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Facciata di Palazzo Ciccarone, 1929. |
PALAZZO DE NARDIS-CICCARONE
TRA STORIA E RICORDI DI FAMIGLIA
di Maurizio Ciccarone
Il Palazzo “de Nardis-Ciccarone è
ubicato in corso del Plebiscito 34. Il nome della strada fu cambiato dopo
l'unità d'Italia, essendosi svolte in questa via, in un basso edificio non più
esistente di fronte al Palazzo, le operazioni di voto per
l'annessione del Regno delle Due Sicilie al Regno d' Italia. Il vecchio
nome della strada e del quartiere adiacente era via San Giovanni, da una chiesa
di tale nome, che si trovava nei paraggi, nei pressi dell’incrocio con l’attuale
corso Dante, più o meno dove fino ad alcuni decenni fa, come ricordano i
vastesi diversamente giovani, esisteva una farmacia che era
originariamente Farmacia d’Ettorre, essendo stata stata successivamente, dopo
la morte del titolare, acquistata dal dottor Leone, venuto a Vasto dal Molise e
più precisamente da Guglionesi, era diventata Farmacia Leone. In
quella zona di Vasto vi erano allora vari luoghi di culto, specialmente
conventi: vi era quello di Santo Spirito, ubicato dove si trovano attualmente
il Teatro Gabriele Rossetti ed il nuovo parcheggio di via Aimone, che occupa
quello che era il chiostro del monastero, il convento del Carmine, dove per un
certo periodo operò un liceo, istituito per interessamento dei d'Avalos e
tenuto dai Padri Lucchesi; esso fu chiuso poi con la soppressione degli ordini
religiosi sotto Gioacchino Murat, il monastero dei frati ospitalieri di san
Giovanni da Gerusalemme, ordine dedito alla cura dei malati ed all’accoglienza
di eventuale pellegrini, passato poi ai domenicani, trasformato successivamente
in Palazzo dai Rulli con l’annessa chiesa, dedicata attualmente a Santa
Filomena, ma chiamata dai Vastesi Genova-Rulli, il convento di Sant' Antonio di
cui fu Priore un de Nardis, componente della famiglia che costruì il palazzo de
Nardis-Ciccarone; egli decorò la chiesa, unica parte del monastero ancora
esistente, con dei riquadri in stucco che si possono tuttora osservare; il
convento annesso, fu poi trasformato ed adibito prima a Sottoprefettura,
successivamente fu sede dell'Istituto Tecnico Commerciale, tale edificio
occupava il sito dove si possono ora visitare le Terme Romane. Il quartiere
occupa la parte centrale dell'antica Histonium; tipicamente romano è l'impianto
urbanistico con strade ampie e diritte gli incroci ortogonali delle
strade, resti di “opus reticolatum” sono visibili verso la fine di via Anelli,
posta a sinistra di chi osserva la facciata del palazzo ed in varie altre parti
del quartiere. Di fronte al palazzo, al di là di alcuni bassi edifici,
correvano le mura della Vasto medievale, fatte costruite da Giacomo
Caldora, allineate, verso Nord, lungo la linea che va dalla torre Damante a
quella di Santo Spirito ed a Sud verso il castello.
Sotto il piano stradale di corso
Plebiscito, davanti al palazzo e subito al di qua delle mura, vi erano dei
magazzini dove veniva conservato il frumento ed altri generi di
prima necessità, venivano per questo chiamate fosse del grano;
queste furono adibite successivamente a cantine dai proprietari dei palazzi
situati all’altro lato della strada. Quando il comune costruì la rete idrica,
una semplice conduttura di piombo che passava al centro della strada sopra tali
fosse, il tubo sospeso nel vuoto si ruppe, allagando tali locali ed imbibendo
le fondamenta del palazzo, mettendo così a repentaglio la staticità
dell’edificio che dovette essere puntellato. Successivamente il Comune,
condannato per i danni provocati, si accordò per pagare le spese per
i lavori necessari a riparare lo stabile dai danni provocati.
Il palazzo venne costruito
nel Settecento dai De Nardis appartenenti ad una ricca famiglia, originaria di
Barete nell’Aquilano, e si era qui trasferita assieme a dei loro parenti i
Trecco, essi acquistarono anche verso l’Incoronata dei terreni nella contrada
che da loro prende il nome di Villa De Nardis.
