8 aprile 2024
Penne e il Gran Sasso d'Italia - Le cento città d'Italia illustrate, fasc. 298.
11 marzo 2024
Bernardino Scaramella di Palena e i suoi Madrigali, sec.XVI.
23 ottobre 2023
Clemente Antonio de Caesaris, patriota e carbonaro.
19 ottobre 2023
Storia del Risorgimento e della Massoneria in Abruzzo.
Chieti ai tempi di Monsignor Saggese
10 settembre 2023
Antonio Mezzanotte, Giorgio Castriota Skanderbeg.
Giorgio Castriota Skanderbeg, busto nella omonima piazza di Villa Badessa di Rosciano |
6 settembre 2023
Giuseppe Lamberti, un tardo-solimenesco in Abruzzo.
Giuseppe Lamberti, La Madonna e San Girolamo eremita, chiesa di San Gaetano (oggi in Arcivescovado), Chieti. |
Giuseppe Lamberti, Gloria di San Gaetano, cupola della chiesa di San Gaetano, Chieti. Foto Marco Vaccaro |
19 luglio 2023
I Viaggi Adriatici di Serafino Razzi, Viaggio nell'Abruzzo (1572 - 1577): L'Aquila, Teramo, Penne, Chieti, Lanciano, Ortona, Vasto.
5 giugno 2023
Luigi Polacchi e la casa della poesia di Pescara.
Luigi Polacchi e la casa della poesia di Pescara
di Angelo Iocco
Tra
le case antiche della Pescara novecentesca, qualche sparuta testimonianza
resiste ancora nella Riviera castellammarese, e parliamo del Villino Nonnina,
noto anche come Casa della Poesia, in via Tassoni, a pochi passi dal lungomare
Matteotti. Questa piccola abitazione in mattoni a vista, di un solo piano, fu
tra le prime, come ricorda Maria Antonietta, figlia del poeta Luigi Polacchi,
ad essere costruita sulla Riviera nel Novecento, e lo stesso Polacchi in una
intervista del 1987 per la TV, ricorda come la famiglia si trasferì lì da
Penne. Il padre Gerardo era titubante all’inizio, mal sopportando quella
cittadina di provincia con paludi e persone poco raccomandabili: pregiudizi nobiliari
della Città sui colli vestini? Fatto sta che i Polacchi vi si trasferirono nel
1907. Dopo il 1927 la casa fu modificata con l’aggiunta di un secondo piano per
esigenze della famiglia.
La vita scorreva tranquilla, ma il Poeta aveva grandi progetti culturali per la fiorente Pescara, allora in ascesa. Iniziò a diventare circolo di amici e intellettuali, primo fra tutti Alfredo Luciani da Pescosansonesco, grande amico di Polacchi, e nel 1933 nacque il progetto di far diventare il villino una Casa della Poesia, un istituto di cultura che avesse risonanza non solo provinciale, ma nazionale. Come possiamo vedere nelle lettere di Polacchi, conservate nell’archivio dello Studio vecchio nel villino, il Poeta ebbe contatti con diversi nomi della cultura italiana: E.A. Mario, Trilussa, Benedetto Croce, Giovanni Gentile, Tommaso Cascella, Armando Cermignani, Giacomo Acerbo, Modesto Della Porta, Cesare de Titta, Eugenio Cirese. L’elenco è interminabile! Alcune lettere sono piuttosto brevi, altre, come quelle ad esempio di Modesto al Polacchi, più appassionate, piene di progetti infranti e di rimpianti. Diverse volte Polacchi nel villino tenne incontri di poesia, Trilussa stesso andò a trovarlo diverse volte a Pescara, allora Castellammare, unificata con Pescara nel 1927, nonché a Penne.
3 giugno 2023
Domenico Vallarola da Penne, un pittore poco noto del Settecento.
12 maggio 2023
Il processo dei Templari in Abruzzo contro frate Cecco Nicola da Lanciano e frate Andrea da Monteodorisio, 1305.
Il processo dei Templari in Abruzzo contro frate Cecco Nicola da Lanciano e frate Andrea da Monteodorisio, 1305
di Angelo Iocco e Marino Valentini
Nell’immaginario collettivo il venerdì 13, per gli scaramantici, è il giorno da evitare per l’assunzione di decisioni rilevanti e per fare qualsiasi cosa d’importante, perché è il giorno iellato per eccellenza. Molti ritengono che questo giorno maledetto sia da legare all'infausto venerdì 13 ottobre 1307, quando Filippo IV “il Bello” di Francia diede l’ordine di arrestare tutti i templari presenti nel suo regno. Ma come si arrivò a tale decisione e perché?
