Ludovico Teodoro, San Leucio nelle vesti di vescovo, con ai piedi il Dragone, Duomo di Atessa |
Ludovico Teodoro, figlio del celebre Donato Teodoro di Chieti, le sue opere nel Duomo di San Leucio e altri Artisti abruzzesi di interesse nelle Chiese di Atessa
Prima Puntata
di Angelo Iocco
Poco si conosce di
questo artista, figlio del celebre Donato Teodoro di Chieti[1],
uno dei migliori che fu attivo nell’Abruzzo chietino e nel Molise, ma anche
nell’area di San Benedetto del Tronto e del teramano (dipinse il soffitto della
Collegiata di Campli), dagli anni ’30 agli anni ’50 del ‘700. Per vent’anni
dominò la scena con altri colleghi spesso napoletani, come Ludovico De Majo,
Francesco Solimena, Giovan Battista Spinelli. Fu sepolto a Chieti nella chiesa
di San Domenico, andata demolita nel 1914 per costruire il palazzo della
Provincia di Chieti. La lezione del Teodoro pare essere stata recepita anche in
Atessa, benché non siano attestate sue opere nelle chiese. Un esempio è
l’affresco della volta della sala grande del palazzo De Marco-Giannico, ex casa
di riposo, in Largo Castello, la cui scena illustra al primo piano Ercole che
combatte l’Idra di Lerna, e al centro il Giudizio di Paride con Giunone,
Minerva e Venere con l’Amorino, e attorno nelle nuvole dell’Olimpo, figure
femminili e Grazie. La scena, ripresa anche dalle stampe che circolavano in
quei tempi, ricorda per la divisione in due scomparti,. Le due tele del Teodoro
di Chieti (chiesa di Santa Maria della
Civitella) e Guardiagrele (chiesa di Santa Chiara) con il tema della Cacciata
del Demonio e degli Angeli ribelli dal Paradiso.
Dal volume A. e D. Jovacchini, Per una storia di Atessa, Cassa di Risparmio, Atessa, 1993 |
Ludovico figlio di Donato, attivo nella
seconda metà del Settecento, fu ugualmente pittore, e non dimenticò
l’insegnamento paterno, apprezzava le grandi scene corali, spesso
rintracciabili nei dipinti di Luca Giordano a Napoli, dove andò a formarsi,
come fece suo padre; e non mancava sicuramente di avere una personale
collezione di stampe, da cui traeva ispirazione per i suoi affreschi di ampio
respiro. Al momento, pienamente attribuibile a Ludovico, sono la tela di San
Leucio vescovo col dragone, presente nell’altare maggiore del Duomo di Atessa,
firmato e datato 1779. Benché non firmate, mi sento di attribuirli anche le due
tele laterali del coro dei Canonici, che ritraggono la Natività con la Sacra
Famiglia, e l’Adorazione dei Pastori. Opere un di gusto teodoriano per la ben costruita
scenografia, anche se con le immancabili grossolane superfetazioni del Bravo, e
i fondi oscuri tipici dell’ultimo Donato, di chiara derivazione tardo
caravaggesca[2].
Anonimo, Annunciazione, chiesa della Santissima Annunziata, Civitaluparella, 1790.
Il secondo riquadro:
“David accoglie Saul vincitore contro Golia” è molto simile al quadro dipinto
dal padre Donato che mostra la scena di “Davide con la testa di Golia davanti a
Saul”, oggi conservata nel palazzo Martinetti-Bianchi di Chieti, oppure allo
stesso soggetto per la volta della chiesa madre di Colledimezzo. La
composizione del soggetto ha la stessa matrice, ma il risultato di Ludovico è
più scadente. In parte è dovuto ai restauri di Ennio Bravo, che ha cambiato
alcuni volti, in parte alla stanca ripetizione dei modelli, come il barbuto
Saul sul trono che è impaurito dalla scena macabra, e il giovane David, che con
la sua smorfia di sofferenza esprime quel mansuetismo, quasi senso di colpa per
i propri trionfi, che accomuna diverse opere di Donato che abbiano questa peculiarità
del Trionfo del Bene sul Male, quasi uno strizzare l’occhio al Davide con la
testa di Golia del Caravaggio. Ma appunto, ciò non riguarda tutte le opere del
Donato, basta riferirsi ai volti trionfanti di Giuditta con la testa di
Oloferne nella chiesa di Sant’Agata di Chieti, o ad altri soggetti simili, come
lo stesso tema nella cupoletta del santuario dell’Assunta di Castelfrentano, et
similia.
Donato Teodoro, Incontro tra Salomone e la Regina di Saba, Museo d’arte “C. Barbella”, Chieti, foto M. Vaccaro per gentile concessione |
La scena “Saul placato
dall’arpa di David e l’Arca dell’Alleanza” si divide in tre momenti, sulla
sinistra il coro di cantatrici con strumenti musicali, al centro Saul che suona
l’arpa, a destra i sacerdoti e l’Arca.
Navata del Duomo di Atessa |
Osserviamo le fotografie delle pitture della volta del Duomo.
