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31 ottobre 2023

La Marsica e i riti di Ognissanti.

 

Popolazione in preghiera nel cimitero di Carsoli (1900/1910) © ICCD

Nel libro di Eraldo Baldini e Giuseppe Bellosi dal titolo “Halloween: nei giorni che i morti ritornano” il capitolo sull’Abruzzo si apre così: Il folklore abruzzese e molisano è molto ricco di materiali che riguardano la nostra ricerca. Partiamo dalla credenza che i morti tornino nella dimensione terrena nella notte tra l’1 e il 2 novembre, raggiungendo le loro vecchie case (spesso processionalmente, in schiere dove morti «buoni» e morti «cattivi» occupano posizioni diverse e distinte), e dai riti di accoglienza a loro tributati, non privi di pericoli, e quindi di precauzioni e di forti timori.

A questa introduzione i due autori fanno seguire numerosi estratti dalle fonti storiche, in particolare quelli raccolti da Antonio De Nino e Gennaro Finamore nei loro celebri volumi dedicati agli usi e costumi abruzzesi. Nel capitolo di Finamore dedicato a Ognissanti è contenuta una storia ambientata a Pescina, in cui si intuisce perfettamente la commistione tra sacro e profano:

La messa de’ Morti, preceduta dall’ufficio, è celebrata dal parroco molto per tempo, per modo che al far del giorno la lunga funzione è terminata. Tutti coloro che hanno antenati sepolti nella chiesa in cui si celebrano gli uffizi, vanno o mandano ad accendere candele sulle sepolture; onde in nessun’altra festa dell’anno tutta la chiesa è così variamente e fantasticamente illuminata. Ma, prima che dai vivi, il divino uffizio è celebrato dai morti. Una fornaia, che non sapeva questo, alzatasi di buon’ora, andava ad accendere il forno. Nel passare davanti a una chiesa, che vide illuminata, credette che vi uffiziassero, ed entrò. La chiesa era illuminata e piena di popolo. Inginocchiatasi, una sua comare, già morta, le si avvicina e dice: «Comare, qui non stai bene; va via. Siamo tutti morti, e questa è la messa che si dice per noi. Spenti i lumi, moriresti dalla paura a trovarti in mezzo a tanti morti». La comare ringraziò, e andò via subito; ma per lo spavento perdette la voce. (Pescina)

Credenze usi e costumi abruzzesi raccolti da Gennaro Finamore (1890)

In una piccola pubblicazione realizzata attraverso il contributo degli alunni dell’ultimo anno delle Scuole Medie C. Corradini di Avezzano nel 1988, si può leggere una testimonianza sui riti di Ognissanti nella Marsica. Molto interessante il rapporto con il fuoco del camino, spesso presente in altre fonti abruzzesi.

Tutti i morti

Una volta si usava nelle nostre parti cucinare abbondantemente nelle festività di Ognissanti in modo che il cibo che restava dopo il pranzo e la cena veniva messo in vari piatti ed esposti durante la notte sui balconi e nelle finestre del camino chiamate “buscelle”. Si diceva che i morti sarebbero tornati una volta l’anno, proprio nella notte fra il primo e il due Novembre, ed avrebbero partecipato al pranzo. Per tutta la notte dunque i più famosi mangiatori del paese erano occupati a fare delle scorpacciate con la legittima soddisfazione di chi, svegliandosi al mattino e trovando i piatti puliti, erano convinti che la sua casa fosse stata visitata dai parenti defunti. Nelle antiche case dove si accendeva il fuoco nel camino, si usava ogni sera coprire i carboni accesi con le ceneri in modo che al mattino i tizzoni restassero ancora accesi. La sera del primo Novembre, invece, i tizzoni venivano tutti spenti. Il fuoco è simbolo di vita ed è per questo che, almeno una volta l’anno, veniva soffocato come estinzione della vita stessa.

Si diceva che… Motti, proverbi, usi e costumi illustrati dagli alunni della III F – Scuola Media C. Corradini Avezzano 1988.

Ne “I racconti di Angizia” di Giuseppe Pennazza (1921), l’autore immagina di avere un dialogo costante con la Dea Angizia: insieme a lei ricorda le tradizioni scomparse e gli antichi usi delle famiglie di Avezzano e dintorni. Nel capitolo intitolato “Novembre” viene fatta una breve rassegna delle tradizioni nel giorno dei morti.

Ho incontrato Angizia e mi ha fatto paura. Essa era ammantata di nero.
– Dove vai? Che fai fuori di casa, solo, a quest’ora?
– Vado in cerca dei Morti: domani è la loro festa.
– Credulo e superstizioso come tutta la tua razza! Scommetterei che anche tu, questa sera, metteresti alla porta della tua casa il lume coperchiato con una zucca vuota e coi soliti fori da somigliare occhi e naso di teschi; anche tu non toccheresti in questa sera la catena del camino per non disturbare i morti nella loro quiete; anche tu, come i monelli, anderesti a picchiare a tutte le porte delle case per avvertire che è resuscitato un morto della famiglia.

