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27 aprile 2022

Silvino Olivieri patriota di Chieti nel Risorgimento.

Silvino Olivieri patriota di Chieti nel Risorgimento

di Marino Valentini

Una delle strade più note di Chieti è via Silvino Olivieri ma pochi sanno in città chi mai fosse costui. Innanzitutto va detto che la famiglia Olivieri proveniva dal nord Italia, come tante altre che si trasferirono nella città teatina, dal Piemonte per l'esattezza, stabilendosi a Chieti sin dal '700. 
La famiglia, ormai teatina d'adozione, negli anni seguenti fece diversi investimenti rilevando proprietà, soprattutto a Caramanico dove nella cittadina, all'epoca in provincia di Chieti, nacque nel 1828 Silvino Olivieri (altre fonti parlano erroneamente del 1827 o del 1829). 
I primi studi Olivieri li compì nel Real Collegio di Chieti per poi proseguirli a Napoli presso la prestigiosa scuola militare della Nunziatella, da cui uscì col grado di sottotenente. 
Gli ideali di chiara ispirazione liberale ereditati dal padre lo faranno però diventare antiborbonico e infatti, nel giorno del suo ventesimo compleanno, a Chieti giunse la notizia che il re di Napoli si accingeva ad accordare la Costituzione e Olivieri, insieme ai suoi fratelli, si mise alla testa di un corteo di cittadini, sbandierando il tricolore e inneggiando all'Italia e alla libertà. 
Ma Silvino era un tipo sanguigno che preferiva non restarsene inoperoso nella tranquilla Chieti ed è così che, insieme al fratello Fileno, raggiunse la Lombardia partecipando, al fianco di Luciano Manara, alle cinque giornate di Milano e prendendo parte attiva, come volontario, alla prima guerra d'indipendenza contro il nemico austriaco. 
Finita la guerra, ma non certo la voglia di combattere di Silvino, questi, saputo che re Ferdinando si preparava a riconquistare in armi la Sicilia, dopo che il parlamento dell'isola aveva autonomamente dichiarato decaduto dal trono il re napoletano, ripartì nuovamente da Chieti per raggiungere la Sicilia e dar man forte agli insorti entrando col grado di capitano nella formazione militare comandata dal generale francese Trobriand. 
Il tentativo siciliano di ottenere l'indipendenza naufragò in seguito alla riconquista dell'isola da parte dell'esercito borbonico e alla promessa del re di concedere uno statuto per la Sicilia e l'amnistia per i rivoltosi. 
Dalla grazia però venivano esclusi 43 patrioti e tra questi figurava Silvino Olivieri che, ricercato dalla polizia borbonica, riuscì a fuggire imbarcandosi su una nave che lo condusse a Marsiglia. 
In Francia venne a conoscenza di moti che andavano nascendo in Prussia e perciò, dopo aver organizzato una legione straniera, si recò in Germania per combattere l'ennesima guerra di libertà che nel frattempo era già finita sul nascere. 
A questo punto il giovane Olivieri, mise temporaneamente da parte l'impeto battagliero avvertendo la necessità di tornare in Abruzzo per riabbracciare la sua famiglia: probabilmente sentiva di dover affrontare altre battaglie che gli avrebbero probabilmente impedito di rivedere ancora i suoi congiunti. 
Perciò riuscì a rientrare nel regno duo siciliano con un passaporto falso spacciandosi per apprendista pittore che viaggiava in Europa per imparare l'arte, riuscendo nel cuore della notte a entrare a Chieti, senza farsi riconoscere, ma il soggiorno teatino dovette essere di brevissima durata, visto che casa Olivieri era sorvegliatissima, giorno e notte, dalla polizia che controllava ogni pertugio, anche nelle vicinanze, al fine di rinvenire qualche indizio della sua presenza. 
Era il 1849 e Silvino Olivieri, ormai braccato, dovette così rassegnarsi a una vita da esule, riparando in Francia, Germania e Inghilterra, dove ricongiuntosi col fratello Fileno meditò di raggiungere il Sud America, forse emulo di quel Garibaldi che, da ricercato, aveva preferito emigrare in America Latina. 
I fratelli Olivieri giunsero nel 1852 a Buenos Aires nel momento in cui in città si combatteva una sanguinosa guerra civile per ottenere l'indipendenza dalla Confederazione argentina. Olivieri riuscì a mettere su la Legione Italiana, sull'esempio di quanto già fatto una decina d'anni prima da Garibaldi a Montevideo, impegnandosi, col grado di colonnello, a una nuova guerra di libertà, stavolta a difesa della neonata repubblica bonaerense. 
La legione comandata dal nostro concittadino, si distinse in diverse azioni militari, meritandosi elogi tanto di parte alleata, quanto avversa, al punto che un decreto del governo di Buenos Aires designava la legione italiana come "Valorosa" (Legion Valiente). 
Nel frattempo gli amici dall'Europa scrivevano al nostro Silvino che l'Italia si apparecchiava a moti che l'avrebbero resa una e indipendente, confidando nella speranza (in verità vana) che, alla prima avvisaglia d'insurrezione, le truppe francesi non avrebbero esitato a lasciare l'Italia (Roma). 
