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20 aprile 2024

Giovanni Antonio Cardona di Atessa, i suoi bei paliotti in scagliola.

Giovanni Antonio Cardona di Atessa, i suoi bei paliotti in scagliola

di Angelo Iocco

Poco conosciuto, non sa quasi niente della sua attività; atessano di buona famiglia, i suoi avi costruirono una casa che oggi prospetta sulla piazza Benedetti, dive c’è la celebre bottega del liquore San Pasquale. Giuseppe Antonio fu falegname e scultore, e la sua maestria nel lavorare la scagliola, la possiamo ammirare nei due bellissimi paliotti d’altare che si trovano nella chiesa di Santa Croce in Atessa, uno dei quali firmato e datato 1703. I due paliotti abbelliscono l’altare della Madonna del Rosario, la “mamma di Atessa”, copia dell’originale di Felice Ciccarelli di Atessa conservata nella chiesa di San Rocco della cittadina. Questa copia forse è di Francesco Paolo Marchiani per bella fattura, ma c’è chi sostiene che sia una copia devozionale di Gabriele Falcucci atessano, che nel paese realizzò diverse altre opere, specialmente nella chiesa di San Domenico, dove nel 1857 firmò degli affreschi della volta centrale, purtroppo quasi distrutti da infiltrazioni che ne hanno compromesso l’antica bellezza, e nella cappella omonima della chiesa, nell’altare privilegiato della Congrega del Rosario, il Falcucci dipinse un grande quadro di San Domenico e i Misteri del Rosario. Tornando al Cardona, oltre all’altare del Rosario, realizzò il paliotto della cappella corrispondente nella navata di sinistra, della Beata Vergine delle Grazie. 

LEGGENDA DELLA MADONNA DELLE GRAZIE DI ATESSA

La nicchia conserva la statuetta del XVI sec. di fattura molto popolare della Madonna col Bambino e alla base due angeli; la leggenda riportata da padre Tommaso Bartoletti nei suoi manoscritti di storia atessana, dice che in una nicchie tufacea dove oggi insiste l’altare, fu rinvenuta la statuetta votiva, che fu messa in sicurezza dentro la chiesa, ma ogni giorno la statua veniva rinvenuta nello stesso luogo, qualche mano misteriosa la riponeva sempre lì? O era il volere della Madonna? La terza volta che la Madonna fu rinvenuta allo stesso posto, fu sentimento comune innalzarLe un altare. 

La Madonna ha quel movimento realistico delle Madonne tosco-umbre, le cui influenze secondo il Toesca, giunsero nell’Abruzzo aquilano nella seconda metà del Duecento, con la venuta nel Regno di Sicilia degli Angiò. A Scurcola infatti nel santuario della Madonna della Vittoria, si conserva la bellissima Madonna, con l’anca piegata nel sorreggere il Bambino, che le si aggrappa ai capelli. Un dettaglio artistico di rilievo, di saporito realismo, del tutto assente nelle Madonne statiche del Romanico. Una Madonna che nella zona chietina ha delle affinità anche con la Madonna col Bambino della bottega di Francesco Perrini nel portale della chiesa di Sant’Agostino di Lanciano, del 1320 ca.


La festa della Madonna si svolge in Atessa il 19 maggio, mese mariano, con un triduo, anticamente la novena, e il giorno di festa la solenne processione per le strade del quartiere.

6 aprile 2024

Gerardo Berenga, l'uomo nuovo e sindaco di Lanciano.

Gerardo Berenga, coll. G.De Crecchio, color F.Marino

Gerardo Berenga, l'uomo nuovo e sindaco di Lanciano
di Angelo Iocco

Gerardo Berenga, nacque a Lanciano nel 1860, presso il palazzo dell’omonima famiglia lungo via del Popolo, oggi Corso Roma, nel rione Borgo, prospiciente la piazzetta di Santa Lucia. Era nipote del celebre deputato Francesco Paolo Berenga, il quale organizzò con il sindaco Michele de Giorgio, la solenne celebrazione per l’arrivo delle Corone benedette in Vaticano, del 13 settembre 1833, per la statua della Madonna del Ponte, patrona della città. Berenga studiò Legge a Napoli, dopo aver frequentato il Ginnasio di Lanciano presso l’Arcivescovado, e ben presto per il nome che aveva, fece carriera politica in città, venendo eletto sindaco nel 1895, mantenendo la carica sino al 1911.



Corso Roma nel Novecento, in fondo alla strada il demolito Palazzo Berenga.

Nelle elezioni del ’95, aveva battuto il chirurgo dott. Gaetano Colalè, nonno dell’omonimo nipote che istituirà in Lanciano presso la villa di famiglia del viale Cappuccini, la famosa clinica.
Lanciano negli anni in cui fu eletto “l’uomo nuovo” Berenga, attraversava lotte intestine di partito, dopo le dimissioni del giovane Evandro Sigismondi, che morirà nemmeno quarantenne per un male, e appunto il Colalè, in lotta con Ludovico Maranca Antinori, di nobile schiatta, eletto deputato a Roma. Dunque Berenga con il suo discorso del 30 luglio 1895, di fresca elezione, invitò tutti alla moderazione, e alla quiete, a lavorare insieme per il bene della città, ricevendo applausi e stima. In effetti l’opera del Berenga ancora oggi merita una menzione. Nel 1879 l’ing. Filippo Sargiacomo aveva progettato il nuovo piano regolatore della città, con l’accomodamento di alcuni edifici, l’allargamento di Via Grande oggi dei Frentani, mediante il taglio delle facciata dei palazzi, l’appianamento della Piazza, in forte dislivello, la colmata del fiume Malvò, per realizzare la piazza Garibaldi e largo Malvò, l’ampliamento di via del Popolo sempre col taglio di alcune facciate, l’accomodamento dei Tribunali presso l’ex convento dei Francescani, ecc.

