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25 marzo 2025

Leonzio Compassino da Penne e i pittori Giovanni e Francesco Ragazzini in Abruzzo - Pittura manierista abruzzese.

Leonzio Compassino, Martirio di Santa Rufina, chiesa di San Giovanni Battista, Castelli 

Leonzio Compassino da Penne e i pittori Giovanni e Francesco Ragazzini in Abruzzo - Pittura manierista abruzzese.

di Angelo Iocco

Da uno studio di Marco Vaccaro dal titolo Oltre la ceramica: pittura a Castelli tra XVII e XVIII secolo, 2021, Castelli. Quaderno del Museo delle ceramiche - n. 10, ci siamo interessati di questi pittori poco conosciuti, attivi tra Marche e Abruzzo. Di Leonzio Compassino da Penne, vissuto tra la seconda metà del ‘500 e la prima del ‘600, attivo almeno fino al 1620, ebbe tra i primi recensori il prof. Francesco Verlengia, che in una delle schede per la Soprintendenza ai Beni Architettonici e Artistici d’Abruzzo per la provincia di Chieti, nel 1935, riportava con una cattiva lettura il nome di “Teonzio Compassino” come autore di un celebre e antico quadro nella chiesa parrocchiale dell’Immacolata Concezione a San Vito Chietino. La tela è firmata, attraverso dei restauri si è meglio compresa la lettera iniziale. Tale quadro faceva parte dell’antica chiesetta di San Vito martire, che affiancava il torrione circolare con la porta di accesso all’antico paese, provenendo dalla strada grande oggi corso Matteotti.

Essa dunque affacciava sulla piazza Garibaldi, incassata tra la fortificazione del castello e altre abitazioni, come è stato studiato nel lavoro di Vito Sbrocchi La Regia Chiesa parrocchiale di San Vito, Rivista abruzzese, 1997, e andò completamente demolita poco prima del 1850, nonostante dei progetti di ammodernamento e recupero, affinché fosse costruita la nuova chiesa oltre il perimetro murario. Il quadro del Compassino illustra al centro San Vito nelle vesti di martire, con i cani al guinzaglio, simbolo del martirio, tra San Modesto di Lucania e San Crescenzo, martirizzati tutti e tre sotto Diocleziano[1].

Filippo Sargiacomo, progetto di ampliamento della chiesa madre di San Vito Chietino, Archivio storico comunale di Lanciano, Fondo Sargiacomo.


La raffigurazione è scenografica, abbiamo sullo sfondo un edificio caratterizzato al centro da un monumentale arco in marmo a tutto sesto, e accanto rispettivamente a destra e sinistra, un ordine di colonne a capitello dorico. Il dipinto dimostra chiaramente di rimontare all’arte della Grande Maniera di Raffaello o del Veronese (il di cui nipote Luigi Benfatto in Abruzzo, dipinse per la chiesa di Santa Maria Maggiore di Vasto una tela raffigurante Sant’Agostino), tuttavia vi sono alcune stonature poiché la prospettica scenografia sembra quasi essere scavalcata dalla mole dei tre personaggi illustrati.

Leonzio Compassino, San Vito martire con San Modesto e San Crescenzo, Chiesa parrocchiale dell’Immacolata Concezione, San Vito Chietino.

Nostra ipotesi è che altri pittori legati al Compassino o alla scuola emiliana, potessero essere scesi nella ricca Lanciano, famosa per le Fiere e commerci, dei quali qualcuno venne chiamato a realizzare una tela di scarso valore stilistico, che raffigura Sant’Agostino tra Santa Rita e un Santo, oggi presso la cappella di Santa Croce, dove si conserva un frammento del Miracolo della Ricciarella.

29 gennaio 2025

Loris Di Giovanni, Appunti sulla storia della sollevazione d'Abruzzo e del contributo dato dalla Carboneria.


