LA CHIESA DI SANTA MARIA DI RONCISVALLE A SULMONA
di Antonio Mezzanotte
Si dice e si racconta che nell’anno 826 alcune giovani sulmonesi andarono a raccogliere erbe nelle terre a confine tra Sulmona e Pescocostanzo. Certi pescolani cominciarono a importunarle e uno di questi, il più sfrontato, oltraggiò la più bella delle sulmonesi, nonostante la disperata resistenza della ragazza. Tornate a Sulmona, le donne riferirono l’accaduto ai padri, ai nobili e al sindaco della città e tutti, sdegnati, fecero proposito di vendetta, ma nascosero le loro intenzioni per non insospettire i colpevoli. Venne così il 1° settembre 827 e molti pescolani scesero a Sulmona per prender parte alla grande fiera della Madonna di Roncisvalle. I sulmonesi tesero l’agguato e, all’improvviso, piombarono su di essi facendone strage, senza riguardo a sesso ed età: trecento pescolani furono fatti a pezzi, a settanta donne vennero tagliate le vesti dall’ombelico in giù e fatte sfilare a frustate per Sulmona, per dileggio, mentre le teste degli uccisi furono appese ed esposte per la città: un provvedimento comunale ordinava a tutti i cittadini di oltraggiare quei miseri resti, sotto minaccia di pena capitale.
La vicenda è raccontata da Giovanni Pansa (archeologo, storico e politico vissuto a cavallo del 1900, la cui formazione giuridica appare evidente per il rigoroso richiamo alle fonti e per la chiarezza argomentativa dei suoi scritti) sulla Rassegna abruzzese di storia e arte del 1899, che la riprende dai resoconti dell’Acuti, un cronista del XVI secolo, il quale a sua volta trascrive un racconto popolare (precisando che l’episodio accadde davanti a Porta San Martino, poi chiamata Porta Sant’Agostino, una delle porte distrutte nel sisma del 1706 e delle quali s'è persa memoria, ma che mi dicono che questa doveva trovarsi all'inizio di corso Ovidio, tra piazza Carlo Tresca e via Porta Romana, prima dell'odierno palazzo della Curia diocesana).
Ovviamente, è lo stesso Pansa a mettere in dubbio l’episodio, frutto di storie e leggende stratificatesi nei secoli, di certo riferite a scaramucce di confine tra le due cittadine, e la chiesetta, tutt’oggi esistente, probabilmente deve il nome non tanto al ricordo dell’epopea dei paladini di Carlo Magno e, in particolare, della disfatta al passo pirenaico di Roncisvalle (abbinando, quindi, nella fantasia popolare, il mito di Orlando all’asserita strage di pescolani), quanto all’appartenenza dell'edificio all’Ordine ospedaliero degli agostiniani di Santa Maria di Roncisvalle (così detto per l’ospedale fatto costruire da un re di Navarra nel 1219 lungo la via di Compostela proprio sul celebre passo dei Pirenei).
La chiesa sulmonese (indicata nelle fonti anche come S. Maria Lungis Valle, Rosa de Vallis o Rocci da Valle, S. Maria Giovanna – quest’ultima denominazione è probabile da una storpiatura della pronuncia dialettale) venne eretta in una zona sacra dedicata a Minerva, come testimoniano i reperti rinvenuti appena fuori dalla cinta muraria cittadina, dalle parti di Porta Romana. Alla chiesa era annesso un ospedale (termine polivalente, che poteva alludere a un luogo di cura, ma anche a un ricovero per pellegrini), adiacente al lato settentrionale, nel sedime di una precedente chiesa dedicata a San Vincenzo. Tutto il complesso in età angioina venne posto sotto l’amministrazione della Casa Santa dell’Annunziata e ancora ne dà notizia quel gran galantuomo di Pietro Carrera da Rosciano, Governatore dell’Ospedale dell’Annunziata alla fine del 1700.
La chiesa sorge lungo quella che era la Via Numicia o Minucia, strada della tarda età repubblicana che saliva da Corfinio verso Alfedena, passando per l’altopiano delle cinquemiglia; nel tempo venne inglobata nella medievale Via degli Abruzzi, che collegava Firenze a Napoli, aggirando Roma e le paludi del litorale laziale. In questo tratto la strada venne a coincidere con il tratturo Celano - Foggia e i pastori potevano trovare riparo nella chiesa, abbeverando il bestiame nell’attigua fontana, nota anche come fonte di Santa Maria Giovanna (una referente del luogo mi parlava di un'altra denominazione: “fonte dei lupi mannari”, ma non mi ha saputo precisare il motivo), le cui acque venivano ritenute miracolose e dalle proprietà salutari. La fontana, posta di fronte alla chiesa, ancora ammirabile nella lineare monumentalità, è di semplice impianto quadrangolare con quattro mascheroni decorativi.
La struttura originaria del piccolo tempio risale al XIII sec., a navata unica. Il portale d’ingresso, ogivale, presenta nella lunetta un affresco della Madonna con Bambino e santi databile alla seconda metà del 1200. Nel XV sec. fu aggiunto un portale esterno sul quale venne collocato, in corrispondenza della chiave dell’arco, lo scudo in pietra dello stemma cittadino (di età sveva e forse il più antico della città, come sostiene Franco Cavallone in un interessante contributo apparso sulla Rivista Abruzzese qualche tempo fa); in epoca successiva al terremoto del 1706 la chiesa è stata oggetto di numerosi interventi manutentivi. L'altare barocco richiama esempi di scuola pescolana.
L’immagine della Madonna di Roncisvalle era ritenuta miracolosa (mi si dice di una speciale devozione di Alessandro Farnese, il futuro papa Paolo III, che fu amministratore apostolico della diocesi di Sulmona - Valva nel 1521) e di recente è stata rinvenuta, tra le carte dell’Annunziata conservate nella sezione sulmonese dell’Archivio di Stato, una bolla di papa Bonifazio IX del 1391 che concedeva l’indulgenza plenaria per coloro che avessero visitato la chiesa pentiti e confessati nell’ottava dell’Assunta, a testimoniare l’importanza del luogo e del sacro edificio nei secoli passati.
La chiesa, dopo un lungo periodo di abbandono, è stata restaurata qualche anno fa. Un piccolo luogo identitario, testimone delle vicende locali legate alla transumanza, alla fede e alla pietà popolare, all'accoglienza di pellegrini, forestieri e malati. Queste chiesette, collocate quasi sempre ai margini degli abitati, lungo i tratturi o presso fonti sorgive costituiscono la nostra memoria più intima e dare ad esse il dovuto valore sarebbe davvero cosa buona e giusta.