla notizia che Garibaldi si avviava a grandi passi verso Napoli, superando le esitazioni e le paure che frenavano i liberali degli altri centri della regione che non ritenevano  prudente muoversi, prima che la situazione non si fosse stabilizzata. Giunti alla sede della sottoprefettura essi la occuparono, abbatterono le insegne borboniche e chiamarono da Paglieta a dirigere la sottoprefettura Decoroso Sigismondi. Vasto fu cosi la prima città abruzzese ad insorgere nel nome di Vittorio Emanuele II e Garibaldi, Silvio Ciccarone venne nominato prodittatore, come venivano chiamati i rappresentanti di Garibaldi nei governi provvisori locali.

 Fu allora, con l’unità d’Italia che il Palazzo assunse a sede di molti dei più importanti avvenimenti della storia cittadina, accogliendo personalità protagoniste della politica nazionale. Tra i primi ci fu il marchese diVillamarina, plenipotenziario di Vittorio Emanuele II  per il Regno di Napoli, dove, nel Palazzo Reale rimase, per controllare la situazione durante i primi tempi dopo l’annessione, mantenendo i rapporti con Cavour e dirigendo la  vita politico-amministrativa nelle regioni occupate. Dovendo tornare a Napoli; dopo un abboccamento con il Re il Villamarina passò per Vasto, dove fu accolto in casa dalla mia bisnonna Maria Cardone e dalle sue cognate, essendo il marito assente, impegnato come maggiore della Guardia Nazionale negli scontri con le bande di briganti che, finanziate ed aiutate dai Borboni e da Pio IX infestavano, taglieggiando, compiendo stragi  e provocando disordini il Vastese, come tutto il Meridione. Nell’archivio di famiglia c’è una lettera di nonna Maria che racconta, in una lettera al marito, delle calorose accoglienze riservate all’illustre ospite e, di come il Villamarina, acclamato a gran voce dal pubblico raccolto davanti casa, si mostrò ad esso dal balcone sopra il portone per parlare alla folla lì raccolta; molti dei presenti portavano sui cappelli  la scritta SI, che era il simbolo che bisognava votare da parte di coloro che erano favorevoli all’annessione al Regno d’Italia. In quel periodo la casa divenne un importante punto d’incontro; vennero ospiti il generale Alfonso Lamarmora, comandante in più occasioni dell’esercito piemontese e presidente del consiglio prima del Regno di Sardegna e successivamente del Regno d’Italia, Ruggero Bonghi, parente della padrona di casa Maria Cardone, scrittore, giornalista e politico, autore della più conosciuta traduzione delle opere di Platone, professore universitario di Storia, Latino, Greco e di filosofia e futuro ministro della Pubblica Istruzione. La presenza più assidua comunque, fu senz’altro quella di Silvio Spaventa, amico fraterno di Silvio Ciccarone e venerato dal figlio Francesco  e da tutti i familiari. Sono raccolte nell’archivio di famiglia, e sono state più volte pubblicate, le numerose lettere che i due Silvi si scambiarono lungo un lungo arco di tempo, lettere nelle quali si parla, oltre che dei problemi politici di quel tempo, sia locali che nazionali, anche di tutti quegli argomenti di cui due amici comunemente discutono, come malanni,  preoccupazioni e vicende familiari.   Non essendo ancora a quel tempo i partiti organizzati con sedi ed organigrammi, le riunioni politiche si svolgevano nelle case dei personaggi più autorevoli, nel caso di Vasto e del vastese in casa nostra, dove i liberali locali erano orgogliosi fare la conoscenza e di  un personaggio del calibro di Silvio Spaventa per far posto al quale mio bisnonno aveva rinunciato a candidarsi di persona. 

Silvio Ciccarone

Maurizio Ciccarone, LUIGI NASCI.


