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4 giugno 2025

Richard Keppel Craven, Viaggio attraverso l'Abruzzo e le province settentrionali del Regno di Napoli. Voll.1 e 2.

Richard Keppel Craven, Viaggio attraverso l'Abruzzo e le province settentrionali del Regno di Napoli. Vol.1.

Da: Biblioteca Hertziana


Viaggiatori stranieri in Abruzzo

Keppel Craven Richard

Viaggio attraverso l'Abruzzo - 1837


l barone inglese Richard Keppel Craven (1779 - 1851), terzogenito di William Craven e di Elizabeth Berkeley figlia del Conte di Berkeley, fu un esperto viaggiatore e grande studioso. Sua madre divorziò quando Keppel aveva solo tre anni ed insieme si trasferirono in Francia. Tornarono in Inghilterra nel 1791 per consentire a Keppel di frequentare la scuola ad Harrow, sotto falso nome. Keppel viaggiò molto e nel 1814 accettò il posto di tesoriere alla Principessa Carolina di Galles. Era amico intimo di William Gell, con il quale compì il viaggio in Italia. Keppel fu un attento ed esperto topografo e fu l’autore di “Un viaggio nelle province del Sud del regno di Napoli” e di “Escursione nell’Abruzzo e nelle province a Nord di Napoli”.


23 aprile 2025

Sciarretta A-L, "Colonie Slave (Schiavoni) nel XV - XVI sec. nell'Abruzzo e Molise Adriatico".


Nella seconda metà del Quattrocento e fino agli inizi del Cinquecento, l'Abruzzo e l'odierno Molise (in parte Capitanata all'epoca) furono interessate dalle migrazioni degli "Schiavoni" dalle opposte sponde dell'Adriatico, cioè la costa dalmata tra Zara e Cattaro. Pare che le cause principali fossero le invasioni turche e i buoni rapporti che legavano i re siciliani della dinastia aragonese alle popolazioni balcaniche.
Il nome "Schiavoni" riflette chiaramente il latino sclavonus 'slavo', ma molti di questi erano in realtà albanesi o forse di etnia mista. La vera discriminante era la religione: latini (cattolici) vs. greci (ortodossi).
In Abruzzo furono interessate le diocesi adriatiche: Chieti, Penne-Atri e in minor misura Teramo (Lanciano e Ortona non erano ancora state erette o ripristinate). In Molise quelle di Termoli e Guardialfiera. Solo qui sopravvive ancora in alcuni paesi la lingua slava (Acquaviva, Montemitro, S. Felice) Più a sud, a Larino, andarono gli albanesi che mantengono fino ad oggi lingua e tradizioni (Ururi, Portocannone, Montecilfone).
In Abruzzo la lingua originaria è andata perduta da secoli. Ma sopravvivono i cognomi, qualche toponimo e alcune tradizioni. Da questi possiamo verificare come gli Schiavoni dell'Ortonese, Lancianese e Vastese fossero effettivamente dalmati slavi, mentre quelli del Chietino fossero probabilmente misti o albanesi. Stessa cosa nel Pennese e nel Teramano, dove è difficile rintracciare cognomi o altre sopravvivenze di origine slava.
La cartina mostra i territori (antichi castelli disabitati dalla Crisi del Trecento) ripopolati dagli Schiavoni che vi fondarono colonie, e quelli in cui gli Schiavoni si stabilirono accanto a popolazioni locali. Nella legenda, territorio per territorio sono dati i nomi delle colonie, molte delle quali sono paesi ancora esistenti, i cognomi e i toponimi di origine slava.
di Sciarretta Antonio

3 aprile 2025

Società Automobilistica Gissana: Linea autobus Vasto - Gissi - Castiglione Messer Marino - Agnone, 1923 -1930

Società Automobilistica Gissana: Linea autobus Vasto - Gissi - Castiglione Messer Marino - Agnone, 06.03.1923.


Società Automobilistica Gissana: Linea autobus Vasto - Gissi -  Agnone, 1930, 
Autista Luigi Mancini.

26 marzo 2025

Fiabe abruzzesi e molisane, da Le Fiabe italiane raccolte e trascritte di Italo Calvino.



