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30 ottobre 2025

Torino di Sangro. Caro nostro paese.

Vittorio Pepe, lo Strauss d'Abruzzo.



Nato a Pescara i 23 luglio 1863, figlio di Giuseppe Pepe e Rachele Carabba, crebbe nel rione di Porta Nuova. 
Si diplomò nel 1885 in pianoforte presso il Conservatorio di San Pietro a Majella di Napoli, nel contempo fu introdotto dall'amico e coetaneo Gabriele D'Annunzio nel cosiddetto "Cenacolo" presso il Convento Michetti, un edificio religioso di Francavilla al Mare trasformato nella seconda metà dell'Ottocento in un polo culturale e musicale dal pittore Francesco Paolo Michetti. 
Vittorio Pepe fu molto apprezzato e suscitò l'interesse di alcuni importanti artisti e intellettuali del suo tempo, come il compositore Francesco Paolo Tosti e lo stesso D'Annunzio che lo definì "meraviglioso cembalista" e lo propose alla guida artistica della corporazione musicale "Luisa D'Annunzio". 
Trasferitosi per un breve periodo a Milano collaborò con Casa Ricordi dell'editore Giulio Ricordi. Successivamente partecipò alle attività promosse dalla Casa Musicale Sonzogno e da altre case editrici come Pigna e Carisch. 
La sua fama di compositore e musicista si consolidò e raggiunse l'apice tra la fine del XIX secolo e gli anni trenta del Novecento quando gli furono concessi, per meriti artistici, l'onorificenza di Cavaliere della Corona d'Italia e nel 1924 il grado di commendatore. 
Tornato in Abruzzo insegnò in alcuni istituti scolastici di Pescara e Chieti e diresse la banda musicale pescarese tra il 1888 e il 1893. 
Ritiratosi dalla scena culturale morì all'età di circa 80 anni a causa dell'ultimo bombardamento aereo che nel corso della seconda guerra mondiale contribuì a devastare la città di Pescara. 
Il drammatico evento dell'8 dicembre del 1943, oltre a provocare la morte del maestro, causò il crollo della sua abitazione di viale Vittoria Colonna con la conseguente perdita di gran parte del materiale d'archivio, anche relativo alla sua florida produzione artistica che spazia dall'operistica, alla musica sinfonica e romanza e risulta principalmente composta da opere per pianoforte ma anche polke, mazurche e valzer.

Cultura d’Abruzzo – Il Centro Studi Abruzzesi e Attraverso l’Abruzzo di Pescara. Una rivista abruzzese nata nel dopoguerra (1952-1978).

Copertina di Luigi Dommarco, “Nu ‘ccone di tutte”, edizioni Attraverso l’Abruzzo, Pescara

Cultura d’Abruzzo – Il Centro Studi AbruzzesiAttraverso l’Abruzzo di Pescara. Una rivista abruzzese nata nel dopoguerra (1952-1978)

di Angelo Iocco

Fondata dal giornalista e cultore di studi patrii Francesco Amoroso (San Severo, 1901 – Pescara, 1978)[1], aveva la sua redazione in viale N. Fabrizi, nel centro pescarese. La rivista, che a seguire pubblicò anche dei volumetti o “quaderni” di ricerche, nacque in seno alla Rivista Abruzzese di Chieti del 1948 con redattore Francesco Verlengia, nei primi anni ’50, precisamente nel 1953[2]. Il compito era appunto quello di pubblicare periodici con saggi di studi sulla storia, sul dialetto, sulla poesia, sulle arti e le curiosità varie d’Abruzzo, e l’intento specialmente, nella centrale Pescara, era quello di riunire gli scrittori regionali in una sola famiglia, per “attraversare” l’Abruzzo.

