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Il processo dei Templari in Abruzzo contro frate Cecco Nicola da Lanciano e frate Andrea da Monteodorisio, 1305.
Il processo dei Templari in Abruzzo contro frate Cecco Nicola da Lanciano e frate Andrea da Monteodorisio, 1305
di Angelo Iocco e Marino Valentini
Nell’immaginario collettivo il venerdì 13, per gli scaramantici, è il giorno da evitare per l’assunzione di decisioni rilevanti e per fare qualsiasi cosa d’importante, perché è il giorno iellato per eccellenza. Molti ritengono che questo giorno maledetto sia da legare all'infausto venerdì 13 ottobre 1307, quando Filippo IV “il Bello” di Francia diede l’ordine di arrestare tutti i templari presenti nel suo regno. Ma come si arrivò a tale decisione e perché?
Intanto va detto che l’Ordine dei cavalieri
templari, in circa due secoli dalla sua costituzione, aveva accumulato così
tante ricchezze, da diventare un innegabile strumento di potere economico e
politico in Europa. Allo stesso tempo il re di Francia si trovava a
fronteggiare una pesante situazione finanziaria, ereditata dal predecessore,
fortemente incisa da un indebitamento tale da far svalutare la moneta del
Paese. Di fronte a siffatta situazione, il sovrano pensò bene di risolvere il
problema delle finanze e risanare le casse di Stato, guardando nell’orto dei
templari, verso i quali si trovava in uno stato di preoccupante indebitamento,
a causa di prestiti contratti anche da chi lo aveva preceduto.
Bisognava trovare però un pretesto per incastrare
l’ordine monastico e lo stesso venne offerto da un cavaliere pentito (sic!) che
avallò le voci e le dicerie che da tempo circolavano sulle strane usanze dei
templari. Filippo diede credito al fuoriuscito dall’Ordine e vennero
pronunciate le prime tre formali accuse:
1) IL RINNEGAMENTO DI CRISTO E GLI SPUTI SULLA
CROCE (ERESIA);
2) L’OMOSESSUALITÀ E LA SODOMIA (SODOMIA);
3) L’ADORAZIONE DI IDOLI (IDOLATRIA).
La caduta dei
Templari sotto Clemente V
Con la perdita
di San Giovanni d'Acri, i cristiani furono costretti a lasciare la Terra Santa.
Nemmeno gli ordini religiosi poterono evitare tale esodo e i Templari scelsero
di ripiegare verso Cipro dove
insediarono la loro sede centrale. Tuttavia, una volta che questi ebbero
abbandonato la Terrasanta, con pochissime probabilità di poterla un giorno
riconquistare, in occidente sorse la questione dell'utilità dell'Ordine del
Tempio il cui scopo originario per cui erano stati fondati, difendere i
pellegrini diretti a Gerusalemme sulla tomba di Cristo, si era oramai reso
irrealizzabile.
Per diversi
decenni, il popolo aveva percepito i cavalieri anche come signori orgogliosi e
avidi, che conducevano una vita disordinata (le espressioni popolari "bevi
come un templare" o "giura come un templare" sono rivelatrici a
questi sintomi), tanto che dal 1274 al concilio di Lione II i più alti dignitari dell'ordine dovettero
produrre un libro di memorie per giustificare la loro esistenza. Abitualmente
si parlava dei Templari come di un covo di eretici e di
viziosi; voci probabilmente alimentate dal fatto che molti peccatori erano in
effetti approdati all'Ordine per riceverne protezione a fronte di un, non
sempre sincero, pentimento.
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Marino Valentini: L’antiquario Filippo Rega di Chieti.
Head of Jupiter, early 19thcentury, onyx. New York: The Metropolitan Museum, the Milton Weil Collection, 1940. Photo credit: The Metropolitan Museum. |
di Marino
Valentini
Forse non sapete che tra il 18esimo e il 19esimo secolo c'era un artista teatino a cui si rivolsero capi di stato e famiglie reali per commissionargli opere d'arte, molte delle quali tuttora sono conservate nei musei di tutto il mondo: il British Museum di Londra, il Pennsylvania Museum di Filadelfia, l'Art Museum di Baltimora, il Metropolitan Museum di New York, il Badisches Landesmuseum di Karlsruhe e tanti altri ancora. Il nostro concittadino si chiamava Filippo Rega, figlio di un commerciante di anticaglie a Chieti che fu costretto a emigrare a Napoli, quando il negozio di famiglia chiuse i battenti a causa di errati investimenti che provocarono la bancarotta.