107. L'amore delle tre melagrane (Abruzzo) Un figlio di Re mangiava a tavola. Tagliando la ricotta, si ferì un dito e una goccia di sangue andò sulla ricotta. Disse a sua madre: - Mammà, vorrei una donna bianca come il latte e rossa come il sangue. - Eh, figlio mio, chi è bianca non è rossa, e chi è rossa non è bianca. Ma cerca pure se la trovi. Il figlio si mise in cammino. Cammina cammina, incontrò una donna: - Giovanotto, dove vai? - Eh sì, lo dirò proprio a te che sei donna! Cammina cammina, incontrò un vecchierello. - Giovanotto, dove vai? - A te sì che lo dirò, zi' vecchio, che ne saprai certo più di me. Cerco una donna bianca come il latte e rossa come il sangue. E il vecchierello: - Figlio mio, chi è bianca non è rossa e chi è rossa non è bianca. Però, tieni queste tre melagrane. Aprile e vedi cosa ne vien fuori. Ma fallo solo vicino alla fontana. Il giovane aperse una melagrana e saltò fuori una bellissima ragazza bianca come il latte e rossa come il sangue, che subito gridò: Giovanottino dalle labbra d'oro / Dammi da bere, se no io mi moro. Il figlio del Re prese l'acqua nel cavo della mano e gliela porse, ma non fece in tempo. La bella morì. Aperse un'altra melagrana e saltò fuori un'altra bella ragazza dicendo: Giovanottino dalle labbra d'oro / Dammi da bere, se no io mi moro. Le portò l'acqua ma era già morta. Aperse la terza melagrana e saltò fuori una ragazza più bella ancora delle altre due. Il giovane le gettò l'acqua in viso, e lei visse. Era ignuda come l'aveva fatta sua madre e il giovane le mise addosso il suo cappotto e le disse: - Arrampicati su questo albero, che io vado a prendere delle vesti per coprirti e la carrozza per portarti a Palazzo. La ragazza restò sull'albero, vicino alla fontana. A quella fontana, ogni giorno, andava a prender l'acqua la Brutta Saracina. Prendendo l'acqua con la conca, vide riflesso nell'acqua il viso della ragazza sull'albero. E dovrò io, che sono tanto bella, / Andar per acqua con la concherella? E senza starci a pensar su, gettò la conca per terra e la mandò in cocci. Tornò a casa, e la padrona: - Brutta Saracina! Come ti permetti di tornare a casa senz'acqua e senza brocca! - Lei prese un'altra brocca e tornò alla fontana. Alla fontana rivide quell'immagine nell'acqua. "Ah! sono proprio bella!", si disse. E dovrò io, che sono tanto bella, / Andar per acqua con la concherella? E ributtò per terra la brocca. La padrona tornò a sgridarla, lei tornò alla fontana, ruppe ancora un'altra brocca, e la ragazza sull'albero che fin allora era stata a guardare, non poté più trattenere una risata. La Brutta Saracina alzò gli occhi e la vide. - Ah, voi siete? E m'avete fatto rompere tre brocche? Però siete bella davvero! Aspettate, che vi voglio pettinare. La ragazza non voleva scendere dall'albero, ma la Brutta Saracina insistette: - Lasciatevi pettinare che sarete ancor più bella. La fece scendere, le sciolse i capelli, vide che aveva in capo uno spillone. Prese lo spillone e glielo ficcò in un'orecchia. Alla ragazza cadde una goccia di sangue, e poi morì. Ma la goccia di sangue, appena toccata terra, si trasformò in una palombella, e la palombella volò via. La Brutta Saracina s'andò ad appollaiare sull'albero. Tornò il figlio del Re con la carrozza, e come la vide, disse: - Eri bianca come il latte e rossa come il sangue; come mai sei diventata così nera? E la Brutta Saracina rispose: È venuto fuori il sole, / M'ha cambiata di colore. E il figlio del Re: - Ma come mai hai cambiato voce? E lei: È venuto fuori il vento, / M'ha cambiato parlamento. E il figlio del Re: - Ma eri così bella e ora sei così brutta! E lei: È venuta anche la brezza, / M'ha cambiato la bellezza. Basta, lui la prese in carrozza e la portò a casa. Da quando la Brutta Saracina s'installò a Palazzo, come sposa del figlio del Re, la palombella tutte le mattine si posava sulla finestra della cucina e chiedeva al cuoco: O cuoco, cuoco della mala cucina, / Che fa il Re