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20 aprile 2024

Giovanni Antonio Cardona di Atessa, i suoi bei paliotti in scagliola.

Giovanni Antonio Cardona di Atessa, i suoi bei paliotti in scagliola

di Angelo Iocco

Poco conosciuto, non sa quasi niente della sua attività; atessano di buona famiglia, i suoi avi costruirono una casa che oggi prospetta sulla piazza Benedetti, dive c’è la celebre bottega del liquore San Pasquale. Giuseppe Antonio fu falegname e scultore, e la sua maestria nel lavorare la scagliola, la possiamo ammirare nei due bellissimi paliotti d’altare che si trovano nella chiesa di Santa Croce in Atessa, uno dei quali firmato e datato 1703. I due paliotti abbelliscono l’altare della Madonna del Rosario, la “mamma di Atessa”, copia dell’originale di Felice Ciccarelli di Atessa conservata nella chiesa di San Rocco della cittadina. Questa copia forse è di Francesco Paolo Marchiani per bella fattura, ma c’è chi sostiene che sia una copia devozionale di Gabriele Falcucci atessano, che nel paese realizzò diverse altre opere, specialmente nella chiesa di San Domenico, dove nel 1857 firmò degli affreschi della volta centrale, purtroppo quasi distrutti da infiltrazioni che ne hanno compromesso l’antica bellezza, e nella cappella omonima della chiesa, nell’altare privilegiato della Congrega del Rosario, il Falcucci dipinse un grande quadro di San Domenico e i Misteri del Rosario. Tornando al Cardona, oltre all’altare del Rosario, realizzò il paliotto della cappella corrispondente nella navata di sinistra, della Beata Vergine delle Grazie. 

LEGGENDA DELLA MADONNA DELLE GRAZIE DI ATESSA

La nicchia conserva la statuetta del XVI sec. di fattura molto popolare della Madonna col Bambino e alla base due angeli; la leggenda riportata da padre Tommaso Bartoletti nei suoi manoscritti di storia atessana, dice che in una nicchie tufacea dove oggi insiste l’altare, fu rinvenuta la statuetta votiva, che fu messa in sicurezza dentro la chiesa, ma ogni giorno la statua veniva rinvenuta nello stesso luogo, qualche mano misteriosa la riponeva sempre lì? O era il volere della Madonna? La terza volta che la Madonna fu rinvenuta allo stesso posto, fu sentimento comune innalzarLe un altare. 

La Madonna ha quel movimento realistico delle Madonne tosco-umbre, le cui influenze secondo il Toesca, giunsero nell’Abruzzo aquilano nella seconda metà del Duecento, con la venuta nel Regno di Sicilia degli Angiò. A Scurcola infatti nel santuario della Madonna della Vittoria, si conserva la bellissima Madonna, con l’anca piegata nel sorreggere il Bambino, che le si aggrappa ai capelli. Un dettaglio artistico di rilievo, di saporito realismo, del tutto assente nelle Madonne statiche del Romanico. Una Madonna che nella zona chietina ha delle affinità anche con la Madonna col Bambino della bottega di Francesco Perrini nel portale della chiesa di Sant’Agostino di Lanciano, del 1320 ca.


La festa della Madonna si svolge in Atessa il 19 maggio, mese mariano, con un triduo, anticamente la novena, e il giorno di festa la solenne processione per le strade del quartiere.

16 aprile 2024

Vasto: Portale della chiesa di San Pietro, 1293, attribuito a Ruggiero De Fragenis. Le statuine sparite.

Portale della chiesa di San Pietro

Già nel 2015 il compianto Giuseppe Catania evidenziava la sparizione delle tre statuine dal portale della demolita chiesa di San Pietro. 
Riporto quanto da lui scritto nell'articolo allora pubblicato su NoiVastesi: ...Ora è la volta del portale della chiesa di S. Pietro Apostolo ad essere oggetto delle «incursioni» di ladri. Infatti, da un nostro sopraluogo abbiamo scoperto che ben tre statue mancano dalla facciata del portale della chiesa di San Pietro di Vasto, fino a pochi anni fa ancora visibili al loro posto. Si tratta di tre statuette in pietra scolpita collocate su altrettante mensolette-piedistallo, in corrispondenza della decorazione ad architrave posta alla sommità dell'arco della lunetta centrale. Due ai lati, una al centro”. 
“Dove sono andate a finire queste sculture del tempio, la cui epoca risale al XIII secolo?”, denunciammo. “L'attività dei ladri è proseguita, come si può notare, senza alcun disturbo, anche perché attualmente il portale si trova senza alcuna recinzione protettiva, dopo gli eventi franosi che ebbero a sconvolgere la zona orientale della città di Vasto, fino a demolire il tempio”. ...