LUIGI NASCI
di Maurizio Ciccarone

Luigi Nasci nacque a Vasto il 31 Marzo 1854 da Carlo, fervido patriota e Tenente della guardia nazionale nel 1860, e Maria Antonia Cardone, figlia del Barone Luigi Cardone, energico combattente delle battaglie contro i Borbone nella fortezza di Pescara nel 1799 e ad Antrodoco contro gli Austriaci nel 1821 a capo delle milizie vastesi. Primo di cinque figli egli ebbe quattro sorelle: Anna che sposerà Alfonso Spataro, da loro nascerà Giuseppe Spataro, Ernestina che sposerà Tommaso Berardi di Ortona, Beniamina che sposera Beniamino dei conti Mayo e Rosa che, sposata con Alfonso Cauli, andò ad abitare in un bel palazzetto, rimasto intatto, a Policorvo una frazione di Carpineto Sinello, in aperta campagna, dove per vari mesi era difficile andare e venire; qui stremata dalle gravidanze ed isolata da parenti ed amici, morì quasi pazza; sorte non migliore fu quella del marito, che messosi in affari, fondò una società elettrica Zecca-Cauli&C. con Odoardo Zecca ed Angelo Biondi; in tale società entrarono successivamente altri soci tra cui i De Cecco; la Zecca Cauli &C., costruì a Fara San Martino varie centrali elettriche in corrispondenza di alcuni salti del fiume Verde poi altre centrali in altri comuni, alcune delle quali tuttora esistenti, fu anche incoraggiato in tale attività dall’onorevole Francesco Ciccarone e dal cugino Emilio Giampietro. Essendo successivamente venuto in causa con il socio ed essendosi purtroppo il processo risolto a suo sfavore, fu costretto a rivendere parte del suo ingente patrimonio. Morì a Roma. Un giorno passeggiando e rimuginando, come continuamente faceva, sulle sue disavventure finanziarie, non si accorse dell’arrivo di un tram che lo investì.


La famiglia Nasci, di origine calabrese e più precisamente, il nonno Giuseppe, ingegnere, essendo stato incaricato dal governo di redigere il catasto di Vasto, si era qui trasferita dalla Calabria durante il periodo murattiano, prendendo residenza in un’abitazione posta tra via Lago e corso Dante. In seguito, attratto dalla bellezza del luogo e dalla dolcezza del clima, egli decideva di stabilirvisi. Era allora Vasto un centro attrattivo, contava in quel periodo e, più precisamente nel 1809, 7.859 abitanti, continuerà a crescere fino a raggiungere quasi 12.000 al momento dell’annessione nel 1861. Già da più di due secoli famiglie milanesi, veneziane e genovesi, si erano qui trasferiti praticando il commercio, mettendo su attività artigiane, come cristallerie, coltellerie e stamperie. Alcune di queste attività assursero a grande vivacità, specialmente per quanto riguarda il commercio; da Vasto partivano navi che trasportavano olio, grano, vino ed il pregiato aceto bianco di Vasto che, arrivato a Venezia, veniva di lì trasportato a Vienna ed a tutto il Nord-europa; per quanto riguarda la fabbricazione di coltellerie e lame, queste attività si andarono via via concentrando verso Campobasso e soprattutto a Frosolone, dove tale attività continua tuttora. I figli di tali famiglie si uniranno in matrimonio con persone del luogo, finendo così col confondersi con la popolazione locale e vastesizzandosi. Col passare del tempo, giungeranno anche famiglie abruzzesi e del contiguo Molise come i Rulli provenienti da Monteroduni ed i de Benedictis originari di Guglionesi per quanto riguarda il Molise, poi i Ciccarone di Scerni, i Cardone di Atessa, i d’Ettorre di Chieti, i baroni Anelli di Salle e sempre del Pescarese i de Pompeys, originari di Torre dei Passeri, poi i Trecco ed i De Nardis di Barete nell’Aquilano, i Pantini di Bergamo, venuti a Vasto per il restauro del campanile di San Giuseppe (non so se allora ancora dedicata a Sant’Agostino) ed addirittura, provenienti dalla Svezia i Cordella, qui giunti, come ingegneri della ferrovia, quando tale importante infrastruttura arrivò qui da noi; essi italianizzeranno poi il cognome Cordell in Cordella.


La storia completa del TOSON D'ORO.