con la Brutta Saracina? - Mangia, beve e dorme, - diceva il cuoco. E la palombella: Zuppettella a me, / Penne d'oro a te. Il cuoco le diede un piatto di zuppetta e la palombella si diede una scrollatina e le cadevano penne d'oro. Poi volava via. La mattina dopo tornava: O cuoco, cuoco della mala cucina, / Che fa il Re con la Brutta Saracina? - Mangia, beve e dorme, - rispondeva il cuoco. Zuppettella a me, / Penne d'oro a te. Lei si mangiava la zuppettella e il cuoco si prendeva le penne d'oro. Dopo un po' di tempo, il cuoco pensò di andare dal figlio del Re a dirgli tutto. Il figlio del Re stette a sentire e disse: - Domani che tornerà la palombella, acchiappala e portamela, che la voglio tenere con me. La Brutta Saracina, che di nascosto aveva sentito tutto, pensò che quella palombella non prometteva nulla di buono; e quando l'indomani tornò a posarsi sulla finestra della cucina, la Brutta Saracina fece più svelta del cuoco, la trafisse con uno spiedo e l'ammazzò. La palombella morì. Ma una goccia di sangue cadde nel giardino, e in quel punto nacque subito un albero di melograno. Quest'albero aveva la virtù che chi stava per morire, mangiava una delle sue melagrane e guariva. E c'era sempre una gran fila di gente che andava a chiedere alla Brutta Saracina la carità di una melagrana. Alla fine sull'albero ci rimase una sola melagrana, la più grossa di tutte, e la Brutta Saracina disse: - Questa me la voglio tenere per me. Venne una vecchia e le chiese: - Mi date quella melagrana? Ho mio marito che sta per morire. - Me ne resta solo una, e la voglio tenere per bellezza, - disse la Brutta Saracina, ma intervenne il figlio del Re a dire: - Poverina, suo marito muore, gliela dovete dare. E così la vecchia tornò a casa con la melagrana. Tornò a casa e trovò che suo marito era già morto. "Vuol dire che la melagrana la terrò per bellezza", si disse. Tutte le mattine, la vecchia andava alla Messa. E mentr'era alla Messa, dalla melagrana usciva la ragazza. Accendeva il fuoco, scopava la casa, faceva da cucina e preparava la tavola; e poi tornava dentro la melagrana. E la vecchia rincasando trovava tutto preparato e non capiva. Una mattina andò a confessarsi e raccontò tutto al confessore. Lui le disse: - Sapete cosa dovete fare? Domani fate finta d'andare alla Messa e invece nascondetevi in casa. Così vedrete chi è che vi fa da cucina. La vecchia, la mattina dopo, fece finta di chiudere la casa, e invece si nascose dietro la porta. La ragazza uscì dalla melagrana, e cominciò a far le pulizie e da cucina. La vecchia rincasò e la ragazza non fece a tempo e rientrare nella melagrana. - Da dove vieni? - le chiese la vecchia. E lei: - Sii benedetta, nonnina, non m'ammazzare, non m'ammazzare. - Non t'ammazzo, ma voglio sapere da dove vieni. - Io sto dentro alla melagrana... - e le raccontò la sua storia. La vecchia la vestì da contadina come era vestita anche lei (perché la ragazza era sempre nuda come mamma l'aveva fatta) e la domenica la portò con sé a Messa. Anche il figlio del Re era a Messa e la vide. "O Gesù! Quella mi pare la giovane che trovai alla fontana!", e il figlio del Re appostò la vecchia per strada. - Dimmi da dove è venuta quella giovane! - Non m'uccidere! - piagnucolò la vecchia. - Non aver paura. Voglio solo sapere da dove viene. - Viene dalla melagrana che voi mi deste. - Anche lei in una melagrana! - esclamò il figlio del Re, e chiese alla giovane: - Come mai eravate dentro una melagrana? - e lei gli raccontò tutto. Lui tornò a Palazzo insieme alla ragazza, e le fece raccontare di nuovo tutto davanti alla Brutta Saracina. - Hai sentito? - disse il figlio del Re alla Brutta Saracina, quando la ragazza ebbe finito il suo racconto. - Non voglio essere io a condannarti a morte. Condannati da te stessa. E la Brutta Saracina, visto che non c'era più scampo, disse: - Fammi fare una camicia di pece e bruciami in mezzo alla piazza. Così fu fatto. E il figlio del Re sposò la giovane.

