2 dicembre 2024
Costantino Felice, Le stragi di Pietransieri e Sant'Agata, da "Terra di nessuno" a "Terra bruciata".
1 dicembre 2024
Golfo di Venezia, 1688 - Abruzzo Citra.
30 novembre 2024
Ettore Montanaro, I Canti della Terra d'Abruzzo. Alcuni brani riproposti dai cori abruzzesi.
29 novembre 2024
27 novembre 2024
25 novembre 2024
Attilio Fuggetta e Nino Saraceni, due giganti della canzone popolare abruzzese.
Attilio Fuggetta e Nino Saraceni, due giganti della canzone popolare abruzzese
di
Angelo Iocco
Nacque a Lavello, provincia di Potenza nel 1894 e morì a Chieti nel 1980. Ringraziamo il prof. Andrea Giampietro, il quale ne dà notizia in una nota al suo saggio Studi di letteratura abruzzese, Ortona, 2024. Si trasferì giovanissimo a Sulmona per scopi lavorativi, facendo il capostazione, e per gli stessi motivi di lavoro, ebbe incarichi anche alle stazioni di Lanciano e Fossacesia. Ironia della sorte, Fuggetta era destinato ad adottare l’Abruzzo come seconda patria, e soprattutto a entrare in contatto con il poeta Nino Saraceni di Fossacesia, nato nello stesso anno, con cui collaborò in diverse edizioni delle Maggiolate di Ortona. Purtroppo al momento ignoriamo come egli possa aver studiato musica, e in quale istituto o conservatorio, per poter iniziare a produrre già canzoni nei primi anni ’20, con l’istituzione delle Maggiolate a Ortona. Resta ancora un mistero, così come per la formazione artistica di altri compositori abruzzesi quali Vito Olivieri di San Vito e Arturo Colizzi di Rocca S. Giovanni. Preso anni più tardi il diploma per l’insegnamento di musica, si perfezionò a Lanciano, dove ebbe incarichi anche nei Corsi di perfezionamento estivi voluti dal Sen. Enrico D’Amico.
Fuggetta
fece le sue prime apparizioni, come detto, alle Maggiolate Ortonesi, entrando
subito in sintonia col poeta Saraceni. Ecco le canzoni scritte con lui:
M’à ditte ca scì, III Maggiolata di Ortona 1922
Affaccite tisore, IV Maggiolata 1923
Lu niducce, V Maggiolata 1924
Ggenta nostre, VI Maggiolata 1925
Lu ndruvarelle, VII Maggiolata 1926
Lu starucce, VIII Maggiolata 1927
Tra queste figura anche Maccarune a la chitarre, canzonetta scritta dal Saraceni, ancora oggi riproposta da diverse corali, specialmente dal Coro Voci delle Ville di Ortona del
24 novembre 2024
Michele Muzii grande compositore musicale.
Liceo Musicale di Bologna (oggi Conservatorio Giovanni Battista Martini) |
22 novembre 2024
19 novembre 2024
Guido Albanese, Nuovi Canti Popolari d’Abruzzo, Firenze, Prem. Stamp. Musicale G. & P. Mignani, 1927.
17 novembre 2024
Baltimora 1943: Le visite ai prigionieri di guerra italiani (tra cui molti abruzzesi).
Baltimora 1943: LE VISITE AI PRIGIONIERI DI GUERRA ITALIANI
di Suzanna Rosa Molino - traduzione di Nicola D'Adamo
15 novembre 2024
Matteo Liberatore, Le campane di S.Maria Maggiore in Vasto.
13 novembre 2024
La Guerra degli Antò (1999), di Riccardo Milani. Film girato a Montesilvano.
La guerra degli Antò è un film del 1999 diretto da Riccardo Milani.
Il film, tratto dal romanzo omonimo di Silvia Ballestra, è ambientato tra la fine del 1990 e l'estate successiva e racconta delle vicende d'un gruppo di quattro giovani punk abruzzesi originari di Montesilvano in provincia di Pescara.
L’Abruzzo visto da Escher, l’artista dei mondi impossibili.