1° dipinto: L. Teodoro, Giuditta e Oloferne, particolare |
2° dipinto, Saul e David con la testa di Golia, particolare di David |
3° dipinto: David suona l’arpa con l’Arca dell’Alleanza, veduta d’insieme e particolare |
4° dipinto: Salomone e la Regina di Saba. |
L’ultima scena “La Regina di Saba” ha moltissime somiglianze con il dipinto di Giacinto Diano che realizzerà nel 1788 ca. nella Basilica cattedrale di Lanciano, la matrice della stampa da cui i due pittori hanno attinto è la stessa. Anche qui notiamo l’esasperazione dei volti, l’abbruttimento dei tratto somatici dei sacerdoti e delle cariche ebraiche, nonché i lunghi nasi, gli occhi strabuzzati, i pizzetti appuntiti, i turbanti delle figure di religione islamica contro cui si scontrano gli ebrei. Le pennellate sono molto chiare, seppur Ludovico non riesca a eguagliare la grandezza paterna. Osservando queste pitture, ci viene in mente il primo Donato Teodoro, non ancora trentenne, che fu attivo nel cantiere del santuario dell’Assunta di Castel Frentano, con la controfacciata della “Cacciata dei mercanti dal Tempio”; le pennellate simili, i colori leggermente sbiaditi, l’affresco orale di personaggi che si intrecciano in un turbinio di azioni, di giravolte, di scene concitate che inducono al movimento, a riguardare più volte la scena per adocchiarne i particolari.
Ludovico nel Duomo
dipinse anche i tondi laterali con le figure degli Apostoli, e delle tele applicate
ai pilastri della navata maggiore del Duomo, con le scene della Via Crucis.
Altre opere d’arte a
San Leucio
Nel Duomo. Il pulpito
in legno è della bottega Mascio di Atessa.
NAVATA DI SINISTRA,
altare di San Michele che sconfigge Lucifero, è brutta copia di Francesco
De Benedictis[3]
del quadro di Guido Reni (sia De Benedictis che il suo predecessore Giuliano
Crognale di Castelfrentano ne sfornarono di queste orride copie del quadro di
Guido Reni per le chiese del chietino!), che però forse avrà copiato dal suo
maestro Nicola Ranieri, per il san Michele presente nell’altare maggiore della
chiesa di sant’Antonio di Lanciano, o da una stampa del quadro di Reni che
circolava molto facilmente tra i disegnatori dei suoi tempi.
2° altare: Santa Lucia
martire, quadro moderno di Ennio Bravo[4]
A seguire. Statua di
san Pietro seduto, del XVI secolo, in pietra, dall’atteggiamento meditativo.
3° altare di San
Giuseppe in cammino col Bambino, dell’800, autore locale, della scuola di
Giacomo Falcucci
4° altare di San
Bartolomeo martirizzato, opera dello stesso autore del precedente San
Giuseppe col Bambino
CAPOALTARE NAVATA
SINISTRA A CAPPELLA: nicchie con statue
del Sacro Cuore, San Donato e Madonna Immacolata, bottega locale. Il soffitto è
stato rifatto da Bravo con i soliti cassettoni e fioroni.
Nella nicchia di
controfacciata della seconda navata di sinistra, c’è il busto di San Leucio in
argento di scuola napoletana datato 1857, e la costola del drago.
Ritratto del Prevosto Giandomenico Maccafani, presso la Sagrestia |
NAVATA DESTRA: a muro
in controfacciata, tela dell’Ultima Cena, autore ignoto, ma forse Giacomo
Falcucci o di un suo seguace.
Altari laterali:
1° altare di Sant’Anna
con Maria Bambina, tela di F. De Benedictis, di poco interesse.
2° altare con Martirio
di San Sebastiano, con ex voto, forse di Giacomo Falcucci[5], è
classificato come di anonimo dell’800.
3° altare di San
Martino in gloria, con i putti che reggono le spighe. Ignoto, forse questo
è un altro dipinto ignoto di Ludovico Teodoro; la postura è identica alla tela
di san Leucio nell’altare maggiore. Il Santo con il braccio destro benedice,
con l’altro regge il Vangelo e il pastorale. Accanto due angeli che reggono
fasci di spighe. Quasi
sempre Martino vescovo ha in mano un
grappolo d’uva e un fascio di spighe di grano, per
ricordare il suo protettorato sulle messi. A san Martino si rivolgevano
preghiere per un raccolto prospero di grano, uva ed altro. Questa iconografia è
presente in diverse opere pittoriche e scultoree che ritraggono il Santo. I due
angeli hanno i volti tipici delle figure di Donato Teodoro, che riutilizzò
questi modelli per diverse altre sue pitture, specialmente quello dell’angelo
di destra che è di profilo, riutilizzato nei servitori delle pitture di
Castelfrentano, Lanciano, Chieti. Interessante è anche la veduta in prospettiva
di Atessa, dietro il santo, dal lato di Vallaspra, sulla destra vediamo il
Duomo, con parte della facciata antica, privata nel 1935 delle volute laterali
baroccheggianti, un restauro che forse ha restituito un aspetto troppo
“razionalista” all’antica facciata gotica, a giudicare il periodo storico in
cui venne recuperata. Sulla sinistra vediamo le mura di Porta Sant’Antonio, con
il chiostro dell’antico convento dei Cappuccini e poi delle Clarisse di San
Giacinto, demolito negli anni ’60, di cui resta una porzione con degli archi, e
la torre massiccia della chiesa di Santa Croce.