 I collaboratori e poeti

Raduno dei poeti d’Abruzzo al convento di Collecorvino (provincia di Pescara) nel 1964. Tra i convenuti si riconoscono, il terzo da sinistra, in piedi e basso di statura, il prof. Federico Mola di Orsogna (1887-1978), il quinto Mario Salvitti, l’ottavo con il plico in mano è il dott. Guido Giuliante (1912-1976). Foto archivio privato Mario Salvitti


Fotografie di Francesco Amoroso e Antonio Del Pizzo, metà anni ’70 – da Antonio Del Pizzo – Tutte le poesie, a cura di Giuseppe Del Pizzo, 2012


Tra i collaboratori in effetti vediamo in primis l’instancabile Verlengia, che con una serie di saggi di folklore, devozione popolare e note d’arte, riempì le pagine della rivista, a partire dal 1955. Gli indici pubblicati nel quaderno Francesco Verlengia – Scritti (1910-1966), Rivista Abruzzese, 2007, indicano i vari argomenti di cui trattò, la festa di San Cetteo di Pescara, la favola del cavallo di Atri, presenza di Ferdinando II di Borbone a Chieti, il sor Paolo di Teramo, la festa di San Martino sulla Majella, la statua di Sant’Anna metterza di Chieti, e tanto altro. Per  “Attraverso l’Abruzzo”, Verlengia curò anche un pregiato volumetto dal titolo “Tradizioni e leggende sacre Abruzzesi”, 1958. Non fu l’unico, spinto dall’Amoroso, a scrivere di tradizioni popolari. 


Attraverso vari articoli, riuniti poi in un pregevole volumetto, da servire negli studi attuali come “introduzione generale” alla ricerca nel campo, anche padre Donatangelo Lupinetti da Castilenti (1909-2000) produsse un bel volumetto dal titolo “Canto popolare abruzzese di genere sacro”, 1973. Fu allegato nella collana del Centro Studi Abruzzesi di viale Fabrizi; nel piccolo saggio Lupinetti deplora lo scarso studio serio del canto d’Abruzzo nell’epoca presente, e si richiama all’infaticabile opera di Gennaro Finamore di Gessopalena (1836-1923) edita a Lanciano, deplora la negligenza di certi studiosi improvvisati, i quali non si servono delle moderne tecnologie di registrazione, ma si limitano a citare quanto già scritto, e fa appello ad esempio al grande lavoro di Ettore Montanaro di Francavilla, che nei primi del ‘900 raccolse in 2  volumi di “Canti della Terra d’Abruzzo”, Milano, Curci (1924-28), diverse arie popolari della nostra zona, come ad esempio “A la Lancianese”, “A la Francavillese” (che oggi è più nota come “Maria Nicola”), il Lamento della vedova, il Coro delle mietitrici, il Canto dei boscaioli, Tutte le funtanelle e tante altre; sebbene nello studio presente, Lupinetti abbia posto a confronto varie arie del canto religioso, come i lamenti e le nenie per la Settimana Santa, o le arie dei pifferi per la Novena dell’Immacolata, o canti che si recitano in chiesa alla Madonna.

Un altro grande saggio degno di nota, di questa collana, il quarto della serie del Centro Studi Abruzzesi, è “Antologia dei poeti dialettali Abruzzesi” di Ernesto Giammarco. In queste pagine egli raccoglie liriche inedite di vari poeti contemporanei, quali Merciaro, Mola, Giuliante, D’Aristotile, De Carolis, Polsi, Giannangeli e altri.


L’opera fa una cernita dei poeti abruzzesi che si susseguirono dall’epoca più antica, ossia il Medioevo, sino a oggi, e quindi sono passati in rassegna Buccio di Ranallo, Antonio di Buccio, cronista aquilano, Serafino de’ Cimminelli aquilano, Giovanni Quatrario di Sulmona, poi Romualdo Parente, Giuseppe Paparella di Tocco Casauria col suo brindisi del cafone, Modesto Della Porta, Giulio Sigismondi, Cesare de Titta, Luigi Dommarco, insomma tutto il campionario. Giammarco stava infatti lavorando a un’opera più corposa, che vedrà la luce qualche anno più tardi, la “Storia della Letteratura Abruzzese”, voluminoso testo ancora oggi fondamentale per gli studi sui nostri scrittori, non solo dialettali!

