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26 gennaio 2024

Ludovico Teodoro, figlio del celebre Donato Teodoro di Chieti, le sue opere nel Duomo di San Leucio e altri Artisti abruzzesi di interesse nelle Chiese di Atessa.

Ludovico Teodoro, San Leucio nelle vesti di vescovo, con ai piedi il Dragone, Duomo di Atessa

Ludovico Teodoro, figlio del celebre Donato Teodoro di Chieti, le sue opere nel Duomo di San Leucio e altri Artisti abruzzesi di interesse nelle Chiese di Atessa

Prima Puntata

di Angelo Iocco

Poco si conosce di questo artista, figlio del celebre Donato Teodoro di Chieti[1], uno dei migliori che fu attivo nell’Abruzzo chietino e nel Molise, ma anche nell’area di San Benedetto del Tronto e del teramano (dipinse il soffitto della Collegiata di Campli), dagli anni ’30 agli anni ’50 del ‘700. Per vent’anni dominò la scena con altri colleghi spesso napoletani, come Ludovico De Majo, Francesco Solimena, Giovan Battista Spinelli. Fu sepolto a Chieti nella chiesa di San Domenico, andata demolita nel 1914 per costruire il palazzo della Provincia di Chieti. La lezione del Teodoro pare essere stata recepita anche in Atessa, benché non siano attestate sue opere nelle chiese. Un esempio è l’affresco della volta della sala grande del palazzo De Marco-Giannico, ex casa di riposo, in Largo Castello, la cui scena illustra al primo piano Ercole che combatte l’Idra di Lerna, e al centro il Giudizio di Paride con Giunone, Minerva e Venere con l’Amorino, e attorno nelle nuvole dell’Olimpo, figure femminili e Grazie. La scena, ripresa anche dalle stampe che circolavano in quei tempi, ricorda per la divisione in due scomparti,. Le due tele del Teodoro di Chieti (chiesa di Santa Maria della  Civitella) e Guardiagrele (chiesa di Santa Chiara) con il tema della Cacciata del Demonio e degli Angeli ribelli dal Paradiso.

Dal volume A. e D. Jovacchini, Per una storia di Atessa, Cassa di Risparmio, Atessa, 1993

Ludovico figlio di Donato, attivo nella seconda metà del Settecento, fu ugualmente pittore, e non dimenticò l’insegnamento paterno, apprezzava le grandi scene corali, spesso rintracciabili nei dipinti di Luca Giordano a Napoli, dove andò a formarsi, come fece suo padre; e non mancava sicuramente di avere una personale collezione di stampe, da cui traeva ispirazione per i suoi affreschi di ampio respiro. Al momento, pienamente attribuibile a Ludovico, sono la tela di San Leucio vescovo col dragone, presente nell’altare maggiore del Duomo di Atessa, firmato e datato 1779. Benché non firmate, mi sento di attribuirli anche le due tele laterali del coro dei Canonici, che ritraggono la Natività con la Sacra Famiglia, e l’Adorazione dei Pastori. Opere  un di gusto teodoriano per la ben costruita scenografia, anche se con le immancabili grossolane superfetazioni del Bravo, e i fondi oscuri tipici dell’ultimo Donato, di chiara derivazione tardo caravaggesca[2].

Anonimo, Annunciazione, chiesa della Santissima Annunziata, Civitaluparella, 1790.

il ciclo di pitture sulla volta centrale della stessa chiesa collegiata di Atessa, con scene bibliche del Vecchio Testamento. Purtroppo a causa di danneggiamenti, le pitture sono state rifatte in più punti di scadenti restauratori, rovinando completamente l’opera ad esempio nella prima scena:“Battaglia e Giuditta con la testa di Oloferne”, dove si vedono i pesanti ritocchi del Bravo. I tondi laterali la controfacciata con i Santi Principi Pietro e Paolo, pure sono di Ludovico Teodoro.

Il secondo riquadro: “David accoglie Saul vincitore contro Golia” è molto simile al quadro dipinto dal padre Donato che mostra la scena di “Davide con la testa di Golia davanti a Saul”, oggi conservata nel palazzo Martinetti-Bianchi di Chieti, oppure allo stesso soggetto per la volta della chiesa madre di Colledimezzo. La composizione del soggetto ha la stessa matrice, ma il risultato di Ludovico è più scadente. In parte è dovuto ai restauri di Ennio Bravo, che ha cambiato alcuni volti, in parte alla stanca ripetizione dei modelli, come il barbuto Saul sul trono che è impaurito dalla scena macabra, e il giovane David, che con la sua smorfia di sofferenza esprime quel mansuetismo, quasi senso di colpa per i propri trionfi, che accomuna diverse opere di Donato che abbiano questa peculiarità del Trionfo del Bene sul Male, quasi uno strizzare l’occhio al Davide con la testa di Golia del Caravaggio. Ma appunto, ciò non riguarda tutte le opere del Donato, basta riferirsi ai volti trionfanti di Giuditta con la testa di Oloferne nella chiesa di Sant’Agata di Chieti, o ad altri soggetti simili, come lo stesso tema nella cupoletta del santuario dell’Assunta di Castelfrentano, et similia.

Donato Teodoro, Incontro tra Salomone e la Regina di Saba, Museo d’arte “C. Barbella”, Chieti, foto M. Vaccaro per gentile concessione

La scena “Saul placato dall’arpa di David e l’Arca dell’Alleanza” si divide in tre momenti, sulla sinistra il coro di cantatrici con strumenti musicali, al centro Saul che suona l’arpa, a destra i sacerdoti e l’Arca.

Navata del Duomo di Atessa


Osserviamo le fotografie delle pitture della volta del Duomo.

1° dipinto: L. Teodoro, Giuditta e Oloferne, particolare

2° dipinto, Saul e David con la testa di Golia, particolare di David

3° dipinto: David suona l’arpa con l’Arca dell’Alleanza, veduta d’insieme e particolare


4° dipinto: Salomone e la Regina di Saba.