Ludovico Teodoro (?), San Martino in gloria, con paesaggio, Duomo di Atessa
4° altare di Sant’Apollonia con la corona della purezza. Opera di F. De Benedictis
5° altare Beato Roberto da Salle, in ricordo della presenza dei Celestini in Atessa. Autore ignoto, forse è Marchiani o de Benedictis.
Chiesa di San Giovanni, Atessa, le due pitture del XVIII secolo del Battesimo di Gesù e dell’Annunciazione. |
Chiesa di San Giovanni Battista: la chiesa in piazza Benedetti, purtroppo da oltre due decenni è in abbandono, chiusa al pubblico. Da alcune fotografie storiche abbiamo appurato che presso l’altare maggiore in stucco, a nicchione, con cornice stuccata, vi era la Madonna di Lourdes del Falcucci, spostata successivamente nella cappella della chiesa di Santa Croce.
Interessante
l’accostamento tra le cornici che accolgono le opere della chiesa suddetta e di
quella della Madonna del Girone di Pizzoferrato, realizzate a stucco dipinto
con pennacchi e tralci festosi; l’animo scultore doveva essere dell’area del
Sangro: mentre quella del San Giovanni è più schematica, per ornare il
rettangolo della tela, la cornice di Pizzoferrato con i putti laterali è più
movimentata.
Non c’è altro da dire
sulla chiesa di San Giovanni, l’altare maggiore è andato smembrato, una moderna
statua del Sacro Cuore occupa la nicchia, le pitture laterali, e della volta,
come il Giovanni Battista, sono le solite opere di Bravo; quest’ultima del San
Giovanni presa a modello dall’Ecce Homo di F. Palizzi di Vasto.
Atessa e la scuola di
Orsogna dei Tenaglia
Spostiamoci
nel quartiere di Santa Croce. Ecco il complesso della Madonna della Cintura.
La chiesa inferiore,
intitolata alla Madonna dei Raccomandati esisteva già nella prima metà
del XIV secolo.
Nel 1545, secondo lo storico locale
Tommaso Bartoletti venne fatto in inventario dei beni della chiesa inferiore. Nello
stesso anno nacque la confraternita dei Raccomandati. La frammentarietà delle
fonti documentarie non consentono di capire se la chiesa inferiore e la chiesa
superiore siano state edificate nello stesso periodo o se quest'ultima sia
costruita successivamente.
Nel 1576 la chiesa superiore fu
oggetto di interventi di restauro grazie al contributo del devoto Bernardino
Innamorato come testimoniato dall'iscrizione del portale d'ingresso.
Fonti
bibliografiche affermano che agli inizi del Settecento la chiesa superiore fu
restaurata e arricchita con parte degli arredi dell'antica chiesa di Santa
Giusta a cui poi fu intitolato l'edificio.
Le pitture sono stare realizzate nel 1876 dalla Congrega della Cintura.
Sulla sinistra vi è un confessionale di scuola orsognese, con un “memento
mori”, e un teschio. Occorrerebbe consultare gli atti e i registri della Congrega
della Cintura, per individuare qualche probabile atto di pagamento per la
realizzazione del confessionale, magari con la fortuna di trovare anche il nome
dell’artigiano che lo realizzò! Per ora esso lo attribuirei a quella scuola
orsognese dei Salvini (realizzatori di pulpiti, e a volte a Chieti anche
confessionali) e dei De Fabritiis.
Un discendente della famosa stirpe dei Tenaglia è Demetrio. In una
recente pubblicazione di Luigi Impicciatore: Santa Maria Maggiore – Dal
palinsesto ai restauri, Carabba, Lanciano 2022, nell’appendice dei
documenti, dalle carte tratte dall’Archivio privato “F. Sargiacomo” presso
Archivio storico comunale di Lanciano, si ricorda un mandato di pagamento al
capomastro Demetrio Tenaglia per la realizzazione di stucchi e ornamenti
neogotici nella chiesa antica a tre navate. Demetrio Tenaglia fu menzionato
anche da Plinio Silverii nel suo primo volume già citato, ma non è riuscito a
menzionare di lui alcuna opera. Del resto ancora oggi Demetrio resta uno
scultore sfuggente, anche perché coi vari restauri che subì questa chiesa
lancianese, poco resta di lui. Pare che realizzò per cono di Sargiacomo il
ciborio monumentale neogotico del cappellone del Sacro Cuore, quello dove oggi
è stato ripristinato l’altare maggiore, ma esso andò distrutto coi restauri del
1968.