Grazie ad una foto d'epoca del portale, in alto riportata, voglio evidenziare nel dettaglio le immagini delle singole statuine sparite, sottolineando il danno storico-culturale apportato e con l'auspicio - mai vano -  che in qualche modo potessero essere riconosciute e recuperate.
F.M.

Particolare del Portale della chiesa di San Pietro


Statua centrale, sparita


Statua di destra, sparita


Statua di sinistra, sparita




Chiesa di S.Pietro, prima della frana del 1956


***

Immagini della situazione attuale 
da: Vasto Gallery


Ruggiero De Fragenis (attribuito), “Vasto: Portale della chiesa di San Pietro”, 1293.

Ruggiero De Fragenis (attribuito), “Portale della chiesa di S.Pietro”, 1293, pietra scolpita, m 8x6x1,2, Piazza S.Pietro, Vasto.





















Attribuito a Ruggiero (Ruggero, Rogerio) De Fragenis, (Fraine, sec. XIII)
“Portale della chiesa di S.Pietro”, 1293
Pietra scolpita, m 8x6x1,2
Piazza S.Pietro, Vasto.


Ruggiero De Fragenis (attribuito), “Portale della chiesa di S.Pietro”, 1293, pietra scolpita, m 8x6x1,2, Piazza S.Pietro, Vasto.
















Ha scritto Don Michele Ronzitti:

Il portale è un gioiello d’arte della nostra città. La sua costruzione risale al 1293 e si ritiene opera del maestro Rogerio De Fragenis, lo stesso che eseguì il portale della Cattedrale di S.Giuseppe in Vasto
E’ quanto resta dell’antica chiesa di San Pietro. E’ di stile romanico. E’ formato da tre ordini di colonne tortili polistili, interrotte al centro da una leggera cornice, e prosegue con motivi floreali lungo l’arco. La lunetta reca due notevoli sculture, quella superiore recante la vergine in trono con il Bambino in grembo, quella inferiore rappresenta l’Addolorata, S.Giovanni Evangelista e Gesù in Croce, non coronato di spine ma di un diadema regale, per ricordare che Gesù è diventato re dell’umanità morendo sulla Croce”. 




Ruggiero De Fragenis (attribuito), “Portale della chiesa di S.Pietro”, 1293, pietra scolpita, m 8x6x1,2, Piazza S.Pietro, Vasto.


Lunetta del portale, foto C.Ciancio
















Nella lunetta vediamo:
- La scultura raffigurante la “Madonna con Bambino in trono”, 1293, pietra scolpita, cm 80x30.


- Un bassorilievo raffigurante “Cristo deposto con la Madonna e S. Giovanni”, 1293, pietra scolpita, cm 70x90.



“Madonna con Bambino in trono”, 1293, pietra scolpita, cm 80x30. 

Foto C.Ciancio




“Cristo deposto con la Madonna e S. Giovanni”, 1293, pietra scolpita, cm 70x90. Foto C.Ciancio




13 febbraio 2024

Taluni scritti di architettura pratica dettati da Nicola Maria Pietrocola, 1869.

Lucia Serafini, Note di architettura vastese: tra rappresentazione e conservazione.

Lucia Serafini, Invenzione di una cattedrale: la fabbrica ottocentesca di S. Giuseppe a Vasto e i suoi autori.

Lucia Serafini, Invenzione di una cattedrale: la fabbrica ottocentesca di S. Giuseppe a Vasto e i suoi autori. 

Da: unich.it

Lucia Serafini, Nicola Maria Pietrocola. Architetto e teorico nel Mezzogiorno preunitario.

