11 novembre 2024
Il dialetto Abruzzese.
1 novembre 2024
Tommaso Ciampella di Miglianico, compositore abruzzese delle Maggiolate, musicologo e autore di musiche sacre.
Tommaso Ciampella di
Miglianico, compositore abruzzese delle Maggiolate, musicologo e autore di
musiche sacre.
di Angelo Iocco
Nacque a Miglianico nel 1893, lo stesso anno del famoso compositore abruzzese Guido Albanese a Ortona. Apprese i rudimenti della musica con la banda locale, poi continuò gli studi, insegnando infine musica privatamente. Si sposò nel 1922; apprezzato musicista si trasferì a Chieti, dove nel 1930 fu chiamato a dirigere l’orchestra al Teatro Marrucino di Chieti per un Galà fascista, dove si erano riunite le delegazioni degli Squadristi provinciali. Pubblicò in questi anni a Ortona, per la tip. Bonanni, delle raccolte di studio per musica. Dopo la guerra continuò a fornire le lezioni di musica, e pubblicò: Il canto nella scuola : 15 composizioni didattiche per le scuole elementari e ad uso degli Istituti magistrali, scuole di tirocinio, scuole di avviamento. Con aggiunta di 3 quadri sinottici tonali per esercizi teorico-pratici. Parte I Firenze : Tip. G. E P. Mignani, [1947]. Collaboratore della Rivista Abruzzese a Chieti, che poi si trasferirà a Lanciano, il Ciampella pubblicò due scritti di musica abruzzese: La personalita e l'arte di F. Paolo Tosti, e Venerdi Santo e il Miserere di F. S. Selecchi . Quest’ultimo uno dei primi studi moderni critici, che si svincolava dalle estetiche esagerazioni degli scrittori di Chieti, come Francesco Vicoli, e riportava un’analisi musicale del celebre Miserere. Partecipe alle Maggiolate di Ortona, risorte dalle devastazioni belliche, nel 1947 si presentò con la canzone Amore me’, amore me!, forse la più famosa della sua produzione, tanto da essere adottata dal Coro folk “Antonio Di Jorio” di Atri, incisa nel cd “Venticelle d’Abruzze” a cura del M° Concezio Leonzi. E’ una canzone che è simbolica nel periodo in cui fu scritta, un periodo di un Abruzzo in macerie, la piccola Miglianico era in macerie, così come Ortona e Francavilla, ricordate nel programma finale dalla canzone dell’Albanese: Ci manche all’Adriatiche na perle, presentata nella Maggiolata del ’47. Il canto di Ciampella invece invoca l’amore, la felicità, la gioia di continuare a vivere, quasi volesse esorcizzare lo spettro della devastazione ancora tangibile.
Per Miglianico,
Ciampella scrisse anche un suggestivo Miserere, ancora oggi eseguito, sui versi
dei Salmo 50; una composizione per banda che per tonalità ascendente, in certi
punti ha delle affinità con il Miserere del Selecchy di Chieti, ma ovviamente
il colto Ciampella lo reinterpreta e ne fa un pezzo originale. Acute le voci al
v. “secundum magnam misercordiam tuam”, per poi ridiscendere in tonalità, nella
conclusiva “Miserere, miserere mei Deus!”.
A Miglianico si
eseguono da parte della Confraternita S. Pantaleone le musiche del Miserere di
Ciampella, dal Salmo 50, che comprende le strofe del “Misere mei Deus – Et
secundum multitudinem miserationem tuarum – Amplius lava me”; mentre del
Maestro di Banda Ettore Paolini, storica figura miglianichese, la Marcia funebre. Il testo è tratto dalle Sette ultime parole (Le tre ore di Agonia di
Nostro Signore) di Saverio Mercadante, mov. 1: Già trafitto, andante mosso. È uno spettacolo ancora oggi,
ascoltare queste due musiche nella chiesa madre di Miglianico suonate dalla
Corale, e poi partecipare al commovente corteo della processione del Cristo
morto per le strade del paese, seguendo il Feretro e la Banda.
Ecco le canzoni
presentate dal Ciampella alle Maggiolate di Ortona
Amore me, amore me!
(1947)
La fije e lu core di
tatà (1948)
Villanelle annamurate
(1950)
Mare e sonne (1952)
18 ottobre 2024
Luca Fornaci, pittore abruzzese di Chieti del ‘500.
Luca
Fornaci, pittore abruzzese di Chieti del ‘500
di
Angelo Iocco
Un
recente studio del Prof. Marco Vaccaro dell’Università di Chieti, apparso in Chieti – Scritti di Storia e di Arte dal
Medioevo all’Ottocento, Chieti, Assoc. Sacro e Profano, 2021, fornisce più
lumi su questo pittore, di cui si erano occupati in maniera sparuta Cesare de
Laurentiis, Vincenzo Balzano e Francesco Verlengia, senza fornire particolari
note critiche sulla sua carriera. Grazie anche alla pubblicazione di atti
notarili dall’Archivio di Stato di Chieti a cura di Van Verrocchio in Theate Regia Metropolis, è possibile
ricostruire in parte la carriera del pittore. Nacque a Chieti e visse e operò
nella seconda metà del ‘500, e agli inizi del ‘600. Visse in un periodo di
fervore culturale a Chieti e in Abruzzo, dove pittori della Maniera del Vasari,
si cimentavano nella realizzazione di tele e affreschi per parrocchie e
conventi. Rimanendo in ambito chietino, furono attivi artisti del calibro di
Leonzio Compassino da Penne, Giovan Battistista Ragazzini da Ravenna con suo
fratello Francesco (sue opere si trovano a Castelli, Penne e qualche paese
dell’area vestina), Felice Ciccarelli, Tommaso Alessandrino e altri.