Fabrizio
de Fabritiis di Orsogna, Confessionale, chiesa della Santissima Trinità, Chieti
Orsogna, piccolo paese
sulle verdi colline marrucine, si sa, è patria di scultori e musicisti. Avendo
noi parlato già della famiglia Tenaglia e Salvini, della prima avendo descritto
le qualità artistiche di Luigi e Filippo Tenaglia detto “il Santoncino”, perché
era esperto nello scolpire statue per chiese, adesso concentriamoci su altri
familiari di questa stirpe. Demetrio Tenaglia è ricordato da Umberto Jori nella
pubblicazione “Gemme d’Abruzzo- Moscufo: storia, arte, turismo”, Chieti. Non si
possiede oggi molto di lui, se non qualche scultura lignea e un pulpito nella
chiesa madre di Moscufo, veramente ben fatto e di pregevole intaglio. Forse a
Orsogna collaborò con Luigi Tenaglia e Modesto Salvini alla realizzazione del
coro ligneo e del pulpito della distrutta chiesa di Santa Maria del Riparo,
come ricorda Plinio Silverii in “Orsogna…in costume – Talami, coro, banda,
usanze”, Orsogna, 1981. Sicuramente la congrega aveva commissionato agli
scultori ed ebanisti locali la realizzazione di div erse opere d’arte, tra il
coro, il pulpito, l’organo e le statue varie. Ma purtroppo la furia della
guerra distrusse tutto! Fabrizio de Fabritiis era altro orsognese quotato,
tanto che si formava nelle opere di sua realizzazione. Le opere che attualmente
sono censite, si trovano nella chiesa della Santissima Trinità di Chieti, un
confessionale e un pulpito ligneo, e a Moscufo. Il confessionale è ben
disegnato nelle proporzioni, negli archi di accesso si formano interessanti
“gole” concave e convesse per dare vivacità alla struttura.
Il pulpito laterale è un piccolo capolavoro
della scuola orsognese, non raggiunge le vette del compaesano Modesto Savini
che in Chieti realizzò i pulpiti e i confessionali delle chiese di
Sant’Agostino, San Domenico degli Scolopi, del Duomo, di San Francesco
d’Assisi, caratteristici pulpiti per la base bombata e per i riccioli e gli
ornamenti del baldacchino; tuttavia i fregi a rilievo nella facciata sono ben
disegnati, così come le volute dello schienale della balconata, il baldacchino
è impreziosito all’interno della tipica colomba dello Spirito Santo, e nel
coronamento da ninnoli e festoni, e dei putti. L’ambone della chiesa di san
Domenico di Moscufo è forse della scuola del De Fabritiis, o forse scolpito da
uno dei Tenaglia, è riccamente ornato da contrafforti laterali che terminano a
volute e riccioli a capitelli corinzi, al centro una croce che è retta da un
festone elaborato, e la scritta MYSTERIUM VERBI. Altra opera di eccelsa fattura
comunque, che mette in risalto la maestria di questa scuola orsognese che
merita una decisa rivalutazione.
L’organo è D’Onofrio di Caccavone oggi Poggio Sannita, ha le ante dipinte con il classico tema del telo che era utilizzato per coprire l’organo. Alla base della cantoria vi sono tre nicchie con il gruppo delle Tre Marie Dolenti, ottocentesche, restaurate però da Bravo. Vi è un confessionale in legno di noce con i simboli della Morte, di scuola orsognese.
Opere: Cristo risorto, opera di M. Falcucci, restaurato da Bravo, che ha
fatto perdere la sua qualità, è da accostare per finezza al Cristo risorto
presso il santuario dell’Assunta di Castelfrentano, di Gabriele Falcucci.
Pellicciotta fu anche
scultore d’arte profana, una manciata di bozzetti in legno con figure umane,
simili a quella di Costantino Barbella, furono esposte alla Mostra d’arte di
Firenze del 1881, e poi pervenute nella Pinacoteca civica di Chieti,
trasformata infine nel Museo d’arte Barbella. Uno scultore ancora tutto da
scoprire il nostro Gioacchino, insieme al fratello Carlo, che lo aiutò nel
realizzare il maestoso paliotto d’altare della parrocchiale di Perano. Il
Paliotto è in pietra calcarea della Majella, rischiò negli anni ’60 la
demolizione per l’adeguamento liturgico, ma fu salvato dalla volontà ferma dei
parrocchiani. Si caratterizza per l’elegante mensa, le volute, i tralci, i
fiori, le mele, le canestre di frutta che rappresentano il Bene, che è corroso
dal Male, ossia i bruchi e i topolini che vanno mangiando i dolci frutti.
Torniamo ad Atessa,
alla chiesa della Cintura.
Altare con nicchia di Sant’Anna, statua forse di Falcucci
Statua maggiore della Madonna della Cintura, vestita dalle devote, e con
parrucca di capelli delle devote, opera di Luigi Tenaglia orsognese, restaurata
da Falcucci.
Filippo Tenaglia “il
Santoncino” di Orsogna
Grande esponente della
scuola orsognese di scultura lignea, era figlio di Luigi Tenaglia. Quest’ultimo fu attivo alla fine del’700,
seguì quella tradizione orsognese degli intagliatori e scalpellini ricordata
negli articoli di Francesco Verlengia su Orsogna, documentata sin dal XV
secolo. Realizzò diverse opere, anche se non sempre si firmava, per cui resta
difficile rintracciarle tutte, per comporre magari qualche bella pubblicazione
a tema con catalogo. Oltretutto quelle censite sono stare quasi sempre
restaurate dai Falcucci di Atessa.