APPUNTI SULLA STORIA DELLA SOLLEVAZIONE D’ABRUZZO E DEL CONTRIBUTO DATO DALLA CARBONERIA

Spero nel volgere di questo breve articolo di riuscire a farvi conoscere ed apprezzare il valore dei martiri, degli audaci, dei congiuratori abruzzesi, che con saldo volere ed incuranti di ceppi e patiboli, gettarono le prime basi dell’Italia nuova. Cercherò, quindi, di darvi alcuni spunti che spero possano esser utili per uno studio più approfondito sul contributo dato dalla Carboneria alla sollevazione d’Abruzzo, narrandovene gli episodi salienti ed i personaggi, molti dei quali finiti nell’oblio.
Intorno alle origini della Carboneria molto si è scritto e discusso; ma la questione non è stata ancora definita, né io, nei modesti limiti di questo lavoro, potrei lusingarmi di risolverla. Quindi, senza dire col Botta che “la Carboneria ebbe la sua origine e si mostrò la prima volta fra le montagne dell’Abruzzo, ove si fa una gran quantità di carbone”, giacché, pur avendo in sé comunque un valido indizio, mi pare un’opinione inesatta, tuttavia è certo che quest’ordine ebbe vita rigogliosa e piena negli Abruzzi e non poco contribuì a tutto il movimento politico del XIX secolo.

28 gennaio 2025

Luigi Polacchi, poeta Abruzzese del Risorgimento Italiano, nei ricordi di Maria Antonietta Polacchi.

LUIGI POLACCHI, POETA ABRUZZESE DEL RISORGIMENTO ITALIANO, NEI RICORDI DI MARIA ANTONIETTA POLACCHI.

di Angelo Iocco

Nacque in Penne nel 1894, studiò al seminario diocesano, in seguito ad Ancona. Era di famiglia benestante, i Polacchi-Frasca Conti di Roccacalascio e Femminamorta. Polacchi sosteneva che la sua origine fosse della Corsica, e utilizzava il motto per il suo stemma: QUID IN POLO, fatto scolpire in rilievo e nell’architrave del caminetto del Villino Nonnina di Pescara
Il Poeta si laureò nel 1922.
A 18 anni subì il dramma della morte del fratello professore e storico Giovan Battista, e della giovane sposa, a causa della folgorazione sul letto nuziale, per un fulmine che causò un cortocircuito nella casa di Penne. Il fratello urlava, mentre veniva consumato dalla scarica elettrica: “Taglia il filo!!” . Poco distante dal Villino, vi era la casa del fratello Giambattista. Viveva presso l’attuale via Gramsci, come ricorda una lapide fatta apporre dallo stesso Luigi.
Polacchi fu volontario nel 1915 durante la Grande Guerra, fino al 1918, per servire la causa della patria, seguendo i suoi ideali Risorgimentali. Un episodio: il tremo deragliò, e finì ricoverato in ospedale S. Elena di Roma. Durante la Prima guerra mondiale Polacchi si ritrovò in un mondo ostile, cacciato nella brutalità della guerra e ebbe a che fare con i bassi istinti dei soldati.


Polacchi a Roma: frequentava il Caffè Greco a piazza del Pantheon a Roma, diventando amico di Scipio Slataper, giornalista e poeta triestino, morto sul Carso.
Quando fu professore, Polacchi insegnò a Ignazio Silone ed a Ennio Flaiano, che prendeva lezioni private da lui a Roma. Esaminò il manoscritti del celebre romanzo FONTAMARA di Silone, e secondo la figlia Maria Antonietta, fu Polacchi a suggerirgli il titolo.
Con Giovanni Papino, Polacchi ebbe una disputa per il saggio SULLA SANTITA’ DEL DANTE VIVO, dato che Polacchi lo considerò fazioso e di parte da parte del Papini, in virtù degli appena celebrati Patti Lateranensi tra Stato e Chiesa.
Era amico di Tommaso Cascella con cui ebbe una fitta corrispondenza, diverse lettere si trovano nello Studio vecchio. Lo ospitò diverse volte nella casa di via Portanova a Roma. Cascella era compare della sorella di Maria Antonietta: Vincenzina Polacchi, fidanzata col farmacista Vizioli di Pescara.

6 gennaio 2025

Amelio Pezzetta, Vita sociale e religiosa in Abruzzo dal 1919 al 1922.


