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25 marzo 2024

Vasto di Goito e Sordello da Goito. Legami con l'Abruzzo.



Una frazione di Goito (MN) prende il nome della località abruzzese di Vasto (CH). 
Si potrebbe ipotizzare che ciò derivi dai legami storici tra i Gonzaga di Mantova e i d'Avalos. 

Isabella Gonzaga, Marchesa di Pescara di Valentín Carderera, 1831c, 
Collezione María Pilar Carderera Biblioteca nazionale di Spagna.


Infatti Isabella Gonzaga (1537-1579), figlia del Duca di Mantova, sposò nel 1556 Francesco Ferdinando d'Avalos d'Aquino d'Aragona (1530 - 1571), secondo Principe di Francavilla, quarto Marchese di Pescara, terzo Marchese del Vasto e Conte di Monteodorisio.

Medaglia celebrativa raffigurante Francesco Ferdinando d'Avalos, Annibale FontanaNational Gallery of ArtWashington




Sordello da Goito

Miniatura di Sordello da Goito tratta da un manoscritto del XIII secolo

Nel VI canto del Purgatorio, viene presentata la figura di Sordello da Goito, un importante poeta trovatore italiano, appartenente alla piccola nobiltà mantovana. 
Egli divenne signore dei feudi abruzzesi di Civitaquana, Monteodorisio, Paglieta, Borrello e Palena, ricevuti in dono nel 1269 da Carlo I d’Angiò, morendo poco dopo in Abruzzo.

10 settembre 2023

Antonio Mezzanotte, Giorgio Castriota Skanderbeg.

Giorgio Castriota Skanderbeg, busto nella omonima piazza di Villa Badessa di Rosciano

GIORGIO CASTRIOTA SKANDERBEG
di Antonio Mezzanotte 

Si dice e si racconta che un giorno infuriava una feroce battaglia tra l'esercito cristiano e quello turco (più numeroso) e che i combattimenti si protrassero ben oltre il tramonto. Fu allora che il comandante dei cristiani mise in atto lo stratagemma che lo avrebbe portato a una strepitosa vittoria: fece radunare un grosso gregge di capre, ordinando di legare due torce accese sulle corna degli animali per farli sembrare uomini che si muovevano nella notte e spronò il gregge contro i turchi; quelli, nell’oscurità, pensarono che andasse loro incontro un immenso esercito di agguerriti soldati e scapparono senza combattere!
Testimonianza di quell'episodio la vediamo tutt'oggi nelle raffigurazioni del comandante cristiano, che indossa un copricapo a forma di testa di capra.
Chi era, quindi, questo personaggio? Giorgio Castriota.
Si dice e si racconta che dopo la sconfitta del padre Giovanni, principe albanese, ad opera del sultano Murad II, Giorgio venne condotto ostaggio ad Adrianopoli, presso la corte ottomana, e costretto a convertirsi all’Islam: per tale motivo, assunse il nome di “Iskander” (che in turco vuol dire “Alessandro” - il riferimento era ad Alessandro Magno) e tale era l’abilità, la forza e la lealtà nei confronti del Sultano che questi lo nominò “Beg” (nobile, principe), da cui l'appellativo "Skanderbeg" (che possiamo tradurre in "principe Alessandro").
Riportò numerose e importanti vittorie alla guida degli eserciti ottomani, divenne così popolare che lo stesso Sultano temeva che aspirasse a prendersi il trono, ma Giorgio pensava ad altro; poco alla volta sentiva il richiamo della propria terra e, in fondo, anche la conversione forzata all’Islam non era stata mai accettata del tutto nel suo cuore.
Si dice che alla vigilia della battaglia di Nis, combattuta il 28 novembre 1443, decise infine di abbandonare il campo (determinando così la disfatta dell'esercito ottomano) e di tornare in Albania con 300 esuli, riabbracciando la fede cristiana. Conquistò in poco tempo tutte le città e le fortezze della regione già occupate dagli invasori e si pose a capo del movimento insurrezionale albanese contro i Turchi.
Da quel momento divenne il più temibile nemico degli eserciti ottomani, i quali, benché di gran lunga superiori di numero e di mezzi, si infrangevano sempre contro le schiere albanesi, che erano favorite dalla conoscenza del territorio e abilmente guidate dal Castriota, il quale, nonostante il ritorno alla fede cristiana e ancorché fosse divenuto il più strenuo nemico degli ottomani, continuò a chiamarsi e a firmarsi sempre con l’appellativo Skanderbeg (forse per ricordare ai soldati turchi che stavano combattendo contro il loro antico, amato e invincibile comandante).
Raggiunta una tregua con il Turco, si alleò con Re Ferrante d’Aragona, che aiutò a difendere la Corona di Napoli dalle rivendicazioni angioine: per tale motivo il Re lo ringraziò investendolo di numerosi feudi in terra di Puglia.
Dovette però tornare ben presto in armi a difesa della sua Albania e si spense di malaria il 17 gennaio 1468.
La nipote più giovane di Skanderbeg, Maria, andò sposa ad Alfonso Leognani, dei baroni di Civitaquana. Da essi ebbe origine il ramo Leognani Castriota, dal quale derivò, per il matrimonio del loro discendente Giambattista con Porzia Fieramosca, sorella di Ettore, eroe della Disfida di Barletta, il ramo dei Leognani Fieramosca, le cui vicende sono da rinvenire nelle storie di Civitaquana, Rosciano, Alanno, Cugnoli, Penne dal XVI al XVIII sec., mentre un altro ramo dei Castriota possedeva Città Sant'Angelo.
Quando nel 1743 giunsero le 18 famiglie albanesi che fondarono Villa Badessa di Rosciano (la più recente e settentrionale colonia arbëreshe), questi territori erano in qualche modo già legati al nome dello Skanderbeg e probabilmente le vicende dei Castriota nell'Abruzzo vestino (ancora poco note e da studiare) stanno a confermare che lo stanziamento badessano non fu affatto casuale, ma diretto e mirato all’interno di una trama di relazioni e interessi fra potentati familiari e militari d’origine albanese o a essi affini, da secoli presenti nell’Italia meridionale, il cui peso fu determinante nelle scelte di Carlo di Borbone nel favorire la nascita proprio di Villa Badessa.