26 marzo 2024

Modesto Della Porta, il Poeta d’Abruzzo e del Ta-pù.


Modesto Della Porta, il Poeta d’Abruzzo e del Ta-pù

di Angelo Iocco

 

L’Abruzzo è Modesto Della Porta. Guardiagrele è Modesto Della Porta.

Nel panorama della Poesia dialettale abruzzese, non possiamo non parlare del Nostro. Talmente amato era, e popolare, che ad esempio quando estrassero i corpi dei Caduti della tragedia di Marcinelle nel 1956, nella tasca di un opera fu trovata una copia sgualcita della sua raccolta di liriche Ta-pù, lu trumbone d’accumpagnamente.

Nacque il 21 marzo 1885, il primo giorno di primavera, e come lui diceva: La primavere è ‘ntrate, e i’ so’ scite. In questo saggio offriamo un sunto della vita e delle opere del Nostro, ampiamente studiato da Vito Moretti Nei Saggi di bibliografia Dellaportiana e in Per Modesto Della Porta. Saggi e apparati critici, in cui il Moretti riordina criticamente la composizione delle sue poesie, in ordine cronologico, con le diverse varianti dei manoscritti, e in allegato la commedia incompiuta de La Commedie di Cicche di Sbrascente.


Guardiagrele, piazza Duomo


Origini

Casa natale di Modesto, via M. della Porta, ex via Cavalieri

Nato a Guardiagrele, da Donato e Maria Vitacolonna, frequentò la scuola elementare e in parte la scuola media. Purtroppo dovette interrompere gli studi molto presto, e ciò lo segnerà a vita, non avendo potuto ricevere una formazione educativa completa. Divenne un sarto quale era la professione del padre, ed esercitò il mestiere nel suo paese e a Roma, ma amava comporre poesie che era solito recitare agli amici. Inizialmente pubblicò in periodici locali. Le poesie erano d'occasione (es: La pescherella), soprattutto per satira (L'amore de le 'hette - Lu pallune), inaugurazioni o matrimoni, come quello dell'amico Zopito Valentini direttore della rivista "Aprutium".

Le prime poesie e vita di paese

Aveva un fratello, Remo (1887-1986) e la sorella Concetta, che consegneranno le sue carte dopo la morte nel 1938. Remo e Modesto inizialmente furono di idee giolittiane e antisocialiste, a seguire di queste scelte, negli anni 1920 Modesto ebbe contrasti anche con gli amici come Gino Orlando, col quale si divertiva adesso in paese in compagnia del pittore Tommaso Cascella nelle taverne.



Il sentimento libero e critico e poco incline all'accomodamento fascista, portarono nel 1926 Modesto e Remo a essere schedati come antifascisti dal podestà Guido Cristini e a subire delle vessazioni. Nel frattempo Modesto intrattenere rapporti con vari personaggi dell'intellighenzia abruzzese e no, come il senatore Raffaele CaporaliRaffaele Paolucci di cui era fervido ammiratore, Luigi PolacchiGuido Albanese. A Caporali dedicò un sonetto N'avetra canzune in occasione di una cerimonia. Con Polacchi partecipò alla fondazione nel 1934 della Casa della Poesia a Pescara, un cenacolo di intellettuali abruzzesi. Negli anni 1920 Modesto partecipò alla Festa delle Canzoni abruzzesi di Lanciano e a qualche festa delle Maggiolate a Ortona con delle canzoni (Amore vecchie e amore nove - Vujje pijà la moje - Carufine). Avendo vinto il primo premio alla Festa delle canzoni di Lanciano, suscitò l'ira dei più famosi poeti abruzzesi come Cesare De Titta, Giulio Sigismondi, Evandro Marcolongo, e del professor Federico Mola di Orsogna; al contrario fu difeso dallo scrittore Giuseppe Mezzanotte di Chieti e da Camillo De Nardis da Orsogna famoso musicista a Napoli.

Il Della Porta era accusato di essere un intruso in questi concorsi, uno scrittore poco istruito e di serie B, generando vari strascichi polemici. L'unica sua canzone di cui resta lo spartito di G. Albanese è Vujje pijà la mojje.


Le poesie più impegnate

Amareggiato anche dalle vessazioni degli esponenti del fascismo, ragion per cui fu costretto a dare il buon esempio iscrivendosi al partito, e tirando un sospiro di sollievo qiando per malgoverno fu deposto il podestà Cristini, e inoltre deluso dal fatto di non essere considerato tra i poeti d'Abruzzo, Modesto fu difeso dall'amico professore Luigi Polacchi e Alfredo Luciani; tra gli altri amici aveva il pittore Michetti, Federico Spoltore, il comico Alfredo Bontempi. In questo contesto, Modesto si inserì nel dibattito circa il nuovo teatro dialettale abruzzese, si esibì nei teatri regionali suscitando applausi, e scrisse alcuni copioni poi andati persi, di cui restano i due atti di Cacce su rospe, una rielaborazione della famosa parabola biografica del bandista Francesco "Cicche" Di Sbrascente, pubblicata da Vito Moretti a Guardiagrele nel 1999 ("Per Modesto Della Porta: inediti e apparati critici", Guardiagrele 1999).

6 marzo 2024

Vita e opere del M° Francesco Paolo Santacroce di Lanciano.