L’attività di questa Collana di Studi vide uscire anche piccoli quaderni sui poeti d’Abruzzo, poeti viventi che volevano pubblicare nuove raccolte di poesie, come ad esempio Antonino Di Donato, Nicola Del Casale, Francesco Brasile o Luigi Dommarco, oppure saggi su poeti defunti, come Della Porta, Sigismondi, De Titta e altri.


Il primo pubblicò un’opera di A. Di Donato, il secondo una scenetta teatrale di Cesare Fagiani di Lanciano con un’appendice dell’Amoroso su Della Porta, il terzo una raccolta di Cosimo Savastano con un’appendice sulla poesia di don Evandro Marcolongo, il quarto Giovanni Chiola, con un’appendice sulla poesia di Cesare De Titta, il quinto un’opera di Francesco Brasile di Lanciano, con in appendice un suo saggio sulla raccolta “Acqua, foco e vento” di De Titta, il sesto Benedetto Ventura, con appendice di Mario Morelli sul poeta aquilano emigrante Giovanni De Paulis, poi un’opera di Italo Bomba di Lanciano con un saggio su Cesare Fagiani, che era scomparso nel 1964, a seguire un’opera di Ilaria Garzarelli, con appendice sul poeta vastese Luigi Anelli, poi Vincenzo De Meis, con un’appendice dell’Amoroso sul poeta raianese Umberto Postiglione, poi un’opera di Nicola Del Casale con un’appendice del Brasile su Giulio Sigismondi, e via dicendo. Anche l’orsognese, ma residente a Roma, Pio Costantini, fratello del celebre Beniamino, illustre storico orsognese prematuramente scomparso, ebbe a scrivere della sua patria, e trattò del Risorgimento, tema carissimo a questi studiosi, con un saggio su Silvio Spaventa, e un altro sulla presa francese di Guardiagrele nei moti del 1799; Alfredo Sacchetti scrisse di Giuseppe Romualdi, Angelo Vasconi scrisse di Corrado Gizzi, Giorgio Morelli scrisse dell’arte della tintoria abruzzese, sul costume antico di Scanno, sull’arte dell’oreficeria regionale, Pasquale Di Cicco fece un cenno sul prelato e illustre storico abruzzese Anton Ludovico Antinori, Felice Menna scrisse sulla storica Banda “B. D’Annunzio” di Casalanguida; il prof. Enrico Pappacena, che insegnò negli anni ’30 al liceo classico di Lanciano, scrisse sulla poesia dell’abruzzese dimenticato Nicola Moscardelli, Galeazzo Valentinetti sulla rivolta popolare di Ortona del 1885, Antonino Fiori sul celebre monastero di San Clemente a Casauria.

Lo spoglio sarebbe lunghissimo! La rivista si conserva nella Biblioteca provinciale “G. D’Annunzio” di Pescara e nella biblioteca “A.C. De Meis” di Chieti. Nel 1963 uscì parzialmente un volume che riuniva tutti gli articoli scritti dal 1952 di Francesco Amoroso, estratti dai vari numeri.


I Quaderni di Poesia dialettale del Centro Studi Abruzzesi



1)    Antonino Di Donato, Lu vetelle, prefazione di Ottaviano Giannangeli – in appendice: Giuseppe Paparella, di Francesco Verlengia, 1964

2)    Cesare Fagiani, Lu pijatòre de le feste, prefazione di Francesco Amoroso – in appendice: Modesto Della Porta, di Francesco Amoroso, 1965[3]

3)    Cosimo Savastano, Che sarrà, prefazione di Rino Panza – in appendice: Evandro Marcolongo, di Hilde Mammarella[4], 1965