Eccole: statua di
Sant’Antonio di Padova nella chiesa di Sant’Antonio di Atessa, del 1796, di cui
ci occuperemo nella seconda puntata dello studio;
Statua di San Rocco e
il cane, presso il santuario della Madonna Lauretana di Torino di Sangro,
firmata e datata, con restauro di Falcucci;
Statua della Madonna
della Cintura del 1793, già citata, nella chiesa eponima di Atessa, restaurata
da Falcucci;
Statua di San Filippo
Neri di Perano, anche se secondo altri sarebbe del figlio Filippo Tenaglia.
Ambedue vivevano nella casa Tenaglia, ricavata dall’ex chiesa di San Martino, una delle più antiche di Orsogna, che aveva il suo ingresso su via Roma, precedentemente fuori le mura medievali; oggi il palazzo Tenaglia dal bel portale barocco con stemma di famiglia nella chiave di volta dell’architrave, affianca la parrocchia di San Nicola dalla stradina che immette a Largo Piano Castello.
F. Tenaglia, San Filippo Neri, chiesa di San Tommaso, Perano
Atessa, Madonna della Cintura, chiesa confraternale omonima
Poco si sa
sull’attività di Filippo e Luigi; Plinio Silverii ne ha tracciato un breve
profilo biografico nel suo primo libro “Orsogna – Costumi, tradizioni, la
banda, i talami, giochi”, edito a Orsogna nel 1981; qualcun altro ne ha scritto
saltuariamente, di recente Pasquale De Cimmuto nel suo “La bellezza di Elena e
del bronzo – Abruzzo e Abruzzesi nella scultura dell’Ottocento e del
Novecento”, 2022, ha fornito ulteriori ragguagli sulla sua attività. Qui
vogliamo fare un omaggio a un concittadino dello scrivente, che nell’area
Marrucina, fino a Chieti e Lanciano, seppe dare grande prova della sua arte,
insieme a Modesto Salvini orsognese, maestro dei pulpiti, che ammiriamo a
Chieti: nella chiesa di San Francesco d’Assisi, nella chiesa di San Domenico al
corso, nella chiesa della Trinità, nel Duomo di San Giustino, nella chiesa di
Sant’Agostino; a Lanciano nel santuario di San Francesco, a Orsogna nella
parrocchia di San Nicola, a Guardiagrele nella chiesa di San Rocco, a
Pennapiedimonte nella chiesa parrocchiale.
Filippo, secondo alcuni
fu scultore della bellissima statua del San Filippo Neri della chiesa madre di
Perano, in atteggiamento così estatico, e con il movimento virtuoso della
braccia aperte in gloria di Dio. Scolpì la statua del patrono San Vito nella
chiesa madre di San Vito chietino, scolpì per la chiesa di San Raffaele , ex
Madonna della Pietà, la statua del Compianto del Cristo morto, ovvero la
Madonna addolorata col Cristo tra le ginocchia; il San Cristoforo per la chiesa
madre di Moscufo, nel 1805 il San Giuseppe per la chiesa madre di San Martino
sulla Marrucina. Indubbiamente nella zona di Orsogna e dintorni, il
“Santoncino”, così chiamato perché esperto nel realizzare le statue dei santi e
Madonne, operò e scolpì bellissime sculture. A Orsogna aveva realizzato anche il
Cristo morto per la Chiesa della Madonna del Riparo, andata completamente
distrutta, ragion per cui la statua fu ristrutturata come possibile, cercando a
memoria di ricordare come fosse l’originale. Luigi si spostò anche nell’area di
Atessa, ad esempio sua è la statua della Madonna della Cintura nella chiesa
omonima, datata 1793 e firmata. Filippo aveva realizzato anche un bellissimo
presepe in terracotta per il convento dei Frati Minori Conventuali del Ritiro
dell’Annunziata in Orsogna, presepe già in parte distrutto dopo la chiusura del
convento nel 1867, al tempo dello scrittore Beniamino Costantini che ne parlò
per primo, poche statue erano conservate, in discreto stato. Dopo i furori
della guerra che colpirono pure il convento, anche questi miseri avanzi saranno
andati irrimediabilmente perduti.
Il Santoncino è uno
degli ultimi rappresentanti di una scuola tutta orsognese di maestri lavoratori
del legno, che non ebbe eguali nell’area frentana. Alleghiamo altre opere che
abbiamo a lui attribuito, anche se non sono firmate:
*il San Rocco nella
chiesa di San Rocco di Vacri: il Santo è in postura eretta, col vestito da
viandante, il mantello rosso, la conchiglia d’oro a fermaglio del tabarro, con
il bastone in mano, con l’altra indica la ferita alla gamba.