Nato l’11 ottobre 1937 e residente a Lanciano (CH), Francesco Paolo Santacroce è un personaggio di rilievo nel panorama culturale abruzzese nella duplice attività di docente di filosofia e storia nelle scuole superiori di Stato e musicista.
Francesco Paolo Santacroce
Come pianista ha tenuto numerosi concerti con prestigiosi cantanti italiani ed esteri, tra cui oltre ai conterranei Luigi Fontana, Lorella Palumbi, Mariangela La Palombara, Ersilia Di Fonzo, Mariangela Stella, Ennio Del Grosso, il soprano bolognese Ilaria Mancino, il soprano giapponese Kyoko Tsukada e il tenore Oslavio Di Credico, di chiara fama internazionale del quale è stato a lungo collaboratore.
Si è esibito in Germania, Svizzera e in Italia, oltre che in Abruzzo, a Milano, Bari, Capri, Bologna, Catanzaro (Stagione concertistica internazionale 1986-87), Assisi, spesso nel repertorio del grande musical americano.
Vanta una lunga esperienza corale, avendo diretto i Cori” G. Sigismondi” di San Vito Chietino, Treglio e in particolare dal 1986 al 2000 “I Cantori di Ortona”, con cui ha partecipato a varie esibizioni televisive (ospite nell’agosto 1999 a “Uno Mattina” di Rai 1), e rassegne di polifonia sacra in Italia e all’etero.
Nel luglio 1993, su invito del M° Donato Renzetti, ha rappresentato la canzone abruzzese ai Corsi Musicali Internazionali Estivi di Lanciano.

Francesco Paolo Santacroce

È autore di pregevoli canzoni abruzzesi, tra cui Vicin’ a la scianne su versi di Virgilio Sigismondi, Nin mi fè murì su versi di Alessandro Dommarco (vincitrice nel 1995 del Premio Abruzzo alla 38ma edizione della Settembrata abruzzese di Pescara), e Ugne cose su versi di Camillo Coccione (vincitrice del 1° premio concorso Vernaprile 2015 di Teramo).
In collaborazione con Oslavio Di Credico ha fondato il Concorso Internazionale di Canto lirico “C. De Nardis” e di Corno “D. Ceccarossi” di Orsogna (settembre 2001). Ha diretto l’opera Cavalleria rusticana al teatro comunale di Orsogna (17 aprile 2001), La serva padrona al teatro comunale “F. Fenaroli” di Lanciano (settembre 2002).
Ha inciso il disco LP ‘O core ‘è Napule con il tenore Sandro Di Martino (1983), e il cd Vola vola….dall’Abruzzo a Napoli di romanze tostiane e canzoni classiche napoletane con il tenore Di Credico (2005).

Francesco Paolo Santacroce

Ha composto musiche dell’operetta Lu fuculare su testo di Italino Giancristofaro rappresentata sotto la sua direzione orchestrale al teatro Fenaroli di Lanciano il 28 e il 29 febbraio 2012, e a grande richiesta riproposta il 14 dicembre dello stesso anno. Viene invitato frequentemente a far parte di giurie di concorsi nazionali.
Già docente presso la Scuola civica musicale di Vasto e di filosofia e storia presso il Liceo classico di Ortona, oltre all’attività di compositore e concertista, svolge intensa opera di ricerca sul folklore abruzzese.
Il M° Santacroce gode di notorietà anche in campo internazionale. La sua composizione per fisarmonica Nostalgie viene eseguita e inclusa nel repertorio della celebre orchestra polacca “Camerata Vistula”, interpretata dal solista Jerzy Lucasiewicz.




21 febbraio 2024

Un musicista abruzzese sconosciuto: Lino Crognale di Lanciano.

Un musicista abruzzese sconosciuto: Lino Crognale 
di Angelo Iocco

Per la pubblicazione di alcune foto dei libretti delle canzoni, ringraziamo Maria Di Clemente di San Vito per la sua enorme cortesia.

Pasquale “Lino” Crognale di Lanciano non fu da meno, e volle scrivere anche lui un Sant’Antonio, che da gruppi spontanei veniva eseguito fino ai primi anni 2000 a Lanciano, e si spera che presto venga rimesso in scena!

Nacque e visse a Lanciano (1917-1992). Uomo molto riservato, lavorò presso il Comune di Lanciano fino al pensionamento. Negli anni ’30 iniziò a comporre musica, avendo studiato il contrappunto. Non figura nelle Maggiolate di Ortona.
Conobbe altri musicisti e poeti lancianesi quali Cesare Fagiani, Giuseppe Rosato, Italo Bomba, Italino Giancristofaro e G. Polzinetti. Polzinetti, principalmente conosciuto per la musica d’opera nei teatri, e per la sua attività da direttore di banda alle’stero, avendo partecipato attivamente alle rassegne del teatro Fenaroli di Lanciano, e per oratori sacri, ne scrisse vari con Mons. Raffaele D’Anniballe di Lanciano, scrisse anche per delle “maggiolate” minori che si tenevano nei paesi dei dintorni di Ortona. Polzinetti partecipa alla Festa delle Canzoni Abruzzesi di Caldari del 1945, con la canzone aprente “L’amore cante” su versi di Domenico Petropiccolo; anche la seconda canzone “Ninna nanna” è degli stessi autori, una canzone che ripete i modelli tipici del canto popolare abruzzese del filone delle ninne nanne, la mamma che raccomanda il piccolino alla Madonna, proteggendolo dalle insidie, mentre lei culla la scianna, un canto insomma di “detittiana” memoria, che rievoca la Ninna nanna su versi del De Titta e musica dello Zimarino.
Crognale appare per la prima volta con la canzone “Mencucce”, su versi di Cesare Fagiani, presentata alla 3° Rassegna della Canzone Folkloristica Abruzzese di Caldari del 1939. A seguire: “Lu fatijatore” su versi di Alberto Dragani per la 4° Rassegna del 1946.
Alla Festa delle canzoni abruzzesi per il giorno di Sant’Antonio di Padova in Villa Stanazzo di Lanciano, il 13 giugno 1948, su organizzazione del M° Mario D’Angelo, Lino Crognale presenta la canzone “Sta vocc’arrise” su versi di Petropiccolo.
Per la rassegna di canzoni “Accuscì cantème nu” di Sant’Apollinare chietino del 1948, Crognale riscrive la musica de “La biciclette” tratta dal Canzoniere abruzzese (1919) di Cesare de Titta, già presentata alla II Maggiolata ortonese del 1921 con la musica di Settimio Zimarino. Segnale chiaro, guardando anche la somiglianza delle locandine di presentazione dell’evento e dei libretti, che i temi in questi concorsi minori, sono spesso ripetitivi, e per riempire dei buchi, ci si affida ai grandi successi del passato. Ma un fattore, ad esempio la canzone dello Zimarino e di De Titta ripresa con nuova musica, che probabilmente a quei tempi gli spartiti già erano diventati di difficile reperimento. Nella II edizione di questa rassegna di Sant’Apollinare, sotto la direzione del M° Nicola Benvenuto, Crognale presenta la canzone “Ma sinte a mme!” su versi dell’amico Fagiani.