9 marzo 2025

Fra’ Ludovico Riccelli ovvero Beato Ludovico da Gildone, un francescano molisano a Orsogna.

Ritratto del B. Ludovico opera di Nicola Ranieri

FRA’ LUDOVICO RICCELLI ovvero BEATO LUDOVICO DA GILDONE, un francescano molisano a Orsogna

di Angelo Iocco

In un testo dattiloscritto inedito di Vincenzo Simeoni di Orsogna sulla Storia del Convento della Santissima Annunziata di Orsogna, leggiamo queste belle pagine di un umile frate sepolto nell’antica chiesetta. Entrando in questo umile luogo di preghiera, vediamo all’altezza della cappella della Madonna degli Angeli (ex Sant’Antonio), una umile sepoltura con l’iscrizione del Santo, e di recente è stata ivi ricollocata l’immagine del Ven. Ludovico dipinta post mortem dal pittore Nicola Ranieri di Guardiagrele (1749-1851), da cui fu tratta anche un’incisione per un santino.

Altre sepolture di uomini illustri sono quella del Fr. Diego Giampaolo da Gamberale, morto nel 1959, e quelle degli uomini illustri che procurarono la nascita del Ritiro: il Ven. fr’ Francesco da Caramanico, il fr. Bernardino da Penne.


Lo storico P. Marcellino Cervone da Lanciano scrisse nel 1891 fra tutti i Santi Religiosi del secolo XVIII nella nostra Provincia Serafica Abruzzese, nessuno uguagliò il Ven. Ludovico, specie per gli strepitosi miracoli operati dopo la sua preziosissima morte, attestati dal Notato nel numero complessivo di 98. Questa bella  figura che tanto illustrò il Ritiro di Orsogna, nacque al 10 novembre 1712 da Giovanni Riccelli e Viola Massimi contadini, il giorno dopo fu battezzato col nome di Antonio. L’anno precedente erano avvenuti due fatti importanti: la morte di un altro eroe francescano, P. Bonaventura da Potenza, e la solenne condanna emessa da Clemente XI contro le famose porposizioni dell’eretico Giansenio (Cornelius Jansen, vescovo di Ypres).

Antonio fu cresimato nel 1721 dal Cardinale Orsini, divenuto poi Papa con il nome di Benedetto XIII. Presto dimostrò una grande religiosità, non ottenuta dal duro lavoro dei capi che esercitò con grande impegno sino all’età di 17 anni. Infatti nel mese di maggio del 1730 egli espresse il desiderio di farsi religioso, ma invece di rivolgersi al locale Monastero degli Agostiniani, con grande dolore della mamma che l’avrebbe voluto vicino a sé, si recò al Convento dei Frati Minori di Foggia. Senonché il suo desiderio non fu esaudito, in quanto la sua povertà non gli permetteva di acquistarsi l’abito, secondo la religiosa consuetudine vigente allora.

6 gennaio 2025

Amelio Pezzetta, Vita sociale e religiosa in Abruzzo dal 1919 al 1922.


 Vita sociale e religiosa in Abruzzo dal 1919 al 1922

di Amelio Pezzetta

Introduzione

Con il presente saggio si vuole apportare un contributo riassuntivo utile a sviluppare la conoscenza della storia abruzzese dall’anno successivo alla fine del primo conflitto mondiale sino all’inizio del regime fascista.

L’analisi storica inizierà con la citazione di brevi riferimenti nazionali poiché è fondamentale che qualasiasi storia regionale sia inquadrata nel contesto statale che concorre a determinarla.

Per la descrizione dei vari fatti sono state utilizzate fonti archivistiche e pubblicazioni varie.

La situazione nazionale

Il periodo storico in esame, in tutto il territorio nazionale è ricco di avvenimenti di notevole interesse storico, politico e religioso.