Luca
Fornaci, Terzo ordine Francescano, dalla chiesa di Sant’Andrea di Chieti, ora
in San Domenico di Chieti, foto Oscar D’Angelo.
Luca
Fornaci, Terzo ordine Francescano, dalla chiesa di Sant’Andrea di Chieti, ora
in San Domenico di Chieti (particolare)
Albero
Francescano, chiesa di Sant’Antonio di Padova, Lanciano (XVI-XVII sec.)
Altre opere realizzate dal Fornaci sono nella chiesa di Santa Maria di Costantinopoli di Ortona: Cristo risorto tra gli Apostoli, alla sinistra della scena il Salvatore appare in Maestà, nell’atto di benedire, alla destra gli Apostoli confusi, e in alto la scena della Casa di Pietro, realizzata come un sontuoso tempio, in alto al centro gli Angeli sopra una nuvola assistono meravigliati al prodigio. La firma di Fornaci si trova presso un cartiglio retto da un Apostolo.
Presso
la chiesa parrocchiale di Santa Maria ad Nives di Filetto si trova sulla destra
una tela della Madonna del Rosario: la Vergine col Bambino è al centro, e nei
riquadri della cornice sono raffigurati i Misteri del Santo Rosario. La Madonna
porge un Rosario con la destra a San Domenico e ai seguaci, mentre il Bambino
sulla mano sinistra della Vergine, si sporge a dare la benedizione a Santa Rosa
da Lima e suore seguaci, mentre due donne, probabilmente le committenti
dell’opera, appaiono a mezzo busto in basso a destra, nell’atto di adorare la
scena. la stanza dove la Madonna siede in trono è abbellita da tende, e da un
pavimento a lacunari disposti in ordine simmetrico, con figure geometriche di
cerchi e rombi; schiere di devoti si trovano disposte dietro San Domenico e
Santa Rosa, compreso Papa Pio V, vittorioso nella battaglia di Lepanto. Il
quadro si trovava nella chiesa di Santa Maria di Filetto, nella parte antica
del paese, andata distrutta nella seconda guerra mondiale. L’opera è di fattura
mediocre, ma denuncia uno stile di rappresentazione abbastanza convenzionale
nell’Abruzzo della fine del XVI secolo della Madonna del Rosario, culto
diffusosi dopo il 1571; notevoli affinità si riscontrano in un quadro di autore
seguace di Pompeo Cesura, conservato nella cappella del Rosario della chiesa
parrocchiale di Santa Maria dell’Olmo in Archi in val di Sangro. La resa è
decisamente migliore: la Vergine col Bambino è seduta, avvolta in un mantello a
fogliame dorato, simile alle tele presenti nella chiesa di Costantinopoli in
Ortona, e la schiera dei santi domenicani e dei dignitari papali è più
movimentata, ed alcuni volti, come quello di Santa Rita, sembra denunciare
tratti addirittura giorgioneschi, mentre la scena del Mistero dell’Incontro tra
Maria ed Elisabetta denuncia echi della celebre tela di Raffaello realizzata
per i Bedeschini nella chiesa di San Silvestro di Aquila.
Orsogna, convento francescano dell’Annunziata del Poggio
Nel convento del Ritiro dell’Annunziata di Orsogna si conserva una tela della Crocifissione: come da tradizione iconografica, il Cristo è al centro, due angeli accorrono ai lati delle braccia, per raccogliere in calici il sangue che sgorga dalle ferite delle mani, la Maddalena abbraccia il legno piangente; il Fornaci probabilmente per ragioni di committenza, non inserì gli Apostoli, ma San Francesco e altri francescani attorno la Croce, in atto di dolore, mentre sulla destra si staglia in posa solenne e mesta, la Madonna, con in basso il Serpente del Peccato originale. Opera più originale della tela di Filetto, che risente degli echi del dipinto di Ortona.
1 ottobre 2024
Cesare De Titta, Gente d'Abruzzo, raccolta di poesie abruzzesi.
24 settembre 2024
Domenico Ciampoli, racconti, fiabe e novelle abruzzesi.
Santa Maria dei Mesi di Lanciano, la sua chiesa e le sue tradizioni.
di Angelo Iocco
Santa Maria dei Mesi è una piccola contrada settentrionale di Lanciano,
con un fantastico panorama verso la vallata del Moro, da dove si ammirano
Castel Frentano, Orsogna e Sant’Amato. I lancianesi la chiamano popolarmente
“Santamaramìsce”, in onore della Madonna. Il nome in realtà è errato dalla italianizzazione “dei Mesi” del
latino Sancta Maria de Visu o in Visi lungo il tratturo che passa per la
stradina che costeggia la chiesa di Santa Maria dei Mesi, e che scende verso il
valloncello sottostante, per risalire alle Torri Montanare di Lanciano. Notizie della chiesa si hanno nel XVI secolo, quando il papa Gregorio XIII concesse l'indulgenza
plenaria. In una visita pastorale del 5 settembre 1646, il Monsignore Andrea
Gervasi ordinava che venisse ricostruita la statua della Vergine; in una
seconda visita del 1671 di Alfonso Alvarez si scopre che la chiesa fa parte
della parrocchia di Santa Maria Maggiore. La chiesa fu ampliata nei primi anni
dell’800 durante l’arcivescovato di Mons. De Luca.