L’Abruzzo visto da Escher, l’artista dei mondi impossibili
A Roma, la più grande e completa mostra su Escher a Palazzo Bonaparte con più di 300 opere legate all'artista olandese.
di Fausto D'Addario
A cento anni dalla sua prima visita a Roma, Maurits Cornelis Escher è tornato nella Capitale a Palazzo Bonaparte nella più grande e completa mostra interamente dedicata alla tecnica, alla bellezza, alle vorticose illusioni e disillusioni di uno dei più celebri artisti del Novecento. Amato dagli appassionati d’arte, matematica, scienze, design e grafica, Escher è stato capace di creare un linguaggio assolutamente unico e inconfondibile: le sue architetture fantastiche, le prospettive apparentemente semplici e chiare, ma geometricamente impossibili sono state riprodotte nei modi più diversi, fra copertine di libri e dischi e scenografie teatrali e cinematografiche. La mostra antologica, organizzata in otto sezioni per più di 300 opere, esplora passo dopo passo la produzione e l’evoluzione del celebre incisore olandese: dagli inizi, sotto l’influenza dell’Art Nouveau, al periodo italiano, tra i più belli e fecondi della sua vita, fino alle oniriche metamorfosi e agli infiniti paradossi, che producono un completo straniamento in chi guarda. C’è anche una ricostruzione dello studio che l’artista aveva a Baarn in Olanda, con gli strumenti originali, compreso il cavalletto che portava con sé nei suoi viaggi in Italia.
Dal novembre del 1923, sulla scia del Grand Tour, Escher si trasferì nella nostra penisola risiedendo stabilmente a Roma, ma ogni anno intraprendeva un viaggio attraverso l’Italia per catturarne i magnifici paesaggi. La sua predilezione andava alle regioni centro-meridionali, dalla Costiera amalfitana alla Calabria, dall’Abruzzo alla Toscana, dalla Sicilia alla Corsica. Lasciò definitivamente l’Italia solo nel 1935 a causa della crescente oppressione del movimento fascista, ma l’Italia e l’Abruzzo rimasero nel suo cuore. Prima di partire, l’Istituto Storico Olandese gli dedicò un’ultima mostra, recensita con queste parole dall’Osservatore romano:
“A vero dire Escher è una vecchia conoscenza per chi frequenta il mondo artistico romano. Chi non conosce quell’alto biondo pittore olandese, che beve il sole con gli occhi […]. A forza di vivere in Italia non è più l’olandese fantastico e pur analitico di quando illustrava libri di leggende nordiche”.
Escher si recò tre volte in Abruzzo tra il 1928 e il 1935, vagabondando a piedi, con vettura postale, a cavalcioni sui muli, insomma, con ogni mezzo allora disponibile. Il primo viaggio, che fu quello che lo stregò, avvenne nell’aprile del 1928, quando scoprì questa terra selvaggia, “tra le aree più inospitali dell’Italia“, come ebbe ad ammettere; il secondo avvenne nei mesi di maggio e giugno del 1929 nelle zone interne della Regione, con l’intenzione di realizzare un libro illustrato sull’Abruzzo; il terzo ed ultimo nel febbraio del 1935. Per un artista che veniva dalla geografia orizzontale dei Paesi Bassi, il paesaggio abruzzese gli appariva così imprevedibile con i suoi dirupi, le gole e le valli scoscese, per i contrasti nettissimi tra luci e ombre, impensabili nelle atmosfere olandesi. Ed era una continua emozione. In una lettera al suo amico Bas Kist, Escher scriveva:
“Mi sono abituato a fare questo tipo di viaggi ogni primavera, mi restituiscono vigore nel corpo e nell’anima e poi raccolgo del materiale per i mesi successivi. Non conosco altra gioia che vagabondare per le colline e attraverso le valli, da paese a paese, sentire gli effetti della natura incontaminata“.
Lo scopo era prendere appunti, scattare foto, abbozzare schizzi e preparare i disegni: anche se il volume sperato non vide mai la luce, le sue incursioni abruzzesi produssero un risultato meraviglioso, con le stampe di paesi come Goriano Sicoli, Scanno, Anversa degli Abruzzi, Castrovalva, Fara San Martino, Pettorano sul Gizio, Alfedena, Opi e Cerro al Volturno, per la maggior parte nell’aquilano e nel Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise. La composizione dei paesaggi è sempre filtrata dalla sua interiorità:
«Nelle mie incisioni cerco di provare che noi viviamo in un mondo bello e ordinato e non in un caos senza norme, anche se talvolta sembra sia così. I miei soggetti sono spesso giocosi: sento forte il bisogno di dimostrare l’assurdità di alcune certezze che noi consideriamo irrefutabili. È, per esempio, un piacere combinare volutamente oggetti di due e di tre dimensioni, rapporti di superficie e di spazio, e farsi gioco delle leggi di gravità».