L’architetto di cui si parla in questo libro è Nicola Maria Pietrocola, vissuto tra la fine del XVIII e la prima metà del XIX secolo, e con un’attività progettuale di lungo corso, sigillata negli ultimi anni della sua vita da un piccolo trattato sull’arte di costruire, pubblicato postumo a Napoli nel 1869 e rimasto unico nel suo genere, perlomeno in ambito locale. Nativo di Vasto, centro rivierasco dell’Abruzzo Citeriore, ma con una formazione di largo respiro, Pietrocola è il traghettatore in architettura del processo di modernizzazione avviato a nord del Regno di Napoli a partire dalla fine del Settecento, al passo con le istanze illuministiche e la necessità di rispondere alle esigenze della classe borghese. L’occasione del 150° anniversario della morte di Pietrocola, che ricorre nel 2015, è peraltro immancabile per supportare il testo con la riedizione del suo trattato e la contestualizzazione della sua figura e del suo ruolo in un ambito che supera, con i confini regionali, anche quelli del Regno. Portare all’attenzione la figura di un architetto come Nicola Maria Pietrocola, e ripubblicare oggi il suo trattato, sono necessità legate non solo alla circostanza di un deciso avanzamento, finalmente anche in ambito regionale, degli studi sul cantiere tradizionale, ma anche alla sopraggiunta consapevolezza del valore di patrimonio storico che le sue opere hanno nel tempo guadagnato, anche e soprattutto quando si sono stratificate su opere più antiche aggiungendo loro parti che le hanno rifuse e trasformate ma mai annullate nella loro identità. È questa eredità che oggi preme salvaguardare, tanto negli obiettivi perseguiti quanto nei mezzi utilizzati, alla resa dei conti tutt’altro che sorpassati e obsoleti. E tali dunque da offrire spunti e argomenti per una gestione del territorio più consapevole.

LUCIA SERAFINI è professore Associato di Restauro architettonico nel Dipartimento di Architettura dell’Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara, dove tiene corsi di Laboratorio di restauro e di Teoria e storia del restauro. Ha pubblicato numerosi saggi sulla costruzione storica in Abruzzo, con particolare riguardo per i caratteri tecnici e materiali dell’edilizia tradizionale. Della vicenda abruzzese ha anche analizzato la ricostruzione di città e monumenti successiva alla seconda guerra mondiale, e svolto ricerche sullo stato del patrimonio dopo il terremoto dell’Aquila del 2009. Si occupa anche di studi sul tema dell’incontro fra antico e nuovo nel restauro, sia a scala architettonica che urbanistica.

Da: Gangemi.com

Lucia Serafini, Alla periferia del Neoclassicismo. Nicola Maria Pietrocola architetto vastese (1794 - 1865).

 

Lucia Serafini, Alla periferia del Neoclassicismo. Nicola Maria Pietrocola architetto vastese (1794 - 1865). 

Da: unich.it.

5 febbraio 2024

Progetti per Vasto dell'Arch. Kisho Kurokawa.


Kisho Kurokawa, Progetto area intercomunale Vasto-San Salvo, 1975.






Kisho Kurokawa, Exhibition Space, Vasto, 1975.





Kisho Kurokawa, Sports Centre Vasto, 1975 - Exhibition Space, 1975.

 



Filippo Marino
05.02.2022

17 gennaio 2024

"Hilde in Italia", l'arte e le donne di Scanno nelle foto Hilde Lotz-Bauer (1907-1999).

"Hilde in Italia", l'arte e le donne di Scanno nelle foto Hilde Lotz-Bauer
Da: askanews

 Hilde Lotz-Bauer (1907-1999)

Con "Hilde in Italia - Arte e vita nelle fotografie di Hilde Lotz-Bauer" il Museo di Roma-in Trastevere dedica la prima grande retrospettiva di Hilde Lotz-Bauer (1907-1999), che con la sua Leica al collo è stata una pioniera della street photography. Hilde ha fotografato l'Italia degli anni Trenta, con uno "sguardo personale - ha scritto di lei Gianni Berengo Gardin - che ritrae il quotidiano con occhio attento e sensibile". Sono circa un centinaio le fotografie realizzate tra il 1934 e il 1943 che resteranno esposte fino al 5 maggio 2024. Provengono da ben 4 archivi (archivio Hilde Lotz-Bauer a Londra, due Istituti Max Planck per la Storia dell'arte - la Biblioteca Hertziana e il Kunsthistorisches Institut di Firenze - e la collezione del fotografo Franz Schlechter ad Heidelberg). Federica Kappler, storica dell'arte e co-curatrice della mostra: "Hilde ha donato settemila negativi a questo fotografo tedesco (Franz Schlechter, ndr) alla fine degli anni Ottanta - inizi anni Novanta, e su settemila negativi abbiamo altrettante stampe che sono suddivise e conservate negli altri tre archivi", ha spiegato ad askanews.