L’ultima scena “La Regina di Saba” ha moltissime somiglianze con il dipinto di Giacinto Diano che realizzerà nel 1788 ca. nella Basilica cattedrale di Lanciano, la matrice della stampa da cui i due pittori hanno attinto è la stessa. Anche qui notiamo l’esasperazione dei volti, l’abbruttimento dei tratto somatici dei sacerdoti e delle cariche ebraiche, nonché i lunghi nasi, gli occhi strabuzzati, i pizzetti appuntiti, i turbanti delle figure di religione islamica contro cui si scontrano gli ebrei. Le pennellate sono molto chiare, seppur Ludovico non riesca a eguagliare la grandezza paterna. Osservando queste pitture, ci viene in mente il primo Donato Teodoro, non ancora trentenne, che fu attivo nel cantiere del santuario dell’Assunta di Castel Frentano, con la controfacciata della “Cacciata dei mercanti dal Tempio”; le pennellate simili, i colori leggermente sbiaditi, l’affresco orale di personaggi che si intrecciano in un turbinio di azioni, di giravolte, di scene concitate che inducono al movimento, a riguardare più volte la scena per adocchiarne i particolari.

Ludovico nel Duomo dipinse anche i tondi laterali con le figure degli Apostoli, e delle tele applicate ai pilastri della navata maggiore del Duomo, con le scene della Via Crucis.

 

Altre opere d’arte a San Leucio

Nel Duomo. Il pulpito in legno è della bottega Mascio di Atessa.

NAVATA DI SINISTRA, altare di San Michele che sconfigge Lucifero, è brutta copia di Francesco De Benedictis[3] del quadro di Guido Reni (sia De Benedictis che il suo predecessore Giuliano Crognale di Castelfrentano ne sfornarono di queste orride copie del quadro di Guido Reni per le chiese del chietino!), che però forse avrà copiato dal suo maestro Nicola Ranieri, per il san Michele presente nell’altare maggiore della chiesa di sant’Antonio di Lanciano, o da una stampa del quadro di Reni che circolava molto facilmente tra i disegnatori dei suoi tempi.

2° altare: Santa Lucia martire, quadro moderno di Ennio Bravo[4]

A seguire. Statua di san Pietro seduto, del XVI secolo, in pietra, dall’atteggiamento meditativo.

3° altare di San Giuseppe in cammino col Bambino, dell’800, autore locale, della scuola di Giacomo Falcucci

4° altare di San Bartolomeo martirizzato, opera dello stesso autore del precedente San Giuseppe col Bambino

CAPOALTARE NAVATA SINISTRA A CAPPELLA:  nicchie con statue del Sacro Cuore, San Donato e Madonna Immacolata, bottega locale. Il soffitto è stato rifatto da Bravo con i soliti cassettoni e fioroni.

Nella nicchia di controfacciata della seconda navata di sinistra, c’è il busto di San Leucio in argento di scuola napoletana datato 1857, e la costola del drago.

Ritratto del Prevosto Giandomenico Maccafani, presso la Sagrestia

NAVATA DESTRA: a muro in controfacciata, tela dell’Ultima Cena, autore ignoto, ma forse Giacomo Falcucci o di un suo seguace.

Altari laterali:

1° altare di Sant’Anna con Maria Bambina, tela di F. De Benedictis, di poco interesse.

2° altare con Martirio di San Sebastiano, con ex voto, forse di Giacomo Falcucci[5], è classificato come di anonimo dell’800.

3° altare di San Martino in gloria, con i putti che reggono le spighe. Ignoto, forse questo è un altro dipinto ignoto di Ludovico Teodoro; la postura è identica alla tela di san Leucio nell’altare maggiore. Il Santo con il braccio destro benedice, con l’altro regge il Vangelo e il pastorale. Accanto due angeli che reggono fasci di spighe. Quasi sempre Martino vescovo ha in mano un grappolo d’uva e un fascio di spighe di grano, per ricordare il suo protettorato sulle messi. A san Martino si rivolgevano preghiere per un raccolto prospero di grano, uva ed altro. Questa iconografia è presente in diverse opere pittoriche e scultoree che ritraggono il Santo. I due angeli hanno i volti tipici delle figure di Donato Teodoro, che riutilizzò questi modelli per diverse altre sue pitture, specialmente quello dell’angelo di destra che è di profilo, riutilizzato nei servitori delle pitture di Castelfrentano, Lanciano, Chieti. Interessante è anche la veduta in prospettiva di Atessa, dietro il santo, dal lato di Vallaspra, sulla destra vediamo il Duomo, con parte della facciata antica, privata nel 1935 delle volute laterali baroccheggianti, un restauro che forse ha restituito un aspetto troppo “razionalista” all’antica facciata gotica, a giudicare il periodo storico in cui venne recuperata. Sulla sinistra vediamo le mura di Porta Sant’Antonio, con il chiostro dell’antico convento dei Cappuccini e poi delle Clarisse di San Giacinto, demolito negli anni ’60, di cui resta una porzione con degli archi, e la torre massiccia della chiesa di Santa Croce.

 

Ludovico Teodoro (?), San Martino in gloria, con paesaggio, Duomo di Atessa


4° altare di Sant’Apollonia con la corona della purezza. Opera di F. De Benedictis

5° altare Beato Roberto da Salle, in ricordo della presenza dei Celestini in Atessa. Autore ignoto, forse è Marchiani o de Benedictis.

Chiesa di San Giovanni, Atessa, le due pitture del XVIII secolo del Battesimo di Gesù e dell’Annunciazione.


Chiesa di San Giovanni Battista: la chiesa in piazza Benedetti, purtroppo da oltre due decenni è in abbandono, chiusa al pubblico. Da alcune fotografie storiche abbiamo appurato che presso l’altare maggiore in stucco, a nicchione, con cornice stuccata, vi  era la Madonna di Lourdes del Falcucci, spostata successivamente nella cappella della chiesa di Santa Croce.



