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27 agosto 2023

Il convento di Sant'Antonio a San Buono.


Il convento di Sant'Antonio a San Buono (CH)
di Antonio Mezzanotte

Giovannantonio II Caracciolo, dal 1566 marchese di Bucchianico e, tra gli altri, barone di Santobono, sapeva il fatto suo. Si dirà: eh, ma era un Caracciolo, onori e ricchezze. È vero, ma poteva accontentarsi di quello che aveva ereditato. Invece, Giovannantonio aveva due qualità di non poco momento: disciplina militare e capacità imprenditoriale.
La prima gli derivava dall'essere stato per anni al seguito del padre Marino III, governatore delle Calabrie (leggi: lotta contro la pirateria barbaresca, costruzione di torri difensive litoranee, edificazione di strade militari per raggiungere i più sperduti paesi di quella regione); l'esperienza acquisita fu determinante per la difesa degli Abruzzi dopo l'attacco turco del 1566.
La seconda lo dimostrò con l'organizzazione e la gestione del vasto stato feudale che all'epoca si stendeva dall'Alento al Trigno: fece costruire il palazzo marchesale di Bucchianico, centro amministrativo dell'importante feudo, dotandolo anche di una piazza d'armi (che è l'odierna piazza principale del paese); edificò il palazzo di famiglia a San Buono (Santobono, come si diceva a quei tempi), nella valle del Treste, trasformando il vecchio castello medievale e rimodellando la chiesa parrocchiale; a Napoli realizzò il grande palazzo alla Carbonara, nei pressi di Porta Capuana, ancora oggi uno dei più belli e imponenti della città.
Nel 1590 ottenne il titolo di principe di Santobono, non solo consolidando il potere dei Caracciolo, ma anche assestando la presenza in Abruzzo della famiglia, i cui massimi esponenti (il nipote Ferrante e il pronipote Carmine Nicola) vedranno la luce rispettivamente a San Buono e a Bucchianico.
Nel 1575 Giovannantonio Caracciolo (secondo a portare questo nome, in ricordo del nonno) fece edificare il convento di S. Antonio di Padova poco distante dal paese di San Buono, lungo un crinale alle pendici di Monte Sorbo, in un luogo ricco di acque sorgive. Il cenobio e l'annessa chiesa furono completati dal figlio Marino IV.
È la chiesa ad attirare l'attenzione. Vasta, imponente, dalla facciata scandita su tre livelli con finestrone centrale, lesene e timpano recante al centro la statua di S.Antonio di Padova. Lo stile tardo rinascimentale (del quale riaffiora un'eco nel campanile a doppia vela) fu del tutto soppiantato dalla ristrutturazione settecentesca. Il portale, riccamente ornato, presenta una iscrizione a rammentare che fu fatto realizzare nel 1750 dal padre guardiano Bonaventura da Furci.
L'interno è a navata unica composta da quattro campate con lunette a botte; sulla destra si aprono tre ampie cappelle, comunicanti tra loro quasi a formare una navata secondaria, dedicate a S.Antonio (la cui statua fu realizzata nel 1762 dallo scultore molisano Paolo Saverio Di Zinno), S. Francesco e S.Diego.
L'altare maggiore, con al centro il tabernacolo, contiene ai lati le statue di S.Giacomo della Marca e S. Bernardino da Siena.
L'origine francescana del complesso si rivela, quindi, non solo nella dedica al Santo patavino, ma anche nella presenza di rimandi a personaggi chiave della storia dell'Ordine, con la particolarità che trattasi di minori osservanti, i quali tra il 1400 e il 1500 metteranno salde radici nei principali centri del vastese.
Il convento di San Buono fu chiuso due volte: nel decennio francese (1811) e all'indomani dell'Unità d'Italia (1866), con dispersione inevitabile del ricco patrimonio artistico e documentale. I francescani lo poterono riacquistare soltanto nel 1937.
Il complesso conventuale di S.Antonio, nondimeno, continua ad essere ancora oggi, così come è stato per secoli, uno dei centri spirituali più rilevanti del territorio, immerso tra i boschi e i declivi della valle del Treste.

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