14 agosto 2025
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L’Abruzzo incantato di Georg Heinrich Busse.
Sommario [Mostra]
Tra la fine del Settecento e l’Ottocento, quando il Grand Tour era il sogno dei colti europei, alcuni spiriti curiosi si spinsero oltre le rotte consuete per esplorare un Abruzzo ancora sconosciuto, selvaggio, profondamente autentico. A muoverli fu la sete di bellezza, storia e verità. Tra di loro Georg Heinrich Busse, artista tedesco e viaggiatore dell’anima, seppe cogliere ciò che oggi ci sfugge: la poesia silenziosa dei borghi, la sacralità diffusa del paesaggio, il respiro lento della storia.
Un viaggiatore dell’anima
Nato il 17 luglio 1810 a Bennenmühlen, nei pressi di Hannover, Busse fu un artista silenzioso, appartato, uno di quelli che non ha fatto grande rumore, ma profondamente devoto alla bellezza. Dopo gli studi a Dresda, ecco il primo riconoscimento: vinse il primo premio per l’incisione nel 1834. Ma fu l’Italia, dove visse per dieci anni, a formarlo davvero. A Roma, sotto la protezione del legato Kestner, e poi in Umbria, Toscana, Napoli, la campagna romana e fino alle vette dell’Etna, Busse assorbì la luce, la pietra, la storia di quello che era considerato il giardino d’Europa. Il suo stile si nutrì delle lezioni di Poussin, Claude e Koch, ma ciò che rese unica la sua opera fu la capacità di unire precisione documentaria e sentimento poetico.
Nei suoi viaggi negli Abruzzi – terra ancora indomita e misteriosa – visse anche un singolare episodio: mentre era intento nel suo lavoro, fu scambiato da alcuni contadini per una creatura misteriosa e leggendaria il cui apparire presagiva sciagure. Minacciato con fucili e sortilegi, fu poi salvato da un sacerdote che lo riconobbe e lo accolse come ospite gradito. Una parabola quasi fiabesca che racconta meglio di ogni saggio la distanza tra la modernità del disegno e l’arcaicità di un’Italia ancora sospesa nel mito.
Le rovine di Forcona
Tra i disegni più suggestivi di Busse, spicca l’acquaforte “Ruine di una chiesa dell’antica Forcona negli Abruzzi”. Realizzata nel 1839, questa incisione è il foglio n. 32 della serie “Acqueforti pittoresche di varie regioni d’Italia”, (titolo originale “Malerische Radirungen verschiedener Gegenden Italiens”) pubblicata tra il 1840 e il 1846. L’opera è un piccolo capolavoro di sensibilità romantica, capace di trasformare le rovine in frammenti poetici.
L’incisione raffigura le rovine della Cattedrale di San Massimo, oggi situate nella frazione aquilana di Civita di Bagno, sul sito dell’antica Forcona, anticamente nota come Civitas Sancti Maximi. Nel 1257, per disposizione di Papa Alessandro IV, il vescovo e le reliquie di San Massimo furono trasferiti nella nuova città dell’Aquila, segnando la fine del ruolo centrale di Forcona. Busse coglie un momento di silenziosa desolazione, ma anche di sublime bellezza, quella che regna ancora oggi: le rovine solitarie, immerse in un lussureggiante paesaggio agreste.
Gli elementi architettonici riconoscibili sono la torre della facciata, danneggiata anche dai sismi che nei secoli hanno colpito la zona, insieme al portale, agli archi e alle colonne. La resa grafica di Busse è precisa, quasi archeologica, ma allo stesso tempo carica di una malinconia tutta romantica. E questa è forse la cifra più toccante del suo sguardo nordico su un’Italia meridionale: la capacità di cogliere l’anima del paesaggio, più che la sua forma. Sulla roccia, appena visibile, il discreto monogramma inciso dell’artista: G. H. B.
La Marsica nei suoi occhi
Una delle sue opere è recentemente tornata alla luce, grazie alla digitalizzazione dell’Accademia di Belle Arti di Vienna e alla segnalazione di Piccola Biblioteca Marsicana. Si tratta di un acquerello inedito del 1844: una veduta struggente di Tagliacozzo, borgo incastonato nel cuore della Marsica. Al centro della scena si erge la Chiesa di Santa Maria del Soccorso, con il suo portico umile e dignitoso, mentre il campanile cinquecentesco si staglia come un punto di orientamento eterno. Le stazioni della Via Crucis si snodano verso il Monte Calvario, come spine di una memoria collettiva, mentre piccoli fiori, dipinti con la delicatezza di un respiro, punteggiano il sentiero. La strada si apre davanti allo spettatore come un invito: a camminare, a ricordare, forse a pregare. Le figure umane, minute, si confondono con il paesaggio: non sono protagonisti, ma pellegrini della storia.