Con la fine del primo conflitto mondiale in Italia si aprì una profonda crisi politico-sociale i cui caratteri essenziali sono riassumibili nei seguenti punti: 1) la crisi dello Stato liberale che nonostante avesse portato a termine l'unità nazionale lasciava irrisolti ancora molti problemi tra cui la questione meridionale; 2) il disagio degli ex combattenti che non furono adeguatamente

ricompensati per gli sforzi e i sacrifici sostenuti durante la permanenza al fronte; 3) la coscienza della nazione che l’Italia aveva subito una vittoria mutilata in quanto non le furono riconosciuti tutti i diritti previsti dagli accordi di Londra del 1915; 4) la svalutazione della lira e l’inflazione galoppante che provocò un aumento del costo della vita di oltre il 400%; 5) la mancanza di materie prime, la difficoltà delle industrie a riconvertirsi, la disoccupazione e l’eccesso di manodopera causato dai soldati che tornarono dal fronte.

Questi problemi alimentarono in parte della popolazione uno spirito rivoltoso che diede vita a varie forme di protesta sociale, rivendicazioni operaie e contadine tra cui: 1) i moti per il carovita che scoppiarono nell’estate del 1919 e si estesero in tutto il paese; 2) le rivendicazioni operaie che nel 1920 culminarono con gli scioperi e l'occupazione delle fabbriche dell’Italia settentrionale; 3) le agitazioni delle masse rurali per la conquista della terra.

I governi e le forze d’opposizione esistenti dall’inizio del conflitto, non riuscirono ad imporre le loro scelte e a trovare soddisfacenti soluzioni ai problemi dell’epoca. Di conseguenza, accanto ai socialisti ed alle forze risorgimentali emersero nuove formazioni politiche che proponevano di dare risposte più concrete per risolvere i problemi dell’epoca o di contrapporre soluzioni conservatrici ai movimenti di protesta. Tra essi il partito popolare, l’associazione nazionale combattenti, il partito comunista e quello fascista.

Nel 1919, durante il pontificato di Benedetto XV e in seguito all’abrogazione ufficiale del non expedit imposto dalla gerarchia cattolica, il sacerdote siciliano Luigi Sturzo fondò il partito popolare, già vagheggiato nel 1905 come partito di ispirazione cattolica, aconfessionale ed indipendente dalle autorità ecclesiastiche per le sue scelte politiche.

Il partito assunse come proprio simbolo lo stemma dei comuni medioevali con la scritta "Libertas", trovò ispirazione nella dottrina sociale della chiesa e portò al riavvicinamento dei cattolici alla vita politica nazionale.

I popolari entrarono per la prima volta nella scena politica nelle elezioni politiche del 1919 in cui, grazie anche al supporto assicurato dalle parrocchie, riuscirono a far eleggere 100 candidati delle loro liste.

La sua rapida diffusione nella penisola fu favorita dalle strutture ed organizzazioni ecclesiastiche esistenti nei Comuni peninsulari. In alcuni casi, il partito popolare fu guardato con diffidenza e sospetto dalle autorità delle Chiesa, in particolare nelle località dell'Italia meridionale in cui fu fondato dai vecchi notabili liberali che si riconvertirono e resero conto che l'adesione ad un partito d'ispirazione cattolica avrebbe allargato la base del consenso politico.

Un altro raggruppamento politico che sorse nell’immediato dopoguerra fu l’Associazione Nazionale Combattenti (ANC) che fu fondata a Milano il 18 marzo 1919 allo scopo di tutelare i diritti dei reduci e assicurare la loro rappresentanza nelle istituzioni. Nel giro di pochi mesi raggiunse la quota di circa 600000 iscritti. Nel 1919, dopo lo scioglimento della Camera, l'ANC decise di prendere direttamente parte alle elezioni politiche con la denominazione di partito dei combattenti, ottenendo il 4,1% dei voti e 20 seggi. Alle successive elezioni politiche anticipate del 1921, il partito ottenne l'1,7% dei voti e 10 seggi.

Il 21 gennaio 1921 a Livorno, durante lo svolgimento del 17° congresso del partito socialista italiano, avvenne un’importante scissione nella quale una parte dei convenuti fondò un nuovo raggruppamento politico a cui diede il nome di Partito Comunista d'Italia (PCdI) - sezione italiana dell'Internazionale comunista, una denominazione che fu mantenuta fino al 15  maggio 1943. Questa scissione anziché portare alla rivoluzione proletaria, come auspicavano i fondatori del PCdI, provocò un indebolimento della sinistra italiana che favorì le forze reazionarie e conservatrici. Il PCdI si presentò alle elezioni politiche del 1921 ottenendo nel complesso 304 719 voti (4,6%) e 15 seggi.

