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19 ottobre 2023

Storia del Risorgimento e della Massoneria in Abruzzo.

Storia del Risorgimento e della Massoneria in Abruzzo, Parte 1: Le origini, il 1799, la Restaurazione fino all'anno 1801.


Storia del Risorgimento e della Massoneria in Abruzzo, Parte 2: La Chiesa durante il periodo della Restaurazione.


Storia del Risorgimento e della Massoneria in Abruzzo, Parte 3: La Rivolta di Città Sant'Angelo, 1814.


Storia del Risorgimento e della Massoneria in Abruzzo, Parte 4: i Moti Carbonari dal 1813 al 1820.


Storia del Risorgimento e della Massoneria in Abruzzo, Parte 5: La Massoneria.


Storia del Risorgimento e della Massoneria in Abruzzo, Parte 6:
Chieti ai tempi di Monsignor Saggese

17 ottobre 2023

Olindo Jannucci alla conquista delle Maggiolate abruzzesi.

Olindo Jannucci alla conquista delle Maggiolate abruzzesi
di Angelo Iocco

Nacque a Città Sant’Angelo il 17 novembre 1891, e morì a Pesaro il 22 marzo 1977.
Studiò musica con Bozzi e Ildebrando Pizzetti, si diplomò al Conservatorio di Pesaro in strumentazione per banda. Tornato nel suo paese, diresse per vari anni la locale banda civica, esibendosi in turnè. Insegnò contrappunto e musica presso il Conservatorio “Luisa d’Annunzio” di Pescara, e negli ultimi anni tornò al Conservatorio di Pesaro, fino al ritiro per raggiunti limiti di età e alla morte.
Scrisse anche musica da camera, per canto e per pianoforte. Purtroppo al momento, a parte queste brevi notizie desunte da alcuni giornali e dalla biografia scritta da Ottaviano Giannangeli per il volume “Canzuna nustre” a cura di Virgilio Sigismondi, che raccoglie l’opera omnia del padre Giulio (1893-1966), non siamo in grado ancora di fornire ulteriori ragguagli sull’attività musicale di Jannucci, specialmente sui pezzi per banda che scrisse, o i brani di musica da camera. Suo figlio fu presidente della provincia di Pescara per vari anni, ma non si occupò di scrivere qualcosa sul padre, così come attualmente non esiste un articolo che succintamente raccolga materiali sulla sua vita e produzione artistica. I libretti e gli articoli di giornale parlano attualmente per Olindo, insieme a qualcuno che lo ha conosciuto personalmente, come il M° Antonio Piovano e il M° Francesco Paolo Santacroce.
Piovano ricorda di averlo conosciuto personalmente alle Settembrate abruzzesi di Pescara degli anni ’60, così come Santacroce ricorda che nel 1957 circa Jannucci era presente con Antonio Di Jorio, celeberrimo musicista e suo amico, a un convegno sulla canzone a Lanciano, e ricorda il fare molto gentile ed elegante di questo personaggio, sempre ben vestito e molto in avanti nel vedere il futuro della canzone, rispetto a vari altri che si limitavano a proporre le solite canzonette per i vari concorsi. Jannucci iniziò la sua carriera nel mondo delle Maggiolate abruzzesi di Ortona. Alla 10° edizione del 1929, scrisse la canzone “‘N ti pozze vidè” su versi di Nicola Farinelli. Farinelli scriverà altre canzoni con Jannucci, nel 1930 pubblica “Li guè che mi de’ mojeme”, nel 1933 la canzone “Funtanella chiuse”. La seconda canzone di questo elenco è stata ripresentata varie volte dal Coro di Crecchio, sotto la direzione del M° Rosanna Meletti, ed è stata anche registrata su audiocassetta. Fa parte di quel filone delle canzone “di gusto fascista”, sulla scia di “Vivere senza malinconia” di Carlo Buti, in cui il marito cerca di evadere dalla monotonia di casa, ma la moglie riesce sempre a beccarlo e fargliela passare male! Jannucci sarà sempre molto vicino al M° Guido Albanese, l’anima vera delle Maggiolate, comparirà spesso tra i membri della commissione, e nel secondo dopoguerra, dopo la parentesi della direzione di Siro Garzarelli nei primissimi anni ’50, anche lui collaboratore dell’Albanese e compositore di varie canzoni alle Maggiolate, Jannucci dal 1955 prenderà in mano il timone delle famose Maggiolate, le quali purtroppo in quel periodo stavano attraversando una grave decadenza. Gli autori dei periodi d’oro degli anni ’20 e ’30 iniziavano a morire, non c’erano più Eduardo Di Loreto, don Evandro Marcolongo, le “anime” della Maggiolata; tuttavia entrarono nuove leve, come Cristo Sorrentino, Antonio Del Pizzo, Aniello Polsi, Domenico Ceccarossi, Plinio Silverii, a cercare di dare una ventata fresca ai vuoti che la morte aveva lasciato….vuoti che troppo spesso, come nell’edizione del 1958, venivano riempiti da riproposizioni e omaggi di varie altre canzoni che ebbero successo nelle prime edizioni. L’edizione del 1958 si ricorderà per il grande omaggio di pezzi che furono scritti da Di Loreto e Liberati, De Titta e Di Jorio, Marcolongo e Di Jorio, De Titta e Albanese, Dommarco e Albanese, e via dicendo. Questo fu il compito di Jannucci fino al 1966, quando diresse l’ultima volta la Maggiolata, che definitivamente, anche per contrasti con il comitato organizzatore, cadde inesorabilmente dopo oltre 40 anni di onorata attività; un’ultima edizione ci sarà nel 1976, ma il canto di Ortona era già morto da un pezzo.


