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18 ottobre 2024

Jean Joseph Xavier Bidauld, “Vue de la ville d’Avezzano, au bord du lac de Celano, royaume de Naples", “Veduta della città di Avezzano, sulle rive del lago di Celano, regno di Napoli”, 1789, Musée du Louvre, Parigi.

Jean Joseph Xavier Bidauld, “Vue de la ville d’Avezzano, au bord du lac de Celano, royaume de Naples", “Veduta della città di Avezzano, sulle rive del lago di Celano, regno di Napoli”, 1789, Musée du Louvre, Parigi.



Jean Joseph Xavier Bidauld, (Provenza, 1758 – 1846)

“Vue de la ville d’Avezzano, au bord du lac de Celano, royaume de Naples", “Veduta della città di Avezzano, sulle rive del lago di Celano, regno di Napoli”, “Monte Tino o Serra di Celano dipinto da Avezzano”, 1789
Olio su tela, cm 37x49
Musée du Louvre, Parigi.


Jean Joseph Xavier Bidauld, “Vue de la ville d’Avezzano, au bord du lac de Celano, royaume de Naples", “Veduta della città di Avezzano, sulle rive del lago di Celano, regno di Napoli”, 1789, Musée du Louvre, Parigi.


“Vue de la ville d’Avezzano, au bord du lac de Celano, royaume de Naples.”

Al secondo piano del Museo del Louvre, a pochi passi dalla celebre bagnante di Valpinçon ritratta da Jean Auguste Dominique Ingres, si trova un dipinto di Jean-Joseph-Xavier Bidauld con una veduta del lago del Fucino datata 1789. In questo splendido panorama, si riconoscono perfettamente Avezzano, con il profilo del Castello Orsini-Colonna, i campanili di San Bartolomeo e San Giovanni, Paterno e Celano. Sulle acque del Lago del Fucino si riflettono i colori del cielo e degli alberi. Piccoli ciuffi di nuvole sfiorano le cime del Monte Tino - la Serra di Celano -, mentre il fumo si solleva dai comignoli e due personaggi che sembrano ricordare Dante e Virgilio si fermano vicino a una barca attraccata a riva.



particolari

Da: Piccola Biblioteca Marsicana
  


Il celebre dipinto di Bidauld: dal Louvre di Parigi ad Avezzano.

Francesco Proia
Dipinto di Bidauld al Louvre
Dipinto di Bidauld esposto al Louvre di Parigi
Da italiani non possiamo che essere orgogliosi che il simbolo del Louvre, il museo più visitato al mondo, sia la Gioconda di Leonardo da Vinci. Eppure anche da Marsicani possiamo toglierci qualche soddisfazione giacché nelle sale del museo esiste un meraviglioso quadro rappresentante il lago del Fucino, davanti al quale passano ogni anno circa 8.8 milioni di turisti.

Il quadro in questione è stato dipinto dal pittore francese Jean-Joseph-Xavier Bidauld nel 1789, anno in cui in Francia scoppiò l’omonima rivoluzione. Questo pittore provenzale, come tanti suoi coetanei dell’epoca, fece un viaggio nell’Italia centro-meridionale denominato “Gran Tour”. A partire dal diciottesimo secolo infatti, i giovani aristocratici di alcune nazioni europee, si avventuravano in questo viaggio in cui imparavano a conoscere gli aspetti culturali, politici e artistici dei diversi paesi. Le mete erano la Francia, l’Olanda e la Germania, ma la metà più ambita e ricercata era indiscutibilmente l’Italia. Tra i giovani che fecero questo “Gran Tour” i più famosi furono Goethe e Lord Byron, ma quelli che più di tutti lasciarono dei documenti sul loro viaggio furono Kappel Craven, Kurt Hassert, Edward Lear e Mautits Escher, che descrissero e disegnarono meravigliosamente gli stupendi scenari dell’Abruzzo dell’epoca. Fece altrettanto anche Bidauld che, durante uno dei suoi viaggi, raffigurò con olio su tela (cm. 37 x 49) una veduta dal titolo “Monte Tino o Serra di Celano dipinto da Avezzano”. In realtà, secondo il catalogo del Louvre dove il dipinto è tutt’ora conservato, il titolo originale dell’opera era “Vue de la ville d’Avezzano, au bord du lac de Celano, royaume de Naples” ovvero “Veduta della città di Avezzano, sulle rive del lago di Celano, regno di Napoli”. Dal pregiato dipinto si può vedere come doveva apparire Avezzano alla fine del 1700, sui bordi dell’allora lago Fucino e con alle spalle in prospettiva la riconoscibilissima sagoma della Serra di Celano. Bidault, che ai più potrebbe anche sembrare un pittore minore, con le sue tele partecipò a tutte le esposizioni universali del tempo tra cui quelle di Parigi, Torino, Roma e Londra.
Dipinto di Bidauld esposto ad Avezzano

In pochi però sanno che per apprezzare quest’opera non è necessario recarsi a Parigi ed entrare nella sala 59 del Louvre destinata ai “Paesaggi d’autore del 1800” in quanto ne abbiamo una fedele riproduzione proprio qui ad Avezzano. Dove? La prossima volta che vi trovate su Via Garibaldi entrate nella Farmacia De Bernardinis, alzate lo sguardo verso l’alto e godetevi la “Vue de la ville d’Avezzano”. 