Un’altra importantissima forza politica dell'immediato dopoguerra fu il partito dei Fasci di Combattimento che fu fondato il 23 marzo 1919 da Benito Mussolini, un ex socialista e direttore dell'Avanti. Mussolini riuscì a coagulare nel suo partito un insieme di forze sociali conservatrici che con la crisi del partito liberale, erano preoccupate da un’eventuale affermazione socialista e manifestavano la propensione al mantenimento dell'ordine precostituito: elementi di destra, ex combattenti, esponenti del ceto medio, possidenti agrari, industriali, ecc.

Dopo il Congresso di Roma del 1921 gli iscritti ai Fasci di Combattimento fondarono il Partito Nazionale Fascista a cui tra l’altro aderirono molte sezioni dell’ANC disperse lungo la penisola.

Agli inizi, i fascisti avevano accettato un atteggiamento anticlericale che fu riportato nel loro programma politico e dimostrato dalla violenza con cui tra il 1921-1922, i suoi squadristi colpirono le leghe bianche.

Il giudizio iniziale della Chiesa su questa formazione politica fu molto duro. Infatti, nel 1922, in un’editoriale della Civiltà Cattolica si scrisse:Il Fascismo ha lo spirito di violenza del socialismo a cui pretende di rimediare, imitandone non solo ma superandone ben anche le prepotenze, le uccisioni e le barbarie”. Diversi ordinari diocesani, durante i primi anni del regime diffusero lettere pastorali in cui sottolineavano che il fascismo, per la sua natura violenta era contrario ai principi cristiani e pertanto non poteva godere l'appoggio della Chiesa. Una parte della Curia Pontificia anche dopo la marcia su Roma era convinta che il fascismo, alla stessa stregua del liberalismo, della massoneria e del socialismo fosse un’ideologia sviluppatasi a causa dell’abbandono della religione e della secolarizzazione affermatisi nel mondo moderno dopo la rivoluzione francese. Un’altra parte, invece riteneva che potesse apportare un efficace contributo al processo di ricristianizzazione della società che perseguiva il papa Pio XI.

Nell'ottobre del 1922, dopo la marcia su Roma, il re Vittorio Emanuele III incaricò Mussolini di formare un nuovo governo ed ebbe così inizio l'era fascista.

Al primo gabinetto mussoliniano collaborarono alcune forze politiche, tra cui i popolari che ottennero 4 sottosegretari, il ministero del Lavoro assegnato a Stefano Cavazzoni e quello del Tesoro che fu assegnato a Vincenzo Tangorra.

Altro importante fatto dell’epoca in considerazione è il governo della chiesa cattolica che fu affidato dal 3 settembre 1914 al 22 gennaio 1922 al papa Benedetto XV e dal 6 febbraio 1922 al 10 febbraio 1939 a Pio XI.

Benedetto XV promosse il culto del Cuore di Gesù, si adoperò per evitare la guerra e con l’enciclica Pacem Dei Munus Pulcherrimum scritta nel 1920 dettò le sue idee per avere una pace stabile.

Nelle relazioni con il Regno d'Italia eliminò il non expedit e appoggiò la formazione del Partito Popolare Italiano d’ispirazione cristiana.

Il suo successore PIO XI con l’enciclica Ubi arcano Dei consilio del 23 dicembre 1922, manifestò il programma del suo pontificato facendo presente che i cattolici dovevano impegnarsi nella fondazione di una società totalmente cristiana.

  

Regione ecclesiale Abruzzo-Molise

La situazione abruzzese

Le varie vicende politico-sociali e di crisi che investirono la nazione toccarono anche l’Abruzzo. Infatti, agli inizi del 1919 questa regione era profondamente scossa dalle vicende del primo conflitto mondiale in cui persero la vita oltre 23000 giovani soldati provenienti dai suoi Comuni.

In diverse località il successivo ritorno dei reduci delusi nelle loro aspettative favorì nuovi motivi di scontri sociali e contribuì a riacutizzare quelli esistenti prima della guerra.

