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18 agosto 2025

Padre Alessandro Cantoli da Crecchio, Minore Conventuale e Vescovo di Bovino.

Busto commemorativo a Mons. Cantoli, presso la chiesa parrocchiale di Crecchio.

P. Alessandro Cantoli da Crecchio, Minore Conventuale e Vescovo di Bovino.

di Angelo Iocco

Nel Convento del Ritiro dell’Annunziata del Poggio, accedendo alla piccola chiesetta, sulla destra leggiamo una lapide murale che semplicemente indica la presenza della tomba del Beato Cristoforo da Penne dell’Ordine dei Minori Osservanti. Fu un uomo pio, devoto, e che all’epoca del suo rinvenimento nel XVIII secolo nella fossa dei frati della chiesa, il suo corpo era intatto, e operò diversi miracoli. 

Filippo Palizzi, schizzo del Convento di Orsogna, 1874 – fotoriproduzione dall’archivio del Convento della Santissima Annunziata, Orsogna.

Le notizie del B. Cristoforo e dei suoi numerosi miracoli autenticati dal Notaio, si conservarono nell’Archivio del Convento. Nel 1894 se ne aveva una sola copia fedelissima ricavata nel 1847 dal P. Alessandro Cantoli da Crecchio (1812-1884), poi Vescovo di Bovino. L’effigie in tela del Beato si conservava nella Sacrestia del Convento. Purtroppo i fedeli e i visitatori oggi raramente si soffermano a venerare la sua tomba, una volta meta continua di pellegrini orsognesi e forestieri, che venivano per implorare fiduciosamente grazie e miracoli, o per esprimere tutta la gratitudine del loro cuore consolato.

Mons. Cantoli, nel periodo di “riedificazione spirituale e materiale” dei Conventi francescani d’Italia dopo le soppressioni dell’Unità d’Italia, partecipò a redigere uno schedario-memoriale sui principali Conventi abruzzesi francescani. Si pose insomma sulla scia dell’opera dell’infaticabile P. Marcellino Cervone da Lanciano (Compendio di Storia Francescana dei Tre Abruzzi, Lanciano, R. Carabba), continuata successivamente dal P. Giacinto D’Agostino da Pollutri (editò i 4 volumi di S. Francesco e i Francescani negli Abruzzi, Lanciano, tip. Mancini, mentre gli ultimi 3 volumi furono compilati dal fratello P. Roberto D’Agostino con lo stesso titolo, e curati dal P. Felice Virgilio Di Virgilio da Pollutri per Japadre, L’Aquila). Padre D’Agostino nei suoi scritti spesso cita il Memoriale di Mons. Cantoli, anche se non fornisce notizie precise sulla struttura dell’opera, che egli poté consultare nella Biblioteca del Collegio S. Antonio di Padova di Roma, poi confluita nella Pontificia Università Antonianum della stessa città. Alle nostre domande al bibliotecario, nulla di nuovo attualmente si sa riguardo questo documento inedito di Mons. Cantoli.

Chi era questo Alessandro Cantoli che così dette lustro al Convento di Orsogna e alla Storia dei Frati Minori d’Abruzzo? Danti la chiesa parrocchiale di Crecchio si scorgono due monumenti in bronzo che lo ritraggono, il primo è un mezzobusto, la seconda una statua a grandezza naturale, posta ai piedi del campanile.

Ce lo illustra il giornalista Vincenzo Simeoni di Orsogna in suo saggio inedito, incluso nel fascicolo dattiloscritto Storia del Convento della Santissima Annunziata di Orsogna.


P. ALESSANDRO CANTOLI DA CRECCHIO (1812-1884)[1]

Canite tuba in Sion

(Ioele. 29, 19)

 

Docete omnes gentes

(Matteo. 29, 19)

 

Crecchio: piccolo centro abruzzese di origine frentana, il cui nucleo principale è raccolto presso il Castello medioevale, dotato di imponenti torrioni angolari, ha una corona di 11 fiorenti “ville” (frazioni).

Il 9 settembre 1943 quel vecchio maniero ospitò la Famiglia Reale Italiana in procinto di imbarcarsi al porto di Ortona per dirigersi a Brindisi. Il paese ha subìto gravi danni a causa della guerra che divampò furiosa dalla Maiella all’Adriatico dal mese di novembre 1943 al giugno 1944, costringendo le povere popolazioni a sfollare con perdita di persone, case, masserizie, e beni.

Il nome di Crecchio deriverebbe da “Ocriculum” (roccia), perciò esso riflette il carattere forte, volitivo del primogenito di Gioacchino Cantoli e di Maria Antonia Carulli, nato il 6 maggio 1812, e battezzato coi nomi augurali di Giovanni Tommaso Antonio. Sin da ragazzo, egli dimostrò una tenera devozione alla Madonna, recitando in remoti angoli della casa il Rosario con una corona donatagli dalla pia mamma. E la Vergine dimostrò il suo affetto, salvandolo dall’olio bollente schizzato da un tegame sulla sua testa e sul suo viso.


