Teofilo Patini, Vanga e latte, 1884. |
Teofilo Patini (Castel di Sangro, 5 maggio 1840 – Napoli, 16 novembre 1906)
"Vanga e latte", 1884
Olio su tela, cm. 213x372
Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste, Roma.
Ampliando i termini dell’analisi intrapresa, con Vanga e latte Patini cominciò a porre in evidenza l’ingrato ruolo riservato alla donna, costretta, dalla difficile condizione rurale, ad alternare varie e spesso pesanti incombenze al già duro lavoro dei campi. In questo caso è la necessità di offrire il seno al suo piccolo a farle momentaneamente interrompere la vangatura. E fu nell’espletamento di una tale mansione, seduta fra le zolle ed appoggiata al basto, che il pittore la ritrasse, dedicandole la solenne architettura, sapientemente inscritta nell’articolato schema generale della composizione, e riservandole una monumentalità che richiama l'idea di una sacra maternità in trono. Anche perciò l'attenzione sembra incentrarsi su di lei, mentre l'uomo che continua a vangare alle sue spalle potrebbe perfino apparire figura di secondo piano, ove, mirabilmente stagliato contro il cielo lattiginoso con quelle possenti forme scandite e racchiuse in una sorta di ellissi ideale, a sua volta reinserita nel complesso schema generale, non si traducesse in un simbolo della sacralità del lavoro. La deliberata fedeltà a criteri di ascendenza neoclassica, oltreché cinque – seicentesca, continua a predominare nell’impianto e nel modellato delle figure; prevale anche sulle possibili connessioni con L’Angelus del Millet, a cui il dipinto è stato accostato. I ricordi degli affreschi eseguiti da Hans von Marèe tornano ad affacciarsi nei criteri seguiti per suggerire la spazialità attraverso la contrapposizione fra l’andamento orizzontale dei terreni in fuga verso le ondulazioni montuose, evocate in lontananza attraverso il magistrale ricorso alla prospettiva aerea, e gli elementi verticali costituiti dalla figura del vangatore e dal superbo brano pittorico della vanga rimasta infissa fra le zolle ad attendere che la donna torni al lavoro interrotto. Le zolle che animano il primo piano, la rudimentale culla dalla forma evocante l’idea di una piccola bara, la cupola dell’ombrello sdrucito che la ripara dal sole, ma soprattutto le dorate sterpaglie del granturco reciso, chiamate ad accogliere la superba natura morta del piatto di polenta, oltre che in allusioni e suggerimenti abitualmente affidati dall’autore agli oggetti, si traducono in felici brani di pittura. Il riferimento alle opere sociali del Patini, l’incidenza con cui vi aveva passato in rassegna le realtà da affrontare e risolvere sul piano normativo, si inserì spesso nel dibattito politico contemporaneo come il più pratico ed autorevole ed eloquente riscontro. Ancora agli inizi del Novecento, per ottenere finalmente i consensi necessari all’approvazione di alcune leggi volte a migliorare la condizione del sottoproletariato rurale posta in discussione nel dibattito parlamentare del 20 giugno 1903, all’On. Tozzi fu sufficiente far riferimento alla situazione rappresentata in Vanga e latte, l’ampio dipinto che non il solo “ministro uscendo dal suo gabinetto vedeva ogni giorno”, essendo lì custodito. L’applauso caldo e corale, con cui spontaneamente rispose l’assemblea, ed il voto favorevole all’accoglimento di quelle norme, che fu espresso subito dopo, consentono di commisurare la funzione a cui finì con l’assolvere quel dipinto ed il ruolo di primo piano che ancora in quel torno di tempo veniva riconosciuto al suo autore.
Testo di Cosimo Savastano a cura di Raffaella Dell'Erede