*il San Giovanni Battista
con l’agnello presso la chiesa parrocchiale di Ari, da cui fu preso il modello
per il nuovo San Giovanni con la spiga e il modellino di Orsogna sulla mano,
conservato nella chiesa madre del paese;
*la Madonna Immacolata
con le Anime purganti nella stessa chiesa madre di Ari. La Madonna alza gli
occhi al cielo con le mani giunte, le Anime tra le fiamme sono in basso, come
vuole l’iconografia. L’aspetto di questa Madonna è da accostare al volto (ma
del resto Tenaglia utilizzava lo stesso modello, anche per le vesti in
cartapesta dipinta), alla Madonna Immacolata presso la nicchia d’altare della
sede della Congrega di Maria Ssma della Pietà e Concezione nella chiesa di
Santa Maria Maggiore di Lanciano. Nell’archivio della Congrega, ci segnala
Franco G. Maria Battistella, si conservano i mandati di pagamento a lui, al
collega di lavoro Modesto Salvini che realizzò un busto di San Pasquale Baylon,
oggi conservato nel Museo diocesano lancianese, e per Nicola Ranieri di
Guardiagrele, per la realizzazione delle pitture dei tondi in stucco nella sede
della stessa Congrega, aventi per tema le Storie della Vergine, e i Simboli dei
Quattro Evangelisti, in parte completati successivamente da Girolamo Rizza con
dei bassorilievi.
Mensa d’altare in scagliola, che imita il marmo, il Cristo crocifisso
forse è opera di Pellicciotta.
Altare con nicchia di Sant’Agostino, scultura in cartapesta del Falcucci.
Altare con nicchia di San Nicola di Tolentino, opera di G. Pellicciotta
di Perano
Accanto vi è il piccolo gruppo scultore di Sant’Anna con Maria bambina e
San Gioacchino, autore incerto, restaurate pesantemente da Bravo.
Notevole
è il Complesso di San Domenico o del Rosario in Atessa, che occupa un intero
isolato tra Largo Municipio, e le scalette di via Fontana vecchia. Atti
notarili risalenti al 1313 attestano
la fondazione della chiesa nel 1275 dai Padri Domenicani. Da
documenti citati dallo storico locale Bartoletti si hanno notizie di lavori
importati eseguiti alla chiesa nel 1556. Agli inizi del Seicento fu rifatto il
soffitto alle navate laterali, mentre i lavori alla facciata si protrassero fino
al 1664.
Lo stesso anno (1664)
ad opera di Fra' Antonio Coccia fu realizzato il portale, come documentato
dall'iscrizione incisa sulla trabeazione.
La chiesa e il
monastero ospitavano la Congregazione del Santissimo Rosario, che nel 1857 fece
rifare l'altare privilegiato. Con le varie soppressioni francesi e piemontesi,
il monastero fu adibito a vari usi, un'ampia parte ancora oggi ospita il
municipio.
La chiesa era a navata unica, successivamente nel ‘600 allargata a tre
navate.
La volta ha le pitture di Giuseppe Falcucci, padre di Michele e
Gabriele. Le pitture mostrano le scene della vita di Gesù e Maria; sue sono
anche le pitture presso le arcate dei pilastri che sorreggono le tre navate.
Scene rappresentate: PENTECOSTE – ASSUNZIONE DI MARIA – MARIA INCORONATA
REGINA DEI CIELI DA DIO PADRE E GESU’. Lo schema è dozzinale, simile alle scene
Mariane presso la chiesa del santuario dell’Assunta di Castel Frentano. E.
Bravo negli anni ’50 ha dipinto la calotta absidale con i Quattro Evangelisti e
i loro simboli.
Altare maggiore, nicchione tabernacolo in scagliola dipinta, al Madonna
del Rosario vestita con i capelli delle devote, è opera di G. Falcucci.
Purtroppo ci sono pesanti restauri di Bravo.
All’altezza dell’altare maggiore, nel pavimento della navata centrale,
c’è la tomba dei Coccia.
Cantoria, organo forse dei D’Onofrio di Caccavone, con ai lati le due
Muse Calliope ed Euterpe
SCULURE E TELE NAVATA SINISTRA:
San Pompilio Pirrotti, opera di G. Pellicciotti di Perano
Immagine della Madonna col Bambino nella cornice in legno dipinto.
Autore? Forse è stata restaurata posticciamente.
Grande tela della Pentecoste, dalla scomparsa chiesa di santo Spirito
dei Celestini (stava sul colle san Cristoforo di Atessa, dove sorge la villa
comunale): la Madonna è al centro con gli Apostoli, ai lati vi sono san
Pompilio e Sant’Antonio di Padova. Vi è l’iscrizione della committenza: don
Giacinto Onofrii di Sulmona sonò per la chiesa […] Santo Spirito?, in ricordo
del fratello e della sorella Felicia d’Angelo per la chiesa fondata dai
Benedettini, poi passata ai Terziari, e infine ai Celestini di Santo Spirito di
Atessa, donò il giorn…mese settembre? 1645
Altare di San Mauro e un santo benedettino adoranti il Cristo morto. È
una bella pittura del ‘600, scuola di Felice Ciccarelli?
Altare di san Vincenzo Ferrer, scultura di Falcucci
Altare della Madonna del Rosario. Vincenzo Bindi nel suo Dizionario
degli artisti abruzzesi ricorda in loco una tela del Rosario di Felice
Ciccarelli, distrutta, e rifatta da Giuseppe Falcucci, mostra la Madonna del
Rosario con i Misteri, con ai piedi san Domenico e in basso nella predella le
Anime purganti. L’altare è in legno dipinto e dorato. Cappella famiglia Di
Donato.