L’utilizzo della zucca come elemento simbolico è molto presente nelle tradizioni della Festa di San Martino. Sempre da Finamore:

Nel Pescarese e in alcuni paesi dell’Aquilano, come Balsorano, i ragazzi portano ancora in giro, su una specie di barella, una zucca svuotata, con i fori degli occhi, del naso e della bocca, con due corna colorate e una candela accesa dentro; si fermano dinanzi agli usci delle case e delle botteghe cantando: «S. Martino, S. Martino».

Antonio De Nino nel suo Usi e costumi abruzzesi (1879) dedica un intero capitolo alla simbologia delle zucche dal titolo Illuminazione con le zucche:

In Ortucchio, alla vuota zucca si fanno dei buchi a forma di occhi, bocca e naso.
Dentro vi si adatta una candela. Nel cocuzzolo si legano due corni più o meno lunghi.
L’ operazione si compisce con infilare a un palo la cornuta zucca.
Fatto notte, si accendono le candelette di questi strani lanternoni (forse i cerei dei saturnali), e si gira per paese al grido di “Viva San Martino! Viva le corna!”
E io con un corno vi caverei un occhio! se mi fosse lecito.

Nell’intero territorio abruzzese sono moltissime le storie legate al culto dei morti. Uno dei testi più importanti e suggestivi è sicuramente quello di Vittorio Monaco dal titolo “Capetièmpe – Capodanni in Abruzzo”, recentemente ristampato dalla Textus Edizioni. Le suggestioni della festività risuonano anche nei versi di Gabriele D’Annunzio e nel capolavoro di Francesco Paolo Michetti – La raccolta delle zucche, dove un teschio in primo piano si confonde tra i raccoglitori, sospesi in un’atmosfera magica.

Su le tegole brune riposano enormi
zucche gialle e verdastre, sembianti a de’ cranii spelati,
e sbadiglian da qualche fessura uno stupido riso
a ’l meriggio.

Gabriele D’Annunzio – Ottobrata (Versi d’amore e di gloria, Mondadori Meridiani, Milano 2004)

La Raccolta delle Zucche – Francesco Paolo Michetti (1873)

Zucche nel Convento Michetti fotografate da Francesco Paolo Michetti © ICCD

Da: PiccolaBibliotecaMarsicana.it

23 novembre 2020

Angelo Iocco, Gennaro Finamore e il folklore abruzzese.


 Gennaro Finamore e il folklore abruzzese

di Angelo Iocco


Laureato a Napoli in medicina nel 1865, esercitò la professione medica a Lanciano per una quindicina d'anni. Sposò nel 1891 la poetessa di Perugia Rosmunda Tomei, che insegnava letteratura italiana alla Scuola Normale Fonseca-Pimentel di Napoli. Interessato alla demologia durante gli anni napoletani, dove frequentava tra gli altri gli abruzzesi Silvio e Bertrando Spaventa e i pittori Palizzi. 

Autore del Vocabolario dell'uso abruzzese (Carabba, Lanciano, 1880), importante documento scientifico redatto nella parlata della natia Gessopalena, recensito dal grande folklorista siciliano Giuseppe Pitrè e poi da vari studiosi francesi, belgi, americani e tedeschi. Grazie alla relazione su quest'opera del filologo Francesco D'Ovidio, fu nominato nel 1895 docente ad honorem di lettere al ginnasio-liceo di Lanciano. Altre opere di Finamore sono Canti popolari di Gessopalena (1865) e Tradizioni popolari abruzzesi (1882).

I primi testi riguardano il suo paese di Gessopalena: "Delle condizioni economico-agricole di Gessopalena" e "Canti popolari di Gessopalena", la prima risente dell'influsso del positivismo nella modernizzazione rurale del paese, il secondo è il primo frutto dell'interesse di Finamore per la tradizione popolare abruzzese e il linguaggio dialettale.



28 ottobre 2020

Gennaro Finamore, Credenze, Usi e Costumi abruzzesi.


Gennaro Finamore, Credenze, Usi e Costumi abruzzesi.

Da: Archive.org

Gennaro Finamore, Tradizioni popolari abruzzesi.


Gennaro Finamore, Tradizioni popolari abruzzesi.

Da: Archive.org

Gennaro Finamore, Tradizioni popolari abruzzesi, vol.1, Novelle.

Gennaro Finamore, Tradizioni popolari abruzzesi, vol.1.
Da: Archive.org

Gennaro Finamore, Vocabolario dell'uso abruzzese, 1880.