La storia completa del TOSON D'ORO
di Giuseppe Catania


TOSON D'ORO
Ordine cavalleresco dinastico (o di collana)

II "Tosone d'Oro", ordine cavalleresco dinastico (o di collana), venne fondato,nel 1429 da Filippo II il Buono, Duca di Borgogna, in occasione delle sue nozze con l'Infanta Isabella di Portogallo. Nel 1431 il Duca ne stabili l'ordinamento ed il numero dei Cavalieri che vi potevano accedere,solo 31, quale ricompensa della fedeltà dei vassalli alla corte di Borgogna. Per il suo carattere fastoso l'Ordine del "Toson d'Oro" divenne uno dei più importanti d'Europa.
I cavalieri che ne venivano investiti, indossavano il mantello e tocco rosso e l'insegna che consisteva in un collare d'oro da cui pendeva il "vello" in oro smaltato (a ricordo dell'impresa degli Argonauti). Dalla Corte di Borgogna,dopo
l'abdicazione di Carlo V, al conferimento dell'Ordine del "Toson d'Oro" successero gli Asburgo di Spagna fino all'avvento al trono di Filippo V di Borbone (1701), che determinò la sdoppiamento dell'Ordine che venne distribuito sia dai re di Spagna che dagli Asburgo della Casa Imperiale d'Austria. L'Ordine del "Toson d'Oro" tenne il suo ultimo capitolo, per la verifica delle regole di vita e di comportamento, nel 1555 a Bruges. La consegna del "Toson d'Oro" da parte di Cesare Michelangelo D'Avalos a Fabrizio Colonna, avvenne quale riconoscimento dei servigi che la famiglia romana rese alla corte di Napoli. Fabrizio Colonna era Gran Contestabile del Regno, nipote del Cardinale Carlo. La cerimonia avvenne, con grande sfarzo alle ore 12 di domenica 24 ottobre 1723, e la festa durò fino al 2 novembre.