Intanto va detto che l’Ordine dei cavalieri
templari, in circa due secoli dalla sua costituzione, aveva accumulato così
tante ricchezze, da diventare un innegabile strumento di potere economico e
politico in Europa. Allo stesso tempo il re di Francia si trovava a
fronteggiare una pesante situazione finanziaria, ereditata dal predecessore,
fortemente incisa da un indebitamento tale da far svalutare la moneta del
Paese. Di fronte a siffatta situazione, il sovrano pensò bene di risolvere il
problema delle finanze e risanare le casse di Stato, guardando nell’orto dei
templari, verso i quali si trovava in uno stato di preoccupante indebitamento,
a causa di prestiti contratti anche da chi lo aveva preceduto.
Bisognava trovare però un pretesto per incastrare
l’ordine monastico e lo stesso venne offerto da un cavaliere pentito (sic!) che
avallò le voci e le dicerie che da tempo circolavano sulle strane usanze dei
templari. Filippo diede credito al fuoriuscito dall’Ordine e vennero
pronunciate le prime tre formali accuse:
1) IL RINNEGAMENTO DI CRISTO E GLI SPUTI SULLA
CROCE (ERESIA);
2) L’OMOSESSUALITÀ E LA SODOMIA (SODOMIA);
3) L’ADORAZIONE DI IDOLI (IDOLATRIA).
La caduta dei
Templari sotto Clemente V
Con la perdita
di San Giovanni d'Acri, i cristiani furono costretti a lasciare la Terra Santa.
Nemmeno gli ordini religiosi poterono evitare tale esodo e i Templari scelsero
di ripiegare verso Cipro dove
insediarono la loro sede centrale. Tuttavia, una volta che questi ebbero
abbandonato la Terrasanta, con pochissime probabilità di poterla un giorno
riconquistare, in occidente sorse la questione dell'utilità dell'Ordine del
Tempio il cui scopo originario per cui erano stati fondati, difendere i
pellegrini diretti a Gerusalemme sulla tomba di Cristo, si era oramai reso
irrealizzabile.
Per diversi
decenni, il popolo aveva percepito i cavalieri anche come signori orgogliosi e
avidi, che conducevano una vita disordinata (le espressioni popolari "bevi
come un templare" o "giura come un templare" sono rivelatrici a
questi sintomi), tanto che dal 1274 al concilio di Lione II i più alti dignitari dell'ordine dovettero
produrre un libro di memorie per giustificare la loro esistenza. Abitualmente
si parlava dei Templari come di un covo di eretici e di
viziosi; voci probabilmente alimentate dal fatto che molti peccatori erano in
effetti approdati all'Ordine per riceverne protezione a fronte di un, non
sempre sincero, pentimento.
Papa Clemente V
27 gennaio 2023
Abruzzo sparito. Album di fotografie storiche.
17 novembre 2022
Amelio Pezzetta: La Chiesa e la vita religiosa in Abruzzo durante Il Viceregno Spagnolo (1503-1707).
1. Stato, Chiesa e vita religiosa nel Regno di Napoli durante
il XVI secolo.
Il
dominio spagnolo dell’Italia Meridionale iniziò nel 1503 con Ferdinando il
Cattolico e si concluse il 7 luglio 1707 quando le truppe austriache entrarono a
Napoli e il Regno passò agli asburgici.
Durante
i due secoli di dominio, i monarchi spagnoli delegarono l’amministrazione del
Regno a un viceré, non favorirono lo sviluppo del paese, lo appesantirono con un’esosa
pressione fiscale e conservarono la sua natura di stato feudale. Nell’epoca in
considerazione i baroni vecchi e nuovi conservarono l’ampio potere
amministrativo-giudiziario di cui godevano e ampliarono i possedimenti feudali;
la chiesa rafforzò il suo potere e prestigio morale e politico; i
rappresentanti della borghesia iniziarono la loro ascesa acquisendo prestigio
nell’amministrazione civica, l’economia e le libere professioni; i ceti più
umili continuarono a vivere in generalizzate condizioni di asservimento e
d’indigenza.