Confronto tra le cornici d’altare in stucco dipinto, della chiesa di San Giovanni di Atessa, e della Madonna del Girone di Pizzoferrato


La chiesa di San Giovanni oggi conserva, di interesse, le tele del Battesimo di Cristo e dell’Annunciazione, presso le due cappelle dei Lombardi dei bracci del transetto. Pitture seicentesche della cerchia di Felice Ciccarelli, francamente tra le più belle di questo periodo artistico ad Atessa. Siamo nella metà del ‘700, e in questo frangente, come abbiamo illustrato, operavano il Teodoro, prima di lui lo Spinelli, dalle tinte oscure tipiche del Caravaggio, cui forse si ispirò questo pittore, il Conca nel sulmonese, il De Mura. Le tinte molto calde sembrano suggerire qualche influenza da parte dei prosecutori dell’opera di Tiziano. Anche se Nel Battesimo l’anonimo pittore si ispirò forse alla tela omonima di Paolo De Matteis, attivo a Castel di Sangro, lungo la via per Napoli, i cui traffici interessavano anche l’area del Sangro a ridosso di Atessa: il Cristo con le braccia incrociate al petto, nell’atto di piegarsi alla Volontà di Dio, è identica a un quadro del De Matteis, riapparso in una vendita all’asta, così come il San Giovanni, posto di lato, nell’atto di versare l’acqua (cfr. https://www.arsvalue.com/it/lotti/149247/paolo-de-matteis-piano-vetrale-1662-napoli-1728-battesimo-di-cristo).

Interessante l’accostamento tra le cornici che accolgono le opere della chiesa suddetta e di quella della Madonna del Girone di Pizzoferrato, realizzate a stucco dipinto con pennacchi e tralci festosi; l’animo scultore doveva essere dell’area del Sangro: mentre quella del San Giovanni è più schematica, per ornare il rettangolo della tela, la cornice di Pizzoferrato con i putti laterali è più movimentata.

Non c’è altro da dire sulla chiesa di San Giovanni, l’altare maggiore è andato smembrato, una moderna statua del Sacro Cuore occupa la nicchia, le pitture laterali, e della volta, come il Giovanni Battista, sono le solite opere di Bravo; quest’ultima del San Giovanni presa a modello dall’Ecce Homo di F. Palizzi di Vasto.

 

Atessa e la scuola di Orsogna dei Tenaglia

Spostiamoci nel quartiere di Santa Croce. Ecco il complesso della Madonna della Cintura. La chiesa inferiore, intitolata alla Madonna dei Raccomandati esisteva già nella prima metà del XIV secolo.

Nel 1545, secondo lo storico locale Tommaso Bartoletti venne fatto in inventario dei beni della chiesa inferiore. Nello stesso anno nacque la confraternita dei Raccomandati. La frammentarietà delle fonti documentarie non consentono di capire se la chiesa inferiore e la chiesa superiore siano state edificate nello stesso periodo o se quest'ultima sia costruita successivamente.

Nel 1576 la chiesa superiore fu oggetto di interventi di restauro grazie al contributo del devoto Bernardino Innamorato come testimoniato dall'iscrizione del portale d'ingresso.

Fonti bibliografiche affermano che agli inizi del Settecento la chiesa superiore fu restaurata e arricchita con parte degli arredi dell'antica chiesa di Santa Giusta a cui poi fu intitolato l'edificio.

Le pitture sono stare realizzate nel 1876 dalla Congrega della Cintura. Sulla sinistra vi è un confessionale di scuola orsognese, con un “memento mori”, e un teschio. Occorrerebbe consultare gli atti e i registri della Congrega della Cintura, per individuare qualche probabile atto di pagamento per la realizzazione del confessionale, magari con la fortuna di trovare anche il nome dell’artigiano che lo realizzò! Per ora esso lo attribuirei a quella scuola orsognese dei Salvini (realizzatori di pulpiti, e a volte a Chieti anche confessionali) e dei De Fabritiis.

Un discendente della famosa stirpe dei Tenaglia è Demetrio. In una recente pubblicazione di Luigi Impicciatore: Santa Maria Maggiore – Dal palinsesto ai restauri, Carabba, Lanciano 2022, nell’appendice dei documenti, dalle carte tratte dall’Archivio privato “F. Sargiacomo” presso Archivio storico comunale di Lanciano, si ricorda un mandato di pagamento al capomastro Demetrio Tenaglia per la realizzazione di stucchi e ornamenti neogotici nella chiesa antica a tre navate. Demetrio Tenaglia fu menzionato anche da Plinio Silverii nel suo primo volume già citato, ma non è riuscito a menzionare di lui alcuna opera. Del resto ancora oggi Demetrio resta uno scultore sfuggente, anche perché coi vari restauri che subì questa chiesa lancianese, poco resta di lui. Pare che realizzò per cono di Sargiacomo il ciborio monumentale neogotico del cappellone del Sacro Cuore, quello dove oggi è stato ripristinato l’altare maggiore, ma esso andò distrutto coi restauri del 1968.

 

Fabrizio de Fabritiis di Orsogna, Confessionale, chiesa della Santissima Trinità, Chieti

 

Orsogna, piccolo paese sulle verdi colline marrucine, si sa, è patria di scultori e musicisti. Avendo noi parlato già della famiglia Tenaglia e Salvini, della prima avendo descritto le qualità artistiche di Luigi e Filippo Tenaglia detto “il Santoncino”, perché era esperto nello scolpire statue per chiese, adesso concentriamoci su altri familiari di questa stirpe. Demetrio Tenaglia è ricordato da Umberto Jori nella pubblicazione “Gemme d’Abruzzo- Moscufo: storia, arte, turismo”, Chieti. Non si possiede oggi molto di lui, se non qualche scultura lignea e un pulpito nella chiesa madre di Moscufo, veramente ben fatto e di pregevole intaglio. Forse a Orsogna collaborò con Luigi Tenaglia e Modesto Salvini alla realizzazione del coro ligneo e del pulpito della distrutta chiesa di Santa Maria del Riparo, come ricorda Plinio Silverii in “Orsogna…in costume – Talami, coro, banda, usanze”, Orsogna, 1981. Sicuramente la congrega aveva commissionato agli scultori ed ebanisti locali la realizzazione di div erse opere d’arte, tra il coro, il pulpito, l’organo e le statue varie. Ma purtroppo la furia della guerra distrusse tutto! Fabrizio de Fabritiis era altro orsognese quotato, tanto che si formava nelle opere di sua realizzazione. Le opere che attualmente sono censite, si trovano nella chiesa della Santissima Trinità di Chieti, un confessionale e un pulpito ligneo, e a Moscufo. Il confessionale è ben disegnato nelle proporzioni, negli archi di accesso si formano interessanti “gole” concave e convesse per dare vivacità alla struttura.


