11 novembre 2024
Il dialetto Abruzzese.
24 giugno 2024
Canto della mietitura da Vasto, raccolto da Gennaro Finamore in "Melodie popolari abruzzesi", 1894.
22 giugno 2024
Fiabe dell'Abruzzo e Molise, di I.Bellotta, da Le più belle fiabe popolari italiane.
31 ottobre 2023
La Marsica e i riti di Ognissanti.
Popolazione in preghiera nel cimitero di Carsoli (1900/1910) © ICCD
Nel libro di Eraldo Baldini e Giuseppe Bellosi dal titolo “Halloween: nei giorni che i morti ritornano” il capitolo sull’Abruzzo si apre così: Il folklore abruzzese e molisano è molto ricco di materiali che riguardano la nostra ricerca. Partiamo dalla credenza che i morti tornino nella dimensione terrena nella notte tra l’1 e il 2 novembre, raggiungendo le loro vecchie case (spesso processionalmente, in schiere dove morti «buoni» e morti «cattivi» occupano posizioni diverse e distinte), e dai riti di accoglienza a loro tributati, non privi di pericoli, e quindi di precauzioni e di forti timori.
A questa introduzione i due autori fanno seguire numerosi estratti dalle fonti storiche, in particolare quelli raccolti da Antonio De Nino e Gennaro Finamore nei loro celebri volumi dedicati agli usi e costumi abruzzesi. Nel capitolo di Finamore dedicato a Ognissanti è contenuta una storia ambientata a Pescina, in cui si intuisce perfettamente la commistione tra sacro e profano:
La messa de’ Morti, preceduta dall’ufficio, è celebrata dal parroco molto per tempo, per modo che al far del giorno la lunga funzione è terminata. Tutti coloro che hanno antenati sepolti nella chiesa in cui si celebrano gli uffizi, vanno o mandano ad accendere candele sulle sepolture; onde in nessun’altra festa dell’anno tutta la chiesa è così variamente e fantasticamente illuminata. Ma, prima che dai vivi, il divino uffizio è celebrato dai morti. Una fornaia, che non sapeva questo, alzatasi di buon’ora, andava ad accendere il forno. Nel passare davanti a una chiesa, che vide illuminata, credette che vi uffiziassero, ed entrò. La chiesa era illuminata e piena di popolo. Inginocchiatasi, una sua comare, già morta, le si avvicina e dice: «Comare, qui non stai bene; va via. Siamo tutti morti, e questa è la messa che si dice per noi. Spenti i lumi, moriresti dalla paura a trovarti in mezzo a tanti morti». La comare ringraziò, e andò via subito; ma per lo spavento perdette la voce. (Pescina)
Credenze usi e costumi abruzzesi raccolti da Gennaro Finamore (1890)
In una piccola pubblicazione realizzata attraverso il contributo degli alunni dell’ultimo anno delle Scuole Medie C. Corradini di Avezzano nel 1988, si può leggere una testimonianza sui riti di Ognissanti nella Marsica. Molto interessante il rapporto con il fuoco del camino, spesso presente in altre fonti abruzzesi.
Una volta si usava nelle nostre parti cucinare abbondantemente nelle festività di Ognissanti in modo che il cibo che restava dopo il pranzo e la cena veniva messo in vari piatti ed esposti durante la notte sui balconi e nelle finestre del camino chiamate “buscelle”. Si diceva che i morti sarebbero tornati una volta l’anno, proprio nella notte fra il primo e il due Novembre, ed avrebbero partecipato al pranzo. Per tutta la notte dunque i più famosi mangiatori del paese erano occupati a fare delle scorpacciate con la legittima soddisfazione di chi, svegliandosi al mattino e trovando i piatti puliti, erano convinti che la sua casa fosse stata visitata dai parenti defunti. Nelle antiche case dove si accendeva il fuoco nel camino, si usava ogni sera coprire i carboni accesi con le ceneri in modo che al mattino i tizzoni restassero ancora accesi. La sera del primo Novembre, invece, i tizzoni venivano tutti spenti. Il fuoco è simbolo di vita ed è per questo che, almeno una volta l’anno, veniva soffocato come estinzione della vita stessa.