Il
Regno di Napoli era uno stato vassallo della Chiesa che il papa assegnava a chi
assecondava i suoi piani di potere temporale e le sue finalità spirituali. Al
momento dell'investitura Ferdinando il Cattolico riconobbe lo stato di
vassallaggio con tutte le condizioni a esso connesse tra cui il versamento al
pontefice del censo annuale di 8000 once d’oro e l’omaggio della chinea. Ai
fini di conservazione del potere, per gli spagnoli l'alleanza con la Chiesa era
indispensabile nonostante la condizione di asservimento e il suo alto costo in
termini economici.
Nel
Regno di Napoli gli spagnoli assunsero nei confronti della Chiesa due
atteggiamenti: da un lato se ne servirono per rafforzare il potere; dall'altro
pur riconoscendole privilegi e diritti, non assecondarono tutte le sue pretese
e talvolta anziché respingerle frontalmente, le attaccarono di fianco. In
particolare gli spagnoli non si opposero alle pretese della Chiesa quando erano
enunciate nei concili o con le bolle, ma ostacolavano la loro attuazione se
contrastavano con gli interessi dello Stato. Un esempio in tal senso è
costituito dall'atteggiamento che assunsero nel 1568 con la pubblicazione della
bolla "In coena Domini" con
cui il papa Pio V voleva riaffermare il primato della chiesa e far presente che
le ingiuste imposizioni fiscali erano moralmente perseguibili. In realtà per i
suoi particolari contenuti era un chiaro tentativo di violazione dei diritti
sovrani di uno Stato laico e fu utilizzata per la difesa dei privilegi e interessi
clericali dalle autorità civili. Infatti, la bolla consentiva alle autorità
clericali di ricorrere all’arma della scomunica anche nei confronti degli
amministratori zelanti che volendo far applicare le norme statali in materia
tributaria minacciavano il patrimonio ecclesiastico. In particolare essa
minacciava di scomunica coloro che: appoggiavano gli eretici; sostenevano la
superiorità dei concili rispetto al sommo pontefice; imponevano nuove tasse al
clero o aumentavano quelle già esistenti senza l'approvazione della Camera
apostolica; violavano le immunità ecclesiastiche sulla base del principio che non si fondavano sul diritto divino; impedivano
agli ecclesiastici l'esercizio della loro giurisdizione anche contro i laici,
l'esecuzione dei rescritti di Roma e l'esazione delle tasse della Chiesa. Il
governo spagnolo, nel rispetto dell’atteggiamento politico verso la chiesa
precedentemente delineato, quando la bolla fu promulgata non si oppose, ma in
seguito cercò di ostacolarne la diffusione e conoscenza.
Tenuto
conto degli aspetti generali enunciati, il presente saggio prosegue con
l’esposizione sintetica di alcuni significativi aspetti del rapporto
Stato-Chiesa nel Regno di Napoli durante il XVI secolo.
Il
29 giugno 1529 il papa Clemente VII e il re Carlo V firmarono il trattato di
Barcellona in cui al sovrano spagnolo fu concesso il diritto di presentare i
vescovi di 24 diocesi di regio patronato del viceregno napoletano. L’accordo
prevedeva che nell’Italia Meridionale l’amministrazione diocesana potesse
essere affidata anche a presuli non indigeni e di conseguenza alcune di esse iniziarono
a essere rette da prelati d’origine spagnola.
Nel
1541 un decreto della Regia Camera della Sommaria[1] deliberò
che i chierici avevano diritto alle esenzioni fiscali sui seguenti beni stabili
e di consumo: 1) i territori ecclesiastici e gli animali utilizzati nel lavoro
agricolo o come cavalcatura dai chierici e i loro famigliari; 2) l'acquisto di generi
alimentari e capi d'abbigliamento. Nello stesso anno, un altro decreto fissò le
quantità massime di merci che i chierici potevano acquistare in franchigia: un
rotolo di carne giornaliero (circa 0,9 kg), 2,5 tomoli di grano l'anno (1250
kg), 30 rotoli di formaggio l'anno (circa 27 kg), 3 staia d'olio annui (circa
30,2 litri), due botti di vino annui (circa 1047 litri e 40 rotoli di carne da
salare annui (circa 36 kg)[2].