Fabrizio de Fabritiis, pulpito, chiesa della Santissima Trinità, Chieti

 Il pulpito laterale è un piccolo capolavoro della scuola orsognese, non raggiunge le vette del compaesano Modesto Savini che in Chieti realizzò i pulpiti e i confessionali delle chiese di Sant’Agostino, San Domenico degli Scolopi, del Duomo, di San Francesco d’Assisi, caratteristici pulpiti per la base bombata e per i riccioli e gli ornamenti del baldacchino; tuttavia i fregi a rilievo nella facciata sono ben disegnati, così come le volute dello schienale della balconata, il baldacchino è impreziosito all’interno della tipica colomba dello Spirito Santo, e nel coronamento da ninnoli e festoni, e dei putti. L’ambone della chiesa di san Domenico di Moscufo è forse della scuola del De Fabritiis, o forse scolpito da uno dei Tenaglia, è riccamente ornato da contrafforti laterali che terminano a volute e riccioli a capitelli corinzi, al centro una croce che è retta da un festone elaborato, e la scritta MYSTERIUM VERBI. Altra opera di eccelsa fattura comunque, che mette in risalto la maestria di questa scuola orsognese che merita una decisa rivalutazione.


Bottega orsognese, ambone, chiesa di San Domenico, Moscufo

L’organo è D’Onofrio di Caccavone oggi Poggio Sannita, ha le ante dipinte con il classico tema del telo che era utilizzato per coprire l’organo. Alla base della cantoria vi sono tre nicchie con il gruppo delle Tre Marie Dolenti, ottocentesche, restaurate però da Bravo. Vi è un confessionale in legno di noce con i simboli della Morte, di scuola orsognese.

Opere: Cristo risorto, opera di M. Falcucci, restaurato da Bravo, che ha fatto perdere la sua qualità, è da accostare per finezza al Cristo risorto presso il santuario dell’Assunta di Castelfrentano, di Gabriele Falcucci.



Cristo risorto di Atessa e quello di Castelfrentano di Falcucci

 Altare con nicchia e statua di San Sebastiano, opera di Gioacchino Pellicciotta da Perano. Pellicciotta era figlio di Giambattista, e fratello di Carlo, molto più longevo di lui, morto giovane a Perano. Di Carlo scultore e pittore, parla  Pasquale Del Cimmuto, “La bellezza di Elena e del bronzo”, 2022. Nacque nel 1833 a Perano, col trasferimento del padre per varie committenze. In Barisciano mandò una statua della Madonna del Carmine per adornare la chiesa madre, in Perano nella chiesa di San Tommaso adornò, con il collega Luigi Tenaglia (e il fratello Filippo) da Orsogna, l’altar maggiore, con delle belle statue e soprattutto con il magnifico paliotto d’altare in marmo con elaborazioni vegetali allegoriche. Vincenzo Balzano ne parlò per brevissimi cenni nel suo volume “L’arte Abruzzese”, 1910, e poi in una nota inedita in occasione della Mostra d’Arte Abruzzese in Chieti nel 1905, ma non riuscì a schiarire le nebulosità che ruotava attorno a questi due artisti. Lo stesso Pasquale Del Cimmuto, nel suo recente “La bellezza di Elena e del bronzo”, 2022, cerca di fare qualche lume, citando le poche opere accertate, ma ad esempio non menzionando l’altare maggiore di Perano, e limitandosi alla Madonna di Barisciano. Come detto, Gioacchino e Carlo scolpirono in un periodo di revival del gusto abruzzese del barocco, in un angolo felice del chietino che va da Orsogna alla Val di Sangro, con i Salvini, i Tenaglia, i Falcucci atessani. Nei dintorni di Perano, anche se non ancora ufficiali, varie sono le attribuzioni di statue a Gioacchino Pellicciotta, nella parrocchiale di Archi, nella cappella di sinistra la chiesa, c’è una bella Crocifissione,  nella chiesa del Suffragio in Fara San Martino a lui è attribuibile un San Michele arcangelo che schiaccia il Demonio, nella chiesa parrocchiale dello stesso paese sue sono il San Martino nelle vesti di vescovo, e Sant’Apollonia, così come alcune statue sparse tra Tornareccio, Montazzoli, Monteferrante.  A Gessopalena, nella chiesa parrocchiale, vi è un San Rocco a lui attribuito, tra le statue più grandi che realizzò. Realizzava principalmente piccole sculture.

Gioacchino Pellicciotta, San Rocco, Chiesa della Madonna dei Raccomandati, Gessopalena

Pellicciotta fu anche scultore d’arte profana, una manciata di bozzetti in legno con figure umane, simili a quella di Costantino Barbella, furono esposte alla Mostra d’arte di Firenze del 1881, e poi pervenute nella Pinacoteca civica di Chieti, trasformata infine nel Museo d’arte Barbella. Uno scultore ancora tutto da scoprire il nostro Gioacchino, insieme al fratello Carlo, che lo aiutò nel realizzare il maestoso paliotto d’altare della parrocchiale di Perano. Il Paliotto è in pietra calcarea della Majella, rischiò negli anni ’60 la demolizione per l’adeguamento liturgico, ma fu salvato dalla volontà ferma dei parrocchiani. Si caratterizza per l’elegante mensa, le volute, i tralci, i fiori, le mele, le canestre di frutta che rappresentano il Bene, che è corroso dal Male, ossia i bruchi e i topolini che vanno mangiando i dolci frutti.