Nella sognante veduta di Fara San Martino Escher indugia sulle sue abitazioni arroccate l’una sull’altra, adagiate sulla collina che va verso il quartiere di San Pietro. Si vede anche il ruscello che scorreva in superficie, con i vari ponticelli; a destra si il quartiere di Terra Vecchia che si arrampica su una ripida altura. La montagna invece è rappresentata da un disegno molto particolare, che riproduce astrattamente le scanalature della roccia. Il tutto sospeso in una dimensione fra la realtà e l’immaginazione.
Nei disegni successivi Escher si concentra sull’architettura della natura: ne capta gli elementi essenziali, si sofferma sui particolari e predilige vedute fortemente prospettiche. Ad Alfedena rimase colpito dai molti alberi potati in maniera strana, con un solo ciuffo di foglie sulla cima. Qui furono gli abitanti del paese ad essere i veri artisti: avevano appena raccolto le foglie per le capre, perché in inverno gli animali non potevano andare al pascolo con la neve, dando così al paese un aspetto surreale. Nella litografia di Scanno emerge il dato architettonico e realistico: Escher raffigura uno scorcio ancora oggi rimasto inalterato, Vico Ciorla, con una scalinata in discesa e il gioco di contrasti in salita delle gradinate di accesso alle case. Due figure femminili che lavorano al tombolo in abiti tradizionali e in lontananza un monte con degli alberi che si infittiscono coronano l’opera. Ancora oggi questo scorcio esiste sostanzialmente inalterato e una riproduzione dell’opera viene esposta su una parete del vico. Ad Opi Escher rimase incantato dalla fisionomia urbanistica: due filari di case in groppa sul dorso di un monte; il panorama quasi metafisico e le stradine che si allargano aprono l’orizzonte della stampa, anziché rinchiuderla in una sequenza claustrofobica di architetture e scalinate. L’artista olandese amava ripetere “Lo stupore è il sale della terra“.
Accontentiamoci di questa breve carrellata: non possiamo purtroppo soffermarci su tutti i disegni. Escher lasciò l’Italia nel 1935, dopo un ultimo nostalgico viaggio in Abruzzo; da questo momento la sua arte e i suoi esperimenti evolvono verso le forme astratte, le composizioni geometriche e le architetture impossibili, che lo hanno reso celebre. Ma l’antico ricordo dell’Abruzzo, con la sua gente, i suoi scorci e la sua struggente bellezza dovette rimanergli impresso nel cuore. Già nella Natura morta con specchio, che segna una svolta nella sua maturazione artistica, si riconosce una delle stradine del borgo di Villalago nel vicolo rappresentato nello specchio. Ancora, nel 1958 le montagne sullo sfondo del labirintico Belvederedel 1958 sono una ripresa di quelle già raffigurate nel disegno di Pettorano sul Gizio.
La sua salute fu sempre cagionevole: l’ultima opera, Serpenti, è del 1969. Poi, sempre più malato, si limitò a ristampare le sue opere. Maurits Cornelis Escher morì il 27 marzo 1972 all’ospedale Diakonessenhuis di Hilversum, in Olanda. Fu un grande maestro, che visse in quattro nazioni diverse affrontando i tempi difficili delle due guerre, ma la sua ricerca artistica non ne venne scalfita e rimase un unicum. Escher ha trasfigurato il visibile, intrecciando ciò che vedeva con ciò che percepiva. Quell’alto biondo pittore olandese, che beveva il sole con gli occhi, ha espresso con semplicità e chiarezza la sua vocazione:
“Vedere due mondi diversi nello stesso identico luogo e nello stesso tempo ci fa sentire come se fossimo in balìa di un incantesimo. Solo un artista ci può dare questa illusione e suscitare in noi una sensazione eccezionale, un’esperienza dei sensi del tutto inedita“.
Da: L'Aquilablog.it