10 settembre 2023

Antonio Mezzanotte, Giorgio Castriota Skanderbeg.

Giorgio Castriota Skanderbeg, busto nella omonima piazza di Villa Badessa di Rosciano

GIORGIO CASTRIOTA SKANDERBEG
di Antonio Mezzanotte 

Si dice e si racconta che un giorno infuriava una feroce battaglia tra l'esercito cristiano e quello turco (più numeroso) e che i combattimenti si protrassero ben oltre il tramonto. Fu allora che il comandante dei cristiani mise in atto lo stratagemma che lo avrebbe portato a una strepitosa vittoria: fece radunare un grosso gregge di capre, ordinando di legare due torce accese sulle corna degli animali per farli sembrare uomini che si muovevano nella notte e spronò il gregge contro i turchi; quelli, nell’oscurità, pensarono che andasse loro incontro un immenso esercito di agguerriti soldati e scapparono senza combattere!
Testimonianza di quell'episodio la vediamo tutt'oggi nelle raffigurazioni del comandante cristiano, che indossa un copricapo a forma di testa di capra.
Chi era, quindi, questo personaggio? Giorgio Castriota.
Si dice e si racconta che dopo la sconfitta del padre Giovanni, principe albanese, ad opera del sultano Murad II, Giorgio venne condotto ostaggio ad Adrianopoli, presso la corte ottomana, e costretto a convertirsi all’Islam: per tale motivo, assunse il nome di “Iskander” (che in turco vuol dire “Alessandro” - il riferimento era ad Alessandro Magno) e tale era l’abilità, la forza e la lealtà nei confronti del Sultano che questi lo nominò “Beg” (nobile, principe), da cui l'appellativo "Skanderbeg" (che possiamo tradurre in "principe Alessandro").
Riportò numerose e importanti vittorie alla guida degli eserciti ottomani, divenne così popolare che lo stesso Sultano temeva che aspirasse a prendersi il trono, ma Giorgio pensava ad altro; poco alla volta sentiva il richiamo della propria terra e, in fondo, anche la conversione forzata all’Islam non era stata mai accettata del tutto nel suo cuore.
Si dice che alla vigilia della battaglia di Nis, combattuta il 28 novembre 1443, decise infine di abbandonare il campo (determinando così la disfatta dell'esercito ottomano) e di tornare in Albania con 300 esuli, riabbracciando la fede cristiana. Conquistò in poco tempo tutte le città e le fortezze della regione già occupate dagli invasori e si pose a capo del movimento insurrezionale albanese contro i Turchi.
Da quel momento divenne il più temibile nemico degli eserciti ottomani, i quali, benché di gran lunga superiori di numero e di mezzi, si infrangevano sempre contro le schiere albanesi, che erano favorite dalla conoscenza del territorio e abilmente guidate dal Castriota, il quale, nonostante il ritorno alla fede cristiana e ancorché fosse divenuto il più strenuo nemico degli ottomani, continuò a chiamarsi e a firmarsi sempre con l’appellativo Skanderbeg (forse per ricordare ai soldati turchi che stavano combattendo contro il loro antico, amato e invincibile comandante).
Raggiunta una tregua con il Turco, si alleò con Re Ferrante d’Aragona, che aiutò a difendere la Corona di Napoli dalle rivendicazioni angioine: per tale motivo il Re lo ringraziò investendolo di numerosi feudi in terra di Puglia.
Dovette però tornare ben presto in armi a difesa della sua Albania e si spense di malaria il 17 gennaio 1468.
La nipote più giovane di Skanderbeg, Maria, andò sposa ad Alfonso Leognani, dei baroni di Civitaquana. Da essi ebbe origine il ramo Leognani Castriota, dal quale derivò, per il matrimonio del loro discendente Giambattista con Porzia Fieramosca, sorella di Ettore, eroe della Disfida di Barletta, il ramo dei Leognani Fieramosca, le cui vicende sono da rinvenire nelle storie di Civitaquana, Rosciano, Alanno, Cugnoli, Penne dal XVI al XVIII sec., mentre un altro ramo dei Castriota possedeva Città Sant'Angelo.
Quando nel 1743 giunsero le 18 famiglie albanesi che fondarono Villa Badessa di Rosciano (la più recente e settentrionale colonia arbëreshe), questi territori erano in qualche modo già legati al nome dello Skanderbeg e probabilmente le vicende dei Castriota nell'Abruzzo vestino (ancora poco note e da studiare) stanno a confermare che lo stanziamento badessano non fu affatto casuale, ma diretto e mirato all’interno di una trama di relazioni e interessi fra potentati familiari e militari d’origine albanese o a essi affini, da secoli presenti nell’Italia meridionale, il cui peso fu determinante nelle scelte di Carlo di Borbone nel favorire la nascita proprio di Villa Badessa.