Perano, altare di G. Pellicciotti della chiesa parrocchiale di San Tommaso

 

Torniamo ad Atessa, alla chiesa della Cintura.

Altare con nicchia di Sant’Anna, statua forse di Falcucci

Statua maggiore della Madonna della Cintura, vestita dalle devote, e con parrucca di capelli delle devote, opera di Luigi Tenaglia orsognese, restaurata da Falcucci.

Filippo Tenaglia “il Santoncino” di Orsogna

Grande esponente della scuola orsognese di scultura lignea, era figlio di Luigi Tenaglia.  Quest’ultimo fu attivo alla fine del’700, seguì quella tradizione orsognese degli intagliatori e scalpellini ricordata negli articoli di Francesco Verlengia su Orsogna, documentata sin dal XV secolo. Realizzò diverse opere, anche se non sempre si firmava, per cui resta difficile rintracciarle tutte, per comporre magari qualche bella pubblicazione a tema con catalogo. Oltretutto quelle censite sono stare quasi sempre restaurate dai Falcucci di Atessa.

Eccole: statua di Sant’Antonio di Padova nella chiesa di Sant’Antonio di Atessa, del 1796, di cui ci occuperemo nella seconda puntata dello studio;

Statua di San Rocco e il cane, presso il santuario della Madonna Lauretana di Torino di Sangro, firmata e datata, con restauro di Falcucci;

Statua della Madonna della Cintura del 1793, già citata, nella chiesa eponima di Atessa, restaurata da Falcucci;

Statua di San Filippo Neri di Perano, anche se secondo altri sarebbe del figlio Filippo Tenaglia.

Ambedue vivevano nella casa Tenaglia, ricavata dall’ex chiesa di San Martino, una delle più antiche di Orsogna, che aveva il suo ingresso su via Roma, precedentemente fuori le mura medievali; oggi il palazzo Tenaglia dal bel portale barocco con stemma di famiglia nella chiave di volta dell’architrave, affianca la parrocchia di San Nicola dalla stradina che immette a Largo Piano Castello. 

F. Tenaglia, San Filippo Neri, chiesa di San Tommaso, Perano


Atessa, Madonna della Cintura, chiesa confraternale omonima

Poco si sa sull’attività di Filippo e Luigi; Plinio Silverii ne ha tracciato un breve profilo biografico nel suo primo libro “Orsogna – Costumi, tradizioni, la banda, i talami, giochi”, edito a Orsogna nel 1981; qualcun altro ne ha scritto saltuariamente, di recente Pasquale De Cimmuto nel suo “La bellezza di Elena e del bronzo – Abruzzo e Abruzzesi nella scultura dell’Ottocento e del Novecento”, 2022, ha fornito ulteriori ragguagli sulla sua attività. Qui vogliamo fare un omaggio a un concittadino dello scrivente, che nell’area Marrucina, fino a Chieti e Lanciano, seppe dare grande prova della sua arte, insieme a Modesto Salvini orsognese, maestro dei pulpiti, che ammiriamo a Chieti: nella chiesa di San Francesco d’Assisi, nella chiesa di San Domenico al corso, nella chiesa della Trinità, nel Duomo di San Giustino, nella chiesa di Sant’Agostino; a Lanciano nel santuario di San Francesco, a Orsogna nella parrocchia di San Nicola, a Guardiagrele nella chiesa di San Rocco, a Pennapiedimonte nella chiesa parrocchiale.

Filippo, secondo alcuni fu scultore della bellissima statua del San Filippo Neri della chiesa madre di Perano, in atteggiamento così estatico, e con il movimento virtuoso della braccia aperte in gloria di Dio. Scolpì la statua del patrono San Vito nella chiesa madre di San Vito chietino, scolpì per la chiesa di San Raffaele , ex Madonna della Pietà, la statua del Compianto del Cristo morto, ovvero la Madonna addolorata col Cristo tra le ginocchia; il San Cristoforo per la chiesa madre di Moscufo, nel 1805 il San Giuseppe per la chiesa madre di San Martino sulla Marrucina. Indubbiamente nella zona di Orsogna e dintorni, il “Santoncino”, così chiamato perché esperto nel realizzare le statue dei santi e Madonne, operò e scolpì bellissime sculture. A Orsogna aveva realizzato anche il Cristo morto per la Chiesa della Madonna del Riparo, andata completamente distrutta, ragion per cui la statua fu ristrutturata come possibile, cercando a memoria di ricordare come fosse l’originale. Luigi si spostò anche nell’area di Atessa, ad esempio sua è la statua della Madonna della Cintura nella chiesa omonima, datata 1793 e firmata. Filippo aveva realizzato anche un bellissimo presepe in terracotta per il convento dei Frati Minori Conventuali del Ritiro dell’Annunziata in Orsogna, presepe già in parte distrutto dopo la chiusura del convento nel 1867, al tempo dello scrittore Beniamino Costantini che ne parlò per primo, poche statue erano conservate, in discreto stato. Dopo i furori della guerra che colpirono pure il convento, anche questi miseri avanzi saranno andati irrimediabilmente perduti.

              San Vito Chietino, San Vito martire, chiesa parrocchiale dell’Immacolata Concezione

Il Santoncino è uno degli ultimi rappresentanti di una scuola tutta orsognese di maestri lavoratori del legno, che non ebbe eguali nell’area frentana. Alleghiamo altre opere che abbiamo a lui attribuito, anche se non sono firmate:

 


Filippo Tenaglia: Madonna tra Anime Purganti, San Giovanni Battista, presso la chiesa madre di Ari; San Rocco, presso la chiesa di San Rocco, Vacri.

*il San Rocco nella chiesa di San Rocco di Vacri: il Santo è in postura eretta, col vestito da viandante, il mantello rosso, la conchiglia d’oro a fermaglio del tabarro, con il bastone in mano, con l’altra indica la ferita alla gamba.

