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8 febbraio 2024

Pittura Abruzzese Manierista nel Chietino: il pittore “Dioaiutarà” attivo alla fine del Cinquecento a Gessopalena.

Pittura Abruzzese Manierista nel Chietino: il pittore “Dioaiutarà” attivo alla fine del Cinquecento a Gessopalena

di Angelo Iocco

Nella chiesa parrocchiale Madonna dei Raccomandati di Gessopalena, presso l’altare della Deposizione, si trovano due opere di uno sconosciuto pittore manierista, forse seguace di Pompeo Cesura, forse aquilano, che realizzò la Pala d’altare, incassata nella cornice di legno, che ospita altri suoi piccoli dipinti, insieme a un’altra tela che raffigura la Pentecoste. Resta ignoto il suo nome, ne parla Luigi Cicchitti nel suo libro Abruzzo delle meraviglie – Gessopalena e il Trittico della Misericordia, Ianieri, Pescara 2017, soffermandosi brevemente sull’iscrizione posta in basso a sinistra, che indica “Dio-aiutarà 1587”, ossia “Dio (ti) aiuterà”, una di quelle massime memento che costellano la pittura sacra. Ma chi fu questo pittore?








Difficile dirlo, in mancanza di documentazione. La sua Deposizione è simile, per certi canoni, a una Pietà conservata all’Aquila; al centro, leggermente a sinistra, il Cristo morto, a cui un’ancella sorregge l’avambraccio sinistro per ungerlo, forse la Maddalena, dietro il Cristo, San Giovanni, un’altra delle Marie, e la Madonna addolorata col velo, che incrocia le mani, in una posizione tipicamente tardo-gotica della pittura aquilana, che ha chiare reminiscenze del Maestro di Beffi e di Saturnino Gatti, basti ricordare il ciclo di affreschi dell’abside della chiesa di San Silvestro all’Aquila; al centro della macchina scenica ben composta, in alto, la Croce, con due scale; la più grande sulla destra rompe la scena, e induce l’osservatore a guardare una delle guardie, che sta scendendo con in mano la corona di spine, un altro riferimento alla pittura fiorentina di tradizione manierista, impossibile non ricordarsi di Rosso Fiorentino e della sua Deposizione di Volterra. Il motivo scenico della scala sulla Croce, è presente anche nel dipinto cesuriano, ed è retta in questo quadro di Gessopalena, da un soldato romano dall’aspetto grottesco.


Giulio Cesare Bedeschini, Madonna incoronata Regina degli Angeli tra Santi, Chiesa dei Raccomandati, Gessopalena.

Questo pittore sconosciuto doveva far parte insieme a Giovanpaolo Cardone, a Giovanpaolo Donati e altri della cerchia manierista aquilana, che presto lascerà il posto a Giulio Cesare Bedeschini, anche lui di formazione romana e fiorentina. E il Bedeschini lavorò per Gessopalena, per conto della Confraternita della Madonna dei Raccomandati, consegnando una tela corale, con al centro la Madonna incoronata Regina dei Cieli dagli angeli, con ai lati in piedi San Carlo Borromeo e San Francesco d’Assisi, e in basso inginocchiati Sant’Antonio di Padova e Santa Rita da Cascia. Opera solenne, tra le più belle del Bedeschini, in uno scenario dorato che lascia immaginare l’Eterna Luce del Paradiso, ispirata probabilmente a un’altra tela del Bedeschini, per quanto riguarda il volto di San Carlo, presente nella Basilica della Madonna del Colle di Pescocostanzo.





Nel libro di Cicchitti, si segnalano altre opere, la citata Pentecoste, i due Santi Pietro e Paolo principi della Chiesa, collocati presso il catino absidale d’altare maggiore, dove si trova la Pala del Trittico della Madonna della Misericordia, della scuola di Pietro Alamanno, e ampiamente studiato dal Cicchitti. I due Santi hanno i loro attributi di riconoscimento, San Pietro, stempiato, anziano, con le chiavi del Paradiso e il Vangelo, San Paolo pelato, con la barba lunga e la spada della difesa della Chiesa…e del martirio!