Il 10 ottobre 1922 l'Arcivescovo Nicola Piccirilli, su richiesta della popolazione, concesse il permesso di celebrare regolarmente le messe nella chiesa, spesso chiusa a causa di incuria. Nel 1996 fu restaurato il tetto. La chiesa ha una facciata a capanna con l'accesso preceduto da un pronao a tre archi con cancellata in ferro battuto. L'interno mostra i caratteri di una chiesa rurale abbellita da stucchi barocchi e dal tabernacolo in scagliola presso l'altare maggiore: illuminato da otto finestroni, ha pianta rettangolare con soffitto a capriate lignee, dalle quali scendono tre lampadari in ferro battuto. Il tabernacolo accoglie le statue di fattura popolare del XVII secolo della Madonna col Bambino, e ai lati delle due Marie. Lungo le pareti si scorgono due piccole nicchie in cui sono collocate le immagini del Volto Santo e San Mauro.
La statua della Madonna, che oggi non sfila più in processione, è del XVI secolo, di fattura popolaresca, in legno dipinto. È di realizzazione locale, un po’ rozza, ma di una mano sapiente, probabilmente qualche artigiano dei dintorni, forse proveniente da Orsogna, per alcune affinità dei lineamenti del volto della Madonna con la statua quattrocentesca della Madonna del Riparo. Molte chiese del contado lancianese possiedono belle statue in terracotta o legno dipinto, come quella di Sant’Egidio, quella antichissima in terracotta di Santa Giusta, sostituita da una statua più moderna, quella della Madonna della Libera, di Sant’Amato, o della Madonna delle Grazie a Marcianese.
Nel 1836 avvenne un miracolo: dei fedeli, la tradizione
vuole dei ragazzi, videro che la lampada della Madonna ardeva da sola, senza
olio. Era il mese di luglio, mese in cui nei dintorni si festeggia la Madonna
del Carmine, ma anche la Madonna delle Grazie, e i fedeli interpretarono quel
prodigio come un chiaro segno. E l’evento fu ricordato in un Quadro votivo che
ancora oggi si porta in processione. Dalla seconda metà del Novecento, quando
la chiesa fu riaperta al culto dopo importanti lavori di restauro, i parrocchiani
istituirono dei comitati con cadenza settennale, che si rinnovano con puntuale
senso di profonda devozione religiosa, per organizzare la festa con spettacoli
musicali e pirotecnici, e l’immancabile banda, il tutto per il giorno di festa,
7 luglio.
Questo Quadro non può uscire in altri giorni, altrimenti la contrada ne
riceve cattivi pronostici, ed è successo che volevano farlo, e il Quadro
diventava pesante, oppure una volta accadde il Terremoto.
Si dice anche che la Madonna deve essere venerata con devozione il
giorno di festa, e che i contadini non debbano lavorare i campi. Un contadino
stava legando dei covoni e sospirava “Santamaramìsche, l’aja fa’ pe la
fatije!”, e la Madonna offesa fece volare tutti i covoni con un violento vento.
Il Quadro della Madonna della Luce, dalla
chiesa di Santa Maria in Castello, proveniente dall’ex convento di Santo
Spirito dei Celestini
Vicino la chiesa di Santa Maria dei Mesi vi è la chiesetta di Santa
Maria in Castello, detta della Luce. La leggenda racconta che duecento anni fa
la Madonna apparve a dei contadini in un turbinoso fascio di luce, e chiese di
costruire una piccola cappella. I contadini prontamente la fecero, e dipinsero
il miracolo dell’apparizione sulla volta centrale.
Il Colle della Cicciolanza
Una tradizione antica lancianese era quella di andare al Colle della Cicciolanza, ossia quello dove sorge la chiesetta della Madonna, contrassegnato oggi da un brutto ripetitore. Qui vi erano distese di uliveti, e i giovani lancianesi che marinavano la scuola, o che erano alle prime esperienze d’amore, si andavano a rifugiare in questa assolata alcova, per fare delle belle scorpacciate di fave, o per incidere i propri nomi sul muro laterale della chiesa. Diverse coppie si sono sposate e hanno messo su famiglia, e i loro nomi sono ancora lì, incisi sull’intonaco bianco della chiesetta. Non mancavano le marachelle durante queste “suscillette”, ad esempio a un ragazzo dissero che il proprietario aveva messo del diserbante sulle fave, ma costui le mangiò ugualmente, per fare la prova se si sentisse male. Alla fine si sentì male davvero…per indigestione!
3 settembre 2024
Un personaggio da ricordare: Gaspare de Aventinis da Casoli, Dottor di Leggi a Lanciano nel XV sec.
Il papa con i suoi cardinali, in una miniatura del Très riches heures du Duc de Berry
Un personaggio da ricordare: Gaspare de Aventinis da Casoli, Dottor di Leggi a Lanciano nel XV sec.
di Angelo Iocco
La storia d'Abruzzo è
interessante per le sue mille sfaccettature, soprattutto se corredata da utili
documenti. Nelle nostre ricerche ci siamo soffermati sul Libro di Memorie di Anton Ludovico Antinori, manoscritto presso il
Museo diocesano di Lanciano, e pubblicato nel 1995 a cura di Michele Scioli,
dove sono registrati i documenti di diversi archivi ecclesiastici lancianesi,
come il Capitolo della Cattedrale, del convento di San Francesco, di Santa
Maria Nuova, della parrocchia di Santa Lucia, della chiesa di Santa Maria
Maggiore ecc. Questi documenti aiutano a ricostruire la microstoria locale, fatta
di vendite e acquisti di terreni, lasciti, donazioni, liti e cause
infinitamente lunghe, disposizioni del Vescovo o del Re, e molto altro.