(Nella foto: il busto di Giorgio Castriota Skanderbeg collocato nell'omonima piazza di Villa Badessa di Rosciano - PE, con l'epitaffio TANTO NOMINI NULLUM PAR ELOGIUM (ossia: "a così gran nome nessun elogio è adeguato"), al quale, probabilmente, sarebbe opportuno dare una ripulita!

2 dicembre 2022

Paul Scheuermeier e Gerhard Rohlfs, Ricordi dell’Abruzzo rurale, 1923-30.


















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Visitareabruzzo.it

Paul Scheuermeier: il racconto dell’Abruzzo di ieri
Un viaggio in un tempo non troppo lontano
 Francesca Liberatore


Paul Scheuermeier è il protagonista della storia di oggi… o meglio, è proprio lui a raccontarcene una.

Paul Scheuermeier
Paul Scheuermeier

Eppure, il nostro Paul non è uno scrittore, ma una storia ce l’ha saputa ugualmente narrare, utilizzando uno dei mezzi più efficaci di cui disponiamo: l’immagine.

Non sarebbe giusto nemmeno definirlo semplicemente un fotografo, perché il suo viaggio in Italia non è mosso dal puro desiderio di immortalare contadini e artigiani alle prese con le loro faccende.

E allora è giusto spiegarvi chi è davvero Paul Scheuermeier e perché è così importante per l’Abruzzo.

Paul Scheuermeier nasce a Zurigo nel 1888 e per tutta la vita svolgerà il mestiere di linguista.

Sarà proprio questo il motivo per cui lo vedremo in Italia tra il 1920 e il 1925, e successivamente nel 1930, accompagnato dal glottologo e filologo tedesco Gerhard Rohlfs, alle prese con una ricerca sul campo nell’Italia centrosettentrionale per conto di Karl Jaberg e Jakob Jud, interessati alla compilazione dell’Atlante linguistico ed etnografico dell’Italia e della Svizzera meridionale (AIS).

Ebbene, il lavoro permise di raccogliere un preziosissimo materiale documentario, che venne pubblicato dal solo Scheuermeier nel 1943 con il titolo “Bauernwerk in Italien”, di cui l’edizione in lingua italiana dal titolo “Il lavoro dei contadini. Cultura materiale e artigianato rurale in Italia e nella Svizzera italiana e retoromanza”, risale al 1980.

Foto Paul Scheuermeier
Foto Paul Scheuermeier

I suoi viaggi ci hanno lasciato l’archivio più ricco e completo di dati sulla lingua e sul dialetto ma anche sulle tecniche di lavoro agricolo. Di ogni regione italiana vengono visitati i centri ritenuti più significativi dal punto di vista linguistico e i dati sono raccolti attraverso dettagliati questionari suddivisi in base ai differenti oggetti. Tra il 1923 e il 1930, essi fecero tappa in 16 località abruzzesi, comprese alcune oggi appartenenti al Lazio e al Molise.