Come scrive nelle sue
memorie Francesco Ciccarone, la nostra famiglia e, specificatamente Francesco
Paolo Ciccarone, sicuramente non si sarebbe mossa da da Scerni, se non ve lo
avessero spinto dissapori familiari con alcuni cugini e tristi fatti che
insanguinarono la sua casa, quando due suoi germani Cassiodoro e Giuseppe
furono uccisi dai fratelli Prassede ed egli stesso corse tale rischio. Il
duplice omicidio fu eseguito su commissione dei Marchesi d’Avalos, nel fallito tentativo
di impossessarsi di alcuni documenti inerenti una causa che li
vedeva contrapposti al comune di Scerni per la proprietà di alcuni terreni.
Questi fratelli avevano già trucidato il notaio Boschetti di Cupello, presso la
cui abitazione in un primo momento pensavano si trovasse il documento. Questo
in realtà era nelle mani della nostra famiglia e venne poi consegnato al
prefetto di Chieti, cosìcchè la lite, che tanti lutti aveva provocato, si
chiuse felicemente per il comune di Scerni.
L'intenzione di
non muoversi da Scerni è avvalorata d’altro canto dalla decisione
presa poco tempo prima di tali avvenimenti, da parte Francesco Paolo Ciccarone,
di acquistare lì, proprio dai d’Avalos, il palazzo-castello marchesale ancora
esistente e riconoscibile da una torre angolare con un bel balcone in ferro
battuto; i marenghi necessari all'acquisto, avvolti in un rotolo, erano stati
rinchiusi in cassaforte da don Cassiodoro prima di andare a dormire. Sentendo
poi nella notte dal piano sottostante dei rumori , egli si mosse dalla camera
da letto e si trovò così di fronte uno dei Prassede, che nascosto aveva
osservato dal di fuori le mosse del sacerdote, il malvivente lo freddò; dopo
averlo ucciso essi si impadronirono delle monete d'oro, ma non riuscirono a trovare
le carte che cercavano.
Trasferitosi Francesco
Paolo a Vasto, non ebbero fine le persecuzioni da parte
dei Prassede, che più volte cercarono di aggredirlo, una volta
addirittura a Roma, dove uno di essi lo aveva seguito. Due dei fratelli furono
alla fine arrestati e giustiziati a Chieti, dove erano stati rinchiusi: I
parenti degli uccisi furono invitati all'esecuzione; al contrario della vedova
del Boschetti che seguì il triste spettacolo da una finestra, il nostro
trisavolo non volle andarvi.
L'ultimo dei fratelli
Prassede fu ucciso dal superstite fratello, Francesco Paolo che, informato del
fatto che l'assassino si aggirava a Vasto nella zona di Santa Lucia, allora
piena campagna, vi si avviò, accompagnato da Isidoro Barbarotta, esimio
cacciatore. Arrivarono verso il luogo dove l’assassino era stato avvistato, e
si appostarono a poca distanza l'uno dall'altro. Avvistarono il Prassede,
nascosto con la sua arma dietro un albero; partirono, quasi simultaneamente tre
colpi, due dei quali andarono a segno, uccidendo l'assassino.
Si stabilì quindi a
Vasto, lasciando affidata la cura dei propri interessi a Scerni al fratello
superstite Antonio Maria; Francesco Paolo, che aveva nel frattempo sposato
Michelina Volpe di Calascio, prese casa dapprima a Palazzo d’Avalos nel
mezzanino sopra l’attuale museo, occupato fino ad alcuni decenni fa dai Di
Michele, successivamente vicino a piazza Caprioli al Palazzo Celano poi
Pantini, successivamente a palazzo Barbarotta nell'omonima via. Vissero per un
certo periodo anche in via Vittorio Veneto in un edificio all’angolo con via
Giulia, dove nel 1821 venne alla luce il primo Ciccarone nato a
Vasto, mio bisnonno Silvio. Questa casa venne poi ceduta da nonno Francesco che
vendette in seguito anche alcuni terreni lì intorno, lungo via delle Croci.
