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8 luglio 2025

Padre Donatangelo Lupinetti (1909-2000): frate missionario, etnologo e studioso abruzzese.



Padre Donatangelo Lupinetti

Nato a Castilenti il 29/08/1909 è deceduto a Lanciano in data 12/12/2000.
Dopo aver preso i voti dell'Ordine francescano, che più si confaceva alla sua necessità di contatto umano, e dopo aver affinato i suoi studi linguistici (greco, latino, sanscrito), storici e teologici, previa l’accurata formazione universitaria, appositamente condotta presso il Pontificio Ateneo Antoniano di Roma, esercitò l’attività pastorale nei conventi francescani dell’Aquila, di Orsogna, Tocco Casauria e Lanciano. La sua vocazione missionaria lo condusse verso l’Africa e la Terra Santa..
Negli anni ’30, fu missionario in Somalia, al tempo appartenente all’Italia e non ancora convertita all’islam. Il contatto fraterno con le popolazioni indigene, specie dei Rahanuìn dell'interno e gli Ammarruìn della costa, gli diede il motivo e la possibilità di provare sul campo le teorie di etnografia, etnologia e missionologia precedentemente apprese. In seguito, venne trasferito a Mogadiscio, al fine di ricoprire ruoli direzionali e didattici presso collegi, convitti e scuole cattoliche. Fu allora che poté concentrare su alcuni settori specifici le sue ricerche etnologiche, comprensive anche dei canti dell'epica locale. Ma di tutto il materiale prodotto in Africa e inviato in Italia (monografie, relazioni, studi sui canti religiosi delle popolazioni conosciute e sulle peculiarità del loro modo di recepire l’evangelizzazione) si è conservato poco, così come delle pubblicazioni effettuate a Mogadiscio; ricordiamo alcuni articoli contenenti relazioni di viaggi e di eventi locali, nonché una coraggiosa polemica contro le leggi razziali del governo fascista. 
Tornato in patria, nel Dopoguerra, il religioso poté finalmente dedicarsi ad un campo a lui già noto, cioè quello della cultura popolare abruzzese, rivedendola, però, alla luce delle esperienze africane. Parallelamente all’attività canonica, egli effettuò un’approfondita ricognizione del materiale di ricerca folklorica e dialettologica già esistente. Così, le sue ricerche sul campo si tradussero in studi completi e rigorosi di letteratura popolare, puntualmente pubblicati e diffusi in Abruzzo e fuori regione. 
Tra articoli e volumetti, spiccano una completa trilogia di canti e tradizioni e una prima raccolta di Novellistica Sacra, interessante raccolta di novelle religiose abruzzesi anche inedite, presentate in dialetto e nella traduzione italiana. L’opera fu redatta in collaborazione con Ernesto Giammarco e pubblicata a Pescara nel 1958 per le edizioni di "Attraverso l'Abruzzo", di Francesco Amoroso. 
Lo stesso anno, in occasione del VII Congresso Nazionale delle Tradizioni Popolari, espresse il suo peculiare contributo tracciando il quadro fondamentale della letteratura religiosa abruzzese nel Medioevo. 
In questi anni, divenne amico di studiosi abruzzesi, tra i quali, oltre ai già citati Giammarco e Amoroso, ricordiamo Bruno Mosca, Francesco Verlengia, Domenico Priori, autori di opere e pubblicazioni che segnarono le tappe del progresso culturale abruzzese. Particolarmente viva fu la sua amicizia con Paolo Toschi, demologo di fama nazionale, docente di Storia delle Tradizioni Popolari presso l'Università di Roma. In particolare, l'amicizia intrattenuta con Cesare De Titta, illustre latinista e poeta dialettale, con il quale si dedicava a traduzioni ed esercitazioni di forma salmodica in dialetto, latino, greco antico ed ebraico, fece sì che Lupinetti desse anche vita a componimenti poetici propri, di ispirazione religiosa e popolare.
Tra questi si annoverano, pubblicati all'Aquila presso la Cattedra Bernardiniana dal 1962 al 1981, Lu Presépie di Natale, poemetto natalizio con versione in lingua ed introduzione storica sul presepio; La santità de la Live, antica leggenda natalizia abruzzese, versificata e annotata; Lu sandìssime Voldesande, poemetto sacro in dialetto abruzzese con note illustrative; Lu cante di Natale, poemetto dialettale; Lu cante di PasqueLu cante di la MadonneLu cante di S. Francesche, componimento in dialetto abruzzese in onore di S. Francesco, S. Chiara, S. Bernardino e S. Giovanni da Capestrano, stampato a Gerusalemme. 
La sua vocazione missionaria lo riportò, a fasi alterne, di nuovo in Africa, a Gerusalemme e a Betlemme, per oltre vent’anni. Qui, nonostante le difficoltà del conflitto ebraico-palestinese, trovò modo di approfondire e rifinire gli studi sulla canzone epico-lirica in Abruzzo, consegnando alla rivista di etnologia "Lares" i suoi utili contributi su La canzone di Rinaldo e il Testamento dell’avvelenato, pubblicati tra il 1958 e il 1963. Un'ultima serie di studi storici occasionali, di stampo agiografico e basata su ricerche archivistiche, riguardò la vita della Beata Antonia da Firenze, ricostruita tramite i manoscritti del Monastero di S. Chiara Povera de L'Aquila, e la vita di Padre A. Ronci da Atri, poeta e missionario di Terra Santa (1500-1504). 
Attraverso la storia locale approfondì le incidenze e le coincidenze di usi e costumi popolari tra varie zone dell'Abruzzo quali Lama dei Peligni, Castiglione Messer Raimondo, Castilenti, servendosi del metodo comparativo e dell’approccio multidisciplinare. Le sue opere rappresentano uno dei più vasti repertori della cultura abruzzese, dotta e popolare, costruito in oltre 50 anni di infaticabile ricerca. 
Padre Lupinetti rientrò definitivamente dalla Terra Santa negli anni ’80; dopo una permanenza a Pescara, trascorse i suoi ultimi anni a Lanciano, ospite dell'albergo per anziani del Convento Antoniano, amorevolmente accudito dai confratelli.