LABORIOSI PREPARATIVI DELLA SFARZOSA CERIMONIA
I preparativi della sfarzosa cerimonia della consegna del “Toson d'Oro” al Principe Colonna, richiamarono a Vasto una grande nobiltà. Già con dispaccio del 23 novembre 1722 il Marchese Cesare Michelangelo D'Avalos era stato informato che il Re Carlo VI d'Asburgo lo aveva designato e delegato per conferire la collana del "Toson d'Oro" al principe Fabrizio Colonna. Durante il mese precedente al 23 novembre 1723 cominciarono a giungere nel Vasto i primi notabili. II 14 ottobre arrivò il Vescovo di Trivento Mariconda, scortato da quattro staffieri in abbigliamenti sfarzosi. Il 19 ottobre venne Grazio Guidotti,Capitano della Grascia (addetto ai rifornimenti viveri) con due funzionari annonari. Poi giunse anche il Cavallerizzo Maggiore del principe Colonna, Filippo Maffei, per comunicare che il nobile romano era giunto al feudo di Atessa, insieme alla moglie Principessa Caterina Salviati, con il suo seguito. Il 20 ottobre arrivò il Marchese Castiglioni, Segretario del Re, mentre il Marchese del Vasto inviò il suo segretario, Don Felice da Cune, ad Atessa per comunicare al Connestabile i preparativi. Il 22 ottobre giunsero il Barone Lassano, il Marchese di Villa Major figlio del preside di Chieti, ed il Vescovo di Isernia Leone. Il 23 ottobre Guglielmo Amblingh, Barone di S.Ancino, con un seguito di 370 uomini di truppa, incontrò in una tenuta di San Berardino, presso Scemi,il corteo del Principe Colonna che era giunto alle ore 9.30. Qui, infatti, il Marchese Cesare Michelangelo D'Avalos, perché “amava la caccia, fece riserbare vari suoi boschi per questo divertimento, alcuni dei quali cinse di mura, ed adornò di stradoni e di casini. Uno de' più deliziosi era d'appresso al suo feudo di Scerni a 6 miglia distante dal Vasto che aveva in mezzo un diritto e vago stradone per tre miglia”. Qui, in mezzo ai padiglioni turcheschi ricchi di bordure d'oro, incontrò con gran gala il Connestabile Colonna allorché venne nel Vasto per ricevere da lui, secondo l'ordine dell'Imperatore, il Toson d'Oro. (Domenico Romanelli - SCOVERTE PATRIE- Tomo I, pagg.296-98-Napoli MDCCCV). Il Marchese D'Avalos era accompagnato dalla Moglie, Ippolita D'Avalos figlia di Giovanni di Troia. Entrambi viaggiavano su di una "stoffiglia a specchi" con traino a sei, scortata da quattro paggi a cavallo con portamantelli di velluto cremisi trinati d'oro. Seguivano a Cavallo i Baroni d'Abruzzo e di Puglia Capitanata, mentre su di una carrozza trainata da sei cavalli erano il Conte di Villamuriel e il Marchese di Villa Major, cavalieri di Camerata del Marchese.
Su tre carrozze viaggiavano le damigelle della Marchesa con alcuni gentiluomini, mentre un gran numero di nobili e titolati del Vasto a cavallo chiudevano il corteo che era annunziato da due Alfieri, due Trombe, quattro staffieri a piedi e 12 a cavallo in livrea, un Gentiluomo di Camera e un gran numero di lacchè. Il seguito del Connestabile Colonna era costituito dai cavalieri di Camerata Marchese Maccheroni e Barone Mantica, dal Maestro di Camera Cavaliere della Chiaia; dal Maestro di Camera della Principessa,Cavaliere Pieri; dal Cavallerizzo del Cardinale Carlo Colonna, Conte Scotti, dal Cavallerizzo del Principe Colonna, Don Filippo Maffei; dal Gentiluomo Don Francesco Montani di Spoleto; da due damigelle e due paggi della Principessa; due avvocati; il medico e il cameriere personale; due corni da caccia; otto staffieri e quattro famigli con tre calessi, due lettighe e dodici muli per il trasporto dei bagagli. A pochi metri dal padiglione centrale, preannunziato dal suono dei corni, in località San Berardino, comparve il principe Colonna che subito abbracciò il Marchese del Vasto,dopo che furono entrambi smontati da cavallo. Eguale caloroso saluto si rivolsero le consorti dei due principi. Nella grandissima tenda, dove venne ricomposta la scena della vittoriosa battaglia di Pavia,con gli stessi trofei conquistati all'Imperatore Francesco I, vennero serviti "frutti agghiacciati, sorbetti, cioccolata et altri confettioni,vino di diversi paesi lontani, a soddisfatione di tutti, sì quelli che accompagnavano il Sig. Connestabile,come di q.lli di S.A." Dopo il rinfresco i due cortei, i cui cavalli erano 186, giunsero in vista della città del Vasto, e subito, dall'Aragona, vennero sparate "replicate salve di mortaletti, codette e cannoni."
A Porta Castello, dove erano in evidenza i guiderdoni dell'Imperatore, del Connestabile e del Marchese del Vasto, e nel corpo di guardia 8 ufficiali di città, vennero consegnate al Principe Colonna, dal Mastrogiurato Giulio Anelli Barone di Brittoli e Carpineto, le chiavi della Città del Vasto,mentre il sindaco Dionisio Piccirilli pronunciava un'orazione di saluto. A piedi,con la scorta di quattro compagnie di soldati che inneggiavano ed esplodevano salve di archibugi, lungo la "Corsea" si giunse al Palazzo del Marchese del Vasto. Saliti ai piani superiori a ricevere gli ospiti erano i Vescovi di Isernia e Trivento, mentre fuori echeggiavano le salve di quindici colpi di cannone. Seguiva un'accademia musicale con l'intervento di tutti i Capitoli religiosi secolari e regolari, nonché di cavalieri venuti da altre località a riverire i principi. La cena venne servita nel piano riservato alla Marchesa del Vasto ed in ultimo venne versato un "prelibato vino Tokaj”.