13 febbraio 2024

La canzone abruzzese a Poggiofiorito – Dalle Feste dell’Uva alla Prima festa della canzone fascista abruzzese (1929-1939).


La canzone abruzzese a Poggiofiorito – Dalle Feste dell’Uva alla Prima festa della canzone fascista abruzzese (1929-1939)
di Angelo Iocco

Per questo articoli, si ringrazia l’Associazione culturale “Tommaso Coccione” di Poggiofiorito, e in particolare Vincenzo Coccione, per avermi concesso l’accesso all’archivio e alle fotografie.

Dedico questo pezzo alla Memoria

Per una storia della canzone folk Abruzzese, del periodo classico che va dalla fine dell’800 sino agli anni ’50, vogliamo quo ricordare il decennio d’oro della Canzone abruzzese nel paesino di Poggiofiorito, vicino Ortona. La città definita “perla dell’Adriatico” da G. D’Annunzio, proprio nel 1920 avviava la stagione delle Maggiolate abruzzesi con l’Albanese, il Di Jorio, lo Zimarino, e altri, con rassegne e concorsi di Cori dei paesi d’Abruzzo, dei loro maestri e dei loro autori di canzoni da esibire per la premiazione. Gli altri paesi dei dintorni non stettero inerti a guardare la città che proprio in quel tempo diventava la sede ufficiale della Canzone d’Abruzzo, sicché già negli anni immediatamente successivi, a Castelfrentano, Orsogna, Lanciano, Pescara, San Vito ecc. nacquero delle rassegne con dei propri autori e poeti, che cercarono di imitare la famosa Maggiolata ortonese. Poggiofiorito ebbe un ruolo di grande rilievo, poiché nel 1929, nacquero le Feste dell’Uva. Si racconta che il celebre poeta Cesare de Titta venisse a passare le estati in compagnia dell’amico Antonio Di Jorio proprio nella villeggiatura di Poggio, e che propose qui, visti i numerosi e ampli campi di vigneti, di istituire una festa dedicata all’uva. Mai parola più profetica quella del De Titta, dato che anche dopo la guerra, l’area di Ortona echeggiò dei canti, intendiamoci i canti d’autore presentati alle varie rassegne di Caldari, Rogatti, Frisa, Crecchio, Tollo ecc., che prendevano l’ideale, ma appunto soltanto l’ideale, e non sempre l’andamento ritmico della tradizione, dei canti antichi che le massaie e le mondine o i viandanti solitari, o le allegri brigate di giochi e di serenate intonavano da anni e anni, repertorio di una enciclopedia popolare di tradizione orale, che per fortuna un gruppo di etnologi abruzzesi come il De Nino, il Pansa, il Finamore, il Ciampoli, ebbero la cura di raccogliere e trascrivere.

Articolo de Il Messaggero, del 1939 – copia presso Centro di Documentazione Teatrale di Castelfrentano