Tra le sue ultime pubblicazioni si ricordano:

- Castiglione Messer Raimondo e il suo tesoro. Breve studio monografico sul Paese e sulla devozione a San Donato, Tip. D. Ambrosini, Penne, 1950.
- Castilenti.Breve studio monografico di un tipico paese d'Abruzzo, Cooperativa Editoriale Tipografica, Lanciano  1973.
- Durantiniana frate missionario d'America. Studio bio-bibliografico sul francescano p. Antonio Maria Durantini OFM (1867-1940), Curia prov. frati minori d'Abruzzo-San Bernardino, L'Aquila 1989.

6 luglio 2025

Francescani illustri nel Convento del Ritiro della Santissima Annunziata di Orsogna: Padre Francesco da Caramanico, Padre Cristoforo da Penne, Padre Ludovico Fonzi da Orsogna.

 Ritratto del Servo di Dio P. Francesco de Acetis da Caramanico

Francescani illustri nel Convento del Ritiro della Santissima Annunziata di Orsogna: Padre Francesco da Caramanico, Padre Cristoforo da Penne, Padre Ludovico Fonzi da Orsogna

di Angelo Iocco

Le glorie francescane illuminano la storia del Convento della Santissima Annunziata del Poggio in Orsogna, sin dal XV secolo, quando fu fondato da S. Giovanni di Capestrano nel 1448. 

Da un dattiloscritto inedito dell’orsognese Vincenzo Simeoni (1904-1994), appassionato di storia patria, leggiamo degli estratti che illustrano le biografie dei personaggi più illustri.

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28 giugno 2025

Canti, litanie, novene popolari e liturgiche a Castel Frentano.