Fotografia storica di Crecchio, in vista da sinistra a destra: chiesa parrocchiale, palazzo comunale, castello Duchi de Riseis – Bovino e chiesa di S. Rocco.

“Vergine Santissima!” – gridò la mamma – “salva mio figlio!”

13 novembre 2023

Filippo Santoleri, architetto orsognese dell’Ottocento.

Cimitero comunale di Orsogna

Filippo Santoleri, architetto orsognese dell’Ottocento

di Angelo Iocco

Pochissimi lo conoscono o hanno sentito parlare di lui. Come ho accennato in un altro articolo sull’ingegnere Giacomo Torrese di Canosa, vissuto qualche trentennio prima di lui, il Santoleri operò alla fine dell’800, nell’area di Orsogna e dintorni. Ingegnere fu, lo studioso Armando de Grandis ci ha riferito che restaurò la chiesetta di San Rocco fuori il paese di Crecchio, che si trovava esattamente nel piazzale di ingresso al castello De Riseis, andata purtroppo distrutta nella seconda guerra mondiale. La cappella in una foto storica si mostra rettangolare con abside semicircolare; gli interni furono restaurati alla maniera neoclassica, con i capitelli ionici, le paraste, e i tipici stilemi di questa corrente che in Abruzzo giunse abbastanza tardi, esattamente dopo l’Unità d’Italia, salvo sporadici episodi di committenze colte, mi viene in mente il monumento a Michele Bassi d’Alanno, signore di Carpineto Sinello, nella seconda cappella di sinistra della chiesa di San Giovanni dei Cappuccini in Chieti, dove appaiono evidenti segni della massoneria, l’occhio di Dio, l’angelo con la fiaccola capovolta il sarcofago alla greca, e tanti altri elementi. Tonando a Santoleri, non possiamo ammirare la chiesa di Crecchio che restaurò, ma possiamo ammirare i cimiteri comunali che egli progettò per i paesi di Orsogna[1], forse Arielli, non molto distante dal piccolo paese di provenienza, e infine quello di Castelfrentano, Come ricorda lo storico Matteo Del Nobile nel suo libro La Madonna della Selva a Castel Frentano (2021), all’epoca nonostante le precise disposizioni di Napoleone sulle sepolture, a Castelfrentano e dintorni si continuava comodamente a seppellire i defunti in fosse comuni, oppure i più abbienti, nelle varie chiese e cappelle, ei diversi ossari, rischiando di generare epidemie di colera.

Foto storica di Villa Cavacini, archivio Marco Cavacini


Nell’ultimo decennio dell’800 il sindaco Fileno Cavacini a Castelfrentano dispose la costruzione di un cimitero pubblico dietro il santuario dell’Assunta, e così fu, il progetto fu affidato all’architetto Santoleri, che realizzò uno dei cimiteri molto comuni nell’area del chietino, impianto rettangolare, con un grande viale di accesso, l’ingresso monumentale a tempietto greco con arco, oppure colonne di ordine dorico, e architrave a timpano triangolare. Pochi elementi di aggetto e di ornamento, la spartanità dell’architettura greca del sentimento neoclassico trionfa. Poco altro si sa su questo Santoleri, nella speranza che chi ne sappia più di noi, possa condurre un ricerca più approfondita. Stando a quello che ci riferisce Marco Cavacini (che ringraziamo in questa sede con grande affetto per averci concesso le fotografia dei progetti originali, nel suo archivio, della Villa Cavacini della contrada Selva), proprietario della storica villa Cavacini lungo il viale del santuario a Castelfrentano, pare che il Santoleri progettò anche questa seconda residenza dei Cavacini. Questa famiglia possedeva un palazzo con cappella privata nel centro storico in Largo Chiesa, quella porzione orientale che tuttavia a causa dell’erosione del fiume Feltrino, nel luglio 1881 franò a valle, ingoiano diverse case e palazzi, compreso il monumentale palazzo Cavacini con la cappella privata.

8 luglio 2020

Clorilde Pierantoni, "Noi di Crecchio anni '50 - '60 tra ricordi e storia".