Finalmente nel 1823 fu
acquistata gran parte della casa in via Plebiscito da Antonia de Nardis, ultima
componente di tale famiglia; l'edificio era allora molto diverso da come si
presenta attualmente, il secondo piano era molto più basso; come ancora si può
vedere in via San Francesco, non sopravanzava la linea di grondaia ancora
visibile al di sopra della chiesa di San Teodoro; osservando attentamente la
parete si scorge come accanto alle finestre del secondo piano il muro sia stato
scalpellato per buttar giù la vecchia grondaia e sopraelevare il secondo piano;
guardando da una certa distanza la facciata si può poi osservare come sopra la
parte centrale ci sia un soppalco fatto eseguire da Francesco Paolo Ciccarone
per costruire un grande salone con una volta molto più alta di quella delle
altre camere. Tali lavori furono realizzati una ventina di anni dopo l’acquisto
e furono completati con la sostituzione della scalinata, precedentemente più
semplice e posta vicino al portone d’ingresso, con quella attuale più imponente
e scenografica; tale modifica portò alla necessità di realizzare delle scale al
di là dei portoncini di ingresso del primo piano ed il sacrificio degli stucchi
che decoravano le volte. Tali lavori dovevano conferire all’edificio un aspetto
di solennità che fosse un segno tangibile della posizione economico-sociale
raggiunta dalla famiglia.
Francesco Paolo
ospitò lì per vari anni il nipote Pompeo Conti Ciccarone, futuro sindaco di
Vasto, rimasto orfano della madre Giustina Felicia, morta di parto, e del
padre, un Conti originario di Carunchio; egli si addottorò all’Aquila e svolse
poi la professione di avvocato.
Nonno Francesco nelle
sue memorie racconta come, prima di tali lavori, quasi tutta la
parte che occupa attualmente il secondo piano erano veri e propri soffitti,
adibiti addirittura a pollaio e deposito di cose vecchie ed ingombranti, salvo
una piccola parte dove esisteva anche una stanza, adibita attualmente a
biblioteca, che costituiva la camera da letto dell'arcidiacono de Nardis. Si
racconta che, nella notte che precedette la sua morte, queste camere, dove egli
era rimasto solo, venissero svaligiate da alcuni vicini di casa che riuscirono
a penetrare dai tetti.
Francesco Paolo Ciccarone,
noto carbonaro, che aveva partecipato anche agli ordini di Ettore Carafa, alla
difesa della Repubblica Partenopea alla fortezza di Pescara, per le sue
risapute idee liberali era tenuto d’occhio dalla Polizia borbonica che più
volte visitò, in seguito alla delazione di personale di servizio, il Palazzo
alla ricerca di documenti compromettenti, ivi custoditi, che
fortunatamente non furono mai ritrovati. Egli partecipava alle riunione segrete
che si tenevano nella rivendita, come venivano chiamate le sedi carbonare,
che a Vasto era ubicata nei vicoli di Santa Maria, alla presenza
degli affiliati di Vasto e dintorni. Egli era stato anche condannato al
confinio all’isola di Lipari, da cui lo salvò l’amnistia con cui Ferdinando II
volle iniziare il proprio regno dopo la morte di Francesco I.
La casa divenne in seguito
con il figlio Silvio, iscritto alla Giovane Italia, una delle sedi dei convegni
segreti dei patrioti della Provincia; di lì si mossero quei Vastesi che, alla
notizia che Garibaldi si avviava a grandi passi verso Napoli, superando le
esitazioni e le paure che frenavano i liberali degli altri centri della regione
che non ritenevano prudente muoversi, prima che la situazione non si
fosse stabilizzata. Giunti alla sede della sottoprefettura essi la occuparono,
abbatterono le insegne borboniche e chiamarono da Paglieta a dirigere la
sottoprefettura Decoroso Sigismondi. Vasto fu cosi la prima città abruzzese ad
insorgere nel nome di Vittorio Emanuele II e Garibaldi, Silvio Ciccarone venne
nominato prodittatore, come venivano chiamati i rappresentanti di Garibaldi nei
governi provvisori locali.