 Vita sociale e religiosa in Abruzzo dal 1919 al 1922

di Amelio Pezzetta

Introduzione

Con il presente saggio si vuole apportare un contributo riassuntivo utile a sviluppare la conoscenza della storia abruzzese dall’anno successivo alla fine del primo conflitto mondiale sino all’inizio del regime fascista.

L’analisi storica inizierà con la citazione di brevi riferimenti nazionali poiché è fondamentale che qualasiasi storia regionale sia inquadrata nel contesto statale che concorre a determinarla.

Per la descrizione dei vari fatti sono state utilizzate fonti archivistiche e pubblicazioni varie.

La situazione nazionale

Il periodo storico in esame, in tutto il territorio nazionale è ricco di avvenimenti di notevole interesse storico, politico e religioso.

Con la fine del primo conflitto mondiale in Italia si aprì una profonda crisi politico-sociale i cui caratteri essenziali sono riassumibili nei seguenti punti: 1) la crisi dello Stato liberale che nonostante avesse portato a termine l'unità nazionale lasciava irrisolti ancora molti problemi tra cui la questione meridionale; 2) il disagio degli ex combattenti che non furono adeguatamente

ricompensati per gli sforzi e i sacrifici sostenuti durante la permanenza al fronte; 3) la coscienza della nazione che l’Italia aveva subito una vittoria mutilata in quanto non le furono riconosciuti tutti i diritti previsti dagli accordi di Londra del 1915; 4) la svalutazione della lira e l’inflazione galoppante che provocò un aumento del costo della vita di oltre il 400%; 5) la mancanza di materie prime, la difficoltà delle industrie a riconvertirsi, la disoccupazione e l’eccesso di manodopera causato dai soldati che tornarono dal fronte.

Questi problemi alimentarono in parte della popolazione uno spirito rivoltoso che diede vita a varie forme di protesta sociale, rivendicazioni operaie e contadine tra cui: 1) i moti per il carovita che scoppiarono nell’estate del 1919 e si estesero in tutto il paese; 2) le rivendicazioni operaie che nel 1920 culminarono con gli scioperi e l'occupazione delle fabbriche dell’Italia settentrionale; 3) le agitazioni delle masse rurali per la conquista della terra.

I governi e le forze d’opposizione esistenti dall’inizio del conflitto, non riuscirono ad imporre le loro scelte e a trovare soddisfacenti soluzioni ai problemi dell’epoca. Di conseguenza, accanto ai socialisti ed alle forze risorgimentali emersero nuove formazioni politiche che proponevano di dare risposte più concrete per risolvere i problemi dell’epoca o di contrapporre soluzioni conservatrici ai movimenti di protesta. Tra essi il partito popolare, l’associazione nazionale combattenti, il partito comunista e quello fascista.

Nel 1919, durante il pontificato di Benedetto XV e in seguito all’abrogazione ufficiale del non expedit imposto dalla gerarchia cattolica, il sacerdote siciliano Luigi Sturzo fondò il partito popolare, già vagheggiato nel 1905 come partito di ispirazione cattolica, aconfessionale ed indipendente dalle autorità ecclesiastiche per le sue scelte politiche.

Il partito assunse come proprio simbolo lo stemma dei comuni medioevali con la scritta "Libertas", trovò ispirazione nella dottrina sociale della chiesa e portò al riavvicinamento dei cattolici alla vita politica nazionale.

I popolari entrarono per la prima volta nella scena politica nelle elezioni politiche del 1919 in cui, grazie anche al supporto assicurato dalle parrocchie, riuscirono a far eleggere 100 candidati delle loro liste.

La sua rapida diffusione nella penisola fu favorita dalle strutture ed organizzazioni ecclesiastiche esistenti nei Comuni peninsulari. In alcuni casi, il partito popolare fu guardato con diffidenza e sospetto dalle autorità delle Chiesa, in particolare nelle località dell'Italia meridionale in cui fu fondato dai vecchi notabili liberali che si riconvertirono e resero conto che l'adesione ad un partito d'ispirazione cattolica avrebbe allargato la base del consenso politico.