Noi di Crecchio anni '50-'60": un viaggio nel tempo, in cui i "personaggi prendono vita e i paesaggi forma e colore"

Clorilde Pierantoni 
"Noi di Crecchio anni '50 - '60 tra ricordi e storia" 


Recensione di 
GABRIELLA IZZI BENEDETTI

Clorilde Pierantoni, ospitandoci nella sua speciale macchina del tempo, ci conduce nel mondo dell'infanzia e adolescenza vissute a Crecchio e riesce grazie, e non solo, alla struttura articolata del testo, includente volti, costumi, tradizioni, un ritmico inventario di figure del luogo, a ricreare un clima, un'ambientazione assai reale. Lo fa con uno stile pertinente e consapevole, che è uno dei pregi del libro.
Si percepisce che l'autrice non ha mai lasciato emotivamente i luoghi dell'infanzia racchiudendo i ricordi in un prezioso forziere da custodire e, oggi, da restituire a quanti di esso hanno fatto parte; o a quanti
attraverso le sue memorie vogliono respirare quel tempo o riprovarne lo spirito poiché i ragazzi di allora, a qualunque regione d'Italia siano appartenuti, hanno vissuto gli anni del dopoguerra con uno stile di vita simile, con valori analoghi e più o meno analoghe aspettative.
Era un tempo, come dice l'autrice, nel quale "si viveva con poche risorse, ma con una grande solidarietà e serenità d'animo".
Il viaggio che Clorilde ci propone, iniziando indicativamente con: "un'infanzia serena, tra la natura incontaminata", ha in sé qualcosa di scenografico poiché la struttura del racconto apre di volta in volta sipari all'interno dei quali personaggi prendono vita, paesaggi prendono forma e colore ed è tutto un dinamismo che traluce, fra interiore ed esteriore.
Stati d'animo in assoluta sintonia con il mondo circostante che trae la sua ragion d'essere in prevalenza dalla natura e dai rapporti umani e genera il senso comunitario di appartenenza con l'amicizia che ne deriva, e che pare dominare ogni tipo di scenario. Fluiscono stagioni, rifioriscono usanze, giochi, la vita familiare e sociale così come viene descritta crea un salutare senso di pacificazione. Non diversamente dallo spirito di fede con le sue feste patronali.
Crecchio nel tempo distante di poco dalla fine della guerra respira solidarietà. L'Italia respira solidarietà. E tutti ci rispecchiamo in questa nostalgia. E ci chiediamo cos'è che non ha funzionato per essere cambiati così tanto.
Ma se questo è l'aspetto più suggestivo del testo, il secondo non è meno interessante nella sua razionalità: il desiderio di un approccio etnografico oltre che storico. Crecchio è rimasta legata alle vicende tragiche della seconda guerra mondiale e la Pierantoni ricostruisce in dettagli anche poco noti eventi connessi alla fuga di re Vittorio Emanuele III e del suo seguito. I tentativi falliti di Umberto per salvare un minimo di dignità.
La parte però più consistente della ricerca va cercata nel recupero di memorie collettive legate a un modello di società in prevalenza agricola. Il tipo di alimentazione: "A Crecchio si faceva un grande utilizzo dei genuini prodotti della terra, con la carne solo la domenica e le feste comandate...", le provviste per l'inverno, le manifatture, l'artigianato: "Per tutti gli anni '50 l'artigianato a Crecchio, come nel resto d'Italia, fu un settore ancora fiorente. Si produceva di tutto ... vestiti, maglie, tutto l'occorrente per la cucina ... mobili, zappe, attrezzi, canestri, cassette e altro per l'agricoltura e via dicendo"; le sagre, le feste dei santi specie di sant'Antonio Abate, ma anche San Biagio, San Giuseppe. Le processioni. I giochi per i quali suppliva la fantasia e in sostanza erano per questo assai più divertenti di quelli attuali. Soprattutto giochi di squadra. Qualunque argomento si tocchi si respira un gradevole spirito comunitario.
Lo scenario è ricco, soprattutto di volti giovani e ridenti, compagni di scuola, una scuola vissuta con amore; ricco di gioia semplice e di rapporti genuini. Di rispetto per l'ambiente e per gli altri. Un mondo perduto. E che però ancora ci parla e che forse attraverso letture come questa può riproporre, al di là delle differenti condizioni di una vita ormai "tecnologica", la dialettica della speranza, la determinazione a non arrendersi. Non perdere l'antica saggezza, il senso della misura, il valore degli affetti. L'etica. Avrete tutti notato come, nella migliore filmografia di fantascienza, a difesa di una cultura millenaria che l'essere umano non deve perdere, spesso i nomi scelti sono greci o latini, gli abiti ricalcano il mondo classico e perfino le ambientazioni si rifanno ad antichi palazzi.
Clorilde lo ha ben presente e ci trasmette un messaggio di cui far tesoro.

Gabriella Izzi Benedetti 



"NOI DI CRECCHIO ANNI 50-60 tra ricordi e storia", 240 pagine, Edizioni Il Torcoliere, 2018. In vendita a Crecchio (Edicola Lucina Procida e Cartolibreria Gustavo Di Scipio) e Vasto (Nuova Libreria). In offerta a 15 euro.


Da: https://noivastesi.blogspot.com/2018/10/noi-di-crecchio-anni-50-60-un-viaggio.html?fbclid=IwAR2MQD_A1GfpifODrwF_BXCftavkPsr8k0J2Y56kfhKmYJ-ll2D2lhxJKL8