Busse realizzò anche una celebre incisione del Monte Velino e del borgo di Albe, dominati da una natura aspra e sublime. Qui, come in tutte le sue vedute, l’uomo è piccolo, quasi invisibile, ma presente. Due figure si chinano a osservare dei reperti, come a voler capire da dove vengono, in un gesto che ricorda lo stesso lavoro dell’artista: scoprire, tradurre, conservare.
Nei suoi disegni compare anche Ovindoli, con la strada che serpeggia tra le rocce, un viadotto che unisce le sponde del tempo, e la città appollaiata come un nido d’aquila. Sono paesaggi che non esistono più così, non nella loro integrità poetica. Eppure, Busse ce li ha lasciati, come chi lascia un messaggio in una bottiglia, destinato a chi saprà ascoltare.
Ricordare il futuro
Al suo ritorno in Germania nel 1844, Busse fu nominato incisore alla corte e alla biblioteca di Hannover. Continuò a lavorare, viaggiò fino a Tunisi e Algeri, dipinse fiori e rovine, e morì nel 1868. Ma la sua anima è rimasta in Italia, tra acquerelli e incisioni, in quei cieli chiari che sovrastano chiese e ruderi, borghi e silenzi.
Nel suo stile, tra il romanticismo tedesco e la visione classica, tra la precisione dell’incisore e la delicatezza dell’acquerellista, si nasconde una nostalgia che è tutta italiana: quella di un paese che viveva nella lentezza, in armonia col paesaggio, nella bellezza che non ha bisogno di essere gridata.
Oggi, riguardando i suoi disegni, non vediamo solo l’Italia del passato. Vediamo ciò che l’Italia era per chi la amava da lontano, e ciò che potrebbe ancora essere, se imparassimo di nuovo a guardarla con occhi pieni di stupore e ad amarla da vicino.
Georg Heinrich Busse non ha solo inciso una delle prime narrazioni internazionali dell’Abruzzo, ma ci ha svelato l’anima nascosta dell’Abruzzo. Un’anima che, ancora oggi, attende chi sappia ascoltarla.
Da: laquilablog.it
27 luglio 2025
Palombaro: La Madonna della Libera e la Madonna dell'Assunta tra storia e leggenda. - Tradizioni mariane abruzzesi.
La leggenda popolare
La
Madonna della Libera, è venerata da tempi remoti. La tradizione popolare
riporta che essa è benefica contro i terremoti. Infatti nel 1456 un gravissimo
terremoto funestò l’Abruzzo e la Majella, distuggendo diversi paesi. L’antica
chiesa parrocchiale del Santissimo Salvatore, e andò distrutta. Venendo
ricostruita, il parroco si raccomandò alla Vergine insieme a tutta la comunità.
Nel 1706, il 3 novembre, di notte, un nuovo catastrofico terremoto della conca
sulmonese devastò diversi paesi gravitanti sulla Majella. Ma Palombaro rimase
illesa. Questo fu interpretato come un chiaro segno di speciale protezione
della Madonna. I palombaresi, che nel frattempo erano fuggiti nel pieno buio
fuori dal paese, rifugiatisi in ricoveri di fortuna, decisero che il pericolo
fosse cessato, e ritornarono in paese. E con gran sorpresa nella chiesa madre
trovarono la statua della Vergine col Bambino intatta, posta in piedi
sull’altare maggiore. Il Miracolo del salvataggio di Palombaro dalla
catastrofe tellurica era compiuto!
Nicodemo Napoleone, La Torre di Cerrano, 2000.
La Torre di Cerrano, 2000
Olio su tela, cm 100x200
Collezione privata.
25 luglio 2025
Vasto, Tramonto a Punta Penna - Punta Aderci.
24 luglio 2025
Filippo Palizzi, “Il giovane capraio”, 1852.
Filippo Palizzi (Vasto, 16 giugno 1818 – Napoli, 10 settembre 1899)
“Il giovane capraio”, 1852
Olio su tela, cm 37x52
Collezione privata.
Da: Vasto Gallery
22 luglio 2025
Immagini di Vasto (CH).
21 luglio 2025
Costantino Felice, Un Mezzogiorno particolare, Donzelli, 2025.
20 luglio 2025
19 luglio 2025
18 luglio 2025
Vasto, Portatori di acqua marina.
17 luglio 2025
Michele Cascella, Vele sul fiume Pescara, 1935.
Michele Cascella (Ortona, 1892 - Milano, 1989)
"Vele sul fiume Pescara", 1935