Sacrestia: ha le tele di Francesco de Benedictis da Guardiagrele con i
Sacri Cuori di Gesù e Maria e Sant’Eufemia, sono ottocenteschi. Vi anche il
quadro di San Domenico di Cocullo, ottocentesco, di anonimo. Presso il coro ligneo
dell’altare maggiore, vi sono due dipinti del 1826 che ritraggono i santi
Pietro e Paolo.
NAVATA DESTRA:
L’altare è della MADONNA DEL BUON CONSIGLIO: ha l’immagine sacra della
Madonna col Bambino, a tela, incassata in una scena dipinta a monocromo a
secco, con gli angeli che sorreggono la sacra Immagine, e in basso gli Agostiniano
e dei pellegrini al santuario del Buonconsiglio di Gennazzano, dove venne
rinvenuta la Sacra Immagine. È un ex voto commissionato dalla famiglia
Ferri-Codagnone, che aveva il patronato. Questo dipinto di Atessa, nell’area
abruzzese, resta uno dei pochi insieme al grande ciclo della Sala Refettorio dei Monaci della
Badia Morronese di Sulmona, del periodo 1717-19, opera del frate oblato
Martinez, entro ricche cornici in stucco, con scene classiche tratte dal Vecchio
e Nuovo Testamento: le Nozze di Cana, le Storie della vita di San Pietro
Celestino, le Virtù Cardinali e Teologali, e sulla parete di fondo in posizione
centrale la scena dell'Ultima Cena.
La chiesa e la parrocchia della Madre del
Buon Consiglio, per interessamento del principe Piero Giordano Colonna, con
atto del 27 dicembre 1356 furono affidati
ai frati eremitani
di sant'Agostino.
Il 25 aprile 1467, festa di san Marco, su una parete della chiesa fu scoperto un
dipinto, raffigurante la Vergine con il Bambino Gesù, che probabilmente era stato ricoperto in
calce: l'immagine divenne presto oggetto di grande devozione popolare e si
diffusero leggende secondo cui il dipinto sarebbe stato trasportato dagli
angeli da Scutari per sottrarlo
ai turchi che stavano invadendo l'Albania, o che si mantenesse straordinariamente
sospeso su un sottilissimo strato di intonaco
Dal titolo della chiesa, l'immagine prese il
nome di Madre del Buon Consiglio.
A opera dei frati agostiniani, soprattutto a
partire dal XVIII secolo, l'immagine e il
culto della Madre del Buon Consiglio si diffusero in tutta Europa: per esempio, fu davanti a un'immagine della Madre del
Buon Consiglio conservata nella chiesa del collegio Imperiale dei gesuiti
di Madrid che, il 15 agosto 1583, Luigi Gonzaga maturò la
decisione di entrare nella Compagnia di Gesù.
Nel corso dei secoli pontefici favorirono e
promossero la devozione a Nostra Signora del Buon Consiglio: papa Clemente XII (appartenente a una famiglia di origine
albanese) concesse l'indulgenza
plenaria a quanti avessero visitato il santuario di Genazzano nel giorno
della festa della titolare (25 aprile, anniversario dell'apparizione
dell'immagine sul muro della chiesa di Genazzano) o nell'ottava
successiva; papa Pio VI nel 1777 concesse un ufficio proprio con Messa per il giorno della festa
della Madre del Buon Consiglio; papa Benedetto
XIV,
con breve Iniunctae Nobis del 2 luglio 1753 approvò la pia unione della Madre del Buon Consiglio di Genazzano,
alla quale si aggregarono numerose altre confraternite.
A seguire, nella chiesa dei Domenicani, abbiamo un altare di san Nicola
di Bari, nicchia con statua del Falcucci.
Altare di Santa Giusta, con ai lati Santa Lucia con gli occhi, e
Sant’Agata con il simbolo del martirio; opera del ‘700 restaurata da Giacomo
Falcucci.
Altare di Santa Giusta, commissionata da Nicola Antonio Genovese, opera
di F. Marchiani di Ortona. L’altare in legno dipinto e intagliato, con il
tabernacolo e l’ostensorio, è uguale a quello della Madonna del Rosario,
corrispondente dalla navata di sinistra. Patronato famiglia Cardona, come
riporta la lapide datata 1730, per il restauro fatto in ricordi di Giacinta
Cardone figlia di Giacinto Cardone e Rosa Mascione, morta a 3 anni di età. Sul
muro vi è la statua di San Mauro con l’Angelo, opera di Pelliciotta di Perano.
Nella prossima puntata di studio, ci occuperemo dei due paliotti
d’altare di Giovanni Cardone di Atessa nella chiesa di Santa Croce, del pittore
dei due altari di San Michele, della chiesa di San Pietro, oggi sconsacrata, e
della chiesa di Sant’Antonio, e infine si tratterà di due inediti dei pittori
Felice Ciccarelli e Tommaso Alessandrino.