*il San Giovanni Battista con l’agnello presso la chiesa parrocchiale di Ari, da cui fu preso il modello per il nuovo San Giovanni con la spiga e il modellino di Orsogna sulla mano, conservato nella chiesa madre del paese;

*la Madonna Immacolata con le Anime purganti nella stessa chiesa madre di Ari. La Madonna alza gli occhi al cielo con le mani giunte, le Anime tra le fiamme sono in basso, come vuole l’iconografia. L’aspetto di questa Madonna è da accostare al volto (ma del resto Tenaglia utilizzava lo stesso modello, anche per le vesti in cartapesta dipinta), alla Madonna Immacolata presso la nicchia d’altare della sede della Congrega di Maria Ssma della Pietà e Concezione nella chiesa di Santa Maria Maggiore di Lanciano. Nell’archivio della Congrega, ci segnala Franco G. Maria Battistella, si conservano i mandati di pagamento a lui, al collega di lavoro Modesto Salvini che realizzò un busto di San Pasquale Baylon, oggi conservato nel Museo diocesano lancianese, e per Nicola Ranieri di Guardiagrele, per la realizzazione delle pitture dei tondi in stucco nella sede della stessa Congrega, aventi per tema le Storie della Vergine, e i Simboli dei Quattro Evangelisti, in parte completati successivamente da Girolamo Rizza con dei bassorilievi.

Mensa d’altare in scagliola, che imita il marmo, il Cristo crocifisso forse è opera di Pellicciotta.

Altare con nicchia di Sant’Agostino, scultura in cartapesta del Falcucci.

Altare con nicchia di San Nicola di Tolentino, opera di G. Pellicciotta di Perano

Accanto vi è il piccolo gruppo scultore di Sant’Anna con Maria bambina e San Gioacchino, autore incerto, restaurate pesantemente da Bravo.

Atessa, chiesa di San Domenico, altare maggiore

Notevole è il Complesso di San Domenico o del Rosario in Atessa, che occupa un intero isolato tra Largo Municipio, e le scalette di via Fontana vecchia. Atti notarili risalenti al 1313 attestano la fondazione della chiesa nel 1275 dai Padri Domenicani. Da documenti citati dallo storico locale Bartoletti si hanno notizie di lavori importati eseguiti alla chiesa nel 1556. Agli inizi del Seicento fu rifatto il soffitto alle navate laterali, mentre i lavori alla facciata si protrassero fino al 1664. Lo stesso anno (1664) ad opera di Fra' Antonio Coccia fu realizzato il portale, come documentato dall'iscrizione incisa sulla trabeazione.

La chiesa e il monastero ospitavano la Congregazione del Santissimo Rosario, che nel 1857 fece rifare l'altare privilegiato. Con le varie soppressioni francesi e piemontesi, il monastero fu adibito a vari usi, un'ampia parte ancora oggi ospita il municipio. 

La chiesa era a navata unica, successivamente nel ‘600 allargata a tre navate.

La volta ha le pitture di Giuseppe Falcucci, padre di Michele e Gabriele. Le pitture mostrano le scene della vita di Gesù e Maria; sue sono anche le pitture presso le arcate dei pilastri che sorreggono le tre navate.

Scene rappresentate: PENTECOSTE – ASSUNZIONE DI MARIA – MARIA INCORONATA REGINA DEI CIELI DA DIO PADRE E GESU’. Lo schema è dozzinale, simile alle scene Mariane presso la chiesa del santuario dell’Assunta di Castel Frentano. E. Bravo negli anni ’50 ha dipinto la calotta absidale con i Quattro Evangelisti e i loro simboli.

Altare maggiore, nicchione tabernacolo in scagliola dipinta, al Madonna del Rosario vestita con i capelli delle devote, è opera di G. Falcucci. Purtroppo ci sono pesanti restauri di Bravo.

All’altezza dell’altare maggiore, nel pavimento della navata centrale, c’è la tomba dei Coccia.

Cantoria, organo forse dei D’Onofrio di Caccavone, con ai lati le due Muse Calliope ed Euterpe

SCULURE E TELE NAVATA SINISTRA:

San Pompilio Pirrotti, opera di G. Pellicciotti di Perano

Immagine della Madonna col Bambino nella cornice in legno dipinto. Autore? Forse è stata restaurata posticciamente.

Anonimo, Pentecoste con San Pompilio e Sant’Antonio, chiesa di San Domenico (da ex chiesa di Santo Spirito), Atessa

Grande tela della Pentecoste, dalla scomparsa chiesa di santo Spirito dei Celestini (stava sul colle san Cristoforo di Atessa, dove sorge la villa comunale): la Madonna è al centro con gli Apostoli, ai lati vi sono san Pompilio e Sant’Antonio di Padova. Vi è l’iscrizione della committenza: don Giacinto Onofrii di Sulmona sonò per la chiesa […] Santo Spirito?, in ricordo del fratello e della sorella Felicia d’Angelo per la chiesa fondata dai Benedettini, poi passata ai Terziari, e infine ai Celestini di Santo Spirito di Atessa, donò il giorn…mese settembre? 1645

Altare di San Mauro e un santo benedettino adoranti il Cristo morto. È una bella pittura del ‘600, scuola di Felice Ciccarelli?

Altare di san Vincenzo Ferrer, scultura di Falcucci

Altare con tela della Madonna, con re Carlo II e … che mostrano il ritratto di san Domenico fondatore dell’Ordine, opera di un locale del ‘600.

Altare della Madonna del Rosario. Vincenzo Bindi nel suo Dizionario degli artisti abruzzesi ricorda in loco una tela del Rosario di Felice Ciccarelli, distrutta, e rifatta da Giuseppe Falcucci, mostra la Madonna del Rosario con i Misteri, con ai piedi san Domenico e in basso nella predella le Anime purganti. L’altare è in legno dipinto e dorato. Cappella famiglia Di Donato.

Sacrestia: ha le tele di Francesco de Benedictis da Guardiagrele con i Sacri Cuori di Gesù e Maria e Sant’Eufemia, sono ottocenteschi. Vi anche il quadro di San Domenico di Cocullo, ottocentesco, di anonimo. Presso il coro ligneo dell’altare maggiore, vi sono due dipinti del 1826 che ritraggono i santi Pietro e Paolo.