Le immunità fiscali furono elargite anche ai coloni delle chiese e agli oblati
che donavano beni ai monasteri, non ne riservavano per loro stessi e vi
andavano a vivere. Siccome i sacerdoti non pagavano le tasse, i vescovi che
favorivano le ordinazioni al di sopra delle necessità delle diocesi che
governavano, furono ritenuti dei benefattori. Molti ecclesiastici nel corso del
secolo grazie ai privilegi accumulati, incentivarono l'evasione fiscale e cercarono
di coinvolgere anche i laici nelle esenzioni da loro godute. Un esempio in tal
senso è rappresentato dalle donazioni fittizie di beni immobiliari che i laici
facevano agli ecclesiastici allo scopo di non pagare le tasse sul patrimonio.
Conseguenza dei fatti accennati è che aumentarono a dismisura gli ecclesiastici
nel Regno di Napoli, mentre si contrassero i beni passibili di tassazione e le
rendite dello Stato. Contro questo stato di cose le autorità civili cercarono
di limitare il numero delle ordinazioni, gli amministratori locali presero
numerose iniziative e inoltrarono numerosissimi ricorsi alle autorità centrali affinché
prendessero opportuni provvedimenti tendenti a limitare il fenomeno. Purtroppo
tutti i tentativi per porre rimedi alla situazione non portarono ai risultati
sperati, poiché l'azione del governo non fu molto decisa e di conseguenza gli abusi
continuarono a essere perpetrati.
Nel
XVI secolo i chierici del Regno di Napoli percepivano rendite molto diverse: la
congrua, i diritti di stola, le decime e i redditi censuari da terreni, da
fabbricati, beneficiali, da messe, ecc. Nonostante questi benefici e vari
provvedimenti favorevoli, molti chierici delle campagne dell’Italia Meridionale
non avevano un adeguato benessere economico e talvolta coltivavano i terreni in
loro possesso.
La
religione nel secolo è un aspetto importantissimo dell'attività statale e
amministrativa. I re di Spagna si considerarono ardui difensori del
cattolicesimo e in tutti le istituzioni statali dei loro domini fecero obbligarono
i funzionari a esercitarsi in pratiche di culto. Infatti, gli ufficiali
pubblici intervenivano in forza alle funzioni sacre, i giudici prima di entrare
in seduta ascoltavano la messa, i reggimenti avevano i loro cappellani, nelle
carceri dovevano esercitarsi pratiche di culto, la bestemmia era considerata un
reato e lo Stato ordinava che si facessero pubbliche preghiere. A livello
locale le Università[3]
possedevano il diritto di patronato di cappelle laicali e chiese, fornivano alle
chiese stesse indumenti sacri, cera ed ostie e pagavano al clero le messe
celebrate pro populo.
Con
una prammatica del 5 gennaio 1571 il viceré De Rivera ordinò ai parroci di
registrare tutti i battezzati in un libro e la parrocchia iniziò ad assolvere
anche a funzioni d'anagrafe civile[4].
26 ottobre 2022
Storie di streghe in Abruzzo.
Storie di streghe in Abruzzo
Seguono una serie di testimonianze raccolte sulla stregoneria in Abruzzo:
Antonio Anello n.1923 Atri (TE)
Una ragazza strega, una notte, andò a trovare il suo
fidanzato che, sentito il vento vicino al
letto, prese il coltello e colpì nell’aria e apparve la ragazza tutta nuda, nuda. Il ragazzo chiamò
il padre e la madre, la vestirono con dei panni di casa e la
riportarono a casa sua. Da quel giorno non tornò più strega perché con la
goccia di sangue dalla marcatura se ne era andata la virtù.
Leonello Di Nardo n.1928 Bucchianico (CH)
Mia cugina era nata la notte di Natale e, per questo,
dall’età di due anni, certe notti spariva; se la venivano a prendere le
streghe. Questo è successo, finchè non l’hanno marcata con un ago arroventato; è stata la levatrice a farlo, sotto
il piede sinistro, le fece uscire un
po’ di sangue; così la bambina perse quella virtù e non uscì più
la notte con quella compagnia. Allo stesso orario in cui spariva la bambina, spariva anche il cavallo
di un vicino di casa; forse serviva per portare lei.
Santina Astrologo n.1925 San Valentino (PE)
Una donna, tutte le mattine, ritrovava la tela tessuta: allora
per vedere se era qualche strega a tesserla, la notte appresso, prese
uno spiedo e lo arroventò nel fuoco.