Franco G. Maria Battistella, citato dal Cicchitti nella sua opera, si è occupato di questo pittore, citando altre opere da lui realizzate, come la tela della Deposizione nella chiesa di San Francesco a Loreto Aprutino. Nella chiesa di Gessopalena soffermiamoci ancora sulla tela della Pentecoste: la Madonna è al centro, attorniata dagli Apostoli, si riconoscono San Giacomo, San Pietro, San Filippo, le lingue di fuoco si sprigionano dal cielo, indorato, una lezione ancora aquilana che rimanda a Saturnino Gatti per la Pala del Rosario; i volti degli Apostoli sono leggermente allungati, come era solito fare il Cesura per le sue Madonne o Sacre Conversazioni, michelangioleschi e robusti i tratti degli zigomi, delle espressioni facciali, delle nodose dita, delle braccia tese e nerborute degli uomini, dolci i tratti femminili della Madonna.

Questo pittore pare che fu attivo anche a Ortona nella chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, dipingendo due opere conservate nel Museo diocesano, San Pietro Celestino (la chiesa era di fondazione Celestina), e San Benedetto abate. Le figure sono solenni, nelle vesti vescovili, San Pietro Celestino ha la mitra e il pastorale, l’espressione altera, San Benedetto con l’ispida barba si rifà ad altri modelli utilizzati da questo Anonimo “Dioaiutarà” per i volti dei Santi Pietro e Paolo a Gessopalena. Non si conoscono altre opere di questo pittore, resta comunque una bellissima traccia di manierismo aquilano al di qua dell’Abruzzo chietino.




26 gennaio 2024

Ludovico Teodoro, figlio del celebre Donato Teodoro di Chieti, le sue opere nel Duomo di San Leucio e altri Artisti abruzzesi di interesse nelle Chiese di Atessa.

Ludovico Teodoro, San Leucio nelle vesti di vescovo, con ai piedi il Dragone, Duomo di Atessa

Ludovico Teodoro, figlio del celebre Donato Teodoro di Chieti, le sue opere nel Duomo di San Leucio e altri Artisti abruzzesi di interesse nelle Chiese di Atessa

Prima Puntata

di Angelo Iocco

Poco si conosce di questo artista, figlio del celebre Donato Teodoro di Chieti[1], uno dei migliori che fu attivo nell’Abruzzo chietino e nel Molise, ma anche nell’area di San Benedetto del Tronto e del teramano (dipinse il soffitto della Collegiata di Campli), dagli anni ’30 agli anni ’50 del ‘700. Per vent’anni dominò la scena con altri colleghi spesso napoletani, come Ludovico De Majo, Francesco Solimena, Giovan Battista Spinelli. Fu sepolto a Chieti nella chiesa di San Domenico, andata demolita nel 1914 per costruire il palazzo della Provincia di Chieti. La lezione del Teodoro pare essere stata recepita anche in Atessa, benché non siano attestate sue opere nelle chiese. Un esempio è l’affresco della volta della sala grande del palazzo De Marco-Giannico, ex casa di riposo, in Largo Castello, la cui scena illustra al primo piano Ercole che combatte l’Idra di Lerna, e al centro il Giudizio di Paride con Giunone, Minerva e Venere con l’Amorino, e attorno nelle nuvole dell’Olimpo, figure femminili e Grazie. La scena, ripresa anche dalle stampe che circolavano in quei tempi, ricorda per la divisione in due scomparti,. Le due tele del Teodoro di Chieti (chiesa di Santa Maria della  Civitella) e Guardiagrele (chiesa di Santa Chiara) con il tema della Cacciata del Demonio e degli Angeli ribelli dal Paradiso.

Dal volume A. e D. Jovacchini, Per una storia di Atessa, Cassa di Risparmio, Atessa, 1993

Ludovico figlio di Donato, attivo nella seconda metà del Settecento, fu ugualmente pittore, e non dimenticò l’insegnamento paterno, apprezzava le grandi scene corali, spesso rintracciabili nei dipinti di Luca Giordano a Napoli, dove andò a formarsi, come fece suo padre; e non mancava sicuramente di avere una personale collezione di stampe, da cui traeva ispirazione per i suoi affreschi di ampio respiro. Al momento, pienamente attribuibile a Ludovico, sono la tela di San Leucio vescovo col dragone, presente nell’altare maggiore del Duomo di Atessa, firmato e datato 1779. Benché non firmate, mi sento di attribuirli anche le due tele laterali del coro dei Canonici, che ritraggono la Natività con la Sacra Famiglia, e l’Adorazione dei Pastori. Opere  un di gusto teodoriano per la ben costruita scenografia, anche se con le immancabili grossolane superfetazioni del Bravo, e i fondi oscuri tipici dell’ultimo Donato, di chiara derivazione tardo caravaggesca[2].