[1] Donato
Teodoro (Chieti, 1699? – Chieti, 1779). Nato a Chieti, centro fulcro di
attività culturali nella provincia abruzzese, già a inizio '800 di lui
scrissero Gennaro Ravizza e Vincenzo Bindi, in seguito Camillo Gasbarri e
Gaetano Meaolo. Teodoro si formò a Napoli conoscendo
l'arte di Luca Giordano l, Ludovico De Majo, Francesco Solimena e Francesco De Mura,
assimilandone i modelli per le sue future committenze abruzzesi. Le prime
pitture riguardano committenze a Chieti, per le chiese di San Giustino,
Sant'Agata e la Santissima Trinità, per cui tornerà a lavorare negli anni '50
del 700 con il figlio Ludovico. Le richieste di soggetti a carattere
biblico e mariano lo portarono anche nella provincia di Abruzzo
Citeriore, Aquila (Cattedrale e Basilica di San Bernardino), e in Abruzzo Ultra, tra Campli e
Civitella, Manoppello, Pianella del Tronto. Nel 1738 affrescò quasi tutto il
santuario della Madonna dell'Assunta a Castel Frentano,
con scene a soggetto biblico, ispirate sempre a modelli di Luca Giordano. Tra le sue opere il Martirio di San Massimo,
del 1720 nella cattedrale dell'Aquila; le tele Salomone
e la regina di Saba ed Ester e Assuero conservate
presso il Museo
d'arte "Costantino Barbella" di Chieti e provenienti dalla chiesa di Santa Maria della
Civitella. Nella metà del
'700 fu molto attivo a Lanciano, dove
dipinse le tele del santuario del Miracolo eucaristico, e una tela della Natività
di Gesù per la chiesa di Santa Lucia, successivamente traslata nella
Cattedrale. Le sue opere si caratterizzano per l'enfasi scenografica
influenzata dal tardo-barocco napoletano e dal tardo-manierismo nordico. Specialmente Teodoro si servì di
grandi spazi per inscenare temi con vari personaggi in correlazione,
conversazione, adorazione, oppure temi mistici con protagonista la Madonna.
Predilesse soggetti biblici, simbolo della lotta fra Bene e Male come gli
episodi di Giuditta e Oloferne o San Michele che scaccia Lucifero. Morì a
Chieti e fu sepolto nel monastero di San Domenico al Corso, come ricorda
Ravizza
[3]
De Benedictis nacque da Filisdeo e Concetta Di
Sciascio. Fu allievo del pittore anch'esso di Guardiagrele Niccolò Ranieri (Nicola Felice Bonaventura
Ranieri da Guardiagrele) (1749 - 1850) presso lo studio nel convento dei Cappuccini, e con l'amico Ferdinando
Palmerio, anche egli di Guardiagrele, contribuì a creare una sorta di
"scuola pittorica di Guardiagrele" dell'800, i cui
intenti erano quelli di diffondere una nuova ventata di classicismo nel
chietino e nell'aquilano, mediante i modelli del barocco. Niccolò Ranieri
prendeva come spunto varie incisioni realizzate nelle accademie napoletane per
la formazione di pittori, tuttavia si ispirava palesemente anche alle tele
della classicità, anche agli affreschi raffaelliani, seppur con esiti non
sempre felici per la resa delle forme e del disegno, e per la immancabile
assenza di doppia dimensione tra le scenografie realizzate (ampi piazzali,
porticati, colonnati ecc.) e i personaggi ritratti. Ranieri, Palmerio e De
Benedictis affrescarono e dipinsero tele quasi sempre a carattere religioso,
per committenza di parrochi di varie chiese del chietino, del pescarese, e
dell'aquilano; raramente realizzarono qualche ritratto privato o soggetti non
religiosi. Ranieri diventerà poi il maestro del chietino Francesco Paolo
Marchiani, a sua volta sarà maestro del celebre Francesco Paolo Michetti. I lavori del De Benedictis sono da
ricondurre in piccoli paesi del chietino, perlopiù tele di spunto sacro di
imitazione del maestro, nonché d'ispirazione ai modelli di Luca Giordano e Francesco Solimena, cui era scrupoloso nello stare
attento nell'imitare, ma ad un certo punto imitò anche Guido Reni. Fu
amico degli artisti Giovanni Santarelli e Federico Ferrari. La sua arte, a
differenza delle città maggiori d'Abruzzo dove venivano chiamati spesso artisti
più attrezzati di Napoli e della Lombardia, trovò posto nei paesetti di
Orsogna, Guardiagrele, Filetto, Villa Santa Maria, Torino di Sangro,
Casalincontrada.
[4] Ennio Bravo, figlio di Pasquale scultore, era atessano, e tra gli anni ’40 e ’70 del Novecento realizzò diverse tele per le chiese di Atessa e dei dintorni, come Perano, Archi, Tornareccio, arrivando anche a Orsogna. Restaurò anche statue settecentesche e ottocentesche, spesso effettuando manomissioni arbitrarie, e modificò soffitti e altari di chiese di Atessa; molti soffitti cassettonati di gusto neoclassico sono presenti nelle principali chiese di Atessa, nonché nel convento di San Pasquale, e nel santuario di San Mauro di Bomba. Cfr. il mio https://vastoabruzzo.blogspot.com/2022/10/le-pitture-dei-bravo-di-atessa.html
[5] Celebre pittore atessano, insieme ai figli Gabriele, pittore e scultore sordomuto, e Michele suo fratello. Cfr. il mio https://vastoabruzzo.blogspot.com/2022/10/gabriele-michele-e-giacomo-falcucci-la.html
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