Contadini di Castel Frentano in abito popolare – lastra archivio Marco Cavacini

CANTI, LITANIE, NOVENE POPOLARI E LITURGICHE A CASTEL FRENTANO

di Angelo Iocco

Queste trascrizioni dal lavoro di Giuseppe Di Battista (Canti e racconti popolari di Castel Frentano e dell’area del Sangro-Aventino, postumo, Castel Frentano 2023, sono state eseguite dallo scrivente, ascoltando la voce di Zi’ Clemente Di Battista dalle audio-registrazioni su nastro. Esse sono state conservate dal nipote Aldo Angelucci, cui va il nostro ringraziamento, e attualmente sono state sbobinate e conservate presso l’Archivio Associazione teatrale “Di Loreto-Liberati” di Castel Frentano. Purtroppo i canti non hanno una regolare continuità, a causa delle varie interruzioni durante l’esecuzione, o per dimenticanza, o perché il dicitore passava immediatamente a un altro canto. Purtroppo di alcuni brani siamo riusciti a trascrivere solo qualche verso, a causa dell’audio rovinato o disturbato da alter frequenze e rumori.

1)    ME SO’ STATE CARCIARATE

Si tratta di un lamento-serenata, che ha altri riscontri in altre località abruzzesi, nonché napoletane. Inizia con:

Me so state carciarate

Pe’ nu capricce, Mariè!

 

2)    SANT’ANTONIO

Versione di zi’ Clemente Di Battista

Sant’Antonio

‘nnav’ a ccaccia di ciammajiche,

ma lu demonie malandrine

le jettètte ‘mmezz’a  le rettriche!

Sant’Antonie

ze bevé lu vine…

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20 giugno 2025

I Canti del Sant’Antonio in Abruzzo.

 I Canti del Sant’Antonio in Abruzzo

di Angelo Iocco 


Bona sera gentil signori,

quante ne séte déntre e fore,

quante ne séte déntre e avanti,

bona sére a tutti quanti!

Questa è l’introduzione del Canto Castellino. Ci vorrebbe più di un volume per raccogliere tutti i Canti del Sant’Antonio in Abruzzo, esistendo diverse versioni, spesso varianti di uno stesso testo di contrada in contrada. In questo scritto abbiamo voluto tracciare brevemente una divisione geografica dell’area del Chietino, dove abbiamo analizzato le variant del celebre canto:

AREA FRENTANA 1 (Lanciano, Ortona, Treglio, San Vito, Rocca San Giovanni, Castelfrentano contrada Crocetta, Mozzagrogna)

AREA FRENTANA 2 (Orsogna, Sant’Eusanio del Sangro, Civitaluparella)

AREA FRENTANA – AVENTINO (Archi, Lama dei Peligni, Colledimacine, Civitella Messer Raimondo, Villa Santa Maria).

Come approfondiremo più avanti, differenti sono le versioni del Sant’Antonio di paese in paese, a distanza di pochi km l’uno dall’altro: abbiamo riscontrato che gran parte di canti hanno una base che affonda le radici nella tradizione orale, naturalmente di anonimo, e sono molto brevi, anche se ipotizziamo che purtuttavia questi canti siano stati ispirati dale letture delle agiografie del Santo di tradizione medievale. Torniamo a noi. C’è la compagnia con gli strumenti che canta, di casa in casa, o per le strade e le piazza, e non sempre si rappresenta la pantomima teatrale con i personaggi Sant’Antonio, il Demonio e l’Angelo che interagiscono.

In alcune varianti i personaggi che mimano la scena parlano, ma con brevi interventi, come nel canto di Civitaluparella. Gli antropologi locali, come la Gandolfi, preferiscono questi Canti brevi eseguiti in coro, che sono più scarni, essenziali, concentrate sulla resa pantomimica dei personaggi, senza contaminazioni operettistiche. Il secondo ciclo di questi Canti infatti, come ha ben scritto anche Padre Lupinetti (che nella sua opera cita anche una rappresentazione degli anni ’30 eseguita al Teatro di Chieti), è quello dei Canti Teatrali, cioè le sceneggiate che a volte durano anche mezz’ora, o di più, arrivando a stancare il pubblico. Sulla base del testo popolare, ovvero:

INTRODUZIONE EREMITI + ANNUNCIO EREMITI DI SANT’ANTONIO + ARRIVO E ASSOLO DI SANT’ANTONIO + ARRIVO DEL DIAVOLO (a volte arriva prima la Femmina bella, come si vedrà nei Canti) + DIALOGO-SCONTRO TRA SANT’ANTONIO E IL DIAVOLO + ASSOLO II DI SANT’ANTONIO (specialmente questa parte nei Canti di Lama) + RITORNO DEL DIAVOLO + INVOCAZIONE E ARRIVO DELL’ANGELO SALVATORE + USCITA DI SCENA DEL DIAVOLO, COMMIATO FINALE DEGLI EREMITI.

