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3 giugno 2023

Domenico Vallarola da Penne, un pittore poco noto del Settecento.


 

Domenico Vallarola da Penne, un pittore poco noto del Settecento
di Angelo Iocco

Poco si sa di lui, e fu ignorato dagli scrittori abruzzesi sull’Arte, come ad esempio il De Nino e il Bindi. Tuttavia il Vallarola si firmò per le sue opere più importanti, se si eccettua un trascurabile dipinto del Cristo crocifisso di gusto solimenesco. Vale a dire il ciclo di pitture a secco della chiesa di San Francesco di Bucchianico, e la cupola della chiesa di Santa Chiara di Penne. Nella prima chiesa dal 1769 al 1774 circa, il Vallarola dipinse le volte nelle cornici realizzate dalla bottega di Rizza e Piazzoli; una scena dell’allegoria della Speranza con ragazze e puttini alati, un’altra scena dell’allegoria della Fede e quella della Carità, con i vari simboli delle Virtù Cardinali; a seguire la grande cupola a scodella, e un’ultima rappresentazione per la volta dell’altare maggiore, il Trionfo di Davide con la testa di Oloferne davanti a re saul, ispirata chiaramente al dipinto di Donato Teodoro di Chieti, che oggi si trova conservato nel Museo d’arte Barbella a Chieti, eseguito e firmato nel 1730. Quello di Teodoro è un dipinto più corale e più bello rispetto alla imitazione abbastanza fedele, ma di maniera, del Vallarola, dove come sempre si mostra re Saul seduto sul trono, con fare stupito, insieme alla sua corte, mentre osserva Davide con la grade testa infilzata sulla picca. L’attenzione del Vallarola si concentra tutta sul punto focale del capo mozzato, di proporzioni leggermente maggiori alla norma, per sottolineare la sua possenza; cosa non eseguita da Teodoro nella sua opera, dove cerca di mantenere abbastanza equilibrate le regole della prospettiva e delle grandezze dei volumi. Vallarola invece concentra tutto sul trofeo, simbolo del trionfo della Virtù ebraica, e sembra voler rimpicciolire tutti i personaggi attorno, riducendoli a macchiette.



Le opere della cupola, presso i pennacchi, illustrano i 4 Evangelisti, la scodella illustra l’Apoteosi di Mosè sorretto da Aronne e Cur, tra schiere di angeli e cherubini verso il Paradiso. Anche in questo contesto nulla di nuovo, pitture napoletaneggianti, già eseguite largamente in Abruzzo da Giambattista Gamba a Sulmona e Pescocostanzo, e dal Teodoro a Castel Frentano e Colledimezzo, tuttavia le proporzioni restano accettabili, e il tutto si concentra sulla figura patriarcale di Mosè che sopra una nuvola, ascende al Paradiso.