Un altro raggruppamento politico che sorse nell’immediato dopoguerra fu l’Associazione Nazionale Combattenti (ANC) che fu fondata a Milano il 18 marzo 1919 allo scopo di tutelare i diritti dei reduci e assicurare la loro rappresentanza nelle istituzioni. Nel giro di pochi mesi raggiunse la quota di circa 600000 iscritti. Nel 1919, dopo lo scioglimento della Camera, l'ANC decise di prendere direttamente parte alle elezioni politiche con la denominazione di partito dei combattenti, ottenendo il 4,1% dei voti e 20 seggi. Alle successive elezioni politiche anticipate del 1921, il partito ottenne l'1,7% dei voti e 10 seggi.

Il 21 gennaio 1921 a Livorno, durante lo svolgimento del 17° congresso del partito socialista italiano, avvenne un’importante scissione nella quale una parte dei convenuti fondò un nuovo raggruppamento politico a cui diede il nome di Partito Comunista d'Italia (PCdI) - sezione italiana dell'Internazionale comunista, una denominazione che fu mantenuta fino al 15  maggio 1943. Questa scissione anziché portare alla rivoluzione proletaria, come auspicavano i fondatori del PCdI, provocò un indebolimento della sinistra italiana che favorì le forze reazionarie e conservatrici. Il PCdI si presentò alle elezioni politiche del 1921 ottenendo nel complesso 304 719 voti (4,6%) e 15 seggi.

Un’altra importantissima forza politica dell'immediato dopoguerra fu il partito dei Fasci di Combattimento che fu fondato il 23 marzo 1919 da Benito Mussolini, un ex socialista e direttore dell'Avanti. Mussolini riuscì a coagulare nel suo partito un insieme di forze sociali conservatrici che con la crisi del partito liberale, erano preoccupate da un’eventuale affermazione socialista e manifestavano la propensione al mantenimento dell'ordine precostituito: elementi di destra, ex combattenti, esponenti del ceto medio, possidenti agrari, industriali, ecc.

Dopo il Congresso di Roma del 1921 gli iscritti ai Fasci di Combattimento fondarono il Partito Nazionale Fascista a cui tra l’altro aderirono molte sezioni dell’ANC disperse lungo la penisola.

Agli inizi, i fascisti avevano accettato un atteggiamento anticlericale che fu riportato nel loro programma politico e dimostrato dalla violenza con cui tra il 1921-1922, i suoi squadristi colpirono le leghe bianche.

Il giudizio iniziale della Chiesa su questa formazione politica fu molto duro. Infatti, nel 1922, in un’editoriale della Civiltà Cattolica si scrisse:Il Fascismo ha lo spirito di violenza del socialismo a cui pretende di rimediare, imitandone non solo ma superandone ben anche le prepotenze, le uccisioni e le barbarie”. Diversi ordinari diocesani, durante i primi anni del regime diffusero lettere pastorali in cui sottolineavano che il fascismo, per la sua natura violenta era contrario ai principi cristiani e pertanto non poteva godere l'appoggio della Chiesa. Una parte della Curia Pontificia anche dopo la marcia su Roma era convinta che il fascismo, alla stessa stregua del liberalismo, della massoneria e del socialismo fosse un’ideologia sviluppatasi a causa dell’abbandono della religione e della secolarizzazione affermatisi nel mondo moderno dopo la rivoluzione francese. Un’altra parte, invece riteneva che potesse apportare un efficace contributo al processo di ricristianizzazione della società che perseguiva il papa Pio XI.

Nell'ottobre del 1922, dopo la marcia su Roma, il re Vittorio Emanuele III incaricò Mussolini di formare un nuovo governo ed ebbe così inizio l'era fascista.

Al primo gabinetto mussoliniano collaborarono alcune forze politiche, tra cui i popolari che ottennero 4 sottosegretari, il ministero del Lavoro assegnato a Stefano Cavazzoni e quello del Tesoro che fu assegnato a Vincenzo Tangorra.

Altro importante fatto dell’epoca in considerazione è il governo della chiesa cattolica che fu affidato dal 3 settembre 1914 al 22 gennaio 1922 al papa Benedetto XV e dal 6 febbraio 1922 al 10 febbraio 1939 a Pio XI.

Benedetto XV promosse il culto del Cuore di Gesù, si adoperò per evitare la guerra e con l’enciclica Pacem Dei Munus Pulcherrimum scritta nel 1920 dettò le sue idee per avere una pace stabile.