NAVATA DESTRA:

Sepolcro famiglia Coccia, chiesa di San Domenico di Atessa, controfacciata destra
sepolcro famiglia Ferri, 1859, e sepolcro famiglia Coccia, in marmo, con gli stemmi di famiglia.

L’altare è della MADONNA DEL BUON CONSIGLIO: ha l’immagine sacra della Madonna col Bambino, a tela, incassata in una scena dipinta a monocromo a secco, con gli angeli che sorreggono la sacra Immagine, e in basso gli Agostiniano e dei pellegrini al santuario del Buonconsiglio di Gennazzano, dove venne rinvenuta la Sacra Immagine. È un ex voto commissionato dalla famiglia Ferri-Codagnone, che aveva il patronato. Questo dipinto di Atessa, nell’area abruzzese, resta uno dei pochi insieme al  grande ciclo della Sala Refettorio dei Monaci della Badia Morronese di Sulmona, del periodo 1717-19, opera del frate oblato Martinez, entro ricche cornici in stucco, con scene classiche tratte dal Vecchio e Nuovo Testamento: le Nozze di Cana, le Storie della vita di San Pietro Celestino, le Virtù Cardinali e Teologali, e sulla parete di fondo in posizione centrale la scena dell'Ultima Cena.


La tradizione attribuisce l'introduzione del titolo mariano di Mater Boni Consilii a papa Marco, al quale sarebbe da ascrivere l'evangelizzazione del territorio di Genazzano; l'erezione a Genazzano di una chiesa dedicata a Maria Mater Boni Consilii risalirebbe invece al pontificato di papa Sisto III e sarebbe da ricollegare al fatto che da quelle terre provenivano i beni utilizzati per finanziare la costruzione della basilica liberiana (Santa Maria Maggiore) a Roma.

La chiesa e la parrocchia della Madre del Buon Consiglio, per interessamento del principe Piero Giordano Colonna, con atto del 27 dicembre 1356 furono affidati ai frati eremitani di sant'Agostino.

Il 25 aprile 1467, festa di san Marco, su una parete della chiesa fu scoperto un dipinto, raffigurante la Vergine con il Bambino Gesù, che probabilmente era stato ricoperto in calce: l'immagine divenne presto oggetto di grande devozione popolare e si diffusero leggende secondo cui il dipinto sarebbe stato trasportato dagli angeli da Scutari per sottrarlo ai turchi che stavano invadendo l'Albania, o che si mantenesse straordinariamente sospeso su un sottilissimo strato di intonaco

Dal titolo della chiesa, l'immagine prese il nome di Madre del Buon Consiglio.

A opera dei frati agostiniani, soprattutto a partire dal XVIII secolo, l'immagine e il culto della Madre del Buon Consiglio si diffusero in tutta Europa: per esempio, fu davanti a un'immagine della Madre del Buon Consiglio conservata nella chiesa del collegio Imperiale dei gesuiti di Madrid che, il 15 agosto 1583Luigi Gonzaga maturò la decisione di entrare nella Compagnia di Gesù.

Nel corso dei secoli pontefici favorirono e promossero la devozione a Nostra Signora del Buon Consiglio: papa Clemente XII (appartenente a una famiglia di origine albanese) concesse l'indulgenza plenaria a quanti avessero visitato il santuario di Genazzano nel giorno della festa della titolare (25 aprile, anniversario dell'apparizione dell'immagine sul muro della chiesa di Genazzano) o nell'ottava successiva; papa Pio VI nel 1777 concesse un ufficio proprio con Messa per il giorno della festa della Madre del Buon Consiglio; papa Benedetto XIV, con breve Iniunctae Nobis del 2 luglio 1753 approvò la pia unione della Madre del Buon Consiglio di Genazzano, alla quale si aggregarono numerose altre confraternite.

Altare di Santa Giusta di F. Marchiani, chiesa di San Domenico, Atessa

A seguire, nella chiesa dei Domenicani, abbiamo un altare di san Nicola di Bari, nicchia con statua del Falcucci.

Altare di Santa Giusta, con ai lati Santa Lucia con gli occhi, e Sant’Agata con il simbolo del martirio; opera del ‘700 restaurata da Giacomo Falcucci.

Particolare dell’altare ligneo dipinto di Santa Giusta

Altare di Santa Giusta, commissionata da Nicola Antonio Genovese, opera di F. Marchiani di Ortona. L’altare in legno dipinto e intagliato, con il tabernacolo e l’ostensorio, è uguale a quello della Madonna del Rosario, corrispondente dalla navata di sinistra. Patronato famiglia Cardona, come riporta la lapide datata 1730, per il restauro fatto in ricordi di Giacinta Cardone figlia di Giacinto Cardone e Rosa Mascione, morta a 3 anni di età. Sul muro vi è la statua di San Mauro con l’Angelo, opera di Pelliciotta di Perano.

Nella prossima puntata di studio, ci occuperemo dei due paliotti d’altare di Giovanni Cardone di Atessa nella chiesa di Santa Croce, del pittore dei due altari di San Michele, della chiesa di San Pietro, oggi sconsacrata, e della chiesa di Sant’Antonio, e infine si tratterà di due inediti dei pittori Felice Ciccarelli e Tommaso Alessandrino.