LA CERIMONIA DI CONSEGNA DEL "TOSON D'ORO"
 Gran fermento a Palazzo d'Avalos la mattina del 24 ottobre 1723. Il Principe Colonna attendeva nelle sue stanze, dove alle ore 10,30 venne a "bussare il Marchese Castiglioni che prelevò il candidato e, tra uno stuolo di cortigiani, lo condusse all'anticamera delle Udienze. Il Marchese D'Avalos qui stava seduto in trono in abito da cerimonia recando le insegne imperiali. Fece cenno di introdurre il Principe Colonna. Allora il Segretario Regio , Giovan Battista Cantiglioni, lesse in latino il diploma del Re di Spagna con il quale si incaricava il Marchese D'Avalos di conferire al Gran Connestabile del Regno l'Ordine del Toson d'Oro.
 Il Principe Patrizio Colonna, dopo aver dichiarato obbedienza alle regole ed allo Statuto dell 'Ordine, prestò il giuramento di rito. Fece allora ingresso nell'aula il Conte di Villamuriel che prese la spada d'onore e la porse al Marchese D'Avalos per ordinare Cavaliere l'insignito dell'ordine del Toson d'Oro. Il Principe Colonna, restando in ginocchio giurò sul proprio onore e ricevette la collana d'oro dal Marchese D’Avalos. Entrambi si abbracciarono scambiandosi complimenti reciproci e, scortati dal Segretario Regio, raggiunsero le dame, i cavalieri e la nobiltà in sosta nelle sale attigue. Poi, nella sala di San Pietro, nel cui altare era un quadro di S.Andrea, protettore dell'Ordine del Toson d'Oro, all'ingresso del corteo venne intonato il Te Deum dal Capitolo di S. Maria Maggiore presieduto dal Vescovo di Trivento in abiti pontificali. Fuori, intanto, rintoccavano le campane di tutte le chiese ed echeggiavano le salve dell'artiglieria del Castello e delle archibugiate della truppa radunata nelle piazze. Venne Celebrata una Messa breve a conclusione della quale venne distribuito cibo di ogni sorta al popolo e due fontane artificiali antistanti il Palazzo D'Avalos per molte ore versarono vino bianco e rosso.

VINCOLI DI PARENTELA TRA I D'AVALOS E I COLONNA 
Solenne e sfarzosa fu la cerimonia di consegna del "Toson d'Oro" da parte del Marchese del Vasto, Cesare Michelangelo D’Avalos per incarico ricevuto dall'Imperatore Carlo VI, al Principe Fabrizio Colonna,Gran Connestabile onorario del Regno di Napoli, nipote del Cardinale Carlo Colonna, eminente componente del Sacro Collegio. Il Marchese del Vasto,Don Cesare Michelangelo,si fregiava, per successione delle insegne dell'ordine del Toson d'Oro e vantava vincoli di parentela con la potente storica famiglia romana dei Colonna. Infatti, già nel 1527, il valoroso generale Fabrizio Colonna, avo di questo, insieme al fratello Prospero, passava dalla parte del re di Napoli Ferdinando II; per rinsaldare l'atto di riconciliazione col re aragonese,concesse in sposa la figlia Vittoria,donna di cultura,famosa poetessa e gloria d'Italia, a Ferdinando Francesco D'Avalos, figlio di Alfonso, Marchese di Pescara. Questi si era distinto nella difesa contro i francesi di Carlo VIII e,nel 1525 fece prigioniero il re Francesco I a Pavia meritandosi il titolo di "Achille dell'Armata Cesarea". Nel 1536 Alfonso D'Avalos successe a Ferdinando Francesco, col titolo di Marchese di Pescara e II Marchese del Vasto,Gran Camerario del Regno, Principe di Monteodorisio e Cavaliere del 'Toson d'Oro", Generale della Fanteria Imperiale di Carlo V. Nel 1538 si trovò impegnato nello scontro navale con gli ammiragli di Francia, Filippo e Andrea Doria venuti in soccorso all'armata del generale Lautrec accampata sotto Napoli. Alfonso D'Avalos venne fatto prigioniero insieme ad Ascanio e Camillo Colonna e furono poi riscattati con ingente somma di denaro. Alfonso, con la moglie Maria, e Ascanio Colonna, con la moglie Giovanna d'Aragona, entrambe le donne nipoti del re Ferdinando, parteciparono alle nozze di Alessandro dei Medici duca di Firenze, sposo a Margherita d'Austria. Indubbiamente,Carlo VI, nel conferire l'incarico al Marchese Don Cesare Michelangelo D'Avalos del Vasto di consegnare al Principe Fabrizio Colonna,le insegne dell'Ordine del “Toson d'Oro”,volle, non solo riconoscere la fedeltà dei due esponenti delle nobili famiglie che annoveravano valorosi condottieri,bensì anche riconfermare la sua autorità imperiale nei confronti dei suoi sudditi.

