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20 settembre 2025

Due paeselli d'Abruzzo (Francesco De Feo, 1966).


Benedetto Croce in appendice della sua opera "Storia del Regno di Napoli" colloca un saggio intitolato "Due paeselli d'Abruzzo". I due paeselli sono Montenerodomo in provincia di Chieti e Pescasseroli provincia de L''Aquila. Il documentario attraverso le parole di Croce offre una panoramica di questi bellissimi luoghi dell'Abruzzo.

16 agosto 2025

Benedetto Croce: Discorso pronunciato all'Assemblea Costituente il 24 luglio 1947, in occasione del Trattato di Pace del 10 febbraio 1947.

Benedetto Croce e le figlie


Benedetto Croce (1947)

Benedetto Croce (Pescasseroli, 25 febbraio 1866 – Napoli, 20 novembre 1952) filosofo, storico, letterato. Senatore dal 26/01/1910 fino alla morte. Croce votò contro il Trattato di Pace (10/02/0947) con le potenze vincitrici della II Guerra Mondiale.

Qui raccontiamo questa pagina indimenticabile della vita pubblica del grande filosofo.

– Trattato di Pace:  (Consta di Articoli 90, più  5 Allegati ).


Trattato di Pace – Parigi ; Febbraio 1947



Titolo : “L’Unione delle Repubbliche Sovietiche Socialiste, il Regno Unito di Gran Bretagna ed Irlanda del Nord, gli Stati Uniti d’America, la Cina, la Francia, l’Australia, il Belgio, la Repubblica Sovietica Socialista di Bielorussia, il Brasile, il Canadà, la Cecoslovacchia, l’Etiopia, la Grecia, l’India, i Paesi Bassi, la Nuova Zelanda, la Polonia, la Repubblica Sovietica Socialista d’Ucraina, l’Unione del Sud Africa, la Repubblica Federale Popolare di Jugoslavia, in appresso designate “Le Potenze Alleate ed Associate” da una parte

e l’Italia
dall’altra parte.



– Seduta dell’Assemblea Costituente (24/07/1947) con all’ O.d.G. la Ratifica del Trattato di Pace (Il trattato fu poi ratificato, il 31 luglio 1947 con 262 voti a favore, 68 contrari, e 80 astenuti) 







BENEDETTO CROCE: DISCORSO PRONUNCIATO ALL’ASSEMBLEA COSTITUENTE IN OCCASIONE DELLA RATIFICA DEL TRATTATO DI PACE, IL 24 LUGLIO 1947

“Io non pensavo che la sorte mi avrebbe negli ultimi miei anni riserbato un così trafiggente dolore come questo che provo nel vedermi dinanzi il documento che siamo chiamati ad esaminare, e nell’essere stretto dal dovere di prendere la parola intorno ad esso. Ma il dolore affina e rende più penetrante l’intelletto che cerca nella verità la sola conciliazione dell’interno tumulto passionale.

Vitaliano Brancati, Benedetto Croce, Sandro De Feo

Noi italiani abbiamo perduto una guerra, e l’abbiamo perduta tutti, anche coloro che l’hanno deprecata con ogni loro potere, anche coloro che sono stati perseguitati dal regime che l’ha dichiarata, anche coloro che sono morti per l’opposizione a questo regime, consapevoli come eravamo tutti che la guerra sciagurata, impegnando la nostra patria, impegnava anche noi, senza eccezioni, noi che non possiamo distaccarci dal bene e dal male della nostra patria, né dalle sue vittorie né dalle sue sconfitte. Ciò è pacifico quanto evidente.

Benedetto Croce storico della letteratura

Senonché il documento che ci viene presentato non è solo la notificazione di quanto il vincitore, nella sua discrezione o indiscrezione, chiede e pretende da noi, ma un giudizio morale e giuridico sull’Italia e la pronunzia di un castigo che essa deve espiare per redimersi e innalzarsi o tornare a quella sfera superiore in cui, a quanto sembra, si trovano coi vincitori gli altri popoli, anche quelli del continente nero. E qui mi duole di dovere rammentare cosa troppo ovvia, cioè che la guerra è una legge eterna del mondo, che si attua di qua e di là da ogni ordinamento giuridico, e che in essa la ragion giuridica si tira indietro lasciando libero il campo ai combattenti dall’una e dall’altra parte intesi unicamente alla vittoria, dall’una e dall’altra parte biasimati o considerati traditori se si astengono da cosa alcuna che sia comandata come necessaria o conducente alla vittoria.