Anonimo, Annunciazione, chiesa della Santissima Annunziata, Civitaluparella, 1790.

il ciclo di pitture sulla volta centrale della stessa chiesa collegiata di Atessa, con scene bibliche del Vecchio Testamento. Purtroppo a causa di danneggiamenti, le pitture sono state rifatte in più punti di scadenti restauratori, rovinando completamente l’opera ad esempio nella prima scena:“Battaglia e Giuditta con la testa di Oloferne”, dove si vedono i pesanti ritocchi del Bravo. I tondi laterali la controfacciata con i Santi Principi Pietro e Paolo, pure sono di Ludovico Teodoro.

Il secondo riquadro: “David accoglie Saul vincitore contro Golia” è molto simile al quadro dipinto dal padre Donato che mostra la scena di “Davide con la testa di Golia davanti a Saul”, oggi conservata nel palazzo Martinetti-Bianchi di Chieti, oppure allo stesso soggetto per la volta della chiesa madre di Colledimezzo. La composizione del soggetto ha la stessa matrice, ma il risultato di Ludovico è più scadente. In parte è dovuto ai restauri di Ennio Bravo, che ha cambiato alcuni volti, in parte alla stanca ripetizione dei modelli, come il barbuto Saul sul trono che è impaurito dalla scena macabra, e il giovane David, che con la sua smorfia di sofferenza esprime quel mansuetismo, quasi senso di colpa per i propri trionfi, che accomuna diverse opere di Donato che abbiano questa peculiarità del Trionfo del Bene sul Male, quasi uno strizzare l’occhio al Davide con la testa di Golia del Caravaggio. Ma appunto, ciò non riguarda tutte le opere del Donato, basta riferirsi ai volti trionfanti di Giuditta con la testa di Oloferne nella chiesa di Sant’Agata di Chieti, o ad altri soggetti simili, come lo stesso tema nella cupoletta del santuario dell’Assunta di Castelfrentano, et similia.

Donato Teodoro, Incontro tra Salomone e la Regina di Saba, Museo d’arte “C. Barbella”, Chieti, foto M. Vaccaro per gentile concessione

La scena “Saul placato dall’arpa di David e l’Arca dell’Alleanza” si divide in tre momenti, sulla sinistra il coro di cantatrici con strumenti musicali, al centro Saul che suona l’arpa, a destra i sacerdoti e l’Arca.

Navata del Duomo di Atessa


Osserviamo le fotografie delle pitture della volta del Duomo.

1° dipinto: L. Teodoro, Giuditta e Oloferne, particolare

2° dipinto, Saul e David con la testa di Golia, particolare di David

3° dipinto: David suona l’arpa con l’Arca dell’Alleanza, veduta d’insieme e particolare


4° dipinto: Salomone e la Regina di Saba.

L’ultima scena “La Regina di Saba” ha moltissime somiglianze con il dipinto di Giacinto Diano che realizzerà nel 1788 ca. nella Basilica cattedrale di Lanciano, la matrice della stampa da cui i due pittori hanno attinto è la stessa. Anche qui notiamo l’esasperazione dei volti, l’abbruttimento dei tratto somatici dei sacerdoti e delle cariche ebraiche, nonché i lunghi nasi, gli occhi strabuzzati, i pizzetti appuntiti, i turbanti delle figure di religione islamica contro cui si scontrano gli ebrei. Le pennellate sono molto chiare, seppur Ludovico non riesca a eguagliare la grandezza paterna. Osservando queste pitture, ci viene in mente il primo Donato Teodoro, non ancora trentenne, che fu attivo nel cantiere del santuario dell’Assunta di Castel Frentano, con la controfacciata della “Cacciata dei mercanti dal Tempio”; le pennellate simili, i colori leggermente sbiaditi, l’affresco orale di personaggi che si intrecciano in un turbinio di azioni, di giravolte, di scene concitate che inducono al movimento, a riguardare più volte la scena per adocchiarne i particolari.

Ludovico nel Duomo dipinse anche i tondi laterali con le figure degli Apostoli, e delle tele applicate ai pilastri della navata maggiore del Duomo, con le scene della Via Crucis.

 

Altre opere d’arte a San Leucio

Nel Duomo. Il pulpito in legno è della bottega Mascio di Atessa.

NAVATA DI SINISTRA, altare di San Michele che sconfigge Lucifero, è brutta copia di Francesco De Benedictis[3] del quadro di Guido Reni (sia De Benedictis che il suo predecessore Giuliano Crognale di Castelfrentano ne sfornarono di queste orride copie del quadro di Guido Reni per le chiese del chietino!), che però forse avrà copiato dal suo maestro Nicola Ranieri, per il san Michele presente nell’altare maggiore della chiesa di sant’Antonio di Lanciano, o da una stampa del quadro di Reni che circolava molto facilmente tra i disegnatori dei suoi tempi.