31 ottobre 2023

La Marsica e i riti di Ognissanti.

 

Popolazione in preghiera nel cimitero di Carsoli (1900/1910) © ICCD

Nel libro di Eraldo Baldini e Giuseppe Bellosi dal titolo “Halloween: nei giorni che i morti ritornano” il capitolo sull’Abruzzo si apre così: Il folklore abruzzese e molisano è molto ricco di materiali che riguardano la nostra ricerca. Partiamo dalla credenza che i morti tornino nella dimensione terrena nella notte tra l’1 e il 2 novembre, raggiungendo le loro vecchie case (spesso processionalmente, in schiere dove morti «buoni» e morti «cattivi» occupano posizioni diverse e distinte), e dai riti di accoglienza a loro tributati, non privi di pericoli, e quindi di precauzioni e di forti timori.

A questa introduzione i due autori fanno seguire numerosi estratti dalle fonti storiche, in particolare quelli raccolti da Antonio De Nino e Gennaro Finamore nei loro celebri volumi dedicati agli usi e costumi abruzzesi. Nel capitolo di Finamore dedicato a Ognissanti è contenuta una storia ambientata a Pescina, in cui si intuisce perfettamente la commistione tra sacro e profano:

La messa de’ Morti, preceduta dall’ufficio, è celebrata dal parroco molto per tempo, per modo che al far del giorno la lunga funzione è terminata. Tutti coloro che hanno antenati sepolti nella chiesa in cui si celebrano gli uffizi, vanno o mandano ad accendere candele sulle sepolture; onde in nessun’altra festa dell’anno tutta la chiesa è così variamente e fantasticamente illuminata. Ma, prima che dai vivi, il divino uffizio è celebrato dai morti. Una fornaia, che non sapeva questo, alzatasi di buon’ora, andava ad accendere il forno. Nel passare davanti a una chiesa, che vide illuminata, credette che vi uffiziassero, ed entrò. La chiesa era illuminata e piena di popolo. Inginocchiatasi, una sua comare, già morta, le si avvicina e dice: «Comare, qui non stai bene; va via. Siamo tutti morti, e questa è la messa che si dice per noi. Spenti i lumi, moriresti dalla paura a trovarti in mezzo a tanti morti». La comare ringraziò, e andò via subito; ma per lo spavento perdette la voce. (Pescina)

Credenze usi e costumi abruzzesi raccolti da Gennaro Finamore (1890)

In una piccola pubblicazione realizzata attraverso il contributo degli alunni dell’ultimo anno delle Scuole Medie C. Corradini di Avezzano nel 1988, si può leggere una testimonianza sui riti di Ognissanti nella Marsica. Molto interessante il rapporto con il fuoco del camino, spesso presente in altre fonti abruzzesi.

Tutti i morti

Una volta si usava nelle nostre parti cucinare abbondantemente nelle festività di Ognissanti in modo che il cibo che restava dopo il pranzo e la cena veniva messo in vari piatti ed esposti durante la notte sui balconi e nelle finestre del camino chiamate “buscelle”. Si diceva che i morti sarebbero tornati una volta l’anno, proprio nella notte fra il primo e il due Novembre, ed avrebbero partecipato al pranzo. Per tutta la notte dunque i più famosi mangiatori del paese erano occupati a fare delle scorpacciate con la legittima soddisfazione di chi, svegliandosi al mattino e trovando i piatti puliti, erano convinti che la sua casa fosse stata visitata dai parenti defunti. Nelle antiche case dove si accendeva il fuoco nel camino, si usava ogni sera coprire i carboni accesi con le ceneri in modo che al mattino i tizzoni restassero ancora accesi. La sera del primo Novembre, invece, i tizzoni venivano tutti spenti. Il fuoco è simbolo di vita ed è per questo che, almeno una volta l’anno, veniva soffocato come estinzione della vita stessa.

Si diceva che… Motti, proverbi, usi e costumi illustrati dagli alunni della III F – Scuola Media C. Corradini Avezzano 1988.