Benedetto Croce “Estetica”, una delle sue opere più importanti

Segno inquietante di turbamento spirituale sono ai nostri giorni (bisogna pure avere il coraggio di confessarlo), i tribunali senza alcun fondamento di legge, che il vincitore ha istituiti per giudicare, condannare e impiccare, sotto nome di criminali di guerra, uomini politici e generali dei popoli vinti, abbandonando la diversa pratica, esente d’ipocrisia, onde un tempo non si dava quartiere ai vinti o ad alcuni dei loro uomini e se ne richiedeva la consegna per metterli a morte, proseguendo e concludendo con ciò la guerra. Giulio Cesare non mandò innanzi a un tribunale ordinario o straordinario l’eroico Vercingetorige, ma, esercitando vendetta o reputando pericolosa alla potenza di Roma la vita e l’esempio di lui, poiché gli si fu nobilmente arreso, lo trascinò per le strade di Roma dietro il suo carro trionfale e indi lo fece strozzare nel carcere.

Benedetto Croce, Pescasseroli, Targa sulla casa natale

….Si è preso oggi il vezzo, che sarebbe disumano se non avesse del tristemente ironico, di tentare di calpestare i popoli che hanno perduto una guerra, con l’entrare nelle loro coscienze e col sentenziare sulle loro colpe e pretendere che le riconoscano e promettano di emendarsi; che è tale pretesa che neppur Dio, il quale permette nei suoi ascosi consigli le guerre, rivendicherebbe a sé, perché egli non scruta le azioni dei popoli nell’ufficio che il destino o l’intreccio storico di volta in volta a loro assegna, ma unicamente i cuori e i reni, che non hanno segreti per lui, dei singoli individui. Un’infrazione della morale qui indubbiamente accade, ma non da parte dei vinti, sì piuttosto dei vincitori, non dei giudicati, ma degli illegittimi giudici.

Benedetto Croce, Pescasseroli, Palazzo Sipari, facciata


L’Italia dunque, dovrebbe, compiuta l’espiazione con l’accettazione di questo dettato, e così purgata e purificata, rientrare nella parità di collaborazione con gli altri popoli. Ma come si può credere che ciò sia possibile se la prima condizione di ciò è che un popolo serbi la sua dignità e il suo legittimo orgoglio ?

Non continuo nel compendiare gli innumeri danni ed onte inflitte all’Italia e consegnati in questo documento, perché sono incisi e bruciano nell’anima di tutti gli italiani; e domando se, tornando in voi stessi, da vincitori smoderati a persone ragionevoli, stimate possibile di aver acquistato con ciò un collaboratore in piena efficienza per lo sperato nuovo assetto europeo.

Noi italiani, che non possiamo accettare questo documento perché contrario alla verità, e direi alla nostra più alta scienza non possiamo, sotto questo secondo aspetto, dei rapporti fra i popoli accettarlo, né come italiani curanti dell’onore della loro patria, né come europei, due sentimenti che confluiscono in uno, perché l’Italia è tra i popoli che più hanno contribuito a formare la civiltà europea.

Alcide De Gasperi (Presidente del Consiglio), Carlo Sforza (Ministro degli Esteri): Conferenza di Pace, Parigi (1947)