Arrivata nella Città Eterna, Hilde è inizialmente molto apprezzata per le sue immagini impeccabili di scultura, disegno, architettura e urbanistica commissionate dagli storici dell'arte, tra cui lo stesso primo marito (Bernard Degenhart, studioso di disegno italiano). Allo stesso tempo l'amore per l'Italia la spinge a girare il Paese fotografando un'umanità che abitava in questi territori nel ventennio fascista. Celebri i suoi scatti a Scanno, con le donne ritratte nei loro costumi. "Tutti i suoi scatti, al di là di quelli commissionati, nel racconto dell'Italia sono totalmente spontanei. È il desiderio di questa donna di conoscere una terra, che fino alla fine, fino a quando si spegne, lei è sepolta qui a Roma (al Cimitero Acattolico, ndr), ha sempre considerato la sua prima casa", ha aggiunto Federica Kappler. Corinna Lotz, figlia dell'artista e co-curatrice della mostra: "Ha sempre dovuto pensare prima di cliccare", racconta ad askanews parlando italiano. "Questa mostra è un grande risultato perché abbiamo lavorato a lungo su questo progetto, è iniziato dopo la mostra a Scanno nel 2008, poi il sito web - prosegue in inglese - e poi abbiamo incontrato Federica, lei ha capito il messaggio, per me è meraviglioso avere completato questo progetto". L'esposizione è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali. Organizzazione Archivio Hilde Lotz-Bauer. A cura di Federica Kappler e Corinna Lotz, figlia di Hilde Lotz-Bauer. Servizi museali di Zètema Progetto Cultura. In collaborazione con OFFICINE FOTOGRAFICHE ROMA e Goethe-Institut. Media Partner Panzoo, Viviroma.it, Terza Pagina Magazine. Con il sostegno dell'Ambasciata delle Repubblica Federale di Germania, di Firecom automotive srl, Fredriksson arkitektkontor AB, di Marie-Thérèse Ficnar-Usteri e di Frances Aviva Blane.

Da: Il messaggero


27 agosto 2023

Artisti lancianesi del ‘700, Domenico Renzetti e Francesco Maria Renzetti.


Domenico Renzetti, Sant’Agostino, dalla omonima chiesa, Lanciano, Museo diocesano, Lanciano


Artisti lancianesi del ‘700, Domenico Renzetti e Francesco Maria Renzetti

di Angelo Iocco

Tra 1700 e 1800 Lanciano, dal punto di vista della scultura e della pittura, attraversò una crisi. Non che non ebbe artisti, anzi con la sua ricchezza e il suo pregio ebbe contatti con maestranze ticinesi lombarde come Giambattista Gianni, i suoi seguaci Girolamo Rizza e Carlo Piazzola che abbellirono con stucchi e pennacchi le chiese di Sant’Agostino, Santa Lucia, le cappelle private dell’Addolorata, dei Brasile, dei Napolitani, ebbe pittori da varie scuole, Giacinto Diana da Napoli al cantiere della Cattedrale, Donato Teodoro da Chieti, pittori rimasti anonimi ma di buona scuola napoletana che realizzarono varie opere per i Frati Francescani del famoso santuario… ma pittori e scultori propriamente abruzzesi, ovverosia lancianese, ce ne furono?

Domenico Renzetti, Sant’Isodoro agricoltore, chiesa di S. Biagio, Lanciano


Pochi in realtà, nel periodo che va dalla seconda metà del ‘700 sino all’800, possiamo vantare Nicola Ranieri da Guardiagrele, che realizzò un San Michele arcangelo copiato da Reni per la chiesa di Sant’Antonio, e due belle tele per l’altare maggiore della parrocchia di Santa Lucia, poi Nicola de Arcangelis, che non lasciò particolari progetti per le chiese, essendo più decoratore di palazzi o progettista di monumenti, come la fontana di Civitanova

20 agosto 2023

L'abbazia cistercense dei Santi Vito e Salvo, l'abbazia perduta di San Vito del Trigno.

pianta ipotetica di S.Vito


L’abbazia di San Vito - poi dei SS. Vito e Salvo - del Trigno (secc. XIII-XIX)
di Giovanni Artese