Come abbiamo voluto riportare in questa Appendice, e in Appendice II, questi Canti recitati teatrali sono frutto di elaborazioni del poeta locale, oppure del parroco, in sostanza di qualcuno che mastica un po’ di musica, e che è in grado di farne anche parodie, citando un brano teatrale famoso o un pezzo di lirica. Ma a volte il brano d’operetta è utilizzato per carattere sacro, modificato per il gusto del popolo! E per questo campo, anche se non ne parleremo, citiamo le Sette Novene Cantate a Sant’Antonio in Fara Filiorum Petri, nei 6 giorni che precedono il 16 gennaio, e il giorno stesso di Sant’Antonio[1].

9 giugno 2025

Il poeta Giuseppe Di Tullio di Filetto.


Il poeta Giuseppe Di Tullio di Filetto

di Angelo Iocco

Giuseppe Di Tullio (4 settembre 1910 – 1 gennaio 1952) è uno di quei poeti abruzzesi che purtroppo sono scarsamente conosciuti, complice probabilmente la breve esistenza, stroncata da una brutta malattia a soli 42 anni. Pochi oggi lo ricordano, e fondamentale resta un saggio di Vittoriano Esposito nel suo Parnasso d’Abruzzo, alla relativa voce. Nativo della piccola Filetto, studiò al Liceo classico di Lanciano, successivamente proseguì gli studi universitari a Firenze, per poi tornare, imbevuto di toscanismo e patriottismo giolittiano, a Pescara, a insegnare. Seguì anche l’abilitazione musicale in violino presso il Conservatorio S. Pietro a Maiella di Napoli. scrisse su diversi giornali abruzzesi, come Il Messaggero, Il Tempo, Momento sera di Chieti, Rivista abruzzese. Oltre ai saggi sulla religione, Di Tullio si occupò anche di Gabriele d’Annunzio, Silvio Spaventa, Tommaso Campanella e umanisti abruzzesi. Nel 1933 pubblicò la silloge di poesie L’Eco delle fonti, e nel 1949 per l’editore Carabba di Lanciano, il poema Giano. Esso è ispirato alla figura mitica del dio della Creazione, e nel cantarlo, Di Tullio si riferisce a un’epoca felice, perduta, quello dei grandi classicisti dell’Ottocento, ma non solo, della letteratura italiana come Dante e Petrarca, celebra una società idilliaca felice, quella italiana, ancora non contaminata dagli orrori della guerra, che dal 1943 avrebbe martoriato l’Italia e la sua piccola patria quieta di Filetto, che ne uscì devastata, insieme alla vicina Orsogna. Il piccolo mondo fatto di cose semplici, rituali bucolici, per dirla alla Virgilio, è spazzato via per sempre dalla corrente della storia. Tra gli ultimi lavori di Di Tullio, figura una poesia in abruzzese, inedita, presentata al Concorso di poesia “Gennaro Finamore” di Lanciano del 1952, i di cui atti rimangono presso il Fondo “Cesare Fagiani” nella Biblioteca comunale di Lanciano.

“L’edificio sorgeva massiccio e quasi oscuro, simile a una vecchia roccaforte feudale. A quell’edificio mancavano i merli e il ballatoio per essere scambiato per una fortezza, ma bastava il campanile che sorgeva da un lato per dire subito che si trattava di una Chiesa. l’intera mole si ergeva superba sulla Rupe di San Rufino, dominando incontrastabilmente le case circostanti.