 



[1] Donato Teodoro (Chieti1699? – Chieti1779). Nato a Chieti, centro fulcro di attività culturali nella provincia abruzzese, già a inizio '800 di lui scrissero Gennaro Ravizza e Vincenzo Bindi, in seguito Camillo Gasbarri e Gaetano Meaolo. Teodoro si formò a Napoli conoscendo l'arte di Luca Giordano l, Ludovico De Majo, Francesco Solimena e Francesco De Mura, assimilandone i modelli per le sue future committenze abruzzesi. Le prime pitture riguardano committenze a Chieti, per le chiese di San Giustino, Sant'Agata e la Santissima Trinità, per cui tornerà a lavorare negli anni '50 del 700 con il figlio Ludovico. Le richieste di soggetti a carattere biblico e mariano lo portarono anche nella provincia di Abruzzo Citeriore, Aquila (Cattedrale e Basilica di San Bernardino), e in Abruzzo Ultra, tra Campli e Civitella, Manoppello, Pianella del Tronto. Nel 1738 affrescò quasi tutto il santuario della Madonna dell'Assunta a Castel Frentano, con scene a soggetto biblico, ispirate sempre a modelli di Luca Giordano. Tra le sue opere il Martirio di San Massimo, del 1720 nella cattedrale dell'Aquila; le tele Salomone e la regina di Saba ed Ester e Assuero conservate presso il Museo d'arte "Costantino Barbella" di Chieti e provenienti dalla chiesa di Santa Maria della Civitella. Nella metà del '700 fu molto attivo a Lanciano, dove dipinse le tele del santuario del Miracolo eucaristico, e una tela della Natività di Gesù per la chiesa di Santa Lucia, successivamente traslata nella Cattedrale. Le sue opere si caratterizzano per l'enfasi scenografica influenzata dal tardo-barocco napoletano e dal tardo-manierismo nordico. Specialmente Teodoro si servì di grandi spazi per inscenare temi con vari personaggi in correlazione, conversazione, adorazione, oppure temi mistici con protagonista la Madonna. Predilesse soggetti biblici, simbolo della lotta fra Bene e Male come gli episodi di Giuditta e Oloferne o San Michele che scaccia Lucifero. Morì a Chieti e fu sepolto nel monastero di San Domenico al Corso, come ricorda Ravizza

 [2] Per caravaggisti di tardo respiro nella Valle del Sangro, che tuttavia non sono altro che una pallida imitazione dei grandi pittori napoletani, imitatori scadenti quasi sempre di Mattia Preti attivo in Abruzzo, mi sento di citare l’anonimo pittore che realizzò il quadro dell’Annunciazione presso la chiesetta dell’Annunziata di Civitaluparella, con anto di dedica: don Domenico Annibale Cam.co, Giuseppe di Cosimo Schieda e Diodato de Liberato e Pasquale Festa donarono, anno 1790. Sulle proprietà degli Schieda a Civitaluparella, vedi G. Schieda, Giuseppe Gallarano a Civitaluparella nel 1668, opuscolo stampato in proprio n. 13, copia presso la Biblioteca comunale di Lanciano. Lo stesso anonimo “pallido” caravaggista, accettando committenze di famiglie ben influenti locali nel Sangro, ebbe l’incarico anche di dipingere due tele negli altari dei de Rentiis e Falcucci nella chiesa di San Michele di Atessa, come vedremo nella seconda puntata di questo articolo; e a mia ipotesi, oggi visibili con restauri maldestri operati da Ennio Bravo negli anni ‘50.

[3] De Benedictis nacque da Filisdeo e Concetta Di Sciascio. Fu allievo del pittore anch'esso di Guardiagrele Niccolò Ranieri (Nicola Felice Bonaventura Ranieri da Guardiagrele) (1749 - 1850) presso lo studio nel convento dei Cappuccini, e con l'amico Ferdinando Palmerio, anche egli di Guardiagrele, contribuì a creare una sorta di "scuola pittorica di Guardiagrele" dell'800, i cui intenti erano quelli di diffondere una nuova ventata di classicismo nel chietino e nell'aquilano, mediante i modelli del barocco. Niccolò Ranieri prendeva come spunto varie incisioni realizzate nelle accademie napoletane per la formazione di pittori, tuttavia si ispirava palesemente anche alle tele della classicità, anche agli affreschi raffaelliani, seppur con esiti non sempre felici per la resa delle forme e del disegno, e per la immancabile assenza di doppia dimensione tra le scenografie realizzate (ampi piazzali, porticati, colonnati ecc.) e i personaggi ritratti. Ranieri, Palmerio e De Benedictis affrescarono e dipinsero tele quasi sempre a carattere religioso, per committenza di parrochi di varie chiese del chietino, del pescarese, e dell'aquilano; raramente realizzarono qualche ritratto privato o soggetti non religiosi. Ranieri diventerà poi il maestro del chietino Francesco Paolo Marchiani, a sua volta sarà maestro del celebre Francesco Paolo Michetti. I lavori del De Benedictis sono da ricondurre in piccoli paesi del chietino, perlopiù tele di spunto sacro di imitazione del maestro, nonché d'ispirazione ai modelli di Luca Giordano e Francesco Solimena, cui era scrupoloso nello stare attento nell'imitare, ma ad un certo punto imitò anche Guido Reni. Fu amico degli artisti Giovanni Santarelli e Federico Ferrari. La sua arte, a differenza delle città maggiori d'Abruzzo dove venivano chiamati spesso artisti più attrezzati di Napoli e della Lombardia, trovò posto nei paesetti di Orsogna, Guardiagrele, Filetto, Villa Santa Maria, Torino di Sangro, Casalincontrada.

[4] Ennio Bravo, figlio di Pasquale scultore, era atessano, e tra gli anni ’40 e ’70 del Novecento realizzò diverse tele per le chiese di Atessa e dei dintorni, come Perano, Archi, Tornareccio, arrivando anche a Orsogna. Restaurò anche statue settecentesche e ottocentesche, spesso effettuando manomissioni arbitrarie, e modificò soffitti e altari di chiese di Atessa; molti soffitti cassettonati di gusto neoclassico sono presenti nelle principali chiese di Atessa, nonché nel convento di San Pasquale, e nel santuario di San Mauro di Bomba. Cfr. il mio https://vastoabruzzo.blogspot.com/2022/10/le-pitture-dei-bravo-di-atessa.html

[5] Celebre pittore atessano, insieme ai figli Gabriele, pittore e scultore sordomuto, e Michele suo fratello. Cfr. il mio https://vastoabruzzo.blogspot.com/2022/10/gabriele-michele-e-giacomo-falcucci-la.html

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