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20 agosto 2025

Carlo Patrignani (L'Aquila, 1869 – Carpegna, 19 settembre 1948) pittore, allievo di Teofilo Patini.

Carlo Patrignani,  "Lavandaie", olio su tela, cm 49x31.
 

Carlo Patrignani (L'Aquila, 1869 – Carpegna, 19 settembre 1948) è stato un pittore italiano, allievo di Teofilo Patini.
Nato all'Aquila da Giacomo Patrignani e Domenica Vittorini, mostrò già in giovanissima età una predisposizione per la pittura. Intraprese quindi gli studi artistici divenendo allievo — con Amleto Cencioni e Amedeo Tedeschi — di Teofilo Patini con cui, sul finire del secolo, collaborò nell'apertura e gestione della Scuola di decorazione pratica presso l'atelier dello stesso maestro, all'interno di Palazzo Ardinghelli. Tra i primi lavori del Patrignani vi è il pregevole ciclo di dipinti della chiesa di Santa Maria Paganica, d'influenza neoclassica, caratterizzato da una sequenza di dipinti murali riguardanti gli episodi della vita della Vergine Maria e i quattro evangelisti ai lati della cupola; l'opera è risultata quasi interamente perduta a causa del terremoto dell'Aquila del 2009 che ha causato il crollo della parte sommitale dell'edificio. Nel primo decennio del XX secolo collaborò con il Patini alla decorazione pittorica di alcune chiese dell'aquilano, tra cui il Santuario della Madonna della Libera a Pratola Peligna e la chiesa di Santa Maria dei Raccomandati a San Demetrio ne' Vestini: nella prima realizzò la Madonna delle Grazie mentre nella seconda completò la pala d'altare con l'Angelo custode, stante la malattia che colpì il maestro durante i lavori.
Tra il 1905 e il 1908 realizzò la Madonna immacolata per la chiesa di San Filippo Neri di Sulmona. Negli stessi anni fu inoltre attivo, all'Aquila, nella decorazione di alcuni edifici ed uffici pubblici, tra cui l'Archivio Diocesano, il Convitto nazionale Domenico Cotugno, la biblioteca provinciale Salvatore Tommasi e l'Ospedale San Salvatore. 

Ritratto postumo di Teofilo Patini, Pinacoteca Patiniana, Castel di Sangro (AQ).

Alla morte del Patini, nel 1906, gli fu affidata la cattedra, resa vacante dallo stesso, nella Scuola d'Arte e Mestieri dell'Aquila. Patrignani aprì, inoltre, un suo atelier in via Roma ed in questo periodo produsse i due Angeli, oggi al Museo nazionale d'Abruzzo in prestito dal Tribunale dei Minori dell'Aquila, e il celebre Ritratto postumo di Teofilo Patini, conservato presso la Pinacoteca Patiniana di Castel di Sangro, città natale del maestro.
Nei primi decenni del XX secolo, il Patrignani fu particolarmente attivo in città in numerosi ambiti, dallo sport ginnico — che promosse tramite la fondazione del Circolo sportivo Patrignani — alle prime esperienze automobilistiche, ciclistiche e aviatorie, portate avanti affiancandosi ad un giovanissimo Emilio Pensuti, che successivamente divenne uno dei più noti piloti italiani.
Nel 1914 fu incaricato di decorare la Sala rossa del Teatro comunale dell'Aquila; Patrignani vi realizzò un ciclo di dipinti dedicati alle arti e all'artigianato locale (Allegoria delle arti e dell'artigianato, anch'esso parzialmente distrutto dal sisma del 2009) in cui manifestò influenze liberty e un espressionismo decisamente modernista.
La frenetica attività del Patrignani in Abruzzo terminò misteriosamente nel 1915; forse a causa del terremoto della Marsica, il pittore si trasferì temporaneamente a Francavilla al Mare presso l'amico e collega Francesco Paolo Michetti.
Si spostò quindi a Cattolica dove, sul finire dell'anno, fu incaricato di realizzare gli apparati decorativi del Palazzo Mancini, sede municipale. Alla morte della moglie Marianna, si ritirò a Carpegna, nel Montefeltro, dove — salvo un breve soggiorno a Pescara sul finire della seconda guerra mondiale — visse la parte conclusiva della sua vita. A questo periodo risalirebbe il San Martino e il povero posto nella chiesa di San Martino ed a lui attribuito.
Il 18 settembre 1948 fu colto da malore all'uscita del seggio elettorale e morì il giorno seguente.