2° altare: Santa Lucia martire, quadro moderno di Ennio Bravo[4]

A seguire. Statua di san Pietro seduto, del XVI secolo, in pietra, dall’atteggiamento meditativo.

3° altare di San Giuseppe in cammino col Bambino, dell’800, autore locale, della scuola di Giacomo Falcucci

4° altare di San Bartolomeo martirizzato, opera dello stesso autore del precedente San Giuseppe col Bambino

CAPOALTARE NAVATA SINISTRA A CAPPELLA:  nicchie con statue del Sacro Cuore, San Donato e Madonna Immacolata, bottega locale. Il soffitto è stato rifatto da Bravo con i soliti cassettoni e fioroni.

Nella nicchia di controfacciata della seconda navata di sinistra, c’è il busto di San Leucio in argento di scuola napoletana datato 1857, e la costola del drago.

Ritratto del Prevosto Giandomenico Maccafani, presso la Sagrestia

NAVATA DESTRA: a muro in controfacciata, tela dell’Ultima Cena, autore ignoto, ma forse Giacomo Falcucci o di un suo seguace.

Altari laterali:

1° altare di Sant’Anna con Maria Bambina, tela di F. De Benedictis, di poco interesse.

2° altare con Martirio di San Sebastiano, con ex voto, forse di Giacomo Falcucci[5], è classificato come di anonimo dell’800.

3° altare di San Martino in gloria, con i putti che reggono le spighe. Ignoto, forse questo è un altro dipinto ignoto di Ludovico Teodoro; la postura è identica alla tela di san Leucio nell’altare maggiore. Il Santo con il braccio destro benedice, con l’altro regge il Vangelo e il pastorale. Accanto due angeli che reggono fasci di spighe. Quasi sempre Martino vescovo ha in mano un grappolo d’uva e un fascio di spighe di grano, per ricordare il suo protettorato sulle messi. A san Martino si rivolgevano preghiere per un raccolto prospero di grano, uva ed altro. Questa iconografia è presente in diverse opere pittoriche e scultoree che ritraggono il Santo. I due angeli hanno i volti tipici delle figure di Donato Teodoro, che riutilizzò questi modelli per diverse altre sue pitture, specialmente quello dell’angelo di destra che è di profilo, riutilizzato nei servitori delle pitture di Castelfrentano, Lanciano, Chieti. Interessante è anche la veduta in prospettiva di Atessa, dietro il santo, dal lato di Vallaspra, sulla destra vediamo il Duomo, con parte della facciata antica, privata nel 1935 delle volute laterali baroccheggianti, un restauro che forse ha restituito un aspetto troppo “razionalista” all’antica facciata gotica, a giudicare il periodo storico in cui venne recuperata. Sulla sinistra vediamo le mura di Porta Sant’Antonio, con il chiostro dell’antico convento dei Cappuccini e poi delle Clarisse di San Giacinto, demolito negli anni ’60, di cui resta una porzione con degli archi, e la torre massiccia della chiesa di Santa Croce.

 

Ludovico Teodoro (?), San Martino in gloria, con paesaggio, Duomo di Atessa

26 gennaio 2023

18 novembre 2022

Omaggio a Giuseppe Persiani, Le Romanze, al pf il M° Antonio Piovano, 1978.

Le romanze di Giuseppe Persiani, dal disco "Omaggio a Giuseppe Persiani", 1978, del M° Antonio Piovano.

Il compositore abruzzese, barone Giuseppe Persiani, nacque nel 1827 a Gessopalena (CH) da nobile famiglia e studiò musica a Chieti con Giuseppe Liberali. Fervente patriota, si perfezionò a Napoli sotto la guida dell'operista Mario Aspa, acquistando una notevole padronanza dell'armonia, del contrappunto e della composizione.
Scrisse con gli amici poeti Luigi e Francesco Vicoli diverse romanze e a seguire operette teatrali rappresentate al Teatro Marrucino di Chieti.
Compose una cantata dedicata a Giuseppe Garibaldi, il quale gradì molto e lo ringraziò inviandogli un orologio d’oro con la sua effige. Compose anche sinfonie e diverse opere come “Malek-Adlel” (Teatro Marrucino, 1855, su libretto di Francesco Vicoli); “Manfredi di Svevia” (Teatro Marrucino, 1855, su libretto di Francesco Vicoli); la scena lirica “Il Prigioniero di Palermo”, “L’assedio di Cesarea” (Teatro Marrucino, 1879), “Bianca di Belmonte”, "Il Balletto Farfallino”, il dramma “Amore e Patria”. Inoltre scrisse una grande quantità di composizioni per canto e pianoforte, riproposte dal Maestro Antonio Piovano e pubblicate dalla Carsa Edizioni di Pescara. Insegnò musica a Chieti fino alla fine della sua vita, avvenuta il 28 marzo 1899.