Olivieri non se lo fece ripetere e tornò in Italia, destinazione Roma, dove da tempo risuonava l'eco di questo brillante colonnello abruzzese e delle sue imprese in Argentina. Olivieri, una volta messo piede a Roma, trovò la polizia pontificia ad attenderlo e mettergli i ferri ai polsi, a scanso di equivoci, per impedire al focoso teatino di innescare una eventuale rivolta nella città papale. 
La notizia dell'arresto di Silvino Olivieri a Roma, suscitò indignazione tanto nel nuovo, quanto nel vecchio continente, al punto che l'ambasciatore argentino a Roma ne richiese l'immediata liberazione. 
Anche re Ferdinando chiedeva la scarcerazione, affinché l'Olivieri fosse però estradato a Napoli, visto che c'erano numerosi conti in sospeso da regolare con l'impetuoso reazionario. 
Nel frattempo a Roma, con un processo che definire sommario è puro eufemismo, Silvino Olivieri, senza uno straccio di prova concreta, veniva condannato ai ferri per 25 anni per aver cospirato contro la sicurezza dello Stato: se fosse stato tratto davanti ai giudici dell'Inquisizione avrebbe certamente avuto un processo più equo!
Ma non tardò molto affinché il buon Olivieri potesse essere liberato, grazie alle reiterate istanze di Buenos Aires, sostenute stavolta anche dal legato dell'Imperatore di Francia presso la Santa Sede, al quale gli argentini si erano rivolti, come ultima ratio, ma un'importante carta se la giocò anche la famiglia Olivieri che da Chieti riuscì a oliare certi meccanismi della Curia romana, gettando non poco denaro nelle affamate fauci dei prelati vaticani. 
Condizione per l'immediata scarcerazione del Colonnello fu di non mettere più piede nello Stato Pontificio e di tornarsene da dove era venuto dall'altra parte del mondo. 
Era il 1855 e una nave francese prelevava il nostro concittadino per portarlo prima a Tolone e poi in Inghilterra da dove, per la seconda volta insieme all'inseparabile fratello Fileno, partiva alla volta di Buenos Aires, dove ad accoglierlo festosamente trovò una moltitudine di cittadini argentini. 
Qui, su invito del governo di Buenos Aires, Olivieri fonderà nel distretto di Bahia Blanca una colonia agricola militare destinata ai suoi legionari e dove conoscerà la sua compagna, Leucadia Cambaceres: sembra quasi che Olivieri abbia avuto a ripercorrere la medesima vita di Garibaldi. 
La colonia, battezzata Nueva Roma, nasceva militare al fine di proteggere il confine dalle invasioni indigene, ma nella speranza di sostituire progressivamente, finché le circostanze non lo richiedessero, le armi con l'aratro. 
Purtroppo dopo alcuni mesi dalla nascita della colonia, in cui Olivieri era riuscito nell'intento di salvaguardare i confini dalle scorrerie indiane, così come richiesto dal governo e anzi aveva concluso accordi di buon vicinato e di reciproco aiuto con gli stessi indios, i promessi aiuti che sarebbero dovuti arrivare da Buenos Aires s'interruppero con evidente malcontento dei coloni e dei legionari. 
Olivieri pagò di tasca sua i ritardi delle paghe per i suoi soldati ma qualcuno interpretò erroneamente tale situazione di precarietà come una comoda strada del colonnello teatino per arricchirsi personalmente, in accordo col governo ma a scapito dei legionari. 
Purtroppo, i ritardi del governo continuarono e misero in imbarazzo lo stesso Olivieri, che comunque si guardava bene dal giudicare negativamente i governatori di Buenos Aires e ciò destò più di un sospetto in qualcuno della colonia. Cosicché la sera del 28 settembre 1856, mentre si ritirava per coricarsi nell'umile capanna che divideva col cappellano della colonia, un gruppo di facinorosi della sua legione entrò nel ricovero per far fuoco all'impazzata mentre le due ignare vittime dormivano. 
Silvino Olivieri, benché ferito, si alzò in piedi ritenendo di essere stato attaccato da una tribù di indios e, pistola in pugno, affrontò i nemici ma meravigliato si accorse che erano i suoi, mentre questi ultimi non esitarono a scaricargli altro piombo addosso. 
Silvino fece appena in tempo a esclamare: <Mi hanno tradito! Povera Leucadia!> che una palla lo raggiunse in pieno petto e quindi spirò.
Il colonnello Silvino Olivieri, esule volontario in Sud America per combattere in favore della libertà di un altro popolo moriva a ventotto anni proditoriamente per mano italiana!

"El Coronel", sconosciuto nella sua città, è invece considerato al pari degli eroi nazionali in terra argentina.

Silvino Olivieri nato a Caramanico ma di famiglia teatina che abitava stabilmente a Chieti, non fu un corsaro, non fu ladro di cavalli o bestiame, non trafficava schiavi, nelle sue azioni militari non fu aiutato dalla massoneria ma solo dai suoi legionari, non ha mai corrotto il nemico; benché fosse di famiglia agiata, non ha mai dimostrato un morboso attaccamento al denaro, né ha mai svaligiato o truffato banche e nemmeno si è mai sognato di avere tendenze al limite della pedofilia.

Forse è veramente lui l'eroe dei due mondi. Chi vuol intendere...

Silvino Olivieri

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