Ne “I racconti di Angizia” di Giuseppe Pennazza (1921), l’autore immagina di avere un dialogo costante con la Dea Angizia: insieme a lei ricorda le tradizioni scomparse e gli antichi usi delle famiglie di Avezzano e dintorni. Nel capitolo intitolato “Novembre” viene fatta una breve rassegna delle tradizioni nel giorno dei morti.

Ho incontrato Angizia e mi ha fatto paura. Essa era ammantata di nero.
– Dove vai? Che fai fuori di casa, solo, a quest’ora?
– Vado in cerca dei Morti: domani è la loro festa.
– Credulo e superstizioso come tutta la tua razza! Scommetterei che anche tu, questa sera, metteresti alla porta della tua casa il lume coperchiato con una zucca vuota e coi soliti fori da somigliare occhi e naso di teschi; anche tu non toccheresti in questa sera la catena del camino per non disturbare i morti nella loro quiete; anche tu, come i monelli, anderesti a picchiare a tutte le porte delle case per avvertire che è resuscitato un morto della famiglia.

L’utilizzo della zucca come elemento simbolico è molto presente nelle tradizioni della Festa di San Martino. Sempre da Finamore:

Nel Pescarese e in alcuni paesi dell’Aquilano, come Balsorano, i ragazzi portano ancora in giro, su una specie di barella, una zucca svuotata, con i fori degli occhi, del naso e della bocca, con due corna colorate e una candela accesa dentro; si fermano dinanzi agli usci delle case e delle botteghe cantando: «S. Martino, S. Martino».

Antonio De Nino nel suo Usi e costumi abruzzesi (1879) dedica un intero capitolo alla simbologia delle zucche dal titolo Illuminazione con le zucche:

In Ortucchio, alla vuota zucca si fanno dei buchi a forma di occhi, bocca e naso.
Dentro vi si adatta una candela. Nel cocuzzolo si legano due corni più o meno lunghi.
L’ operazione si compisce con infilare a un palo la cornuta zucca.
Fatto notte, si accendono le candelette di questi strani lanternoni (forse i cerei dei saturnali), e si gira per paese al grido di “Viva San Martino! Viva le corna!”
E io con un corno vi caverei un occhio! se mi fosse lecito.

Nell’intero territorio abruzzese sono moltissime le storie legate al culto dei morti. Uno dei testi più importanti e suggestivi è sicuramente quello di Vittorio Monaco dal titolo “Capetièmpe – Capodanni in Abruzzo”, recentemente ristampato dalla Textus Edizioni. Le suggestioni della festività risuonano anche nei versi di Gabriele D’Annunzio e nel capolavoro di Francesco Paolo Michetti – La raccolta delle zucche, dove un teschio in primo piano si confonde tra i raccoglitori, sospesi in un’atmosfera magica.

Su le tegole brune riposano enormi
zucche gialle e verdastre, sembianti a de’ cranii spelati,
e sbadiglian da qualche fessura uno stupido riso
a ’l meriggio.

Gabriele D’Annunzio – Ottobrata (Versi d’amore e di gloria, Mondadori Meridiani, Milano 2004)

La Raccolta delle Zucche – Francesco Paolo Michetti (1873)

Zucche nel Convento Michetti fotografate da Francesco Paolo Michetti © ICCD

Da: PiccolaBibliotecaMarsicana.it

27 novembre 2022

Ricordo dello scrittore abruzzese Ignazio Silone

Ricordo dello scrittore abruzzese Ignazio Silone
di Elisabetta Mancinelli.