Le Romanze Lato A

Il sogno è amore

L'arpatrice

La mia preghiera

Ancor la pia sembianza




Le Romanze Lato B
da: Abruzzo Forte e Gentile 95

Ricordatidi Francesco Vicoli

Il fiore1851 di Luigi Vicoli

Serenatadi Luigi Vicoli, dedicata a Rosina Nicolini, Soprano Adele Moretti, pianoforte Antonio Piovano

Il risoromanza dedicata a don Michelino Olivieri, baritono Bruno Del Biondo.

4 luglio 2022

QUANDE L'AMORE 'MPAZZIRE TE FA' (1982) di Vincenzo Bozzi, girato a Gessopalena. Sceneggiato Rai in 3 puntate.

      - Salvatore Genovese54

Con la musica di "Mare Maje - Lamento di una vedova", suonata con la chitarra, saltarelli e il canto di  "Tutte le funtanelle" nel finale.
Film per tv Rai diretto da Vincenzo Bozzi con protagonista Domenico Turchi e Tullio Bozzi. La storia di fantasia è stata realizzata in 3 puntate nel paese abruzzese di Gessopalena, storia basata su racconti popolari locali sul brigantaggio, ambientata nell'immediato dopo Unità d'Italia, al tempo delle scorrerie dei briganti, che per rivendicare l'onore perduto del Regno delle Sue Sicilie, per l'amore di fanciulle insidiate da signorotti, e per ribellarsi ell tasse sul macinato e alla povertà dilagante, combatterono e morirono per la nuova Italia.

23 gennaio 2022

"Prime ca scì... dope ca no", Canzone abruzzese di Cesare De Titta e Francesco Paolo Bellini.



Canzone abruzzese scritta da Cesare De Titta e musicata da Francesco Paolo Bellini (Lanciano, 1848 - 1926) per le nozze del medico e folklorista Gennaro Finamore da Gessopalena con Rosmunda Tomei.
Canta La Coppia Pasquale Sciascia di Lanciano, Italian Folk Songs from Abruzzo: 1927-1930.
Da: Abruzzo Forte e Gentile 95



3 aprile 2021

Elisabetta Mancinelli, La quaresima e la Pasqua in Abruzzo.

Elisabetta Mancinelli, La quaresima e la Pasqua in Abruzzo.

LA QUARESIMA E LA PASQUA IN ABRUZZO
di Elisabetta Mancinelli
La Quaresima, secondo le credenze cristiane, è il periodo preparatorio di astinenza e digiuno della durata di quaranta giorni che inizia il mercoledì delle Ceneri e si conclude con l’ultima settimana detta Santa, ricca di celebrazioni e dedicata al silenzio e alla contemplazione.
Per la gente d’Abruzzo il periodo pasquale è dedicato alla pacificazione e al rinnovo spirituale per questo motivo segue, per atavica tradizione, un complesso di cerimonie e usanze.
Molti sono gli usi e costumi legati a questo periodo. Le consuete pulizie di Pasqua: spazzare la polvere, la fuliggine, la sporcizia in genere, significa per gli Abruzzesi scacciare dalle case anche il male e i malanni. Il Precetto Pasquale, con la confessione e la comunione, era un’altra prerogativa di devozione della gente d’Abruzzo. Ai riti ufficiali, si aggiungono diverse usanze, secondo la loro cultura e mentalità.
Per la purificazione spirituale, concorrono i due elementi principali: l’acqua e il fuoco. I nostri contadini usavano mettere l’acqua benedetta in tutte le vivande, che si preparavano a Pasqua, mentre la parte rimanente era sparsa per casa con un rametto di ulivo benedetto, quando si “scioglievano le campane”. Alcuni usavano berne un mezzo bicchiere, dopo aver mangiato due uova sode, che rappresentano ancora oggi la particolare colazione della mattina di Pasqua . Altri usavano strofinarsi l’acqua benedetta in alcuni punti del corpo, perché ritenuta curativa di febbre, mali di pancia, malie e fatture. Proprio per questo, all’atto della benedizione delle case, sul tavolo, ove si deponeva l’offerta di uova e altro per il sacerdote, non poteva mancare un vassoio con l’acqua da far benedire.
Nella tradizione Abruzzese, e Peligna in particolare, grande importanza riveste l’uso del fuoco, che si ritrova anche in altre ricorrenze. In alcuni paesi si accendevano fuochi nei piazzali delle chiese la notte del Sabato Santo, e ognuno riportava a casa qualche carbone benedetto, per riaccendervi il fuoco il giorno successivo. I resti del fuoco santo erano utilizzati, spargendoli insieme alle ceneri intorno alla casa, oppure in campagna, per allontanare dalle proprietà i malanni e i danni delle tempeste. Si usava, talvolta, mettere un po’ di cenere del fuoco nuovo nell’acqua, per cuocere la minestra oppure come rimedio contro il mal di gola. In pratica il sacro fuoco pasquale aveva il carattere di purificazione ed anche una forza taumaturgica.
Tra dei rituali, la tematica della “Corsa”, elemento profano ereditato dal paganesimo. Seguendo il tragitto della corsa, dopo che la Madonna perde il mantello nero, da cui come per incanto scaturiscono colombe bianche, che volano verso il figlio risorto, i contadini abruzzesi sono soliti trarre buoni o cattivi auspici per l’annata agraria e per la vita quotidiana. Tutto il patrimonio di credenze e usanze descritte risponde al duplice scopo di estirpare il male fisico e morale, accumulatosi durante l’anno e di auspicare la prosperità e l’abbondanza, per il nuovo ciclo che si apre.