Ciò che addolciva quell’aspetto severo, che lo rendeva umano e familiare, era la presenza di colombi. Tutte le mura erano bucherellate di piccoli nidi, ed  in ogni momento della giornata i mansueti aligeri tubavano e volavano. A primavera poi la Chiesa sembrava rivestita a festa, perché da ogni parte era fiorente di viole romane: coloriture giallognole e rossastre, come lembi d’oro e di porpora, apparivano sul viso rugginoso delle mura vetuste. Tutta la Chiesa era costituita da due parti, l’una sovrapposta all’altra: nella prima, quella superiore, si officiava giornalmente, nella seconda, quella inferiore, si adunava la Congrega del S. Rosario o il Sodalizio della bella Sant’Agnese, ma si può dire che l’unica grande celebrazione ivi avvenisse nei giorni della Passione.

Se però nella parte superiore della Chiesa era dato cogliere qualche raro gioiello umanistico, nella parte inferiore si poteva ammirare una tela riferibile alla seconda metà del ‘500. Infatti nella parete di fondo della cripta, si vedeva raffigurata la Madonna del Rosario: lavoro di un tardo seguace di Raffaello, forse Luca Fornaci, che in quel tempo dipingeva a Chieti”[1]




Veduta della chiesa madre di Filetto, distrutta nel 1943, dal Corso S. Giacomo, oggi via Roma – Archivio Calendario Associazione “Ars Magistra” - Filetto


Luca Fornaci, Madonna coi Misteri del Rosario, chiesa di S. Maria ad Nives, Filetto

2 giugno 2025

IL CANTO POPOLARE ABRUZZESE NELLE TRADIZIONI DI IERI E DI OGGI – Capitolo VI: I Canti popolari di Sant’Antonio abate (Lu Sant’Antonie) in Abruzzo.

 

IL CANTO POPOLARE ABRUZZESE NELLE TRADIZIONI DI IERI E DI OGGI – Capitolo VI: I Canti popolari di Sant’Antonio abate (Lu Sant’Antonie) in Abruzzo

di Angelo Iocco 

Vita di S. Antonio abate in breve 

S. Antonio Abate (Qumans, 12 gennaio 251 – Deserto della Tebaide, 17 gennaio 356) è stato un abate ed eremita egiziano. Contemporaneo di Paolo di Tebe, è considerato il fondatore del monachesimo cristiano e il primo degli abati; a lui si deve la costituzione in forma permanente di famiglie di monaci che sotto la guida di un padre spirituale, abbà, si consacrarono al servizio di Dio. La sua vita è stata tramandata dal suo discepolo Atanasio di Alessandria. È uno dei quattro Padri della Chiesa d'Oriente che portano il titolo di "Grande" insieme allo stesso Atanasio, a Basilio e a Fozio di Costantinopoli. È ricordato nel Calendario dei santi della Chiesa cattolica e da quello luterano il 17 gennaio, ma la Chiesa ortodossa copta lo festeggia il 31 gennaio che corrisponde, nel suo calendario, al 22 del mese di Tobi. Antonio nacque a Coma (l'odierna Qumans) il 12 gennaio del 251, figlio di agiati agricoltori cristiani. Rimasto orfano prima dei vent'anni, con un patrimonio da amministrare e una sorella minore cui badare, sentì ben presto di dover seguire l'esortazione evangelica: "Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi e dallo ai poveri".

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24 maggio 2025

Detti popolari dialettali abruzzesi raccolti da Luigi Polacchi.

Detti popolari dialettali abruzzesi raccolti da Luigi Polacchi
di Angelo Iocco

Luigi Polacchi di Penne (1894-1988) nel corso dei suoi studi filologici sulla storia del Risorgimento abruzzese, e negli intervalli di tempo, tra una composizione e l’altra, tra una novella pubblicata su L’Adriatico di Pescara e sulla rivista Tempo nostro, si dedicò allo studio del dialetto abruzzese. Polacchi, nonostante la sua formazione prettamente classicista, poneva lo studio della lirica abruzzese in rapporto al dialetto, alla parlata popolare, di cui anche il prozio e poeta Clemente De Caesaris (1810-1877) pennese, di cui Polacchi curò l’opera omnia, inficiò alcuni suoi carmi in versi liberi endecasillabi. La parlata abruzzese contagiò Polacchi, tanto da comporre poesie e canzonette come Brunetta mia simpatica o Rènnele, o ancora Lu pappagalle, edite nella ristampa dell’opera omnia ORGANO vol. I (1951, poi 1980). Mentre Polacchi si accingeva a raccogliere i detti popolari ascoltati tra l’area pescarese e pennese, scoppiò la Seconda guerra mondiale, e il progetto fu interrotto. Anzi, Candido Greco nel ricostruire la vita dello scrittore, ricorda che il Polacchi, nella traversata frettolosa del torrente Barricello, in località Torre del Duca a Penne con le casse delle carte messe alla meno peggio a dorso d’asino, il poeta perdé molto materiale per la strada. Tutto quel materiale che raccolse amorosamente, ascoltano i detti dialettali dalla madre Vincenzina Di Biase. Tutto però non è andato perso, poiché nel carteggio di Polacchi presso il Villino “Nonnina” di Pescara, grazie alla collaborazione con la dott.ssa Angela de Sanctis, abbiamo rinvenuto delle copie di un dattiloscritto, pieno di detti popolari.