Ma se noi non approveremo questo documento che cosa accadrà ? In quali strette ci cacceremo ? Ecco il dubbio e la perplessità che può travagliare alcuno o parecchi di voi, i quali nel giudizio di sopra esposto e ragionato del cosiddetto trattato so che siete tutti e del tutto concordi con me ed unanimi, ma pur considerate l’opportunità contingente di una formalistica ratifica. Ora non dirò ciò che voi ben conoscete: che vi sono questioni che si sottraggono alla spicciola opportunità e appartengono a quella inopportunità opportuna o a quella opportunità superiore che non è del contingente ma del necessario; e necessaria e sovrastante a tutto è la tutela della dignità nazionale, retaggio affidatoci dai nostri padri da difendere in ogni rischio e con ogni sacrificio. Ma qui posso stornare per un istante il pensiero da questa alta sfera che mi sta sempre presente, e, scendendo anch’io nel campo del contingente, alla domanda di quel che sarà per accadere rispondere, dopo avervi ben meditato, che non accadrà niente, perché in questo documento è scritto che i suoi dettami saranno messi in esecuzione anche senza l’approvazione dell’Italia; dichiarazione in cui, sotto lo stile di Brenno, affiora la consapevolezza della verità che l’Italia ha buona ragione di non approvarlo. Potrebbero bensì quei dettami, venire peggiorati per spirito di vendetta; ma non credo che si vorrà dare al mondo di oggi, che proprio non ne ha bisogno, anche questo spettacolo di nuova cattiveria, e, del resto, peggiorarli mi par difficile, perché non si riesce a immaginarli peggiori e più duri. Il governo italiano certamente non si opporrà all’esecuzione del dettato; se sarà necessario coi suoi decreti o con qualche suo singolo provvedimento legislativo la seconderà docilmente, il che non importa approvazione, considerato che anche i condannati a morte sogliono secondare docilmente nei suoi gesti il carnefice che li mette a morte.

Ma approvazione no!

Non si può costringere il popolo italiano a dichiarare che è bella una cosa che esso sente come brutta, e questo con l’intento di umiliarlo e di togliergli il rispetto di se stesso, che è indispensabile a un popolo come a un individuo e che solo lo preserva dall’abiezione e dalla corruzione.

Signori deputati, l’atto che oggi siamo chiamati a compiere non è una deliberazione su qualche oggetto secondario e particolare, dove l’errore può sempre essere riparato e compensato, ma ha carattere solenne e perciò non bisogna guardarlo unicamente nella difficoltà e nella opportunità del momento, ma portarvi sopra quell’occhio storico che abbraccia la grande distesa del passato e si volge riverente e trepido all’avvenire. E non vi dirò che coloro, che questi tempi chiameranno antichi, le generazioni future dell’Italia che non muore, i nostri nipoti e pronipoti ci terranno responsabili e rimprovereranno la generazione nostra di aver lasciato vituperare e avvilire e inginocchiare la nostra comune madre a ricevere un iniquo castigo; non vi dirò questo perché so che la rinunzia alla propria fama è in certi casi estremi richiesta all’uomo che vuole il bene o vuole evitare il peggio; ma vi dirò quel che è più grave, che le future generazioni potranno sentire in se stesse la durevole diminuzione che l’avvilimento, da noi consentito, ha prodotto nella tempra italiana, fiaccandola.

Questo pensiero mi atterrisce, e non debbo tacervelo nel chiudere il mio discorso angoscioso. Lamentele, rinfacci, proteste, che prorompono dai petti di tutti, qui non sono sufficienti. Occorre un atto di volontà, un esplicito no. Ricordate che, dopo che la nostra flotta, ubbidendo all’ordine del re ed al dovere di servire la patria, si fu portata a raggiungere la flotta degli alleati e a combattere al loro fianco, in qualche loro giornale si lesse che tal cosa le loro flotte non avrebbero mai fatto. Noi siamo stati vinti, ma noi siamo pari, nel sentire e nel volere, a qualsiasi più intransigente popolo della terra”.

Esuli istriani dopo la fine della II Guerra Mondiale


Da: Il Grande Inquisitore

16 giugno 2024

Tratturi e Transumanze. Le vie della pastorizia, tra Abruzzo e Puglia, e l’arte della lana che portò Leonardo a L’Aquila.

Le vie della pastorizia, tra Abruzzo e Puglia, e l’arte della lana che portò Leonardo a L’Aquila

di Gabriella Izzi Benedetti *

I camminamenti, l’incrocio tra vie hanno da sempre prodotto fusione fra culture e popoli. Questa realtà da tempi preistorici concerne anche i tratturi la cui origine è datata intorno a 10.000 anni fa. Sono vie di transito che, con un sistema reticolare, spostando masse di greggi dalla montagna alla pianura e viceversa, oltre alla migrazione hanno favorito lo smercio, il baratto, creato scambio di saperi. L’Abruzzo possiede tracce antichissime del fenomeno, sicuramente dal VI millennio. Testimonianze sono reperibili nella valle Subequana e a Civitaretenga. Le direttrici tratturali erano spesso fortificate; se ne trovano di simili nei camminamenti dei Sanniti e in quelle dei Sabelli.