PASQUA


La Pasqua, che deriva dal latino ‘pascha’ e dall’ebraico ‘pesah’, è una delle più importanti festività della liturgia cristiana perché celebra la passione, la morte e la resurrezione del suo Messia Gesù Cristo che, sacrificando la propria vita, ha lasciato un grande messaggio di amore, di fraternità e di solidarietà.

LE CELEBRAZIONI


La processione del Venerdì Santo è l'evento principale della Pasqua all'Aquila e ricorda la passione e la morte di Gesù. Alle 19 il corteo, che segue la statua del Cristo morto, esce dalla Basilica di San Bernardino, sulle note del Miserere e si snoda per le vie del centro storico per rientrare, dopo un'ora, in Basilica dove viene celebrata la funzione. I pesanti simboli della passione di Gesù, che accompagnano la statua del cristo morto, sono stati realizzati dal pittore e scultore aquilano Remo Brindisi.


Una delle celebrazioni più suggestive d’Abruzzo si svolge a Chieti il giorno del Venerdì Santo: la Processione del Cristo Morto. Di origini medievali, la manifestazione è curata nel suo allestimento solenne dall'antica Arciconfraternita del Sacro Monte; i partecipanti vestiti a lutto procedono seguendo il ritmo scandito dalla “troccola”, uno strumento di legno che, durante la Settimana Santa, sostituisce le campane. Viene poi cantato il “Miserere”.

Ma rappresentazione più antica, più bella e più celebre a cui si può assistere nella nostra regione è “La Madonna che scappa in piazza” che si tiene nella mattinata di Pasqua a Sulmona e si svolge nello scenografico "teatro" di Piazza Maggiore gremita di folla. Intorno a mezzogiorno, ad un segnale convenuto, la Madonna, che non crede alla notizia della Resurrezione del Figlio, inizia a correre sempre più veloce fuori dalla chiesa, perde il manto nero e mostra la preziosa veste verde ricamata in oro.

Nella sua mano compare, quasi per incanto, una rosa rossa: scoppi di mortaretti, dodici colombe bianche compaiono e volteggiano nel cielo, le campane suonano a festa. L'incontro della Madonna e l’abbraccio con Gesù risorto è il momento più toccante che segue un antichissimo rituale.


Le celebrazioni sacre a Lanciano si svolgono in diversi tempi. La sera del giovedì inizia una processione notturna che sosta nelle chiese dove sono allestiti i Sepolcri, il venerdì nella processione compaiono i “Misteri”, i canti corali, il “Miserere” e la figura del cireneo, impersonato da un membro della Confraternita che, scalzo ed incappucciato, porta la Croce, infine il giorno di Pasqua a mezzogiorno in punto, si ripete l'antica cerimonia de "L'incontro dei Santi", ossia tra le statue della Madonna, del Cristo e di San Giovanni, accompagnate dai fedeli. Nel corso della processione per le vie del centro cittadino, la Madonna apprende la resurrezione del Figlio. Al termine della Sacra Rappresentazione le statue vengono collocate nella Cattedrale, dove resteranno fino a mezzogiorno di martedì, quando vengono portate a spalla dai Confratelli delle Congreghe e fanno ritorno alle rispettive parrocchie fino all'anno successivo.