Nelle relazioni con il Regno d'Italia eliminò il non expedit e appoggiò la formazione del Partito Popolare Italiano d’ispirazione cristiana.

Il suo successore PIO XI con l’enciclica Ubi arcano Dei consilio del 23 dicembre 1922, manifestò il programma del suo pontificato facendo presente che i cattolici dovevano impegnarsi nella fondazione di una società totalmente cristiana.

  

Regione ecclesiale Abruzzo-Molise

La situazione abruzzese

Le varie vicende politico-sociali e di crisi che investirono la nazione toccarono anche l’Abruzzo. Infatti, agli inizi del 1919 questa regione era profondamente scossa dalle vicende del primo conflitto mondiale in cui persero la vita oltre 23000 giovani soldati provenienti dai suoi Comuni.

In diverse località il successivo ritorno dei reduci delusi nelle loro aspettative favorì nuovi motivi di scontri sociali e contribuì a riacutizzare quelli esistenti prima della guerra.

La maggioranza della popolazione regionale dell’epoca continuava a vivere in condizioni di notevole indigenza poiché ricavava i mezzi di sussistenza da un’agricoltura poco redditizia, particolarmente sensibile ai capricci della natura e praticata su terreni generalmente aridi, montagnosi non propri e gravati da pesanti prestazioni e tributi.

A questi problemi sono da aggiungere quelli creati da: 1) la lunga permanenza dei soldati al fronte e la massiccia emigrazione, due eventi che ridussero la forza lavoro disponibile e i redditi di diverse famiglie; 2) il carovita che investì la Regione; 3) la crisi della pastorizia dovuto alla caduta del prezzo della lana e all’aumento di quello di pascolo nei luoghi di transumanza [1].

In particolare l’emigrazione che colpì in modo più intenso le zone rurali ebbe anche diversi riflessi culturali e politici. Infatti, quando gli emigranti arrivavano nei luoghi d’accoglienza scoprivano che esistevano nuovi stili di vita che in parte acquisirono e con il loro ritorno trasferirono nelle terre d’origine contribuirono a modificare antiche abitudini e atteggiamenti locali. Anche i reduci, a causa del contatto quotidiano con i soldati di altre regioni, acquisirono nuovi modelli culturali che trasferirono ai luoghi d’origine.

I fatti descritti e i problemi elencati furono le principali cause che in Abruzzo crearono gli spunti per la nascita di nuovi atteggiamenti, modelli di comportamento, aspettative di vita, formazioni politiche e forme di protesta organizzata che saranno ampiamente descritti ed analizzati nei paragrafi successivi del presente saggio.

La vita religiosa e l’organizzazione ecclesiastica in Abruzzo dal 1919 al 1922.

Nel periodo in esame i Comuni che ora appartengono all’Abruzzo erano ripartiti in otto diocesi di cui in questa sede si riporta la cronotassi dei loro vescovi e i principali aspetti della vita religiosa.

Mons. Gennaro Costagliola


Arcidiocesi di Chieti-Vasto

Nell’epoca in considerazione l’Arcidiocesi fu retta da Gennaro Costagliola, (15 aprile 1901 - 15 febbraio 1919) e Nicola Monterisi (15 dicembre 1919 - 5 ottobre 1929).

Il 21 marzo 1920, l'ingresso a Chieti di mons. Monterisi fu accolto favorevolmente dai rappresentanti delle organizzazioni cattoliche e dal clero diocesano. Nello stesso tempo alcuni militanti socialisti, radicali e di altre forze anticlericali inscenarono una contromanifestazione ostile al presule, come tra l’altro dimostra il seguente scritto che pubblicato il primo aprile 1920 su “La Conquista Proletaria”: “I socialisti hanno voluto avvertire il sig. Monterisi che il popolo di Chieti non è composto di tutte pecore rassegnate a farsi quotidianamente tosare” [2].

Mons. Nicola Monterisi

30 luglio 2024

Giuseppina Giovannelli, Strumenti musicali popolari dell'area vestina.

Giuseppina Giovannelli, Strumenti musicali popolari dell'area vestina.
Da: Gelsumino.it

Abruzzo, Penne: Cartine, mappe, immagini, codici.

