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23 gennaio 2022

Antonio Mezzanotte, L'appalto-truffa per la scafa di Rosciano.

 
L'APPALTO - TRUFFA PER LA SCAFA DI ROSCIANO

di Antonio Mezzanotte

Il toponimo Scafa, che oggi è riferito ad un noto paese della Val Pescara, un tempo indicava un tipo di imbarcazione con la quale si guadava il corso di un fiume: era una sorta di zattera, spesso fornita di due parapetti laterali formati da catene di ferro, a fondo piatto e priva di prua. Nella direzione dell’attraversamento della scafa veniva posta una fune, manovrata facendo perno su due pali conficcati nelle sponde opposte, così che era consentito tirare la scafa nell’andata ed al ritorno. La scafa era adibita al trasporto di persone, di animali, qualche volta anche di carretti trainati da buoi, di merce varia.
La ‎«scafa di San Valentino», appunto, era riferita alla chiatta che si trovava dove oggi sorge il paese di Scafa, fino al 1948 tenimento del Comune di San Valentino in Abruzzo Citeriore, e che veniva utilizzata per il passaggio sul Pescara, un fiume che prima di essere imbrigliato in salti, dighe e condotte forzate aveva un alveo naturale ben maggiore dell’attuale.
Il Pescara veniva attraversato anche in altri punti, ad esempio presso Villanova (a mezzo della cosiddetta "barca da piedi") e lì dove ora troviamo il c.d. Ponte delle fascine, in località Villareia, in coincidenza del guado del Tratturo Magno ("barca da capo", ovviamente, come l'altra rispetto alla città di Chieti).
Fino ad oggi, nessuno ha mai dato rilievo alla scafa di Rosciano. In verità, la presenza di una chiatta era già indicata nel Catasto onciario del 1743 (il servizio era a carico del Comune, che corrispondeva un balzello annuo al Connestabile Fabrizio II Colonna per l’appoggio all’altra riva) e all’epoca entrambe le rive erano comprese nel tenimento dell’Università di Rosciano (la sponda opposta, ora appartenente al Comune di Manoppello, fino al 1811 era terra roscianese, indicata concretamente nella documentazione catastale e notarile come «Terra de là dalla Pescara»).
Nel 1853 la scafa era ancora presente, sebbene malridotta, ed affidata in appalto ad un privato.
Secondo la testimonianza di Pasquale Castagna, storico angolano, la vecchia scafa (che l'atlante Rizzi Zannoni del 1808 colloca dalle parti di Contrada Lavatoio) fu abbandonata quando venne ammodernata la via Salara (come veniva chiamata l’antica strada consolare Tiburtina Valeria).
Sembra che sia stato proprio Re Ferdinando II nel 1847 ad ordinare il ripristino del servizio. Fu quindi bandita una gara d’appalto dalla Provincia di Abruzzo Ulteriore Primo (alla quale era stata trasferita la competenza in materia), ma il capitolato prevedeva che l’appaltatore sarebbe stato pagato (seppur a prezzo ridotto) anche qualora la scafa fosse stata rotta, danneggiata e/o non avesse potuto assicurare il servizio.
Ovviamente, a quelle condizioni l’appaltatore truffaldino non si curava affatto né del servizio di traghettaggio, né della manutenzione della chiatta, in quanto, in ogni caso, ci avrebbe guadagnato qualcosa!
Riferisce il Castagna (per l'occasione giornalista d'inchiesta) che a seguito di alcune segnalazioni le Autorità avevano diffidato l’appaltatore al rispetto del contratto. Per tutta risposta, accadde che quegli non solo offrì un ribasso dell’80% sul costo del servizio (probabilmente in combutta col preposto Ufficio provinciale), ma nemmeno si preoccupò di ripristinarlo, cosicché continuò ad intascare il prezzo del traghettaggio per l’utilizzo di un battello inesistente, forse da realizzare in futuro, ma che la Provincia pagava come se l’imbarcazione fosse esistente ed il servizio svolto regolarmente!
La scafa, o quella che ne era rimasta, fu poi sostituita nel 1886 dal ponte di legno fatto realizzare dall’Ing. Enrico Santuccione in adiacenza al ponte ferroviario che precede la Stazione di Rosciano. Quel ponte negli anni Venti del secolo scorso fu a sua volta sostituito con l’attuale ponte in muratura (danneggiato durante l’ultima guerra e poi ricostruito).