Teramo, nelle ore mattutine del Venerdì Santo, si svolge la tradizionale processione della "Desolata", la cui origine si fa risalire al 1260. E' la devota rappresentazione paraliturgica della Madre che va alla ricerca angosciosa del figlio condannato a morte. Il corteo si avvia con la sola statua dell’Addolorata per un giro delle "sette chiese". Inizia da quella di Sant’Agostino e termina all’Annunziata dove trova il Cristo Morto giacente su un ’artistica bara. E’ una commovente manifestazione di religiosità popolare, con gli uomini che indossano la tunica nera e recano la croce, mentre le donne velate e in gramaglie trasportano la statua della Madonna.


Villa Badessa, una frazione del comune di Rosciano, vive sin dalla prima meta' del XVIII secolo una piccola colonia italo - albanese. Ancora oggi gli albanesi di Villa Badessa conservano il loro idioma e continuano a seguire la liturgia di rito greco - bizantino. Le cerimonie iniziano con gli "enkomia", il pianto delle donne durante la veglia sulla icona della deposizione di Cristo. Nelle ore notturne che precedono la domenica di Pasqua, il papas, che reca l'icona della Resurrezione, esce in processione fuori della chiesa, seguito dai fedeli che illuminano con candele le ultime ore della notte. All'alba il papas canta il primo verso del Vangelo secondo Giovanni ed intonando canti di gioia rientra in corteo nella piccola chiesa.

"Il Bongiorno" è un'antica tradizione legata alla Pasqua del paese di Pianella (Pescara) che trae origine “dall'omaggio", che i signorotti Longobardi pretendevano dai propri vassalli. Durante la giornata di Pasqua e durante la notte che precede il Lunedì dell'Angelo, cantori e suonatori in costume medievale, accompagnati da trombe, tamburi e piatti, girano per le vie del paese, portando il saluto del "Buongiorno" sotto le finestre dei cittadini a cominciare da quelli più' importanti, come il sindaco e altre autorità'. I canti sono, in genere, improvvisati e adattati alle circostanze ed ai personaggi.


A Gessopalena (Chieti) il mercoledì' e il venerdì, si svolgono processioni con quadri viventi nell’ incredibile scenario del vecchio borgo. Suggestiva è la Passione vivente del mercoledì Santo: tutti gli abitanti del paese vi partecipano proponendo scene della Passione di Cristo, il tutto negli angoli più belli del paese. Il dramma si conclude con Crocifissione ed il pianto delle Marie.


Ancora diffusa è l’usanza abruzzese di recarsi il Lunedì dell’Angelo presso un santuario o chiesa rurale, lontano dai centri, per ragioni non solo religiose, ma anche ludiche. Tale evento assume l’aspetto di una gita fuori porta, per consumare i cibi di rito. Nell’area Peligna si chiama “a passà l’acque”, che richiama il passaggio del Mar Rosso, oppure quello dell’angelo innanzi alle case degli ebrei, tinte con il sangue d’agnello.
Il martedì dopo Pasqua si svolge ad Orsogna  in provincia di Chieti, la “Festa dei Talami”, in onore della Madonna Nera. Si tratta di una sfilata di carri, su ognuno dei quali, viene rappresentato un quadro vivente ispirato ad episodi del Vecchio e Nuovo Testamento. Il carro che chiude la processione è carico di covoni di grano del raccolto dell'anno precedente ed è detto il “carro del dono”, poiché il suo contenuto viene offerto alla Madonna.