Nel 1925 Scheuermeier toccò, in successione, Leonessa, Amatrice, Sassa, Capestrano, Montesilvano, Castelli, Bellante; dal Teramano risalì poi verso le Marche.

L’Abruzzo nell’opera di Paul Scheuermeier
L’Abruzzo nell’opera di Paul Scheuermeier

Gerhard Rohlfs svolse, invece, una prima indagine già nel settembre del 1923 a Scanno e Morrone del Sannio; nell’autunno del 1924 fu a Roccasicura, in quello del 1925 a Tagliacozzo, Fara San Martino, Crecchio e Palmoli. Ad agosto del 1926, si fermò a Trasacco.

Infine, nel 1930 Scheuermeier si recò a Palmoli e a Civitaquana per proseguire con i suoi approfondimenti etnografici.

Foto Paul Scheuermeier
Foto Paul Scheuermeier

Entrambi intervistarono contadini, pastori, artigiani; annotarono minuziosamente i dati linguistici, raccolsero notizie su caratteristiche e uso degli utensili relativi ai diversi mestieri agricoli e alle attività casalinghe; effettuarono una sistematica rilevazione fotografica degli oggetti, degli informatori nell’atto di mostrare le tecniche di lavoro, degli ambienti rurali e domestici, delle abitazioni; corredarono ogni foto con una dettagliata scheda descrittiva; registrarono sintetiche informazioni sulle località e sui soggetti intervistati. E a tutto questo si aggiunsero i disegni di Paul Boesch, il diario di campo di Paul Scheuermeier e la sua corrispondenza – lettere e cartoline – con i “maestri” Karl Jaberg e Jakob Jud che dalla Svizzera seguivano costantemente l’andamento delle inchieste.

Oltre alle descrizioni linguistiche, dunque, viene fissato con la macchina fotografica tutto quanto appariva utile e interessante. Lo stesso Scheuermeier racconta: “È nota l’importanza capitale della conoscenza delle cose. Il raccoglitore deve vedere e descrivere gli oggetti di cui gli parlano. Egli studierà la casa rurale, la cucina, la stalla, l’allevamento del bestiame, la lavorazione del latte; si farà un’idea, almeno sommaria, dei principali lavori agricoli. Nessun questionario gli potrà servire dappertutto. Il miglior metodo sarà sempre di andare a vedere sul posto gli oggetti e i lavori e di fissarne l’immagine in fotografie e disegni accompagnati da descrizioni particolareggiate”.

Scheuermeier, dunque, non ci lascia solo il risultato della sua acuta ricerca linguistica, ma l’aspetto davvero interessante riguarda la preziosità e l’unicità delle immagini da lui scattate, che riescono ad immortalare la vita dei contadini di allora, il valore autentico di quella faticosa vita e di quei luoghi dove le parole, le cose e i volti si sovrappongono, tracciando un ritratto del tutto inedito dell’Abruzzo.

Le foto e i disegni originali sono di proprietà dell’Archivio AIS Dell’Università di Berna dove sono conservati ma è possibile all’ interno del Museo della Civiltà Contadina nel Castello Marchesale di Palmoli, visitare un’intera area dedicata al lavoro di Paul.

Le stesse foto, inoltre, sono protagoniste di un libro a cura di Francesco Avolio e Anna Rita Severini, dal titolo “Paul Scheuermeier, Gerhard Rohlfs. Gli Abruzzi dei contadini, 1923-1930”.

Da: Visitareabruzzo.it

26 ottobre 2021

La prima foto degli arrosticini, Civitaquana, 1930.

Civitaquana, 1930.
 
La prima foto a ritrarre una famiglia che consuma arrosticini, risale al 1930, ed è stata scattata a Civitaquana (PE), dal fotografo svizzero Paul Scheuermeier, e oggi la si può ammirare dal vivo, al museo delle Genti D’Abruzzo di Pescara.
È la prima testimonianza che vi è della pietanza tipica d’Abruzzo, e si nota giustamente che la cottura non veniva effettuata nella canalina, ma su mattoni sistemati all’occorrenza.
Dalla foto si può intuire che si trattava probabilmente di un giorno di festa, e lo si capisce dagli abiti indossati e dalla presenza di un componente di un banda sul fondo.
Arrosticini quindi momento di aggregazione familiare, già nel 1930.



Civitaquana, 1930 (color by F.Marino).