La Storia della Sagra dell’Uva di Poggiofiorito

Tornando a Poggiofiorito, nel 1929 il M° Ercole Zazzini, grande animatore delle feste, organizzò la prima edizione, cui partecipò anche Cesare De Titta con l’inseparabile Antonio Di Jorio, fornendo alcune canzoni. Le canzoni erano sponsorizzate dall’Ente OND di Chieti; in quegli anni era tornato per la convalescenza nell’ariosa terra natia, dall’America, il giovane poggese Tommaso Coccione, reduce da grandi successi e da incisioni dei suoi ballabili per fisarmonica. Il Coccione darà forte impulso alle maggiolate, esibendosi con la fisarmonica, strumento allora quasi sconosciuto e non facente parte del corollario degli strumenti d’orchestra per queste feste canore. Altri animatori delle feste furono il poeta poggese Tommaso Di Martino, che scriveva le canzoni, e il chietino Antonio Ambrosini, coetaneo di Modesto Della Porta da Guardiagrele, che come lui morirà appena 50enne per un brutto male. I poeti concorrenti, insieme ai musicisti, erano dell’area frentana, vediamo un giovane Cesare Fagiani di Lanciano, che negli anni ’40 e ’50 sarà molto conosciuto con le due commedie al teatro Fenaroli di Lanciano, vediamo Ugo Di Santo, originario del Molise, che ugualmente diventerà famosissimo nel musicare operette teatrali, come “Lulù aiutami tu” di Eduardo Di Loreto; vediamo Di Loreto stesso da Castelfrentano con l’amico Pierino Liberati, reduci dai grandi successi delle Maggiolate del 1922 e 1il 23, poi l’anziano Vito Olivieri di San Vito, che nel 1923 e il 1926 era stato grande animatore delle Feste del Mare nel suo paese marinaro, e che con Di Loreto aveva scritto varie canzoni per le Maggiolate e varie commedie teatrali, di cui purtroppo quasi tutti gli spartiti, testi a pare, sono andati persi; poi Attilio Fuggetta da Sulmona, capostazione a Fossacesia appassionato di musica, grande concorrente alle Maggiolate con l’amico fossacesiano Nino Saraceni. E poi la grande rosa dei rappresentanti della musica Abruzzese classica, Antonio Di Jorio, Guido Albanese, Giulio Sigismondi, Luigi Dommarco, Olindo Jannucci da Città Sant’Angelo, grande animatore delle Maggiolate dopo la morte dell’Albanese, che con l’Albanese vinceva quasi sempre alle Maggiolate della sua città, poi ancora Cesare de Titta, Antonio Ambrosii, Tommaso Di Martino e il fisarmonicista poggese tanto amato, che figurava in testa a ogni libretto delle Feste dell’uva, Tommaso Coccione.
Purtroppo, come dettoci dallo stesso figlio Vincenzo Coccione, a causa dei danni della guerra a Poggio, e degli spartiti del padre che andarono dispersi per non curanza, accadde che varie partiture delle Feste dell’Uva andarono perse, ancora oggi irrintracciabili; per cui Vincenzo, per l’amore così grande che lo ha portato a fondare una associazione dedicata a suo padre, alla raccolta di quanto si era salvato dell’amato genitore, volle rimusicare, avvalendosi dello stile che aveva Tommaso, quelle canzoni che erano rimaste “mute” a causa della distruzione delle partiture. Infatti, come detto altrove, i libretti servivano più che altro per stampare i testi delle canzoni, e non erano inclusi gli spartiti; nella metà degli anni ’20, Guido Albanese ebbe l’accortezza di far stampare in accluso ai testi, anche gli spartiti delle canzoni presentate, in modo da impedirne la dispersione.
Come possiamo vedere, leggendo i libretti e i testi, le canzoni hanno per tema la vendemmia, l’uva, non a caso le feste si facevano a settembre, nei palchi inghirlandati con tralci di vite e di succosi grappoli, si celebrava la prosperità e la fertilità delle campagne poggesi, perfino l’ultima canzone del De Titta scritta prima di morire, è un inno alla ricchezza e alla floridezza di queste contrade, così come la canzone del Di Martino “Poggefiurite”. Le feste successivamente, nel 1939, evolvettero per così dire, nella “Festa della canzone fascista abruzzese”, promossa dall’OND Chieti, nella quale molti sono i riferimenti al fascismo, così come scritto testualmente nella presentazione del libretto; quello era proprio ‘intento, magnificare le glorie e i successi della guerra, della spedizione in Etiopia, della ricchezza del Paese grazie alle riforme di Mussolini e al patto con Hitler, e via dicendo. E dunque, leggendo questi testi, che farebbero arrossire qualsiasi estimatore della canzone popolare abruzzese, dell’Albanese autore della notissima Vola vola vola, del mite Fagiani autore della celebre poesia “La squijje di Natale”, del Di Jorio così tanto portatore di quell’idea di abruzzesità, insomma comprendiamo che i tempi erano quelli che erano, e occorreva adattarsi per queste rassegne di folklore, verso le quali specialmente la propaganda di Regime voleva imporsi, per penetrare nelle menti degli spettatori. Così vediamo ad esempio una magnifica “Ninna nanna” postuma di Cesare de Titta, musicata dall’orsognese Camillo de Nardis (il quale musicherà altri testi di ispirazione fascista, ad esempio una canzone del marinaio su versi del concittadino Raffaele Paolucci), che vede “ingabbiati” quei versi così soavi e andanti, cullati dalle note, nei riferimenti all’accendere un cero alla Madonna (uso abruzzese) per ricordare il figlio in guerra, o nella madre che è orgogliosa del gagliardetto del proprio figlio combattente, o nella preghiera a Mussolini e la speranza di una nuova Roma imperante simbolo di civiltà e progresso come nell’Impero. Insomma una canzone che trasuda fascismo da tutti i porti, per non parlare della “Savitarella fasciste” del Di Martino, dove i cantori si fanno beffe dell’Inghilterra e della Francia dello storico impero coloniale, per lodare invece l’opera conquistatrice dell’Etiopia da parte dell’Italia. Tornando alla Ninna nanna detittiana, pochi sanno che oggi la canzone è ancora riproposta, insieme a “Suonne” di Marcolongo-DI Jorio, soltanto che sono state epurate, ripulite delle incrostazioni fasciste; Ennio Vetuschi della Corale Verdi di Teramo, ne ripropose soltanto la prima strofa, poiché le ultime due sono quelle più rigurgitanti di sentimento patriottico. Altri Cori ne hanno proposto solo 2 strofe, ma oggi tendenzialmente si usa proporre la versione del Vetuschi. Possiamo solo dire che questa bellissima canzone di don Cesare fu sporcata dai tempi che corsero, poiché nelle melodie, riecheggia esattamente, benché elaborati, quei motivi popolari che cantavano le mamme ai loro bambini per farli addormentare.
Dopo questa Sagra della canzone fascista, Poggiofiorito non ebbe fino alla guerra altre rassegne canore. I tempi erano cambiati, la guerra imperversava. Dal 1947 in poi con Mario d’Angelo da Villa Romagnoli, giunto a Poggiofiorito per dirigere il coro, inizieranno nuove rassegne, e verrà creata quella canzone che ancora oggi è l’inno del paese: L’Uve di Poggifiurite.