(Nella foto: il busto di Giorgio Castriota Skanderbeg collocato nell'omonima piazza di Villa Badessa di Rosciano - PE, con l'epitaffio TANTO NOMINI NULLUM PAR ELOGIUM (ossia: "a così gran nome nessun elogio è adeguato"), al quale, probabilmente, sarebbe opportuno dare una ripulita!

14 dicembre 2022

Paolo De Cecco: un grande maestro abruzzese eclettico e versatile.

Paolo De Cecco, La foce del fiume Pescara, 1905, olio su tela.

Paolo De Cecco: un grande maestro abruzzese eclettico e versatile.
Questo artista, noto per essere stato uno dei fondatori del “Cenacolo michettiano”, per la sua amicizia con D'Annunzio e per essere stato immortalato da Michetti nel dipinto “La figlia di Iorio”, fu, oltre che valido musicista , un valente e poliedrico pittore.

LA VITA

Paolo De Cecco nacque il 13 aprile 1843 a Citta Sant’Angelo da Raffaele Antonio e da Berenice Baiocchi.

Dopo la maturità liceale si recò a Napoli, dove si iscrisse alla Facoltà di Medicina e Chirurgia. Presto si accorse che non era portato per quella disciplina e lasciò l'Università.

Negli anni Sessanta, si dedicò intensamente alla sua vera passione artistica: la pittura e la sua più grande ispiratrice fu la natura. Disegnò volti, figure di giovani donne in costume, scene di vita all'aperto, paesaggi, greggi pasturanti, muletti, cavalli, mucche, branchi di maiali, casolari, contadini e pescatori solitari. Sempre a Napoli , dove frequentò poi l'Istituto di Belle Arti, conobbe Michetti.

Alla fine degli anni Settanta, preso dall’ altra sua grande passione : la musica, partì per Firenze e divenne un concertista di mandolino, e se ne andò peregrinando come un antico troviero.

Nel 1880 fu uno dei fondatori, insieme con D’Annunzio, Tosti, Michetti e Barbella, del famoso “Cenacolo michettiano”.

L'8 settembre 1886 sposò Margherita Di Battista, una ragazza angolana: la cerimonia avvenne a Villa Cipressi di  Città Sant’Angelo e Michetti e Barbella  furono i testimoni di nozze.

Nel 1897 ottenne la cattedra di disegno all’Istituto Tecnico di Città Sant’Angelo , dove insegnò sino al 1904. Nel 1905 chiese ed ottenne il trasferimento a La Spezia e vi rimase per oltre dieci anni, sino al 1916. Nel contempo coltivava l’attività pittorica partecipando a varie mostre nelle città di Barcellona, Amsterdam, Milano, Torino, Venezia, Roma e Napoli, conseguendo dovunque un notevole successo.

Mostrò specie nelle acqueforti originalità e sicura maestria, come si rileva nelle sue opere conservate in pinacoteche e in raccolte private di Barcellona, Monaco di Baviera, Lipsia, Madrid, Londra, Milano, Bologna e Pescara . Nel 1916, dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, si ritirò a Napoli, dove si spense il 19 novembre 1922 e le sue spoglie mortali furono tumulate nel cimitero monumentale della città partenopea.