Fu allora, con l’unità d’Italia che il Palazzo assunse a sede di molti dei più importanti avvenimenti della storia cittadina, accogliendo personalità protagoniste della politica nazionale. Tra i primi ci fu il marchese diVillamarina, plenipotenziario di Vittorio Emanuele II per il Regno di Napoli, dove, nel Palazzo Reale rimase, per controllare la situazione durante i primi tempi dopo l’annessione, mantenendo i rapporti con Cavour e dirigendo la vita politico-amministrativa nelle regioni occupate. Dovendo tornare a Napoli; dopo un abboccamento con il Re il Villamarina passò per Vasto, dove fu accolto in casa dalla mia bisnonna Maria Cardone e dalle sue cognate, essendo il marito assente, impegnato come maggiore della Guardia Nazionale negli scontri con le bande di briganti che, finanziate ed aiutate dai Borboni e da Pio IX infestavano, taglieggiando, compiendo stragi e provocando disordini il Vastese, come tutto il Meridione. Nell’archivio di famiglia c’è una lettera di nonna Maria che racconta, in una lettera al marito, delle calorose accoglienze riservate all’illustre ospite e, di come il Villamarina, acclamato a gran voce dal pubblico raccolto davanti casa, si mostrò ad esso dal balcone sopra il portone per parlare alla folla lì raccolta; molti dei presenti portavano sui cappelli la scritta SI, che era il simbolo che bisognava votare da parte di coloro che erano favorevoli all’annessione al Regno d’Italia. In quel periodo la casa divenne un importante punto d’incontro; vennero ospiti il generale Alfonso Lamarmora, comandante in più occasioni dell’esercito piemontese e presidente del consiglio prima del Regno di Sardegna e successivamente del Regno d’Italia, Ruggero Bonghi, parente della padrona di casa Maria Cardone, scrittore, giornalista e politico, autore della più conosciuta traduzione delle opere di Platone, professore universitario di Storia, Latino, Greco e di filosofia e futuro ministro della Pubblica Istruzione. La presenza più assidua comunque, fu senz’altro quella di Silvio Spaventa, amico fraterno di Silvio Ciccarone e venerato dal figlio Francesco e da tutti i familiari. Sono raccolte nell’archivio di famiglia, e sono state più volte pubblicate, le numerose lettere che i due Silvi si scambiarono lungo un lungo arco di tempo, lettere nelle quali si parla, oltre che dei problemi politici di quel tempo, sia locali che nazionali, anche di tutti quegli argomenti di cui due amici comunemente discutono, come malanni, preoccupazioni e vicende familiari. Non essendo ancora a quel tempo i partiti organizzati con sedi ed organigrammi, le riunioni politiche si svolgevano nelle case dei personaggi più autorevoli, nel caso di Vasto e del vastese in casa nostra, dove i liberali locali erano orgogliosi fare la conoscenza e di un personaggio del calibro di Silvio Spaventa per far posto al quale mio bisnonno aveva rinunciato a candidarsi di persona.
Si trovava a casa, fino a quando
venne sciolta il comando della Guardia Nazionale, che occupava tra uffici ed
armeria tre grandi camere al primo piano poste tra corso Plebiscito e via
Anelli.
Altro ospite di riguardo negli anni successivi, fu Leopoldo Franchetti,
fermatosi a Vasto per parlare con mio bisnonno Silvio, nell’ottobre
del 1873, nel corso di uno dei suoi lunghi viaggi-inchiesta sulla situazione
delle provincie meridionali o, come si diceva allora, napoletane.
Si conservano nell’archivio
importanti documenti riguardanti gli avvenimenti politici di Vasto, anche di
quando Silvio Ciccarone, avanti con gli anni, stanco ed amareggiato della
situazione politica locale e nazionale decise di passare il testimone al figlio
Francesco.
Nel secondo dopoguerra, si
svolsero in casa molte delle riunioni e discussioni politiche tra mio padre
riguardo ai problemi amministrativi come la costituzione del consorzio di
bonifica. Anche mia zia Giulia, allora delegata regionale dell’azione
cattolica, che era praticamente allora con i comitati civici una succursale
della Democrazia Cristiana. Le riunioni divennero giornaliere con l’elezione a
sindaco di mio padre, soprattutto dopo la creazione dell’associazione civica
“il Faro”, che costituì con il PCI la prima amministrazione di centro-sinistra
a Vasto.
Io ero in quel
periodo a Macerata in collegio, ma ricordo nei periodi in cui
tornavo a Vasto la casa era sempre piena di gente: ricordo tra i più assidui
Ettore Del Lupo, Don Vincenzo Pomponio, il professor Angelo Matassa, il dottor
Leone de Liberato e molti altri amici e sostenitori. Fu in quel
periodo che venne in casa, invitato a pranzo l’onorevole Giovanni Leone,
qualche mese prima della sua elezione a Presidente della Repubblica, venuto a
Vasto come avvocato difensore di un consigliere comunale Leone De Liberato.