8 febbraio 2024

Pittura Abruzzese Manierista nel Chietino: il pittore “Dioaiutarà” attivo alla fine del Cinquecento a Gessopalena.

Pittura Abruzzese Manierista nel Chietino: il pittore “Dioaiutarà” attivo alla fine del Cinquecento a Gessopalena

di Angelo Iocco

Nella chiesa parrocchiale Madonna dei Raccomandati di Gessopalena, presso l’altare della Deposizione, si trovano due opere di uno sconosciuto pittore manierista, forse seguace di Pompeo Cesura, forse aquilano, che realizzò la Pala d’altare, incassata nella cornice di legno, che ospita altri suoi piccoli dipinti, insieme a un’altra tela che raffigura la Pentecoste. Resta ignoto il suo nome, ne parla Luigi Cicchitti nel suo libro Abruzzo delle meraviglie – Gessopalena e il Trittico della Misericordia, Ianieri, Pescara 2017, soffermandosi brevemente sull’iscrizione posta in basso a sinistra, che indica “Dio-aiutarà 1587”, ossia “Dio (ti) aiuterà”, una di quelle massime memento che costellano la pittura sacra. Ma chi fu questo pittore?








Difficile dirlo, in mancanza di documentazione. La sua Deposizione è simile, per certi canoni, a una Pietà conservata all’Aquila; al centro, leggermente a sinistra, il Cristo morto, a cui un’ancella sorregge l’avambraccio sinistro per ungerlo, forse la Maddalena, dietro il Cristo, San Giovanni, un’altra delle Marie, e la Madonna addolorata col velo, che incrocia le mani, in una posizione tipicamente tardo-gotica della pittura aquilana, che ha chiare reminiscenze del Maestro di Beffi e di Saturnino Gatti, basti ricordare il ciclo di affreschi dell’abside della chiesa di San Silvestro all’Aquila; al centro della macchina scenica ben composta, in alto, la Croce, con due scale; la più grande sulla destra rompe la scena, e induce l’osservatore a guardare una delle guardie, che sta scendendo con in mano la corona di spine, un altro riferimento alla pittura fiorentina di tradizione manierista, impossibile non ricordarsi di Rosso Fiorentino e della sua Deposizione di Volterra. Il motivo scenico della scala sulla Croce, è presente anche nel dipinto cesuriano, ed è retta in questo quadro di Gessopalena, da un soldato romano dall’aspetto grottesco.


Giulio Cesare Bedeschini, Madonna incoronata Regina degli Angeli tra Santi, Chiesa dei Raccomandati, Gessopalena.

Questo pittore sconosciuto doveva far parte insieme a Giovanpaolo Cardone, a Giovanpaolo Donati e altri della cerchia manierista aquilana, che presto lascerà il posto a Giulio Cesare Bedeschini, anche lui di formazione romana e fiorentina. E il Bedeschini lavorò per Gessopalena, per conto della Confraternita della Madonna dei Raccomandati, consegnando una tela corale, con al centro la Madonna incoronata Regina dei Cieli dagli angeli, con ai lati in piedi San Carlo Borromeo e San Francesco d’Assisi, e in basso inginocchiati Sant’Antonio di Padova e Santa Rita da Cascia. Opera solenne, tra le più belle del Bedeschini, in uno scenario dorato che lascia immaginare l’Eterna Luce del Paradiso, ispirata probabilmente a un’altra tela del Bedeschini, per quanto riguarda il volto di San Carlo, presente nella Basilica della Madonna del Colle di Pescocostanzo.





Nel libro di Cicchitti, si segnalano altre opere, la citata Pentecoste, i due Santi Pietro e Paolo principi della Chiesa, collocati presso il catino absidale d’altare maggiore, dove si trova la Pala del Trittico della Madonna della Misericordia, della scuola di Pietro Alamanno, e ampiamente studiato dal Cicchitti. I due Santi hanno i loro attributi di riconoscimento, San Pietro, stempiato, anziano, con le chiavi del Paradiso e il Vangelo, San Paolo pelato, con la barba lunga e la spada della difesa della Chiesa…e del martirio!

Franco G. Maria Battistella, citato dal Cicchitti nella sua opera, si è occupato di questo pittore, citando altre opere da lui realizzate, come la tela della Deposizione nella chiesa di San Francesco a Loreto Aprutino. Nella chiesa di Gessopalena soffermiamoci ancora sulla tela della Pentecoste: la Madonna è al centro, attorniata dagli Apostoli, si riconoscono San Giacomo, San Pietro, San Filippo, le lingue di fuoco si sprigionano dal cielo, indorato, una lezione ancora aquilana che rimanda a Saturnino Gatti per la Pala del Rosario; i volti degli Apostoli sono leggermente allungati, come era solito fare il Cesura per le sue Madonne o Sacre Conversazioni, michelangioleschi e robusti i tratti degli zigomi, delle espressioni facciali, delle nodose dita, delle braccia tese e nerborute degli uomini, dolci i tratti femminili della Madonna.

Questo pittore pare che fu attivo anche a Ortona nella chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, dipingendo due opere conservate nel Museo diocesano, San Pietro Celestino (la chiesa era di fondazione Celestina), e San Benedetto abate. Le figure sono solenni, nelle vesti vescovili, San Pietro Celestino ha la mitra e il pastorale, l’espressione altera, San Benedetto con l’ispida barba si rifà ad altri modelli utilizzati da questo Anonimo “Dioaiutarà” per i volti dei Santi Pietro e Paolo a Gessopalena. Non si conoscono altre opere di questo pittore, resta comunque una bellissima traccia di manierismo aquilano al di qua dell’Abruzzo chietino.