In questi documenti
appare la figura di Gaspare de Aventinis, Dottor di Leggi di Casoli. Questi
documenti che noi abbiamo studiato furono trascritti parzialmente dallo
studioso lancianese Luigi Renzetti (1860-1931) in un manoscritto inedito presso
la Biblioteca provinciale di Pescara, il quale voleva forse scrivere la
biografia del prelato casolano; ancor prima del Renzetti, il giurista
lancianese Antonio Maranca (1773-1858), nipote del celebre Anton Ludovico
Antinori aquilano (1704-1778), sulla base di un manoscritto ancora inedito del
polistore aquilano, dal titolo Istoria
critica ovvero Memorie ragionate della Città di Lanciano ad uso della famiglia
Liberatori, 1788 (la data postuma già lascia intendere che il manoscritto
passò attraverso varie mani, comprese quelle del Maranca, con aggiunta di altre
notizie posteriori la morte dell'Aquilano), tracciò la biografia del de
Aventinis. Essa appare alla voce alfabetica nel manoscritto inedito, sempre
conservato nella Biblioteca pescarese, dal titolo Biografia degli Uomini illustri di Lanciano, da cui estraiamo
queste notizie.
Gaspare de Avetninis era nativo di Casoli, nominato “Esimio Dottor di Leggi”, era passato in Lanciano nel 1441 e vi era divenuto cittadino. Nel 1443 fu costituito vicario generale del Cardinale Orsini nel monistero di S. Giovanni in Venere, e nel 1445 lo troviamo ancora arciprete di Lanciano e vicario del vescovo Teatino. Egli nel 1452, secondo il solito, tenne la Congregazione del Clero, e vi stabilì diversi utili regolamenti. Orso Orsini di Fiandra, Conte di Manoppello, in contemplazione dei precitati servigii, concesse a questo arciprete l’usufrutto di una vicenda di terreni nel dominio del distrutto Castello di S. Eusanio, contrada di Castellana, franco di ogni censo. In seguito dal papa Callisto III fu creato “succollettore” delle collette imposte sopra i prelati e i beneficiati a modo di crociata, ed esercitò quest’officio nella diocesi di Monopoli, di Bari, di Polignano, ci Conversano, di Bitonto, di Giovinazzo, di Molfetta, di Bisceglie, di Trani e Barletta. Nell’anno 1461 atteso col vescovo Teatino alla visita di lui diocesi di Lanciano, ed in altri luoghi.
Spesse volte egli era
scelto per arbitro, ed a lui rimettevano le cause anche i laici. Così nel 1466
gli fu affidata una causa tra i mercadanti di Camerino e di Milano [che si
trovavano alla Fiera], e nel 1473 gli fu dal re delegata un’altra causa fra due
litiganti del Vasto, uno dei quali stava all’attuale regio servizio, ed in
questa occasione Ferdinando I d’Aragona qualificò Gaspare per suo Oratore,
perché esso era stato ambasciatore dinanzi a lui per affari pubblici della
Città di Lanciano, ed aveva saputo ben distinguersi. Perciò fu rimunerato dai
lancianesi, anche per gli utili consigli dati, e fu esentato da qualunque
pagamento di collette, anche straordinarie, e da qualunque imposizione sui beni
che possedeva.
Chiesa
di Santa Maria Maggiore di Lanciano, disegno dall’Album pittorico letterario abruzzese di Chieti, 1860, disegno di
Raffaele Del Ponte.
28 agosto 2024
Felice Ciccarelli, Tommaso Alessandrino e altri Artisti abruzzesi di interesse nelle Chiese di Atessa – Parte II
Felice Ciccarelli, Tommaso Alessandrino e altri Artisti abruzzesi di
interesse nelle Chiese di Atessa – Parte II
di Angelo Iocco
Qualche nota su Felice Ciccarelli
Essendoci già occupati del Ciccarelli, qui desideriamo
segnalare altre tre opere poco conosciute. Per la prima opera, conservata nel
convento di San Francesco di Lanciano per la pubblicazione della fotografia,
ringraziamo per la squisita disponibilità Padre Fabrizio OFM Conv.
Felice Ciccarelli, Madonna col Bambino tra San Michele e San Bernardo. Convento di San Francesco, Lanciano. Foto Angelo Iocco.
Essa è una Madonna col Bambino con ai piedi San Michele arcangelo e San Bernardo. La tela necessiterebbe di un restauro, faceva parte dell’antica cappella di Sant’Angelo; ammirandola notiamo immediatamente delle affinità con la Madonna del Carmine dipinta dal Ciccarelli nella chiesa di San Rocco di Atessa, tra le opere più riuscite di questo pittore. Il San Michele invece è tratto dal quadro della Madonna con San Michele e San Giovanni presso la chiesa madre di San Giovanni in Rapino. Ciccarelli al posto della Madonna di Atessa che accenna un sorriso, qui ha realizzato una versione più seria e malinconica.
Le altre opere sono l’Immacolata Concezione, che il Ciccarelli
realizzò per la chiesa di San Lorenzo in Rapino, e per la cappella del Duomo di
Guardiagrele.
F. Ciccarelli, Madonna
Immacolata come Regina degli Angeli, chiesa di San Lorenzo, Rapino. ID, Madonna
Immacolata, Duomo di Guardiagrele.
Nella tela di Rapino la Madonna è al centro di una
grande nuvola attorniata da angioletti, in un paesaggio botticelliano naturale
con tempietti e cittadelle in una innaturale posizione prospettica, nel quadro
guardiese invece la Madonna è racchiusa in una classica mandorla, sorretta da 4
angeli, mentre nel primo piano si vede la tomba vuota, e gli Apostoli che
adorano il miracolo dell’Assunzione. Si notano somiglianze con il quadro della
Madonna nella chiesa di San Francesco di Loreto Aprutino, e quanto a scene
corali, esso è uno dei più belli realizzati da questo pittore.