Tale venuta a Vasto di Leone e l’invito a pranzo in casa nostra non fu priva di
polemiche nell’ambito cittadino, assieme al fatto che fosse uno dei massimi
esponenti della Democrazia Cristiana a difendere un rappresentante del Faro
allora, a livello locale, acerrimo nemico del partito di maggioranza. Le
polemiche, che al nostro giorno potrebbero sembrare strane, possono ben
comprenderle le persone che di quegli avvenimenti furono autori o spettatori.
Nel Palazzo, ci sono, oltre alla
biblioteca e fotografie di importanti avvenimenti ed all’archivio
storico, catalogato e vincolato, cimeli vari, alcuni dei quali al
momento in deposito a Pescara al Museo delle genti d’Abruzzo, armadi
pieni di numerosissimi fascicoli contenenti documenti ancora da
visionare, ordinare e catalogare relativi ai periodi in cui mio padre fu
sindaco e quello in cui fondò e diresse il Consorzio di Bonifica
prima della nomina di Ettore del Lupo.
Il palazzo si compone di un piano
terreno, un primo ed un secondo piano al di sopra del quale vi è un altro piano
più piccolo, non visibile dalla strada sovrastato da una torretta, abbastanza
comune nei vecchi palazzi vastesi, con il pavimento formato da lungo tavoloni
di legno, che serviva per conservare frutta, formaggi, salumi conserve ed altra
roba. Nell’ambito dell’edificio c’è una chiesa, fatta costruire dai De Nardis,
essa era dedicata ad uno sconosciuto martire delle persecuzioni al tempo
dell’imperatore Diocleziano, a cui fu dato il nome di Teodoro (dono di Dio) e
vi era sopra l’altare maggiore un urna con il suo corpo, ora trasferito alla
chiesa del Carmine. Esso fu per alcuni anni prima d San Michele il
protettore di Vasto per tale motivo il suo nome era a Vasto discretamente
diffuso. Negli anni sessanta mio padre assieme ai fratelli e le sorelle decise di
acquistare una parte del palazzo comprendente varie stanze di proprietà della
curia, per l’occasione furono fatti lavori per rendere eleganti ed accoglienti
tali locali.
Mio padre verso la fine del
secondo mandato sindacale decise di ristrutturare il villino Cardone in
contrada Palombari per trasferirvisi con la propria famiglia. Fino ci
trascorrevamo solo l’estate per tornare al Palazzo ad autunno inoltrato.
Rimanevano lì le mie zie, zio Antonio, e quando venivano a Vasto zia Maria e
più frequentemente zio Peppino con la sua famiglia. Durante gli ultimi tempi
della malattia di zio Antonio di
tanto in tanto venivano a trovarlo i colleghi della facoltà di Agraria di Bari,
specialmente quelli dell’Istituto di Patologia Vegetale che egli aveva
istituito ed elevato a grande prestigio, specialmente per quanto riguardava le
colture tipiche mediterranee. Venivano anche a trovare le mie
zie, specialmente zia Giulia, oltre che i numerosi nipoti, i
colleghi della scuola magistrale di Pescara ed i ragazzi con cui si riuniva per
organizzare le numerose attività dell’oratorio della Parrocchia Chiesa della
Resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo di San Salvo Marina. Nei nostri
discorsi dicevamo Vasto, quando ci volevamo riferire al Palazzo in corso
Plebiscito ed il Barone Cardone quando ci si riferiva al Villino di contrada
Palombari.
Il palazzo rimaneva comunque la sede, la nostra vera casa; lì eravamo
nati, lì eravamo cresciuti ed aperti al mondo. Del resto era al Palazzo che si
tornava nelle solennità a Natale, A Pasqua nelle solennità e nelle
occasioni liete e tristi che tutte le famiglie sogliono attraversare. Ricordo
li ci riunivamo per le festività natalizie, eravamo a volte quaranta e più persone,
c’erano sempre con noi oltre che i fratelli di papà anche alcuni parenti di
mamma, tra cui i Desiati con zio Piero e zia Liliana, a Natale ad una certa ora
veniva a farci visita la famiglia Nasci. In uno dei saloni del palazzo fu
allestita la camera ardente per la morte di mia madre e di zio Antonio con un
continuo andirivieni di gruppi di persone. L’ultimo dei figli a risiedere li
sono stato io che vi trascorsi con mia moglie i miei due primi anni dopo
il matrimonio.
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