Nel museo civico di Sulmona un interessante bassorilievo documenta scene dell’attività pastorale durante il trasferimento delle greggi. Per millenni la transumanza è stata libera da imposte, poi i romani le introdussero, creando conflitti anche perché il mondo pastorale ha avuto, da sempre, carattere fortemente devozionale. Ecco perché è calzante l’osservazione di Goethe: “L’Europa, è nata peregrinando e la sua lingua è il Cristianesimo” peregrinare nel senso di spostarsi, viaggiare. Goethe nell’indicare il Cristianesimo come lingua comune e unificante, si riferisce a più recenti cronologie; ma il senso del sacro già in età classica, ellenica, preromana e romana è stato un fattore di continuità tra il viaggio, in specie transumante e la sacralità.

L’Antico e il Nuovo Testamento, attraverso i Re pastori, coniugano l’aspetto autorevole e il devozionale. Il pastore è colui che guida, che salva. In Abruzzo i percorsi tuttora esistenti, per quanto minimi, rivelano lo stretto legame tra viabilità storica e religiosa. Presso Scanno scavi archeologici hanno evidenziato resti di un tempio sacro a Giove Lanario; e Scanno è sulla direttrice del Tratturo Regio. Presso Sulmona esiste un’intera area sacra a Ercole Quirino, e Sulmona è sulla direttrice tratturale L’Aquila-Foggia. La pratica di fede che accompagnava la lunga marcia delle greggi, trovava nelle strutture religiose una rete protettiva. Lungo i percorsi chiese e cappelle cristiane vennero edificate su ruderi di quelle romane e preromane.

La pieve di Santa Maria dei Cintorelli, a Caporciano, a ridosso del Tratturo, mostra residui di attività del mondo pastorale arcaico. In particolare furono fondamentali le strutture benedettine poste lungo il cammino transumante, e per la prima volta troviamo annessi ai conventi luoghi di ospitalità e cura; questo perché i Benedettini furono i primi, seguendo la regola ora et labora che Benedetto da Norcia dettò nel 542, a vivere non solo di preghiera. Divennero fra l’altro medici e infermieri, come architetti, giuristi, musicisti, artigiani.

In Abruzzo la realtà benedettina fu floridissima: circa 300 strutture. In zona Sangro la badia di Santa Maria di Cinquemiglia era dotata di un Hospitale per i viandanti. In modo particolare la devozione era rivolta alla Madonna dell’Incoronata e all’arcangelo Michele. A Vasto troviamo sull’antico tragitto il Convento dell’Incoronata, San Lorenzo e Sant’Antonio abate. Benedetto Croce parla di un poeta pastore abruzzese, Cesidio Gentile, cultore del rito mariano, che inventò un patto di gemellaggio fra Pescasseroli e Foggia, paesi collegati da un tratturo Regio o Magno, come quello, che dall’Aquila raggiungeva Foggia.

Tratturi Regi erano enormi, larghi 111 metri e 11 cm esatti; non si conosce il motivo di questa metratura, se riferita all’astronomia o a un calcolo di sfericità terrestre. Se si pensa che una nostra autostrada di 4 corsie non supera i 12 metri, possiamo immaginare la differenza. I tratturi più piccoli, tratturelli o bracci, confluivano in quelli maggiori, o facevano defluire le greggi verso altre zone; quindi formavano una rete gigantesca. Lungo il percorso transumante i “Riposi”, luoghi di sosta, collocati in genere vicino a un fiume, davano modo ai pastori di dedicarsi alla trasformazione del prodotto caseario, della lana, allo scambio di prodotti come zafferano, o prodotti delle cartiere.