Carlo Patrignani, "Alla stazione", 1907, olio su tela, cm 56.2x75,2.


Carlo Patrignani, "I serpari di Cocullo"  - da  foto originale del maestro fotografo Carli.

13 luglio 2025

Teofilo Patini, "Uomo che sale la scala di una chiesa", 1887.

Teofilo Patini, "Uomo che sale la scala di una chiesa", 1887, 
olio su tavola, cm 25,5x26,5, collezione privata.
 

Teofilo Patini (Castel di Sangro, 5 maggio 1840 – Napoli, 16 novembre 1906)
"Uomo che sale la scala di una chiesa", 1887
Olio su tavola, cm 25,5x26,5
Collezione privata.

10 dicembre 2024

5 luglio 2022

Teofilo Patini, Vanga e latte, 1884.

Teofilo Patini, Vanga e latte, 1884.

 
Teofilo Patini (Castel di Sangro, 5 maggio 1840 – Napoli, 16 novembre 1906)
"Vanga e latte", 1884
Olio su tela, cm. 213x372
Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste, Roma.



Ampliando i termini dell’analisi intrapresa, con Vanga e latte Patini cominciò a porre in evidenza l’ingrato ruolo riservato alla donna, costretta, dalla difficile condizione rurale, ad alternare varie e spesso pesanti incombenze al già duro lavoro dei campi. In questo caso è la necessità di offrire il seno al suo piccolo a farle momentaneamente interrompere la vangatura. E fu nell’espletamento di una tale mansione, seduta fra le zolle ed appoggiata al basto, che il pittore la ritrasse, dedicandole la solenne architettura, sapientemente inscritta nell’articolato schema generale della composizione, e riservandole una monumentalità che richiama l'idea di una sacra maternità in trono. Anche perciò l'attenzione sembra incentrarsi su di lei, mentre l'uomo che continua a vangare alle sue spalle potrebbe perfino apparire figura di secondo piano, ove, mirabilmente stagliato contro il cielo lattiginoso con quelle possenti forme scandite e racchiuse in una sorta di ellissi ideale, a sua volta reinserita nel complesso schema generale, non si traducesse in un simbolo della sacralità del lavoro. La deliberata fedeltà a criteri di ascendenza neoclassica, oltreché cinque – seicentesca, continua a predominare nell’impianto e nel modellato delle figure; prevale anche sulle possibili connessioni con L’Angelus del Millet, a cui il dipinto è stato accostato. I ricordi degli affreschi eseguiti da Hans von Marèe tornano ad affacciarsi nei criteri seguiti per suggerire la spazialità attraverso la contrapposizione fra l’andamento orizzontale dei terreni in fuga verso le ondulazioni montuose, evocate in lontananza attraverso il magistrale ricorso alla prospettiva aerea, e gli elementi verticali costituiti dalla figura del vangatore e dal superbo brano pittorico della vanga rimasta infissa fra le zolle ad attendere che la donna torni al lavoro interrotto. Le zolle che animano il primo piano, la rudimentale culla dalla forma evocante l’idea di una piccola bara, la cupola dell’ombrello sdrucito che la ripara dal sole, ma soprattutto le dorate sterpaglie del granturco reciso, chiamate ad accogliere la superba natura morta del piatto di polenta, oltre che in allusioni e suggerimenti abitualmente affidati dall’autore agli oggetti, si traducono in felici brani di pittura. Il riferimento alle opere sociali del Patini, l’incidenza con cui vi aveva passato in rassegna le realtà da affrontare e risolvere sul piano normativo, si inserì spesso nel dibattito politico contemporaneo come il più pratico ed autorevole ed eloquente riscontro. Ancora agli inizi del Novecento, per ottenere finalmente i consensi necessari all’approvazione di alcune leggi volte a migliorare la condizione del sottoproletariato rurale posta in discussione nel dibattito parlamentare del 20 giugno 1903, all’On. Tozzi fu sufficiente far riferimento alla situazione rappresentata in Vanga e latte, l’ampio dipinto che non il solo “ministro uscendo dal suo gabinetto vedeva ogni giorno”, essendo lì custodito. L’applauso caldo e corale, con cui spontaneamente rispose l’assemblea, ed il voto favorevole all’accoglimento di quelle norme, che fu espresso subito dopo, consentono di commisurare la funzione a cui finì con l’assolvere quel dipinto ed il ruolo di primo piano che ancora in quel torno di tempo veniva riconosciuto al suo autore.

Testo di Cosimo Savastano a cura di Raffaella Dell'Erede