(Sul n. 1/2021 della Rivista Abruzzese ne parlo diffusamente. Nella foto: Filippo Hackert, “La scafa di Persano”, 1782, pittura a tempera)


13 maggio 2021

Filippo Marino, Dino Zambra, giovane laico Servo di Dio.

Dino Zambra
Dino Zambra, giovane laico Servo di Dio

di Filippo Marino.

Defendente Zambra, detto Dino, nacque a Chieti il 12 marzo 1922 dal barone teatino Gerardo Zambra e dalla signora lancianese Elena De Giorgio.
Unico erede di una nobile ed agiata famiglia fu un giovane esemplare, si contraddistinse sempre per una alta moralità, grande modestia e tanta generosità.
Quotidianamente si recava a pregare nella Abbazia cistercense di S.Maria Arabona a Manoppello (PE), di proprietà della famiglia e si dedicava ai giovani e ai più bisognosi sempre con sensibilità, rispetto ed umiltà.


S.Maria Arabona di proprietà della fam. Zambra


Dopo gli studi liceali al “G.B. Vico” nella città natale, fu studente modello alla Facoltà di Lettere presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Fu membro dell’Azione Cattolica, della FUCI e della Conferenza di San Vincenzo de’ Paoli.


Nel 1943, richiamato alle armi per servire la Patria, partì per la Seconda Guerra Mondiale e dopo il corso da ufficiale ad Ascoli Piceno, fu assegnato in Puglia. Ammalatosi di meningite, morì il 3 gennaio 1944 nel sanatorio di Lecce, senza alcun conforto familiare. 
Date le difficoltà del tempo, le spoglie di Dino tornarono alla Badia di S.Maria Arabona solo il 1 novembre 1944, dove con grande commozione si svolsero i funerali e dove riposa (nella seconda cappella alla destra dell’abside). Questo luogo divenne da subito meta di pellegrini, che ai piedi della sua tomba trovano forza, consolazione e speranza.
La sua breve vita fu sempre all’insegna della grazia di Dio e della carità cristiana.


Dopo la dipartita vennero alla luce i suoi scritti, in particolare il suo “Diario”, che rivelarono a tutti la bellezza della sua anima e la ricerca di essere conforme a Cristo.
La sua fama e l’odor di santità si diffusero rapidamente in Italia e nel mondo, specialmente tra gli emigranti abruzzesi ed iniziarono a giungere notizie di grazie ricevute.
Questo portò la Diocesi di Chieti-Vasto ad introdurre la Causa di Beatificazione mediante il Postulatore Don Antonio Graziani, canonico della Cattedrale San Giustino di Chieti, nominato dai genitori di Dino. Nel 1961 fu presentato all’Arcivescovo S.E. Mons. Giovanni Battista Bosio il “supplice libello”, cioè l’apertura del processo nella fase informativa diocesana. Tra i numerosi testimoni furono ascoltati i genitori, i parenti, tra cui lo zio il senatore Giuseppe Spataro di Vasto e tanti amici. Il processo diocesano si concluse nel 1969 ed il successivo Arcivescovo S.E. Mons. Loris Capovilla inoltrò il tutto in Vaticano, presso la Congregazione delle Cause dei Santi. 

Nel 1995 l’Arcivescovo S.E. Mons. Edoardo Menichelli riprese l’iter con la nomina del nuovo Postulatore della fase romana, il salesiano Don Pasquale Liberatore e ne seguì il decreto di validità del processo. Subito fu incaricato Don Antonio Bevilacqua, del clero vastese, per la redazione della “Positio super vita et virtutibus”, un approfondito lavoro consegnato alla Congregazione delle Cause dei Santi nel 2000, di cui si attende l’esito della Chiesa per poter elevare Dino Zambra agli onori degli altari.
L’Arcivescovo S.E. Mons. Bruno Forte ha inserito la figura di Dino tra i Santi e i Venerabili del teatino nel testo dei “Lineamenta” del sinodo diocesano.