TRA BATTUTE DI CACCIA E FESTEGGIAMENTI A VASTO IL SOGGIORNO DEL PRINCIPE COLONNA
Sfarzo e magnificenza caratterizzarono il soggiorno del principe Patrizio Colonna, ospite del Marchese Cesare Michelangelo d'Avalos, il cui palazzo era ogni sera illuminato da centinaia di torce di cera fino al consumo. Fuori la gente era deliziata da festeggiamenti ed attrazioni, tra cui l'albero della cuccagna, canti e vino a volontà, con fuochi di artificio. Il 25 ottobre il cattivo tempo costrinse tutti a stare dentro il Palazzo. La mattina venne così impiegata nello scambio di doni fra la principessa Colonna e la marchesa D'Avalos. Nel pomeriggio con le carrozze si andò a visitare il Palazzo della Penna dóve vennero donati 8 cavalli al Connestabile Colonna il quale a sua volta contraccambiò donando al Cavallerizzo del marchese del Vasto un anello di diamanti con due rubini e al maestro di stalla 10 doppie. Venne compiuta una visita alla villa del Marchese in località Frutteto e poi al ritorno, dal balcone del Palazzo a Vasto, tutti si affacciarono per assistere allo spettacolo pirotecnico; poi scesero a teatro per la rappresentazione de "II trionfo di Bacco" in dialetto napoletano. L'indomani, sotto una pioggerella leggera ma insistente,ci si avviò all'imbarco alla Marina su di un brigantino a 36 remi, ma, a causa del vento impetuoso,venne stabilito di effettuare il viaggio per raggiungere la tenuta della Bufalara e partecipare ad una battuta di caccia. La nobile comitiva prese posto su cinque mute a sei, due lettighe e 12 calessi. Seguivano altri cittadini e invitati su quaranta carrozze e 400 cavalli. Le dame,i prelati e i quattro Cavalieri di Camerata giunti alla Bufalara,presero posto su di una grande carrozza per assistere alla battuta di caccia che però non fu propizia: a causa delle avverse condizioni atmosferiche la selvaggina fu costretta a rifugiarsi nel bosco fitto, a Montebello. Solo vennero presi 10 caprioli, 3 cinghiali, una lepre e due volpi. Fu allestito il padiglione per il pranzo su 60 tavole per il seguito regale, mentre gli altri,in numero di circa 527 tra cacciatori e gente accorsa,si accamparono nei pressi. Il Connestabile regalò al Marchese un fucile con canna spagnuola; al marchese di Castiglione un cavallo riccamente bardato. Ma in seguito una improvvisa pioggia torrenziale sconvolse la comitiva e guastò i costumi e le acconciature. Il maltempo durò anche la giornata del 27 ottobre cosicché vennero scambiati doni. La mattina del giorno 28 ancora convenevoli e donativi tra gli ospiti di palazzo D'Avalos e, nel pomeriggio in visita al palazzo di Santa Lucia dove la sera in quel teatro venne rappresentata la famosa Tragedia "Merope" di Scipione Maffei. Il giorno successivo il Connestabile Colonna si recò al giardino marchesale di Villa Canale e poi al Palazzo della Penna. Nel pomeriggio si recò a far visita ai frati osservanti del convento di S.Onofrio. A sera tutti parteciparono ad una accademia teologica e politica tra recite di componimenti classici. La notte venne, purtroppo, guastata da un furto sacrilego nella chiesa di Santa Maria Maggiore, ad opera di ignoti ladri a danno dei prelati Don Francesco Spadaro e Don Diego Persichetti i quali perdettero alcuni effetti personali, e della chiesa:il "bottino fu di 100 ducati. Il 30 ottobre, nonostante il freddo,verso mezzogiorno il principe Colonna e la consorte si recarono nuovamente a Palazzo della Penna e poi, nel pomeriggio a San Lorenzo nella villa marchesale. Il 31 ottobre il corteo regale si mosse per una nuova battuta di caccia, passando per il giardinetto. Prima di sera i due Principi con le rispettive consorti, su di una berlina con seguito di 4 carrozze si recarono a visitare il convento delle monache di Santa Chiara. Nei pressi del carcere,in via Santa Maria Maggiore,vennero liberati 27 detenuti per reati penali (gli altri detenuti per reati civili erano stati scarcerati il giorno 24 ottobre). Il giorno 1° novembre, dopo aver ascoltato la Messa nella chiesa di San Francesco di Paola, altra battuta di caccia nella tenuta marchesale di San Berardino di Scerni,con scambio di doni. Per il giorno della partenza dei principi Colonna giunsero il 2 novembre due brigantini per imbarcare gli illustri ospiti e condurli fino a San Vito. Ma il mare in tempesta non consenti l'attracco. Via terra,salutati da ripetute scariche di cannoni, accompagnato per lungo tratto dal Marchese d'Avalos col seguito, il Connestabile si diresse alla volta di Roma,traghettando sul Sangro,toccando poi Lanciano per visitare la chiesa della Madonna del Ponte e il Miracolo Eucaristico. Sostò un giorno per visitare le reliquie custodite nella chiesa degli Agostiniani e il Monastero delle monache. A Francavilla al Mare le insegne del Marchese D'Avalos salutarono quelle del Principe Colonna la cui visita ebbe numerosi ed attenti cronisti quali,in particolare Orazio Guidotti, Capitano della Grascia degli Abruzzi, funzionario addetto al vettovagliamento, che annotò scrupolosamente i dettagli della visita e della sosta a Vasto del Connestabile Fabrizio Colonna.