Quando, a una certa ora ha sentito il telaio tessere, fece passare quel ferro
per un buco che era nel muro, giusto nella direzione della spola, così colpì la
mano della strega, la “marcò”; come è uscito un pò di sangue, apparve una bellissima
ragazza (perché prima era invisibile) che disse: “Povera veneziana, sono venuta tanto di lontano; chi mi
riporta alla Venezia mia?”
Maria Di Pompeo n.1960 Castel del monte (AQ)
Tutte le notti, una donna sentiva il telaio lavorare su e giù nella
stalla; il giorno appresso, mise un segno sulla tela e, quando la mattina dopo tornò a vedere, lo trovò cresciuta.
Raccontò il fatto al marito e fecero un buco nel muro per vedere chi era che
tesseva la notte. Andarono a dormire, ma, a un certo punto arriva una donna
che accende il lume, si siede e comincia a tessere. Allora, quelli prendono un ferro, lo arroventano e la
colpiscono sulla man, esce il sangue e questa si mette a dire: “Povera giovane
di Perugina, povera giovane di Perugina!”. Allora, la moglie e marito scendono
sotto e si fanno dire dove abitava e di chi era figlia e così la mattina dopo
la riportarono a casa sua: il padre per la contentezza che gli avevano
“salvato” la figlia, gli fece per regalo un sacchetto pieno di marenghi d’oro.
Raffaele D’Onofrio, n.1928 Vacri (CH)
Una bambina di sei, sette anni, veniva portata in giro la notte dagli stregoni perché era nata “vestita” (e la mamma la
“camicia” l’aveva conservata). Allora, la gente disse alla mamma che quando
sentiva la bambina strillare perché se la venivano a pigliar, lei con un ferro
arroventato la doveva “marcare” per farla uscire un po’ di sangue, così non ci
poteva andare più, perché perdeva quella virtù. La mamma così fece, però gli
stregoni per dispetto fecero ammalare la bambina e, per guarirla la dovettero
portare da diverse “magare”.
Pasquale Di Girolamo, n.1931 Carpineto Nora (PE)
Un pastore, in montagna era
sempre seguito da una gatta che gli andava dietro dietro; improvvisamente
appariva e spariva, gli miagolava, non si capiva che voleva; finché un giorno,
il pastore prese il coltello e le fece
uscire un po’ di sangue; allora, gli apparve la
fidanzata che lo ringraziò per avergli levato il “destino di strega”.
Ernestina Nelli, n.1905 Bomba (CH)
Una donna che conoscevo aveva una bambina che veniva sempre disturbata da qualche strega; in questo modo a questa poverina erano già morti tre o quattro figli. Allora, fece la veglia per nove notti vicino alla culla, finché entrò in casa una gatta (quella era la strega), la prese e la fece “nera di botte”, come si insanguinò ridiventò una persona, una donna normale (che pure conosceva, era dello stesso paese), questa se ne scappò fuori e così la bambina fu salva.
Testi tratti da:
- “Le superstizioni degli Abruzzesi” di Emiliano Giancristofaro
-Opuscolo informativo “Streghe: dramma, emozione, turbamento in un mondo che ci appartiene” di Franco Di Silverio.
https://www.academia.edu/3847567/Storie_di_streghe_in_Abruzzo?email_work_card=thumbnail
8 agosto 2022
Luigi Pellegrini, I Cappuccini tra XVI e XX secolo. Annotazione dagli Annali dei Cappuccini d’Abruzzo.
2 maggio 2022
Sulle orme di Edward Lear in Abruzzo.
28 aprile 2021
Angelo Iocco, Sulle tracce dei Templari in Abruzzo, tra storia e leggenda.
Sulle tracce dei Templari in Abruzzo, tra storia e leggenda.