17 agosto 2024
Uomini illustri di Lanciano: Luigi Renzetti (1860-1931) e Giuseppe Maria Bellini (1860 - 1940).
Luigi Renzetti |
Uomini illustri di Lanciano: Luigi Renzetti (1860-1931) e Giuseppe Maria Bellini (1860-1940)
di Angelo Iocco
Luigi Renzetti (1860-1931)
Lanciano tra la fine
dell’800 e il primo ventennio del Novecento, ebbe due importanti personaggi di
spicco nel campo della ricerca storica, prima che le loro opere venissero
oscurate da ricerche più documentate e esaustive sulla città, dal benemerito
Corrado Marciani.
Il Renzetti nacque a
Lanciano il 14 ottobre 1860, nel quartiere Lancianovecchia nel palazzo di
famiglia, lungo la salita dei Frentani. Morì nella stessa città il 2 dicembre
1931 in povertà, malato da tempo. Una targa ricorda ancora oggi il luogo
nativo, una struttura antica, rimaneggiata più volte, che forse poteva fungere
da torre di avvistamento. Figlio di un impiegato, Luigi fu avviato agli studi
privati presso il patriota risorgimentale Carlo Madonna (1809-1890), che tanto
dette per la patria, e visse gi ultimi anni della vita nella miseria, lui
figlio di un illustre giureconsulto presso la Sottoprefettura di Lanciano quale
fu Antonio Madonna da Lama dei Peligni (ricordato dal De Crecchio nel suo Il
triangolo della Giustizia a Lanciano, 2012) dopo l’agognata Unità d’Italia,
e ridotto a scrivere versi d’occasione e per committenti appositi per motivi
alimentari. Renzetti sicuramente fu influenzato in giovinezza dal sentimento
per la Patria del Madonna, e soprattutto dovette assorbire quel sentimento di
amore per le belle lettere, per la musica, e di amore per la Patria, per la
piccola patria di Lanciano, verso cui nutrì profonda venerazione. Lo
approfondiremo, infatti nel 1878, quando viene fondata la casa editrice Carabba
in città, Renzetti pubblica giovanissimo una raccolta di memorie su Lanciano,
dal titolo Notizie storiche della Città di Lanciano; lavoro encomiabile
per un ragazzo di nemmeno vent’anni! Come successivamente verrà notato,
Renzetti realizzò sì un lavoro apprezzabile che riportava l’attenzione, in
assenza di volumi stampati di Storia patria, le notizie essenziali per la
storia lancianese. Si trattava del primo lavoro edito che riunisse in maniera
succinta e abbastanza scorrevole le varie notizie sulla città, già compilate da
diversi storiografi locali, come Giacomo Fella, Anton Ludovico Antinori, Pietro
Pollidori, Uomobono Bocache, Antonio Maranca, Carmine de Giorgio e Domenico
Romanelli. Il lavoro tuttavia risulta abbastanza sbrigativo, specialmente nella
citazione delle note, alquanto approssimative, nel citare vagamente l’opera di
Bocache o dell’Antinori. Su quest’ultimo c’è da dire qualcosa in più. Nel 1790
Romanelli già aveva edito dei manoscritti di Antinori riguardanti i fascicoli mss.
della Istoria critica di Lanciano,
presso la Biblioteca nazionale di Napoli, dal titolo Antichità storico
critiche dei Frentani, e poi lo stesso parlò ampiamente di Lanciano nelle Scoverte
Patrie dei Frentani, 1805-1809…ma ahimè che critiche feroci ci saranno a
posteriori! A piene mani Renzetti parafrasò interi capitoli dalle memorie di
Antinori, facendo il “bel riassunto”, nel trattare le vicende storiche della
Città dalle remote origini, con i soliti campanilismi dell’ipotetica fondazione
del 1 settembre 1180 a.C. da parte di Anxa compagno di Enea a Troia, dell’eroe
frentano Osidio Oplaco, delle magnificenze dei templi romani, del ponte di
Diocleziano, dei conciliaboli alla Fiera, ecc. ecc. sino alle vicende delle
guerre commerciali con Ortona (qui il sentimento post-risorgimentale del
Renzetti prevale al punto da giudicare Lanciano superiore a Ortona), e arrivando
finalmente alle vicende del sentimento nazionale dei Lancianesi nelle rivolte
francesi del 1799, nell’attacco del generale Pronio, nei movimento carbonari di
Madonna, di don Floraspe Renzetti, di Fioravante Giordano, di Pasquale Maria
Liberatore e altri, fino ai fatti a lui contemporanei.
Pianta
di Lanciano, “la farfalla di pietra”, dell’ing. Nicola Maria Talli, prima metà
dell’800, presso la Biblioteca comunale di Lanciano.
Trattoria La Volpetta
lungo via del commercio, poi via Valera; nell’attuale Larghetto Gemma di
Castelnuovo, dove Renzetti si recava a pranzo con gli amici.
L’antico stabilimento
tipografico Carabba, all’inizio di viale Cappuccini da Largo Santa Chiara,
demolito negli anni ’60.
L’opera sulla storia di
Lanciano è abbastanza buona, ancora oggi è consultata da chi vuole accingersi a
iniziare gli studi sulle cose di Lanciano, anche se come naturalmente è, appare
datata, superata da nuove vicende ampiamente documentate ad esempio da Corrado
Marciani che andò a fare le ricerche negli appositi archivi, e da altri
studiosi come Domenico Priori, anche ampiamente trattò delle vicende lancianesi
nei suoi tre volumi della Frentania, o ancora da Florindo Carabba, che
in 2 volumi tra il 1995 e il 2000 ha esaustivamente riportato alla luce le
Notizie storiche di Lanciano.