Ignazio Silone, pseudonimo di Ignazio Tranquilli, figlio di una tessitrice e di un piccolo proprietario terriero, nacque igiorno 1 maggio 1900 a Pescina dei Marsi, comune in provincia dell'Aquila. Una tragedia segna la vita del piccolo Ignazio, la perdita del padre e di cinque fratelli durante il terribile terremoto che scosse la Marsica nel 1915. Rimasto orfano all'età di quattordici anni, interrompe gli studi liceali si dedica all'attività politica, che lo porterà a prendere parte attiva alle lotte contro la guerra e al movimento operaio . Solo e senza famiglia, il giovane scrittore vive nel quartiere più povero del comune dove frequenta il gruppo rivoluzionario "Lega dei contadini". Idealista com’era, in esso trovava pane per i suoi denti assetati di giustizia e uguaglianza. In quegli anni, intanto, l'Italia partecipa alla Prima guerra mondiale. Finito il conflitto , Silone si trasferisce a Roma, dove entra a far parte della Gioventù socialista, opponendosi al fascismo. Come rappresentante del Partito Socialista, prende parte, nel 1921 alla fondazione del Partito Comunista Italiano. L'anno dopo, mentre i fascisti effettuavano la marcia su Roma, Silone diventa direttore del giornale romano "L'avanguardia" e redattore della testata triestina: "Il Lavoratore". Compie varie missioni all'estero, ma poi, a causa delle persecuzioni fasciste, è costretto a vivere nella clandestinità, collaborando con Gramsci. Nel 1926, dopo l'approvazione da parte del Parlamento delle leggi di difesa del regime, vengono sciolti tutti i partiti politici.
In questi anni, comincia a profilarsi la sua personale crisi d'identità, legata alla revisione delle sue idee comuniste e dopo poco il disagio interiore aumenta tanto che nel 1930 esce dal Partito Comunista.La causa scatenante è la ripulsa che Silone, provava per la politica di Stalin, percepito dai più solo come padre della rivoluzione e illuminato condottiero delle avanguardie socialiste. Per la sua abiura dell'ideologia comunista pagò un prezzo altissimo : la cessazione dei rapporti di quasi tutti i suoi amici di fede comunista i quali, non capendo e non approvando le sue scelte, rinnegarono i rapporti con lui . Oltre alle amarezze derivate dalla politica, si aggiunse per Ignazio un altro dramma, quello del fratello più giovane, ultimo superstite della sua già sfortunata famiglia, arrestato nel 1928 con l'accusa di appartenere al Partito Comunista illegale.
Silone , deluso e amareggiato come uomo , nel suo esilio svizzero, si dedicò alla scrittura e pubblicò lettere di emigrati, articoli e saggi interessanti sul fascismo italiano e il suo romanzo più famoso: "Fontamara", che l’autore descrive come «un antico e oscuro luogo di contadini poveri ‘i cafoni’ situato nella Marsica, a mezza costa tra le colline e la montagna, dove i giorni, come i soprusi, si ripetono sempre uguali.” Dopo pochi anni esce "Vino e pane" che si svolge in : « quella parte della contrada che con lo sguardo poteva abbracciare dalla casa in cui nacqui e che non misura più di trenta o quaranta chilometri in un senso e nell’altro». È un mondo popolato da personaggi umili, rassegnati, che trovano soddisfazione nella vivacità del loro dialetto e nel sapore delle cose semplici, come il pane intinto nel vino.
Nel 1941 lo scrittore pubblica "Il seme sotto la neve" e pochi anni dopo, terminata la seconda guerra mondiale rientra in Italia, dove aderisce al Partito Socialista. Dirige "l'Avanti!", fonda "Europa Socialista” e tenta la fusione delle forze socialiste con l'istituzione di un nuovo partito, ma ottiene solo delusioni, che lo convincono al ritiro della politica. Intensifica la sua attività narrativa e pubblica gli ultimi romanzi : "Una manciata di more", "Il Segreto di Luca" e "La volpe e le camelie".
Il 22 agosto 1978, dopo una lunga malattia, Silone muore in una clinica di Ginevra per un’emorragia celebrale. Viene sepolto a Pescina dei Marsi, nei pressi del vecchio campanile di San Bernardo.

Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli email mancinellielisabetta@gmail.com

26 settembre 2022

Gli acquerelli nella Marsica di Consalvo Carelli.

color by F.Marino


Una galleria dei bozzetti dal vero realizzati da Consalvo (o Gonsalvo) Carelli (1880 - 1889) su diretta commissione di Vincenzo Bindi per illustrare il volume Monumenti storici ed artistici degli Abruzzi. I disegni sono attualmente conservati nella Pinacoteca Bindi di Giulianova.

Il castello dei Colonna di Avezzano (AQ) con i suoi enormi torrioni circolari. Dietro di esso si intravede il campanile della chiesa di San Bartolomeo. Sullo spiazzo davanti sono disegnati vari contadini, con forconi, covoni e un carro.

Una scena disegnata dal vero, dove un gruppo di persone è seduto sui gradini di una scalinata. Sullo sfondo si erge il Palazzo Ducale di Tagliacozzo (AQ).

La facciata esterna del Castello di Celano (AQ). Fuori, davanti ad esso, sono rappresentati gruppi di contadini, alcuni buoi e un cane.

La chiesa di San Cesidio a Trasacco (AQ). Sullo spiazzo una contadina in costume con la brocca e una bimba, accanto un altro gruppo di figure con asino e covoni.

La chiesa di Santa Sabina in Marruvium a San Benedetto dei Marsi (AQ). Da un lato della facciata, decorata in stile romanico, si intravede uno stagno. Sulla strada sono rappresentate alcune figure in costumi tipici, sedute. Più in la alcuni uomini caricano del fieno su un carro.

Il borgo medievale di Albe e le sue mura ciclopiche.