Magari il progetto di raccolta doveva essere più ampio, ma quel che resta tanto basta a illustrare gli antichi detti dei nostri avi abruzzesi. Ce n’è per tutti, dall’amore alla satira, dal lavoro alla tipica sagacia abruzzese, che tanto ci rende caratteristici nella selva dei vari dialetti italiani.

ELENCO PROVERBI POPOLARI DI L. POLACCHI

  

1)                                Chi nasce quatre, nen more tonne.

2)                                 Mandrie e pecurale da le munde se n’arecàle.

3)                                La juvanezze è sempre allegre e nappe.

4)                             Ogne tratture porte a l’abiture.

5)                              Nu passante fannullone schiante e lasce penzulòne.

6)                             Panza piene nen dice male. Panza piene dai repose.

7)                             Pioggia juvanette li picciune sotte a lu tette.

8)                           Addusulète a me: facète lu bbene e perdete lu male.

9)                            Lu lette nnè li rose, si ‘ngi si dorme ci s’arpose.

10)                      Chi te’ lu celle ‘mmane e nen le splume, je scappe sempre da la vite la furtune.

11)                      Si a Rrome sème ardùtte ognune penze a ssè e Ddij pe’ tutte.

12)                      Currève anninze gne nu sciòltavante.

13)                      A la zappe e a la traje tutte jurne nghe la paje.

14)                      Casce e ricotte, raggione a cà torte.

15)                      Lu harbìne fére distante da lu mare a la vallate.

16)                      Bianche e nire li ciaudèlle sembre tante muncacelle.

17)                      Chi belle vo’ paré tutte l’usse ja da dulé!

18)                      A lu cante de lu halle fatte jurne è na la valle.

19)                      Quanne cchiù splenne lu sole, stinne bbone ssì lenzòle.

20)                      A piante nu cellette tra le fronne rise e cante va pe’ lu monne.

21)                      L’amore quant’è belle, sempre cchiù è litigarelle.

22)                      A Santa Croce si vatte la noce.

23)                      Cioppe a ballà e ciavaje a cantà.

24)                      Corpe sazie: dajje repose!

25)                      Quande ‘nci sta la hatte, lu sorge abballe.

26)                      L’albere che nin frutte, attizze.

27)                      Chi je piace lu lette lu ‘spizie l’aspette.

28)                      Chi di ferre fére, di ferre pére.

29)                      Li quatrine fa j ‘acque a monte e a bballe.

30)                      L’ucchie de lu patrone ‘ngrasse lu cavalle.

31)                      A Natale si magne li caciune, a Pasque se magne li fiadune.

32)                      Piagne lu morte: è lacrime perse.

33)                      L’acque chenna piòvete ‘ncìle sta.

34)                      La farine de lu diavele ariò tutte ‘ncanìje.

35)                      Chi joche a lu lotte e spere di vince, lasse le stracce e pije li cince!

36)                      Chi troppe li tire, troppe li stucche.

37)                      Sott’all’acque ci sta la féme, sott’ a la neve ci sta lu pane.

38)                      Ecche lu curallare, femmene: accàttete pepe, carofene, ‘ranète fine, 

                rabbèerbere e chine!

39)                      Abbìje ssi faciule a’rmonne, abbiticchià ssi fronne!