L’abbazia di San Vito del Trigno costituisce l’ultimo ma nello stesso tempo il maggiore insediamento monastico sorto nel Medioevo sul territorio di San Salvo. 
Il primo fu la cella benedettina farfense poi monastero volturnense di Sant’Angelo in Salavento, eretto nel IX secolo sui resti della villa romana di via San Rocco e in declino già nel XII secolo. 
Il secondo fu il monastero benedettino cassinese di Santo Salvo, edificato tra il IX e X secolo, sulle rovine della scomparsa città romana, e divenuto cuore dell’omonimo abitato poi cresciuto intorno. 
Il terzo e ultimo fu appunto quello di San Vito del Trigno, eretto nella omonima pianura fluviale, esattamente nella contrada ancora oggi denominata di San Vito, a circa 2500 metri da San Salvo e a circa 1000 dal corso del Trigno. 
I presupposti per quest’ultimo insediamento monastico furono il passaggio della chiesa di Santo Salvo e della grangia in cui si collocava (situata tra Buonanotte, il Piano Sant’Angelo e la Piana della Chiesa) dai benedettini ai cistercensi di S. Maria di Casanova nel 1204; e poi la realizzazione di un “infirmatorium”, cioè di un ospedale per monaci malati nella grangia di Castello Manno (attuale Bufalara-Rotella) anch’essa ceduta, ma da feudatari laici, intorno al 1210, all’abbazia di S. Maria di Casanova. 
Secondo il Bedini, fu nel 1255 che l’Ordine Cistercense diede l’assenso a che l’ospedale fosse trasformato in abbazia. 
I lavori iniziarono presto e forse già tra il 1257 e il 1259 gli edifici monastici erano stati in buona parte realizzati. 
Figlia della linea di Clairvaux-Fossanova, attraverso l’abbazia delle Tre Fontane di Roma, San Vito del Trigno divenne così la penultima abbazia cistercense d’Abruzzo, preceduta da S. Maria di Casanova (1195) nei pressi di Penne, S. Maria Arabona (1209) nei dintorni di Chieti, S. Spirito d’Ocre (1248) vicino L’Aquila, e seguita da S. Maria della Vittoria (1274) tra Avezzano e Tagliacozzo. 
Il monastero abbadiale di San Vito del Trigno venne dunque edificato in luogo pianeggiante ma su una motta, un terreno cioè leggermente rialzato, che forse aveva ospitato in precedenza un tempietto pagano o qualche altra piccola struttura. 
Esso si confaceva alla tipologia urbanistica e architettonica del gotico cistercense, con la chiesa - allineata all’incirca sull’asse est-ovest - posta a nord del monastero, ciò che consentiva d’inverno la protezione degli edifici monastici dai forti e freddi venti boreali. 
Al centro si trovava il chiostro, luogo di preghiera e meditazione, ad est la sala capitolare e i dormitori dei monaci, a sud la cucina, il refettorio e altri ambienti minori, ad ovest gli edifici riservati ai conversi. 
Attigui o isolati dovevano essere l’infermeria, i magazzini, i laboratori e gli opifici, tra cui una cantina, un mulino e delle gualchiere. 
La presenza di un mulino nei pressi dell’abbazia è infatti suggerito dalla traccia residua di un antico formale, che attivava le pale con le acque derivate dal fiume Trigno. 
Più tardi il mulino sarebbe stato trasferito circa due km a valle, lungo l’attuale Formale del Mulino, in località Pantanella, dove rimase attivo, passando dalla gestione monastica a quella di privati e infine del Comune di San Salvo, fino al 1943 circa. 
Lo stemma di San Vito aveva al centro un fascio di spighe (sarebbe stato poi acquisito dal Comune di San Salvo, che vi aggiunse una botte) e ciò attesta come tra le coltivazioni di maggiore importanza, in parte finalizzate all’esportazione (specie a Tremiti, per conto di Casanova), figurassero il grano e altri cereali seguiti dai legumi, dall’uva da vino, dagli olivi e dai prati naturali o artificiali. 
Florido doveva infatti essere l’allevamento di buoi, bufali, cavalli, maiali e pecore, in quanto il territorio abbadiale era esattamente compreso tra i tratturi L’Aquila-Foggia e Centurelle-Montesecco (che passavano rispettivamente sul percorso dell’attuale Statale 16 e al guado del Trigno tra la Cuccetta di Lentella e Pietrafracida di Montenero).