10 marzo 2025

Il Toson d’Oro o Il Fiore dei Tesori (Trismosin Salomon).


Lo Splender Solis di Salomon Trismosin è uno dei più celebri trattati della letteratura ermetica, sia per il prestigio dell'autore, ritenuto, come precìsa la stampa dell'Aureum Vellus (Rorschach, 1598), precettore di Paracelso, sia per le 22 splendide illustrazioni famose nell'iconologia alchemica per il loro simbolismo e per il loro valore artistico. L'opera figura negli schedari delle biblioteche europee anche sotto il titolo La Toyson d'Or ou La Fleur des Thresors, pubblicato a Parigi nel 1612, titolo che differisce da quello dei manoscritti tedeschi in quanto riprende quello di tutta la raccolta (Aureum Vellus) in cui figura lo Splender Solis.

La serie di immagini che accompagna il testo del Trismosin, spesso adoperate come illustrazioni e frontespizi dì testi ermetici, è una delle più preziose dell'Europa Occidentale. Si può supporre che all'origine questo trattato, come altri testi alchemìci, fosse composto da sole immagini, che per il loro numero, 21 + 1, potrebbero essere avvicinate e confrontate con quelle di Abramo l'ebreo descritte da Fla-mel, e con i 22 arcani maggiori del Libro di Toth (Tarocchi).

Anna Maria Partini, dopo un ampio studio introduttivo che precisa le caratteristiche alchemiche dell'opera inquadrandola nel suo tempo e annotandola con ampi riferimenti storico-critici, tenta di chiarire il motivo per cui il traduttore francese abbia mutato il titolo da Splender Solis in La Toyson d'Or, ed evidenzia i collegamenti tra il mito di Gìasone e l'Alchimia, penetrando altresì il simbolismo velato nei colori e negli emblemi dell'Ordine cavalieresco del Toson d'Oro, estendendo l'indagine a quegli alchimisti (Mennens, Creiling, Fictuld, Canseliet, ecc.) che hanno posto in risalto il carattere ermetico dell'Ordine borgognone.