26 gennaio 2024

Ludovico Teodoro, figlio del celebre Donato Teodoro di Chieti, le sue opere nel Duomo di San Leucio e altri Artisti abruzzesi di interesse nelle Chiese di Atessa.

Ludovico Teodoro, San Leucio nelle vesti di vescovo, con ai piedi il Dragone, Duomo di Atessa

Ludovico Teodoro, figlio del celebre Donato Teodoro di Chieti, le sue opere nel Duomo di San Leucio e altri Artisti abruzzesi di interesse nelle Chiese di Atessa

Prima Puntata

di Angelo Iocco

Poco si conosce di questo artista, figlio del celebre Donato Teodoro di Chieti[1], uno dei migliori che fu attivo nell’Abruzzo chietino e nel Molise, ma anche nell’area di San Benedetto del Tronto e del teramano (dipinse il soffitto della Collegiata di Campli), dagli anni ’30 agli anni ’50 del ‘700. Per vent’anni dominò la scena con altri colleghi spesso napoletani, come Ludovico De Majo, Francesco Solimena, Giovan Battista Spinelli. Fu sepolto a Chieti nella chiesa di San Domenico, andata demolita nel 1914 per costruire il palazzo della Provincia di Chieti. La lezione del Teodoro pare essere stata recepita anche in Atessa, benché non siano attestate sue opere nelle chiese. Un esempio è l’affresco della volta della sala grande del palazzo De Marco-Giannico, ex casa di riposo, in Largo Castello, la cui scena illustra al primo piano Ercole che combatte l’Idra di Lerna, e al centro il Giudizio di Paride con Giunone, Minerva e Venere con l’Amorino, e attorno nelle nuvole dell’Olimpo, figure femminili e Grazie. La scena, ripresa anche dalle stampe che circolavano in quei tempi, ricorda per la divisione in due scomparti,. Le due tele del Teodoro di Chieti (chiesa di Santa Maria della  Civitella) e Guardiagrele (chiesa di Santa Chiara) con il tema della Cacciata del Demonio e degli Angeli ribelli dal Paradiso.

Dal volume A. e D. Jovacchini, Per una storia di Atessa, Cassa di Risparmio, Atessa, 1993

Ludovico figlio di Donato, attivo nella seconda metà del Settecento, fu ugualmente pittore, e non dimenticò l’insegnamento paterno, apprezzava le grandi scene corali, spesso rintracciabili nei dipinti di Luca Giordano a Napoli, dove andò a formarsi, come fece suo padre; e non mancava sicuramente di avere una personale collezione di stampe, da cui traeva ispirazione per i suoi affreschi di ampio respiro. Al momento, pienamente attribuibile a Ludovico, sono la tela di San Leucio vescovo col dragone, presente nell’altare maggiore del Duomo di Atessa, firmato e datato 1779. Benché non firmate, mi sento di attribuirli anche le due tele laterali del coro dei Canonici, che ritraggono la Natività con la Sacra Famiglia, e l’Adorazione dei Pastori. Opere  un di gusto teodoriano per la ben costruita scenografia, anche se con le immancabili grossolane superfetazioni del Bravo, e i fondi oscuri tipici dell’ultimo Donato, di chiara derivazione tardo caravaggesca[2].

Anonimo, Annunciazione, chiesa della Santissima Annunziata, Civitaluparella, 1790.

il ciclo di pitture sulla volta centrale della stessa chiesa collegiata di Atessa, con scene bibliche del Vecchio Testamento. Purtroppo a causa di danneggiamenti, le pitture sono state rifatte in più punti di scadenti restauratori, rovinando completamente l’opera ad esempio nella prima scena:“Battaglia e Giuditta con la testa di Oloferne”, dove si vedono i pesanti ritocchi del Bravo. I tondi laterali la controfacciata con i Santi Principi Pietro e Paolo, pure sono di Ludovico Teodoro.

Il secondo riquadro: “David accoglie Saul vincitore contro Golia” è molto simile al quadro dipinto dal padre Donato che mostra la scena di “Davide con la testa di Golia davanti a Saul”, oggi conservata nel palazzo Martinetti-Bianchi di Chieti, oppure allo stesso soggetto per la volta della chiesa madre di Colledimezzo. La composizione del soggetto ha la stessa matrice, ma il risultato di Ludovico è più scadente. In parte è dovuto ai restauri di Ennio Bravo, che ha cambiato alcuni volti, in parte alla stanca ripetizione dei modelli, come il barbuto Saul sul trono che è impaurito dalla scena macabra, e il giovane David, che con la sua smorfia di sofferenza esprime quel mansuetismo, quasi senso di colpa per i propri trionfi, che accomuna diverse opere di Donato che abbiano questa peculiarità del Trionfo del Bene sul Male, quasi uno strizzare l’occhio al Davide con la testa di Golia del Caravaggio. Ma appunto, ciò non riguarda tutte le opere del Donato, basta riferirsi ai volti trionfanti di Giuditta con la testa di Oloferne nella chiesa di Sant’Agata di Chieti, o ad altri soggetti simili, come lo stesso tema nella cupoletta del santuario dell’Assunta di Castelfrentano, et similia.

Donato Teodoro, Incontro tra Salomone e la Regina di Saba, Museo d’arte “C. Barbella”, Chieti, foto M. Vaccaro per gentile concessione

La scena “Saul placato dall’arpa di David e l’Arca dell’Alleanza” si divide in tre momenti, sulla sinistra il coro di cantatrici con strumenti musicali, al centro Saul che suona l’arpa, a destra i sacerdoti e l’Arca.