Dalle zone vicine convenivano gli abitanti; sul sagrato della chiesa si svolgevano sagre, fiere, e questa aggregazione creava alla fine agglomerati urbani. Ne è esempio la fondazione dell’Aquila che porta un cambio di passo nella logistica non solo locale. La depurazione, filatura e tessitura delle lane raggiunsero in L’Aquila un grado di tale perfezione attraverso telai così particolari che la loro fama indusse Leonardo Da Vinci, tra il 1498 e il 1501, ad avventurarsi negli Abruzzi con un mercante di stoffe suo amico, il milanese Paolo Trivulzio, che scendeva spesso in Abruzzo per la lana aquilana, la più pregiata sul mercato.

        Leonardo da Vinci

I telai aquilani erano all’avanguardia nella tecnica; tecnica di cui Leonardo si appropriò immediatamente e realizzò per i tessitori del luogo dei disegni. Quindi abbiamo delle coperte abruzzesi realizzate secondo il disegno di Leonardo. Uno di essi è conservato presso il castello di Windsor. E presso la “Royal Collection” esistono suoi bozzetti raffiguranti Sulmona, il Morrone, la Majella, gli alti picchi del Gran Sasso, tutti su carta di Celano, cartiera tra le più importanti in Italia.

Poi qualcosa cambiò. Alfonso d’Aragona nel 1447 decise di riorganizzare la Dogana delle pecore in Puglia e fece convergere tutti gli armamentari, le attrezzature, a Foggia, penalizzando le fiere dell’Aquila, Castel di Sangro e abruzzesi in genere. Si salvò quella di Lanciano in quanto unica fiera franca, cioè libera, della regione, e lì vennero a convergere in tantissimi non solo italiani attratti dalla fama della lana abruzzese.

Dalla Toscana arrivavano le grandi famiglie fiorentine come i Biffi, gli Strozzi, i Tornaquinci e si avvantaggiavano di percorsi alternativi, le cosiddette vie della lana. In Abruzzo molto importante quella che da Guardiagrele arrivava a Prato. Guardiagrele era luogo di convergenza di prodotti lanari; e dimostra come i camminamenti interregionali producessero pluralità di relazioni. Per dire, Nicola da Guardiagrele scultore e orafo, (la sua Croce in argento è tra le più belle in assoluto), si formò nella bottega del toscano Lorenzo Ghiberti.

L’enorme intrico di strade intersecanti l’intera Europa potrebbero raccontarci molto di più della evoluzione da esse generate. Tra le direttrici più importanti la via Francigena che dalla Scozia, attraversando la Francia raggiungeva le Puglie, zona d’imbarco dei crociati. E un troncone proseguiva fino a Santa Maria di Leuca. La via che da Monte Sant’Angelo nel Gargano, attraversa l’Italia, si prolunga fino a Mont Saint Michel in Francia e oltre.

Soprattutto per i tratturi risulta importante la via degli Abruzzi che da Firenze arrivava a Napoli, incrociando SpoletoL’AquilaSulmonaCastel di Sangro, giudicata tra le più sicure per la ricchezza di castelli e torri di avvistamento abruzzesi.  In alcuni tratti viari come avviene per la via Traiana, è evidente l’intreccio tratturo e strada, il sovrapporsi. La transumanza abruzzese che, non dimentichiamo, era la più importante in Europa seconda solo alla Spagna, si collegava ad altre regioni. Dalla maremma, da Siena, i tratturi si congiungevano a quelli umbri.  Il termine Paschi vuol dire pascoli e il Magistrato dei Paschi in Siena aveva un grande potere perché come avveniva all’Aquila, a Foggia, la transumanza era fondata sul meccanismo doganale; attraverso un atto di “fida”, con diritti e privilegi in cambio del versamento di un canone, i pastori erano soggetti a “giustizia speciale”.

Dall’Umbria poi i tratturelli raggiungevano Marche e Abruzzo e tutto questo ha influito sull’ambiente, sicché molto di quello che oggi siamo lo dobbiamo a questo incrocio di saperi. Oggi le vie erbose, bersaglio di speculazioni, risultano smembrate e snaturate. É auspicabile l’accelerazione di iniziative intersettoriali, come il restauro dei monumenti in degrado, la costruzione di infrastrutture viarie e turistiche. Queste zone, grazie alla loro storia, hanno dato origine a una biodiversità ricchissima, per flora e fauna; e ci auguriamo che vengano istituiti seminari e incentivi per la ricerca.