40)                      Donna belle a marità, ‘n Paradise arrivète e a tre jurne maritata na ‘halline                    scinnicàte!

41)                      Meje nu giovine ‘n camiciole che cente vicchie aricamate d’ore.

42)                      Chi te’ rogne carpe, chi te tigne gratte.

43)                      Metté lu cule a lu tommele!

44)                      Lu medeche pietose fa la piaghe cancrenose.

45)                      La mannattare de le monache nnarvinèje.

46)                      Chi te’ pètre nnin pate, chi te’ mamme nnin plagne.

47)                      Ddo’ sta na terra tra muntagne e mare, la nature divente la cchiù care.

48)                      La ggente celebrate de l’Abbruzze ‘ncontre simpatie ogne perlustre.

49)                      L’ammore è nu dolce suspire, c’ogne cchiù bella femmene ammìre.

50)                      Ma lu vere tradetore è nu sguarde de l’ammore?

51)                      Chi dilitte nen ha, de la Corte nin treme.

52)                      Dumane e pisdumàne, passa-vie ca ve’ dumane!

53)                      Chi nnin te’ bona cocce, tè bbone pìte!

54)                      Rénnele ca turnate pare tutt sturdullite!

55)                      Vracce a carijà, vocche a magnà.

56)                      A core stracche, pinzìre fiacche.

57)                      Chiù truve gente gesse, chiù ‘nci pù ma’ cummatte.

58)                      Quanne piagnème, nisciune n’hà pìte!

59)                      Ugne pappahalle si pose arruffate, pronte a la battaje.

60)                      Chi àveze lu varile e se li d scole, jà ‘rmaste pe’ campà poc’anne sole.

61)                      La femmene che lu cule abballe, se puttane nen è regula falle!

62)                      Se l’ommene fa’ funzionà la mente, s’artrove ogne jurne cchiù cuntente.

63)                      Quande l’amicizie t’à scurdate, cunvé cacche vote esse artruvate.

64)                      Matalene, Matalene, nen lassà chi te vo’ bbene, ti vo’ bbene quande Padre, 

                 Fije e Spirte Sante!

65)                      Ciampicune ciampicune arrivé nu puver’ume, le femmene a le porte jome 

                 devé ‘mpo’ di gnocche.

66)                      La hatte che n’arrive a lu larde, dice che è rance!

67)                      Li solde de l’avare se le magne lu sciampagnone.

68)                      Maje sabbate senza sole, maje femmene senza amore.

69)                      Mandricchie e mandricchione fa lu còmete de la patrone!

70)                      Chi fa le facce a fronte, sente ‘ngolle rossore prufunne.

71)                      Maje a la Terra me’ a carpì chi a quelle dill’itre a mète.

72)                      Povere a chi more, c’armàne cambe.

73)                      Fa’ na fatija a patte e stucche.

74)                      Cent’anne e cente mise ognune arvà a lu paese se’.

75)                      Patrie, famije e Ddie pe’ Mazzine ha fatte trie!

76)                      Ddie, Patrie e Mazzine, Patraterne une e trine!

77)                      Gne nu Capudanne arvé nu fije, tutte cose vicchie porte vie!

78)                      Triste è lu discipule che nnavanze lu mastre.

79)                      La femmene è gne lu mare: quande è calme ‘nganne!

80)                      Casa quante nu nide, terre quante ne vide.

81)                      A chi nin piace la cocche e lu vine, pozza murì dumane matine!

82)                      Le Moneche di Santaustìne: ddu cocce e nu cuscine[1].

83)                      Sabbatine, Sabbatine tre piducchie arrète a la schine, une saie, une cale, n’atre 

                 fa da Capurale!

84)                      Pummadore e pipidune l’ardicrie de li cafune.

85)                      Chi te’ cente fijje l’allòche, chi ne te une l’affòche!

86)                      Casa quante nu nide, terre quante ne vide.

87)                      Ggenta triste numunàte e viste!

88)                      Ame l’amiche t’ ‘nche li difetta suo’.



[1] Riferito all’Ordine delle Monache che abitavano ai tempi di Polacchi nel convento di S. Agostino di Penne.