Tradizione culinaria pasquale

In Abruzzo la Pasqua è anche caratterizzata da riti “gastronomici”: i fiadoni, cibo tipicamente abruzzese sia salato che nella variante dolce, il pane di Pasqua e dei dolci tipici della tradizione abruzzese fatti per lo più di pasta di mandorle, ricoperti da uno strato di confettini colorati, a cui vengono date le forme della pupa, per le bambine, del cavallo, per i maschietti, e dei cuori che vengono regalati dai fidanzati. In alcune zone si producono dolci a forma di ciambella che nella forma rievocano la corona di spine portata sul capo da Cristo. C’è una forte presenza di simboli chiaramente pasquali nella cucina di questi giorni festa: l’agnello simbolo del sacrificio, i dolci a forma di colomba emblema della pace, e l’uovo di cioccolata o sodo decorato con disegni. L’uovo è da tempi immemorabili simbolo di rinascita e fecondità ed è largamente utilizzato nella preparazione di pietanze della nostra tradizione. Nell'iconografia cristiana, è il simbolo della Resurrezione, il suo guscio rappresenta la tomba dalla quale esce un essere vivente. Secondo antiche credenze pagane e mitologiche, invece il cielo e il pianeta erano considerati due emisferi che creavano un unico uovo. Per gli antichi Egizi, l’uovo era il fulcro dei quattro elementi dell’universo : acqua, aria, terra e fuoco. La tradizione di donare le uova, invece, iniziò ben prima della nascita del Cristianesimo, già i Persiani infatti usavano scambiarsi uova di gallina per dare il benvenuto alla primavera, con riti per la fecondità ed il rinnovamento della natura; seguiti nel tempo da altri popoli antichi quali gli Egizi, che consideravano il cambio di stagione una sorta di primo dell’anno, i Greci e i Cinesi. L’uovo ha sempre rappresentato la vita che si rinnova. Non è casuale che gli antichi Romani usassero dire:“Omne vivum ex ovo”, seppellendo un uovo dipinto di rosso nei loro campi, come rito propiziatorio per il buon esito del raccolto.

Con l’avvento del Cristianesimo, molti riti pagani vennero recepiti dalla nuova religione; la stessa festività della Pasqua risente ancora di influssi antichissimi: cade, infatti, tra il 25 marzo ed il 25 aprile, ovvero nella prima domenica successiva al Plenilunio che segue l’Equinozio di primavera. L’usanza dello scambio di uova decorate si sviluppò poi anche, nel Medioevo come regalo alla servitù. Nello stesso periodo, l’uovo decorato, intrecciandosi con il Cristianesimo, divenne il simbolo della rinascita dell’Uomo, di Cristo. La diffusione dell’uovo come regalo pasquale invece sorse probabilmente in Germania quando, fra i tradizionali doni di Pasqua, comparve il regalo di semplici uova.

Sempre nel Medioevo, si diffuse la tradizione di creare uova artificiali fabbricate o rivestite in materiali preziosi: argento, platino o oro, destinata agli aristocratici e ai nobili. Ma la ricca tradizione dell’uovo decorato è dovuta all’orafo Peter Carl Fabergé, che nel 1883 ricevette dallo zar dell’epoca il compito di preparare un dono speciale per la zarina Maria. Per l’occasione, l’orafo creò il primo uovo-gioiello, di platino, smaltato di bianco, contenente un ulteriore uovo, in oro con due doni: una riproduzione della corona imperiale ed un pulcino d’oro. La fama che ebbe il primo uovo di Fabergé contribuì anche a diffondere la tradizione del dono all’interno dell’uovo. L’uso di ornare l’uovo di Pasqua con decorazioni variopinte ha origini religiose antichissime: secondo la leggenda, Maria Maddalena, recatasi al sepolcro di Gesù insieme ad altre donne, avendolo trovato vuoto, corse alla casa nella quale si trovavano i discepoli, annunciando la straordinaria notizia. Il discepolo Pietro la guardò incredulo e poi disse: “Crederò a quello che dici solo se le uova contenute in quel cestello diverranno rosse”: improvvisamente le uova si colorarono di un rosso intenso. In tempi più recenti, l’uovo di Pasqua per eccellenza è il classico uovo di cioccolato, la cui nascita è ancora incerta Secondo alcuni storiografi il primo a far realizzare le uova di cioccolato fu Luigi XIVsecondo altri l’idea proviene dalle Americhe, ossia da dove la pianta del, il cacao, è originaria.



Giovanni Chiola, poeta dialettale loretese, nel volume "Li feste arcunusciute" pubblicato nel 1965, fa un excursus di tutte le feste tradizionali di Loreto e delle tradizioni ad esse legate. Tra queste vi è una poesia dedicata proprio all’uovo:


Avorie e argente di li live ‘nfiore
pi li culline azzenne gnè nu vele.
Trapuntate di verde e di sbiannore.
Finite lu diune, pure st’anne.
Lu console vè press’allu dolore!
Nnienz’alla tavul’all’impete armane.
Lu padre e ‘ntorne adune la famije,
tè l’ove benedette ‘nchi la mane
‘nchi l’atre fa la croce e ‘ntone piane
nu pateravegloria, nchi li fiie,
e fa la Sante Pasque da cristiane.


Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli
email: mancinellielisabetta@gmail.com
I documenti sono tratti dall’Archivio di Stato.

Da: Storia e Storie d'Abruzzo