Ciò che, con buona pace
del Bellini, si contesta al Nostro, è la mancanza di originalità, dettata
appunto dalla forse troppo giovanile età, quando pubblicò il suo libro. Bisogna
anche parlare qui dei rapporti del Renzetti che ebbe con le fonti, avendo
potuto consultare anche i manoscritti del Bocache, che dal 1880 furono
acquistati dal Comune e conservati nella biblioteca del Liceo ginnasio, e
successivamente nella Comunale, o che per rapporti di parentela, poté accedere
a Casa Maranca, e alle carte del giureconsulto Antonio Maranca (1773-1858),
nipote diretto dell’arcivescovo Antonio Ludovico Antinori. Tuttavia, Renzetti
non riuscì a pubblicare granché, anzi, per dirla tutta, fece delle azioni non
proprio ortodosse nei confronti degli antichi manoscritti, aggiungendo note
personali ai manoscritti di Bocache (da ricordare ad esempio una nota aggiunta
e firmata nel 1886 circa la consuetudine di baciare il ginocchio al
Mastrogiurato all’apertura della Fiera), note denunciate, senza però fare nomi
in quanto il Renzetti viveva ancora, già illo tempore dal Coppa-Zuccari
nell’introduzione al 1° volume dell’Invasione francese negli Abruzzi nel
1798-99, L’Aquila 1928, per non parlare delle sue aggiunte personali al
manoscritti inedito del Maranca Biografia degli uomini illustri di Lanciano
presso la Biblioteca provinciale di Pescara, come abbiamo potuto vedere, poiché
questo manoscritto, come si legge nella pria pagina, fu donato dal Renzetti
alla famiglia Brasile nel 1886, e poi per vicende alterne fu acquistato insieme
al Fondo Renzetti, dall’amministrazione provinciale pescarese. Diciamo,
lassismi, nomi a parte, che potevano essere evitati, ma tant’è la cultura della
provincia!
Spendiamo altre parole
sul Renzetti. Nella Biblioteca provinciale D’Annunzio di Pescara si conserva un
manoscritto dal titolo Ricerche storico
cronologiche della nobile famiglia degli Arcucci in Lanciano, compilato nel
1885 circa, con in allegato altri inserti di ricerche, come notizie estratte
dal Libro di memorie di Antinori della
diocesi di Lanciano sul vescovo Gaspare de Aventinis (XV sec.). Operetta a
metà tra la leggenda e la commemorazione patria, poiché se da una parte abbiamo
conferma di un ramo degli Arcucci napoletani che ebbero nel 1648 il feudo di
Arielli e Villanova (Poggiofiorito), divenendone baroni, dall’altra abbiamo
gaie leggende e invenzioni sulla figura inesistente di tal Simone da Lanciano
cardinale di San Sisto a Roma nel XV sec., quando Renzetti non fa altro che
confondersi con i suoi “colleghi” predecessori di storia patria circa Simon
Langham inglese; oppure pretende che il poeta napoletano Giovanbattista Arcucci
fosse a tutti i costi lancianese sulla base di presunti documenti oggi
irrintracciabili.
Forse l’attività più congeniale al Renzetti fu quella di poeta. Scrisse e improvvisò diverse poesie nei momenti di allegria, come ricorda Federico Mola, dei pranzi alla trattoria La Volpetta di Lanciano, in compagnia di Modesto Della Porta, Vincenzo Gagliardi, Raffaele Mariani e altri buontemponi. Era la fine dell’800, periodo delle origini della canzonetta popolare abruzzese, e proprio in quegli anni da Lanciano uscirono due fresche canzonette: Li bille di Lanciane su testo di Rafaele Mariani e musica di Francesco Bellini (1860-1928), ricantata ancora oggi dal gruppo folk Lu Cantastorie, e Prime ca scì…dope ca no su testo di Cesare de Titta e musica dello stesso Bellini, zio dell’ispettore onorario Giuseppe, di cui tra poco si tratterà.
Il Renzetti fece di
più, come ricorda il poeta Virgilio Sigismondi, figlio del celebre don Giulio
di San Vito, e ancor prima di lui un articolo di Guido Albanese
nell’introduzione al libretto VII Maggiolata di Ortona, 1926. Nel 1896 in
contrada Santa Liberata, Renzetti organizzò un piccolo coro di contadine che
con la loro gaiezza civettuola, cantò alcune canzoni scritte da lui e dal
fratello maggiore Camillo Renzetti, nato a San Vito. Purtroppo i testi non si
conservano, ma alcuni versi sono stati tratteggiati dall’Albanese nella sua
introduzione alle origini della canzone abruzzese. Virgilio ci racconta anche
che la simpatia di “don Luiggine” per il teatro e lo spettacolo lo portò a far
parte delle prima Filodrammatiche lancianesi, e ad essere il mentore di un
giovanissimo Giulio Sigismondi, alle prime armi negli anni ’10 con la poesia e
lo spettacolo. Luigi paternamente gli fornì dato consigli del mestiere,
nell’inventare le sue prime macchiette popolari, ispirate ai fatti di tutti i
giorni, che poi Giulio avrebbe perfezionato insieme al fratello Aristide, come
l’Urtulane, e probabilmente anche Lu rifilatore, che nel 1921 mise in
musica con Antonio Di Jorio, portando i suoi sketch da one-man show per i
teatri di Lanciano e della provincia, con grande successo. Inutile soffermarsi,
tornando alle origini della canzone abruzzese, sulla fama della festa del
Martedì in Albis del 1888 al Convento di F.P. Michetti, con il coro diretto dal
M° Vittorio Pepe che cantò la canzonetta La
viulette di Bruni-Tosti. Infatti di lì a poco, Arturo De Cecco di Fara San
Martino, insegnante a Pescara, nel 1911 organizzò una Rassegna di canti a
Francavilla al mare, di cui resta memoria la canzone Oh, Francaville! di Merciaro-Tancredi, che verrà ripresa alla
Maggiolata di Giulianova del 1928 con gli stessi versi, ma il ritornello
cambiato in Oh, Giulianove!