Civita di Penne

Giovanni Battista Pacichelli - anno di pubblicazione postuma: Napoli, 1703


Civita di Penne, di S. Angelo, Chieti e Pescara

di Vincenzo Maria Coronelli da "Teatro della Guerra: Regno di Napoli" - anno di pubblicazione 1707



Penne: Panorama dall'Acquaventina

"TRATTATO SU L'ACQUA VENTINA ET VIRIUM..." di Vincenzo Gentili Napoli, 1833



Panorama di Penne

Litografia di Filippo Cirelli su disegno di Giuseppe Consalvi da "Il Regno delle due Sicilie descritto ed illustrato..." Napoli 1858 ca.



Litografia di Penne nel 1843

di Edward Lear da "Lear's illustrated excursions in Italy" - Londra, 1846



Cartina geografica del 1624



Frontespizio del Codice Salconio - 1603



Piè di pagina della Prolusione del "Codice Catena" - trascrizione del 1548



Particolare del frontespizio di un libro di Luca da Penne - pubblicato nel 1557



APRUTIUM

di Petri Bertii - anno di pubblicazione 1602



Province APRUTII

di G. B. da Cassine - anno di pubblicazione 1712



Tabula Peutingeriana con rappresentazione dell'Italia Centrale

copia del XII-XIII secolo di un'antica carta romana  - Pinna segnata dalla freccia


18 maggio 2024

Luigi Polacchi e il controverso stradario per la memoria storica di Pescara dal 1927 al 1951.

Luigi Polacchi e il controverso stradario per la memoria storica di Pescara dal 1927 al 1951

di Angelo Iocco

Pescara città giovane? Città senza rughe? Non proprio. Luigi Polacchi di Penne (1894-1988) lo sapeva bene, e da quando visse a Pescara, con la sua cultura e le sue risorse, fece di tutto per valorizzare la memoria antica della Città e dell’Abruzzo intero, impegnandosi soprattutto sulla riscoperta dei patrioti dimenticati del Risorgimento abruzzese.

Nel periodo compreso tra gli anni trenta e cinquanta la sua casa di Pescara (situata in via Tassoni, lato lungomare), fu cenacolo letterario a cui presero parte anche personalità come Giovanni GentileAlfredo Luciani (con cui avrebbe fondato, nel 1934, il cenacolo culturale chiamato Casa di Poesia), Ignazio SiloneDomenico TinozziMichele Cascella ed Ennio Flaiano.

Autore di numerose opere poetiche in lingua italiana e alcune in vernacolo abruzzese, Luigi Polacchi ebbe giudizi lusinghieri da Benedetto CroceGiuseppe Antonio BorgeseGabriele D'AnnunzioLuigi Pirandello ed altri. Con il poema epico Italide, di oltre 58.000 versi, suddivisi in 62 canti. Polacchi si è proposto come cantore del Risorgimento italiano. Il suo Poema nazionale degli italiani resta sicuramente il più eminente tentativo di leggere la conquista dell'Unità d'Italia in chiave lirico-epica. Già i primi versi ("Cantiam la Patria o bel coro italiano/ come risorse una libera e forte...") annunciano il suo gusto classico e antidecadente.

Prima dell'opera, Polacchi aveva pubblicato una lunga poesia dal titolo Canto dei Martiri Pennesi, in ricordo dell'insurrezione popolare antiborbonica avvenuta nella sua città di Penne, in cui fu coinvolto anche il patriota Clemente de Caesaris, e di come fu repressa con la condanna a morte a Teramo di 8 persone. Il poema di Polacchi canta le vicende storiche del Risorgimento italiano dal 1820 al 1848.

Come saggista ha scritto una storia politica e letteraria degli Abruzzi: Da Melchiorre Delfico a Clemente de Cesaris, importante studio storico critico sul Risorgimento in Abruzzo, dal periodo dell'assalto francese murattiano del 1799, sino ai moti insurrezionali e alle imprese di Clemente de Caesaris in Abruzzo.


Torre civica di Pescara, con le iscrizioni della visita di Vittorio Emanuele II, e in ricordo di Clemente de Caesaris, 1949.