Navata del Duomo di Atessa


Osserviamo le fotografie delle pitture della volta del Duomo.

1° dipinto: L. Teodoro, Giuditta e Oloferne, particolare

2° dipinto, Saul e David con la testa di Golia, particolare di David

3° dipinto: David suona l’arpa con l’Arca dell’Alleanza, veduta d’insieme e particolare


4° dipinto: Salomone e la Regina di Saba.

L’ultima scena “La Regina di Saba” ha moltissime somiglianze con il dipinto di Giacinto Diano che realizzerà nel 1788 ca. nella Basilica cattedrale di Lanciano, la matrice della stampa da cui i due pittori hanno attinto è la stessa. Anche qui notiamo l’esasperazione dei volti, l’abbruttimento dei tratto somatici dei sacerdoti e delle cariche ebraiche, nonché i lunghi nasi, gli occhi strabuzzati, i pizzetti appuntiti, i turbanti delle figure di religione islamica contro cui si scontrano gli ebrei. Le pennellate sono molto chiare, seppur Ludovico non riesca a eguagliare la grandezza paterna. Osservando queste pitture, ci viene in mente il primo Donato Teodoro, non ancora trentenne, che fu attivo nel cantiere del santuario dell’Assunta di Castel Frentano, con la controfacciata della “Cacciata dei mercanti dal Tempio”; le pennellate simili, i colori leggermente sbiaditi, l’affresco orale di personaggi che si intrecciano in un turbinio di azioni, di giravolte, di scene concitate che inducono al movimento, a riguardare più volte la scena per adocchiarne i particolari.

Ludovico nel Duomo dipinse anche i tondi laterali con le figure degli Apostoli, e delle tele applicate ai pilastri della navata maggiore del Duomo, con le scene della Via Crucis.

 

Altre opere d’arte a San Leucio

Nel Duomo. Il pulpito in legno è della bottega Mascio di Atessa.

NAVATA DI SINISTRA, altare di San Michele che sconfigge Lucifero, è brutta copia di Francesco De Benedictis[3] del quadro di Guido Reni (sia De Benedictis che il suo predecessore Giuliano Crognale di Castelfrentano ne sfornarono di queste orride copie del quadro di Guido Reni per le chiese del chietino!), che però forse avrà copiato dal suo maestro Nicola Ranieri, per il san Michele presente nell’altare maggiore della chiesa di sant’Antonio di Lanciano, o da una stampa del quadro di Reni che circolava molto facilmente tra i disegnatori dei suoi tempi.

2° altare: Santa Lucia martire, quadro moderno di Ennio Bravo[4]

A seguire. Statua di san Pietro seduto, del XVI secolo, in pietra, dall’atteggiamento meditativo.

3° altare di San Giuseppe in cammino col Bambino, dell’800, autore locale, della scuola di Giacomo Falcucci

4° altare di San Bartolomeo martirizzato, opera dello stesso autore del precedente San Giuseppe col Bambino

CAPOALTARE NAVATA SINISTRA A CAPPELLA:  nicchie con statue del Sacro Cuore, San Donato e Madonna Immacolata, bottega locale. Il soffitto è stato rifatto da Bravo con i soliti cassettoni e fioroni.

Nella nicchia di controfacciata della seconda navata di sinistra, c’è il busto di San Leucio in argento di scuola napoletana datato 1857, e la costola del drago.

Ritratto del Prevosto Giandomenico Maccafani, presso la Sagrestia

NAVATA DESTRA: a muro in controfacciata, tela dell’Ultima Cena, autore ignoto, ma forse Giacomo Falcucci o di un suo seguace.

Altari laterali:

1° altare di Sant’Anna con Maria Bambina, tela di F. De Benedictis, di poco interesse.

2° altare con Martirio di San Sebastiano, con ex voto, forse di Giacomo Falcucci[5], è classificato come di anonimo dell’800.

3° altare di San Martino in gloria, con i putti che reggono le spighe. Ignoto, forse questo è un altro dipinto ignoto di Ludovico Teodoro; la postura è identica alla tela di san Leucio nell’altare maggiore. Il Santo con il braccio destro benedice, con l’altro regge il Vangelo e il pastorale. Accanto due angeli che reggono fasci di spighe. Quasi sempre Martino vescovo ha in mano un grappolo d’uva e un fascio di spighe di grano, per ricordare il suo protettorato sulle messi. A san Martino si rivolgevano preghiere per un raccolto prospero di grano, uva ed altro. Questa iconografia è presente in diverse opere pittoriche e scultoree che ritraggono il Santo. I due angeli hanno i volti tipici delle figure di Donato Teodoro, che riutilizzò questi modelli per diverse altre sue pitture, specialmente quello dell’angelo di destra che è di profilo, riutilizzato nei servitori delle pitture di Castelfrentano, Lanciano, Chieti. Interessante è anche la veduta in prospettiva di Atessa, dietro il santo, dal lato di Vallaspra, sulla destra vediamo il Duomo, con parte della facciata antica, privata nel 1935 delle volute laterali baroccheggianti, un restauro che forse ha restituito un aspetto troppo “razionalista” all’antica facciata gotica, a giudicare il periodo storico in cui venne recuperata. Sulla sinistra vediamo le mura di Porta Sant’Antonio, con il chiostro dell’antico convento dei Cappuccini e poi delle Clarisse di San Giacinto, demolito negli anni ’60, di cui resta una porzione con degli archi, e la torre massiccia della chiesa di Santa Croce.

 

Ludovico Teodoro (?), San Martino in gloria, con paesaggio, Duomo di Atessa