La coppia Luigi-Camillo Renzetti partecipò a diverse rassegne degli anni ’20 con le loro canzoni. Ricordiamo per le Maggiolate ortonesi Lassàteme durmì (III Maggiolata 1922), e Se vvu minì nghe mme (VII Maggiolata 1926). Poco nota per la rarità, ma alquanto salace e direi crudele, è la canzone La sirinate di lu suspette, scritta dalla coppia per la Festa delle Canzoni per il Settembre lancianese del 1921, in cui l’innamorato tradito, augura a mo’ di canzone a dispetto, seguendo i canoni della serenata della gelosia, i peggiori mali e disgrazie alla sua ex ragazza. Luciano Flamminio ne conserva una copia con spartito che riproduciamo.
Concludiamo la
biografia del Renzetti con un inedito di Carlo Madonna, poeta lancianese, il
quale, tornando al testo sulla famiglia Arcucci, tradusse per il Renzetti in
italiano, dal latino, un carme di Bernardino Rota in lode del poeta
Giovanbattista Arcucci:
Vivrà,
vivrà, me ‘l credi, Arcucci, il carme,
comunque
osti di Lachesi la destra
Inesorata,
e più l’avida sempre
Voracità
del Tempo.
Spregia
de’ Fati l’implacabil ira,
che
mal della cieca urna? Ah, da l’estreme
assurgerà
del cenere faville
superstite
la Fama.
Coro
a le Muse, te ridice l’antro
Äonio,
e te la sacra onda disseta.
Le
falde ime di Pindo aver potuto
Noi
costeggiarl ne basti!
Il Renzetti dopo il suo
primo successo giovanile, continuò fino alla fine, come dimostrano i suoi
manoscritti conservati a Pescara, a
occuparsi di storia lancianese, pubblicando la Storia di Lanciano, seguita nel
1894 dalle Memorie di Casa Nostra, una raccolta di personaggi illustri
della città Lancianese e altre situazioni non trattate nel precedente libro, e
poi colla pubblicazione del libro del Santuario di Nostra Signora del Ponte
ecc., dove ricostruiva tutte le vicende storiche (e ovviamente pure quelle
leggendarie) della Basilica della Madonna del Ponte, delle tradizioni popolari
e religiose, della Cappella musicale, e delle bellezze architettoniche e
artistiche dell’edificio, sino agli ultimi restauri a fine ‘800, il nostro
Renzetti si fabbricò la fama di grande custode di memorie patrie della Città.
Ebbe specialmente la fortuna di accedere all’archivio Stella-Maranca, avendo
tra le mani i manoscritti del già citato Antonio Maranca, come la Biografia degli uomini illustri lancianesi,
anch’ess conservato a Pescara, su di cui, in una maniera che oggi farebbe
discutere i filologi, apportò correzioni, cancellature e aggiunte di altri
personaggi illustri lancianesi.
Eppure c’era qualcosa
che lo rendeva infelice, come confidò a vari amici, testimonianze orali e anche
manoscritte giunte sino a noi. Egli era un dipendente statale, faceva parte di
quel ceto piccolo-borghese che si aspettava di più dalla vita, fu impiegato
anche alla Sottoprefettura di Lanciano, andò a Roma, dove collaborò con il
giornale “Capitan Fracassa”, dove scrivevano anche altri abruzzesi come
D’Annunzio, Scarfoglio, e altri, e ivi pubblicò varie poesia, liriche dal gusto
antico toscano alla Cecco Angiolieri o al Burchiello, autori di cui era assai
appassionato; la sua passione per la poesia non lo abbandonerà mai, e infatti
il professor Federico Mola, a che lui fine penna e “forchetta”, ricorderà gli
agoni di poesia tra una spaghettata e l’altra tenuti alla trattoria La Volpetta
di Lanciano, che sta in via del commercio, poi via Umberto I. Qui Renzetti si
sfidava con un giovanissimo Modesto Della Porta di Guardiagrele, destinato a
grandi successi nella lirica abruzzese. L’entusiasmo per la poesia e per
l’arte, portò Renzetti a istituire una sorta di Filodrammatica al teatro
comunale di Lanciano, e nello stilare un programma per gli spettacoli. Negli
anni ’20 con la nascita dei festival della canzone abruzzese, come la
Maggiolata di Ortona, nel 1922 si dette da fare per partecipare col fratello
musicista Camillo alle gare dei canti. Compose varie canzoni, tra cui una
“Sitinate de lu suspette”, presentata a un concorso di canzoni a Lanciano nel
settembre 1921; e scrisse canzoni anche per qualche Maggiolata a Ortona….Poi,
dopo aver inaugurato la stagione del Teatro Dialettale Abruzzese a Lanciano con
due testi di Cesare de Titta, la tragedia! Renzetti divenne cielo, e passò gli
ultimi anni della sua vita in semi-indigenza nella casa nata, dove morirà nel
1931. Chiese di essere sepolto con molta riservatezza, ancora oggi nel colombaio
del cimitero comunale c’è la sua lapide, spoglia, accanto quella della sorella.