Gennaro Finamore, Vocabolario dell'uso abruzzese, 1880.

Da: Archive.org

Da: Google

Gennaro Finamore, Dialetto e Lingua.

 


Gennaro Finamore, Dialetto e Lingua.

17 giugno 2020

Storia del dialetto abruzzese.

Il link con la playlist di:
Storia del dialetto abruzzese.


Documentari di Angelo Iocco sul DIALETTO ABRUZZESE, storia, fonetica, morfologia, sintassi, esempi con lettura di brani di poeti d'Abruzzo.
Con l'espressione dialetti d'Abruzzo si definiscono le varietà linguistiche romanze parlate nella regione italiana dell'Abruzzo (con dialetto si intende, a seconda dell'uso, una lingua contrapposta a quella nazionale o una varietà di una lingua). Tale territorio non si presenta unitario dal punto di vista linguistico, in quanto dette varietà appartengono a due gruppi diversi delle lingue italoromanze:

il dialetto sabino, che appartiene al continuum dei dialetti italiani mediani o italiano centrale il gruppo abruzzese dei dialetti italiani meridionali identificati anche come lingua napoletana o napoletano-calabrese. 

Distribuzione geografica 
L'isoglossa fondamentale (indebolimento delle vocali atone) che serve, secondo la più parte degli autori a distinguere i dialetti italiani meridionali da quelli mediani attraversa l'Abruzzo, partendo da Campotosto, toccando le frazioni dell'estrema periferia della città dell'Aquila, cioè Assergi (già ascrivibile però al dominio abruzzese), Camarda, Paganica e Pianola, per poi scendere più a sud ed attraversare alcune frazioni di Avezzano, cioè San Pelino, Antrosano e Cese, fino a giungere intorno a Canistro al confine con l'area laziale centro-settentrionale. 

Raggruppamenti delle lingue e dei dialetti d'Italia.
Come detto, i dialetti d'Abruzzo possono essere suddivisi in due gruppi, a loro volta articolati in otto aree complessive. 

Gruppo sabino 
Copre l'area sud-occidentale della regione e sconfina in Lazio, articolandosi nelle seguenti zone: 
aquilano-reatina, nell'antico contado amiternino, cioè a nord e ad ovest della città dell'Aquila, essa inclusa, salvo la frazione di Assergi, che però linguisticamente parte da Accumoli, nel reatino, comprende la valle del Velino, con i centri di Amatrice, Antrodoco, Cittaducale, fino ad inoltrarsi, con alcune variazioni, in tutta la provincia di Rieti ed in minima parte di quella di Terni; carseolana, attorno a Carsoli fra la Marsica e la valle dell'Aniene (Lazio); tagliacozzana, limitato a Tagliacozzo e alle località del suo circondario (Castellafiume, Scurcola Marsicana), ed esteso fino alle frazioni periferiche di Avezzano (San Pelino, Antrosano e Cese). Il confine dialettale passa all'interno del comune di Rocca di Mezzo) e il secondo, ad est della città dell'Aquila, a partire dalla frazione di Assergi, e a Bagno (antico contado forconese). Tratto qualificante di questo gruppo dialettale è la conservazione delle vocali finali atone. In particolare nel dominio reatino-aquilano, area tradizionalmente conservativa, viene tuttora mantenuta la distinzione fra -o ed -u finali, a seconda dell'originaria matrice latina: ad esempio all'Aquila si ha cavaju per "cavallo" (latino volgare *CABALLU(M)), ma scrio per "io scrivo" (lat. volg. *SCRĪBŌ). Ad occidente del suddetto dominio si estendono le parlate dei Piani Palentini, con centri di irradiazione quali Carsoli e Tagliacozzo, la cui punta più a sud, a contatto con l'area abruzzese della Marsica, è San Pelino, frazione di Avezzano: a ridosso dell'area laziale, queste parlate sono caratterizzate dalla confluenza delle vocali originali latine -u ed -o nell'unico esito -o (cavajo, fijo), ma come il sabino possiedono il medesimo sistema vocalico, fonetico e morfologico. Questi dialetti appartengono al continuum linguistico mediano assieme ai confinanti dialetti dell'Umbria e del Lazio, privo di confini interni apprezzabili. 

Gruppo abruzzese 
Il gruppo italiano meridionale è diffuso nelle aree: abruzzese adriatica, relativamente omogeneo fino alla dorsale appenninica, parlato nel grosso delle province di Teramo, Pescara e Chieti, che presenta le maggiori differenze nel campo della pronuncia vocalica, al punto che può essere ulteriormente suddiviso in: Teramano-Atriano (tra Rocca Santa Maria, Campli, Sant'Omero, Martinsicuro, Isola del Gran Sasso e Silvi).