di Angelo Iocco
Apprendiamo che
probabilmente, per maggiore vicinanza al mare Adriatico, e ai porti abruzzesi
quali Pescara, Ortona, Buca del Vasto, Punta Penna, i Templari nell'Abruzzo
preferirono, come riportato in un altro documento del 1320 dal Faraglia, essere
insediati nell'Apruzzo Citeriore al fiume Pescara, ossia il territorio di
Chieti, anche per un collegamento più agevole con la Puglia attraverso il
tratturo Magno. Papa Urbano predicò alla fine del Mille nella Cattedrale di
Chieti (1097), e dopo di lui Enrico VI figlio di Federico Barbarossa in San
Giovanni in Venere la Crociata per la Terra Santa, e dalla vicina Aterno oggi
Pescara, molti cavalieri Crociati si imbarcarono per il Santo Sepolcro da
liberare dagli infedeli. Per San Giovanni in Venere abbiamo notizie di
cavalieri crociati imbarcatisi da lì anche grazie al Chronicon di Santo Stefano
in Rivomaris redatto da un tal Berardo; anche se l'unico esemplare di
quest'opera, che proverrebbe dalla distrutta abbazia di Santo Stefano in
tenimento di Casalbordino, fu trascritto nelle Antichità dei Frentani dal noto
abate falsario Pietro Polidori da Fossacesia nel XVIII secolo, e dunque la
fonte va vagliata con tutte le pinze; soprattutto per quanto riguarda il carme
del "Plangite" scritto dal monaco, quando si menziona il disordine e
il numero di saccheggi causati nel Porto di Pennaluce vicino Vasto, per
l'imbarco dei Templari, durante la presenza di Enrico VI negli Abruzzi.
A proposito di Vasto,
lo storico Marchesani, prendendo anche dal suo predecessori Nicolafonso Viti,
ricorda la presenza a Vasto di due chiese dedicate al Santissimo Salvatore, una
dentro le mura di Guastum Aymonis (rione San Pietro), e l'altra nel casale San
Salvatore de Linari, oggi distrutto. Anche nei documenti Vaticani dei
possedimenti Templari in Abruzzo questa proprietà è menzionata, e qualcuno ha
congetturato, leggendo "Sancti Salvatoris de Linari propre Guastum",
ossia "vicino Vasto", che il territorio menzionato doveva essere
l'attuale Casalbordino, ricordando che nei documenti del XIII secolo, questo
feudo iniziò ad essere chiamato con il nome del feudatario, ovvero Roberto Bordinus, e per la presenza di una
parrocchia oggi del XVIII secolo, dedicata al Salvatore. Ma la congettura non
regge. Regge piuttosto la menzione nei documenti della presenza di un monastero
dei Cavalieri di Gerusalemme dedicato a San Giovanni, che era nel rione Guasto
d'Aimone, all'altezza dell'incrocio di Corso Plebiscito con Corso Dante, antica
strada del Bando, dove si trova pressappoco la chiesa del Carmine; monastero
citato in documenti insieme ad altri possedimenti Templari Abruzzesi in una
bolla di Papa Alessandro III nel 1173, che rimase integro sino alla metà del
XIX secolo, quando ridotto a fienile, venne demolito.
S.Giovanni, Vasto, coll.F.Marino |
Probabilmente grance
Templari nei dintorni dovevano essere anche presso la scomparsa chiesa di San
Martino con torre fortificata a Pennaluce, poi ad Atessa in località
Castelluccio, come menzionato sempre nei documenti Vaticani, e a Monteodorisio,
patria di frate Andrea, processato e interrogato nel palazzo vescovile di
Chieti. Inoltre altra località, che la leggenda locale vuole di proprietà dei
Templari, è Colle Flocco di Atessa, per la presenza della chiesa di San Nicola;
giudicando l'aspetto novecentesco della chiesa, a meno che non si compiano
scavi archeologici, non è possibile stabilire presenza di questi cavalieri in
situ. Piuttosto interesserebbe l'assonanza, in queste località, tra presenza di
Monaci Templari e Monaci dell'Ordine dei Celestini di Pietro da Morrone, con
l'edificio rappresentativo della Badia di Santa Maria di Collemaggio, per cui
si è scritto tanto anche sulla presenza templare in questo sito; a
Monteodorisio il santuario della Madonna delle Grazie era anticamente un
monastero celestino, e sopravvive ancora oggi il torrione di difesa dei
Celestini nel centro storico, a Vasto i Celestini avevano sede nel monastero di
Santo Spirito presso Torre Del Moro, dove oggi sorge il teatro Rossetti, in
parte ricavato dalle sue rovine; ad Atessa esisteva il monastero dei Celestini
presso il colle della Colonna di San Cristoforo, oggi scomparso; e così anche a
Chieti, i Celestini avevano due possedimenti dentro le mura, Santa Maria della
Civitella presso l'anfiteatro romano, e la chiesa poi passata alle Monache
Clarisse nel XVI secolo, che si trasferirono dalla vecchia chiesa di San
Giovanni, che ospitò invece l'ordine dei Cappuccini, a Porta Sant'Anna.