Si diceva che… Motti, proverbi, usi e costumi illustrati dagli alunni della III F – Scuola Media C. Corradini Avezzano 1988.
Ne “I racconti di Angizia” di Giuseppe Pennazza (1921), l’autore immagina di avere un dialogo costante con la Dea Angizia: insieme a lei ricorda le tradizioni scomparse e gli antichi usi delle famiglie di Avezzano e dintorni. Nel capitolo intitolato “Novembre” viene fatta una breve rassegna delle tradizioni nel giorno dei morti.
L’utilizzo della zucca come elemento simbolico è molto presente nelle tradizioni della Festa di San Martino. Sempre da Finamore:
Nel Pescarese e in alcuni paesi dell’Aquilano, come Balsorano, i ragazzi portano ancora in giro, su una specie di barella, una zucca svuotata, con i fori degli occhi, del naso e della bocca, con due corna colorate e una candela accesa dentro; si fermano dinanzi agli usci delle case e delle botteghe cantando: «S. Martino, S. Martino».
Antonio De Nino nel suo Usi e costumi abruzzesi (1879) dedica un intero capitolo alla simbologia delle zucche dal titolo Illuminazione con le zucche:
Nell’intero territorio abruzzese sono moltissime le storie legate al culto dei morti. Uno dei testi più importanti e suggestivi è sicuramente quello di Vittorio Monaco dal titolo “Capetièmpe – Capodanni in Abruzzo”, recentemente ristampato dalla Textus Edizioni. Le suggestioni della festività risuonano anche nei versi di Gabriele D’Annunzio e nel capolavoro di Francesco Paolo Michetti – La raccolta delle zucche, dove un teschio in primo piano si confonde tra i raccoglitori, sospesi in un’atmosfera magica.
Gabriele D’Annunzio – Ottobrata (Versi d’amore e di gloria, Mondadori Meridiani, Milano 2004)
La Raccolta delle Zucche – Francesco Paolo Michetti (1873)
Da: PiccolaBibliotecaMarsicana.itZucche nel Convento Michetti fotografate da Francesco Paolo Michetti © ICCD
22 dicembre 2022
Novelle popolari Abruzzesi raccolte da Gennaro Finamore.
21 dicembre 2020
Gennaro Finamore, Credenze usi e costumi abruzzesi, da Curiosità popolari tradizionali, vol. VII, a cura di Giuseppe Pitrè, 1890.
23 novembre 2020
Angelo Iocco, Gennaro Finamore e il folklore abruzzese.
Gennaro Finamore e il folklore abruzzese
Laureato a Napoli in medicina nel 1865, esercitò la professione medica a Lanciano per una quindicina d'anni. Sposò nel 1891 la poetessa di Perugia Rosmunda Tomei, che insegnava letteratura italiana alla Scuola Normale Fonseca-Pimentel di Napoli. Interessato alla demologia durante gli anni napoletani, dove frequentava tra gli altri gli abruzzesi Silvio e Bertrando Spaventa e i pittori Palizzi.
Autore del Vocabolario dell'uso abruzzese (Carabba, Lanciano,
1880), importante documento scientifico redatto nella parlata della natia
Gessopalena, recensito dal grande folklorista siciliano Giuseppe Pitrè e poi da vari studiosi francesi, belgi, americani
e tedeschi. Grazie alla relazione su quest'opera del filologo Francesco D'Ovidio, fu nominato nel 1895
docente ad honorem di lettere al ginnasio-liceo di Lanciano.
Altre opere di Finamore sono Canti popolari di Gessopalena (1865)
e Tradizioni popolari abruzzesi (1882).
I
primi testi riguardano il suo paese di Gessopalena: "Delle condizioni
economico-agricole di Gessopalena" e "Canti popolari di Gessopalena",
la prima risente dell'influsso del positivismo nella modernizzazione rurale del
paese, il secondo è il primo frutto dell'interesse di Finamore per la
tradizione popolare abruzzese e il linguaggio dialettale.