Head of a nereid, early 19thcentury, beryl. London: The British Museum. Photo credit: The British Museum. |
Suo padre riconobbe nel giovanissimo Filippo un'evidente inclinazione verso il disegno e perciò decise di mandarlo in una scuola d'arte romana gestita da un amico di famiglia, Giovanni Pichler che all'epoca era accreditato come il più importante incisore in pietre dure in Europa. Filippo passò una dozzina d'anni a imparare l'arte glittica nel laboratorio romano di Pichler, arrivando a superare per bravura anche il maestro, al punto che lo stesso papa Pio VI gli commissionò alcune opere da destinare al da poco nato Museo Pio Clementino. Dopo dodici anni di soggiorno romano, la famiglia Rega tornò a Napoli dove aprì un nuovo negozio di antichità, mentre Filippo continuava abilmente a intagliare le pietre dure, specializzandosi nella realizzazione di cammei di notevole pregio. Se ne accorse la casa reale borbonica che gli commissionò diverse opere e l'eco della sua bravura risuonò oltre Manica, dove la casa reale britannica e importanti personalità come Horatio Nelson, gli chiesero di realizzare ritratti su cammei. Quando poi i Borboni vennero scacciati da Napoli dagli usurpatori francesi, il neo re napoletano Gioacchino Murat chiese a Rega di realizzare per sé e per la moglie Carolina, sorella di Napoleone Bonaparte, i rispettivi ritratti su pietra dura. Caduto in disgrazia Murat, i Borboni tornarono in possesso del trono napoletano e nominarono il Rega incisore di corte e direttore della zecca napoletana. C'è poi un curioso episodio che riguarda gli ultimi momenti di vita di Murat. Quando il deposto re fu portato davanti al plotone d'esecuzione a Pizzo Calabro, lo stesso chiese all'ufficiale che comandava i militari incaricati di fucilarlo: <Mirate al petto, risparmiatemi il viso!> Nell'invocare tale richiesta, Murat tirò fuori dalla tasca il cammeo di Rega con l'immagine di Carolina per portarla alle labbra e baciarla, mentre i soldati lo colpivano a morte.
Portrait of Lady Emma Hamilton, early 19th century, vitreous paste cameo. London: National Maritime Museum. Photo credit: National Maritime Museum. |
Sono di Filippo Rega le teste incise sulle monete napoletane, tanto di Murat, quanto di Ferdinando IV. Il nostro concittadino poi si distinse nella realizzazione di medaglie celebrative nel periodo borbonico. Tra le sue opere più importanti vi sono: il Ritratto di Ottaviano Augusto, il Ritratto di Pio VII, il Ritratto di Sua Altezza Reale Ferdinando I, il Ritratto di Sua Altezza Reale Francesco di Borbone, il Ritratto della duchessa d’Austria Maria Clementina, il Ritratto di Sua Altezza Reale Ferdinando IV, il Ritratto di Giuseppe Bonaparte (1806), il Ritratto del gran maresciallo Lamusse in lapislazzuli, il Ritratto di Gioacchino Murat, il Ritratto di Maria Carolina (moglie di Murat), il Ritratto del principe Augusto (figlio di re Giorgio III d’Inghilterra), la Principessa di Pietrapersia, la Principessa di Scilla, il Principe di Butera, il Ritratto di lord William Hamilton, il Ritratto di Lady Emma Lyon Hamilton, il Duca di Sussex e la testa di Giove che vedete in foto, tuttora conservata al Metropolitan di New York. Morì all'età di 72 anni per un colpo apoplettico a Napoli dove vennero celebrate delle solenni esequie. Notevoli sono le incisioni mitologiche, che riproducevano in miniatura le antiche sculture elleniche che riusciva a replicare su gemme e pietre dure. Di solito firmava tali opere in lettere greche, completando così l'illusione dell'antichità creata dal suo stile e dalla sua tecnica. A Chieti, sua città natale, è purtroppo semisconosciuto.
Ferdinand IV’s 120 grana coin, 1805, silver. |
Per approfondimenti:
https://www.rmg.co.uk/collections/objects/rmgc-object-36489
https://it.wikipedia.org/wiki/Filippo_Rega#/media/File:Piastra_1805.jpg