Renzetti ebbe un’altra iattura, quella di entrare in competizione con Giuseppe Maria Bellini, quasi suo coetaneo, ispettore onorario ai Monumenti d’Abruzzo nell’area di Lanciano. Ad esempio, come avremo modo di scrivere, Bellini denunciò lo stato deplorevole in cui a fine ‘800 versava il celebre monastero benedettino di San Giovanni in Venere, all’abbandono e allo sfacelo totale, e ci scrisse un opuscolo storico. Bellini e Renzetti appartenevano a quell’intelligentia che si affaticava nelle ricerche storiche, che produceva saggi e opuscoli, con le nuove case editrici, per rendere grande la gloria della propria città. Non sempre però il rigore storico era scientifico, e qualche informazione veniva falsificata. Bellini criticò l’opera del Renzetti, e si dette da fare per produrre una raccolta di Memorie Lancianesi da pubblicare in risposta all’opera giovanile, fortunata, e avvantaggiata dal “rimaneggiamento” di vari testi consultati dal Renzetti in biblioteca, che rimase manoscritta, e che dal palazzo di famiglia presso palazzo Berenga, che si trovava lungo corso Roma, demolito dopo la guerra, oggi è in archivio privato.
***
Giuseppe Maria Bellini (1860 - 1940)
Giuseppe M. Bellini, ph Anxanum.net
Altri saggi del Bellini:
Lo stemma della Città di Lanciano estr.
da: Arte e storia, 15 marzo 1892
Nicola da Guardiagrele e la grande croce processionale
nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Lanciano, tip. Masciangelo, Lanciano
1891
Il Marchese d’Ormea e il conclave del 1730, Teramo : tip. del Corriere abruzzese, 1892
L’Arte in Abruzzo: brevi notizie di vari monumenti abruzzesi dichiarati
nazionali, Lanciano : tip. F. Tommasini, 1889
La musica sacra in Lanciano: appunti storici, tip. Masciangelo, 1904
In Abruzzo: storia, critica, e arte, Firenze : Tipografia Minori Corrigendi,
1897
Pubblicò dei discorsi commemorativi per la morte di Francesco
Masciangelo e il centenario della nascita Giuseppe Palizzi, poi un discorso nel
1893 per il centocinquantesimo della morte dell’abate e storico Pietro
Pollidori da Fossacesia, letto nel liceo ginnasio di Chieti
Il Castellano ed una lettera inedita dello storico D. Uomobuono Bucacchi sul rinvenimento di un'antica iscrizione, dalla rivista Arte e Storia, A. XII, n. 8
Il Bellini riprende queste brevi notizie già edite
per un capitoletto dell’opuscolo Notizie sulla contrada di Santa Giusta vergine
e martire in Lanciano – Brevi note sulla vita della santa e sacra novena, a
cura di Vincenzo Villante, Lanciano, tip. Masciangelo 1932, citato anche in
AA.VV., Fede, storia e tradizione. Santa Giusta e la sua contrada, Lanciano
2006)
L’articolo del Bellini sulla rivista fiorentina
mostra solamente la “pura erudizione” nel citare la sua fonte, il Bocache, che
attraverso il suo collega canonico Silvestro Finamore, corrispondente per suo
tramite con la Reale Accademia di Belle Lettere di Napoli e il Real Museo
archeologico, cercava di far conoscere al Regno le anticaglie romane di
Anxanum. E qui si parla sempre della famosa iscrizione dei Decurioni rinvenuta
nel ‘500, e di altri frammenti e tegole, come quello del 1791 con l’iscrizione
osca indecifrata, che Bocache fece spedire a Napoli, oggi persa. Poco o nulla
di interessante, o almeno di quanto non fosse stato già scritto dal Romanelli
nelle sue Scoverte Patrie, vol. 1, 1805.
Lanciano
: Stab. tip. fratelli Mancini, 1924
Il
Pontificato di Mons. Antonio Ludovico Antinori in Lanciano / Giuseppe Maria
Bellini
Fa
parte di: Anton Ludovico Antinori e il 2. centenario della sua nascita
Lanciano
: Rivista abruzzese, 2008
Aquila
: Tip. di A. Perfilia, 1904
Le Notizie storiche del celebre monastero di San Giovanni in Venere sono una continuazione “ideale” dello studio di qualche anno prima edito da Vincenzo Zecca di Chieti, nel tentativo di suscitare l’attenzione del Ministero dell’Interno sulle condizioni pietose di abbandono in cui versava la celebre abbazia fossacesiana. Naturalmente la fonte principale, oltre allo Zecca, è quella del Bindi, che attinse ampiamente agli studi di Romanelli e Pollidori, pubblicandone anche 3 dissertazioni inedite. Bellini si interessò della figura dell’abate fossacesiano e nel 1887 in occasione del bicentenario della nascita, partecipò a un convegno commemorativo sulla sua vita, e dettò la lapide affissa alla chiesa del Rosario di Fossacesia. Purtroppo c’è da dire che allora, come oggi, la figura di questi due dotti uomini fossacesiani, Pollidori e Romanelli, sono ancora studiati e soprattutto le loro stramberie credute come oro colato, senza che si vada dettagliatamente a verificare la fonte di provenienza delle loro congetture. E dunque ancora oggi la storia locale è ancora “viziata” da falsi e invenzioni sfornate da questi due dotti uomini di cultura, in cui purtroppo caddero anche il Renzetti e il Bellini.