La maggioranza della popolazione regionale dell’epoca continuava a vivere in condizioni di notevole indigenza poiché ricavava i mezzi di sussistenza da un’agricoltura poco redditizia, particolarmente sensibile ai capricci della natura e praticata su terreni generalmente aridi, montagnosi non propri e gravati da pesanti prestazioni e tributi.

A questi problemi sono da aggiungere quelli creati da: 1) la lunga permanenza dei soldati al fronte e la massiccia emigrazione, due eventi che ridussero la forza lavoro disponibile e i redditi di diverse famiglie; 2) il carovita che investì la Regione; 3) la crisi della pastorizia dovuto alla caduta del prezzo della lana e all’aumento di quello di pascolo nei luoghi di transumanza [1].

In particolare l’emigrazione che colpì in modo più intenso le zone rurali ebbe anche diversi riflessi culturali e politici. Infatti, quando gli emigranti arrivavano nei luoghi d’accoglienza scoprivano che esistevano nuovi stili di vita che in parte acquisirono e con il loro ritorno trasferirono nelle terre d’origine contribuirono a modificare antiche abitudini e atteggiamenti locali. Anche i reduci, a causa del contatto quotidiano con i soldati di altre regioni, acquisirono nuovi modelli culturali che trasferirono ai luoghi d’origine.

I fatti descritti e i problemi elencati furono le principali cause che in Abruzzo crearono gli spunti per la nascita di nuovi atteggiamenti, modelli di comportamento, aspettative di vita, formazioni politiche e forme di protesta organizzata che saranno ampiamente descritti ed analizzati nei paragrafi successivi del presente saggio.

La vita religiosa e l’organizzazione ecclesiastica in Abruzzo dal 1919 al 1922.

Nel periodo in esame i Comuni che ora appartengono all’Abruzzo erano ripartiti in otto diocesi di cui in questa sede si riporta la cronotassi dei loro vescovi e i principali aspetti della vita religiosa.

Mons. Gennaro Costagliola


Arcidiocesi di Chieti-Vasto

Nell’epoca in considerazione l’Arcidiocesi fu retta da Gennaro Costagliola, (15 aprile 1901 - 15 febbraio 1919) e Nicola Monterisi (15 dicembre 1919 - 5 ottobre 1929).

Il 21 marzo 1920, l'ingresso a Chieti di mons. Monterisi fu accolto favorevolmente dai rappresentanti delle organizzazioni cattoliche e dal clero diocesano. Nello stesso tempo alcuni militanti socialisti, radicali e di altre forze anticlericali inscenarono una contromanifestazione ostile al presule, come tra l’altro dimostra il seguente scritto che pubblicato il primo aprile 1920 su “La Conquista Proletaria”: “I socialisti hanno voluto avvertire il sig. Monterisi che il popolo di Chieti non è composto di tutte pecore rassegnate a farsi quotidianamente tosare” [2].

Mons. Nicola Monterisi

17 dicembre 2024

Ferrovia dei parchi - La Transiberiana d'Italia.


La ferrovia Sulmona-Isernia è una linea ferroviaria che collegava Sulmona ad Isernia, attraversando il Parco della Majella e il Parco Nazionale d’Abruzzo. È lunga 128 km. Riaperta ad uso turistico ad opera della Fondazione Ferrovie dello Stato Italiane, il 17 maggio 2014, quando il primo treno speciale con materiale rotabile d’epoca re-inaugura la ferrovia, destinata ad uso turistico.

3 novembre 2024

Corografia della bassa valle del Trigno, di Anton Ludovico Antinori, 1751.


Corografia della bassa valle del Trigno, del 1751 (vol. XXXIX), di Anton Ludovico Antinori, in cui si evidenziano gli abitati di Montenero, San Salvo e Vasto, il casale di Montebello – con la scafa per l’attraversamento del Trigno – il formale del Mulino e la torre di Pantanella, la Fonte del Fico nel vallone Buonanotte e lo “Stradone” che collegava la costa con la Cuccetta di Lentella (Archivio della Biblioteca Provinciale de L’Aquila).

4 settembre 2024

Costiera da Termoli sino al Porto d'Ascoli dello Stato Ecclesiastico, di Francesco Cassiano de Silva, 1708.

Costiera da Termoli sino al Porto d'Ascoli dello Stato Ecclesiastico, di Francesco Cassiano de Silva, 1708.



particolare Costa di Vasto



particolare Costa di Vasto