La mia proposta è promuovere un turismo ambientale e culturale attraverso l’osservazione leonardesca della natura e delle attività legate al mondo agricolo e pastorale. Recuperare idealmente il percorso della via degli Abruzzi associando allo sguardo scientifico sulla odierna diversità, quello etico ed estetico espresso nel “Trattato della pittura” di Leonardo. Far partire percorsi museali e ambientali diffusi e approfondire lo studio della biodiversità e dell’ecosistema che accomunano le regioni centrali.

Curiosamente queste regioni, in specie Toscana Umbria Abruzzo, sono accomunate da un forma di eccellenza riferita alla drammaturgia sacra medievale, che raggiunse forme grandiose specie in Abruzzo e Toscana. In Umbria si affermò la Lauda. Nel Medioevo il teatro era a carattere sacro, il teatro classico inesistente, per il resto relegato nell’area dei guitti e saltimbanchi. Potrebbe essere in seguito questa una nuova proposta culturale. Per il momento ci auguriamo che la vocazione di eccellenza, che è stata la realtà transumante in Abruzzo, venga fatta risorgere con concreti contesti di investimenti in beni e servizi.

*Presidente della Società Vastese di Storia Patria

Da: ilmiogiornale.org

29 aprile 2024

Un mondo a parte, film di Riccardo Milani, 2024.

Un mondo a parte, film di  Riccardo Milani, 2024. 



Per il maestro elementare Michele Cortese sembra aprirsi una nuova vita. 
Dopo 40 anni di insegnamento nella giungla romana, riesce a farsi assegnare all’Istituto Cesidio Gentile detto Jurico: una scuola composta da un’unica pluriclasse, con bambini dai 7 ai 10 anni, nel cuore del Parco Nazionale d’Abruzzo (Opi, Pescasseroli, Villetta Barrea).
Grazie all’aiuto della vicepreside Agnese e dei bambini, supera la sua inadeguatezza metropolitana e diventa uno di loro. Quando tutto sembra andare per il meglio però, arriva la notizia che la scuola, per mancanza di iscrizioni, a giugno chiuderà. Inizia così una corsa contro il tempo per evitarne la chiusura in qualsiasi modo. 
Regia: Riccardo Milani
Cast: Antonio Albanese, Virginia Raffaele



11 febbraio 2021

Il poeta pastore Cesidio Gentile, detto Jurico. Poesie e Leggenda Marsicana.

Cesidio Gentile, detto Jurico

Cesidio Gentile, detto Jurico (Pescasseroli, 27 giugno 1847 – Civitanova del Sannio, 14 ottobre 1914), è stato un poeta italiano.
La produzione di Cesidio Gentile rientra in quelle poche e acclarate espressioni di letteratura semi-colta o semi-popolare che traeva origine e si sviluppava nel contesto della pastorizia (in analogia con la precedente esperienza del conterraneo Benedetto Di Virgilio di Villetta Barrea). Jurico, infatti, faceva di professione il pastore o, meglio, il massaro di pecore.
Da bambino, percorrendo gli aspri tratturi della transumanza delle greggi, quelli cioè che si snodavano dall'Abruzzo per giungere nel Tavoliere delle Puglie (tra i quali il Tratturo Pescasseroli-Candela), aveva imparato da solo a leggere e a scrivere, sostenuto anche da una formidabile memoria. Durante quei duri tragitti era solito declamare le trame di importanti poemi cavallereschi, che, rivisitate, utilizzava per i suoi versi.
In essi, come ha segnalato Benedetto Croce, si rispecchiavano prevalentemente vicende comunali, anche colorite, di ordine sia morale che sociale. La sua maggiore "fatica" letteraria è rappresentata dalla Leggenda marsicana (1904), unica fra le sue opere pubblicate in cui è racchiuso il tentativo, rimasto tuttavia parziale, di un poema epico relativo alla storia dei Marsi. Croce, in particolare, fu interessato dall'opera di questo "poeta pastore" in quanto rivelatrice, nonostante la marcata impronta paesana, di una sorta di mediazione "fra la letteratura colta e i sentimenti e concetti popolari".
Cesidio Gentile morì a 67 anni, in seguito a una caduta da cavallo.
Da: Wikipedia






Cesidio Gentile, Leggenda Marsicana