IL CAPOLAVORO

L’opera più bella e significativa di De Cecco , il suo capolavoro in cui s’abbandona alla malinconia del ricordo è “La foce del fiume Pescara”.


L’eccezionale paesaggio , firmato e datato 1905, evoca mirabilmente i luoghi in cui si svolse anche l’infanzia di Gabriele d’Annunzio.

Lo straordinario scenario risente dell’esperienza e della lunga frequentazione del Cenacolo di Francavilla con Michetti e D’Annunzio. Il sentimento che ispira questo dipinto è il medesimo delle liriche del Vate e delle appassionate descrizioni di scenari naturali di Michetti.

Guardando la mirabile opera sembra quasi di ascoltare le parole che Gabriele scrisse in Terra Vergine nel 1888 : “Le barche pescherecce andavano a coppie; parevano grandi uccelli ignoti, dalle ali gialle e vermiglie.

Poi lungo la riva le dune fulve e in fondo, la macchia glauca del saliceto”. E anche quelle del Libro Segreto : “… rivedo certe vele del mio Adriatico alla foce della mia Pescara, senza vento, senza gonfiezza gioiosa, d’un colore e d’un valore ineffabili, ove il nero e l’arancione il giallo di zafferano il rosso di robbia entravano in una estasi miracolosa, prima di estinguersi”.

L’opera , caratterizzata da efficaci contrasti cromatici, documenta luoghi destinati a subire una trasformazione radicale. Sulla sponda sinistra un antico edificio dei baroni De Riseis produttori di vino, che possedevano in prossimità della foce della Pescara un esteso podere. La villa, con le sue molteplici finestre immersa nella vegetazione, sembra quasi sorvegliare il defluire quieto del fiume. Le imbarcazioni ,dalle vele latine e dagli intrecci simili ad ali di farfalle colpite dalla luce del pomeriggio, si riflettono in modo suggestivo nelle acque della Pescara.

Sulla riva destra completa lo straordinario scenario il mirabile il bozzetto di vita marinara che è come un dipinto nel dipinto: uomini, donne e bambini intenti in diverse attività intorno a un’imbarcazione a secca da cui sono tese le reti da riparare o riavvolgere.

Paolo De Cecco dipinse anche intensi ritratti di una straordinaria sensibilità che raffigurano Aurelia Terzini, la madre di Francesco Paolo Michetti , la giovane amatissima moglie Margherita e altri personaggi del suo tempo tra cui Matilde Serao.

I colpi di luce, le ombre magistrali che torniscono i volti con lievi pennellate mostrano la statura elevata di questo grande maestro abruzzese che dovrebbe essere maggiormente conosciuto e valorizzato.

 

           La moglie Margherita                                     La madre di F.P. Michetti


Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli
email: mancinellielisabetta@gmail.com

Da: Abruzzo24ore.tv

Approfondimenti: portalecultura.egov.regione.abruzzo.it



7 settembre 2022

Coro Angulum di Città Sant'Angelo del M° Antonio Piovano, Canti Folk Abruzzesi.

Coro Angulum di Città Sant'Angelo del M° Antonio Piovano, Canti Folk Abruzzesi.
Da: Abruzzo Forte e Gentile 95

Coro Angulum di Città Sant'Angelo del M° Antonio Piovano, Canti Folk Abruzzesi

CORALE "ANGULUM" - CITTA' SANT'ANGELO
Raccolta di Canti Abruzzesi diretti M° Antonio Piovano Lato A LA CAMPAGNOLA popolare, elab. A. Piovano
MONTAGNA BELLA di Giuseppino Mincione, Antonio Piovano NDRIC E NDRAC di C. Trotta
LU SBAJE NNUCENTE di M. Cieri - A. Piovano LA VINNEGNE di V. Ranalli - E. Di Tizio
LA LAMPARE di C. Trotta
Lato B LUCCIHE LA PISCARE di A. Taurisani - E. Di Tizio
MATALENE di Camillo De Nardis - V. Ranalli canzone presentata anche alle Maggiolate di Ortona QUANDE T'AFFICCE TU di V. Ranalli - E. Di Tizio
CORE ME di C. Trotta
STU PAESE ME di C. Trotta
LA MUNTAGNA NOSTRE di Giuseppeino Mincione - Antonio Piovano
MI T'HI MESSE NA 'HUNNELLE di Giuseppino Mincione - Antonio Piovano.