4)    Giovanni Chiola, La feste de lu Prutettore, prefazione di Francesco Amoroso – in appendice: Cesare De Titta, di Peppino Bellano, 1966

5)    Francesco Brasile, Da Venezie a Lanciane, prefazione di Maria Teresa Gentile – in appendice: Acqua, foco e vento di Cesare De Titta, di F. Brasile, 1967

6)    Benedetto Ventura, Ddu’ solde de povesia paiesàne, prefazione di Lello Sartorelli – in appendice Giovanni De Paulis di Mario Morelli, 1967

7)    Italo Bomba, Come parlé mamma mé, prefazione di Francesco Amoroso – in appendice: Cesare Fagiani di Francesco Paolo Giancristofaro, 1968

8)    Valeria Garzarelli, Nuvele e serene, prefazione di Francesco Brasile- in appendice: Luigi Anelli, di Francesco Amoroso[5], 1968

9)    Vincenzo De Meis, Vallescùre, prefazione di Francesco Amoroso – in appendice: Umberto Postiglione, di Francesco Amoroso, 1969

10)                      Antonio D’Ercole, Lu ritorne, presentazione di Francesco Amoroso – in appendice: La poesia dialettale frentana, di F. Amoroso, 1970

11)                      Luigia Garzarelli, L’anime siempre cante, prefazione di Luigi De Giorgio – in appendice: Alfredo Polsoni di Rino De Ritis, 1971

12)                      Nicola Del Casale, Lu Vuaste dumane, prefazione di Giuseppe Perrozzi – in appendice: La poesia di Giulio Sigismondi, di Francesco Brasile, 1971

13)                      Antonio Del Pizzo, Trombone e la Grotta del Cavallone – in appendice: Romualdo Parente, di Giorgio Morelli, 1971

14)                      P. Donatangelo A. Lupinetti, Li femmine de lu paese me – in appendice: Fiore d’Amico, di P. Donatangelo Lupinetti, 1973

15)                      Oberdan Merciaro[6], Pescara me…. – in appendice, La poesia dialettale vestina di Francesco Amoroso, Pescara 1974

16)                      Dario Di Gravio……………………………………………………….…?

17)                      Ermando Magazzeni…………………………………………………..…?

18)                      Luigi Dommarco, Nu ‘ccone di tutte[7], a cura di Alessandro Dommarco, 1975

19)                      Rino Panza, La scale – in appendice: Fecchia e Petrucci poeti dialettali peligni di R. Panza, 1975

20)                      Francesco Amoroso, Autori diversi della zona linguistica teramana – in appendice: Natale Cavatassi, Luigi Illuminati, Giuseppino Mincione, Fedele Romani, 1975.

 

 

Altri Quaderni di studi abruzzesi

1)    AA.VV., Nozze d'oro del poeta Antonio del Pizzo : Lama dei Peligni, 16 agosto 1972 / a cura del Centro Studi Abruzzesi. Pescara: Tipografia Giannini, [1972?]

2)    Francesco Brasile, Voce d'Abruzzo : componimenti dialettali abruzzesi con versione in lingua, prefazione di Raffaele Paolucci di Valmaggiore – illustrazioni Elio D’Epifanio, Pescara, Attraverso l’Abruzzo, 1955

3)    Ernesto Giammarco, Antologia dei poeti dialettali abruzzesi : dalle origini ai nostri giorni con profilo storico, studio ortografico e illustrazioni di artisti abruzzesi, prefazione di Gino Bottiglioni. - Pescara : Ediz. "Attraverso l'Abruzzo", 1958

4)    Francesco Brasile, Saggi, prefazione di Raffaello Biordi ; edizione a cura del Centro studi abruzzesi. - Pescara : Attraverso l'Abruzzo, 1969

5)    Vito Giovannelli, L' antico volto di Pescara, con note di O. Giannangeli, R. Panza, G. Rosato ; a cura del Centro studi abruzzesi e con la collaborazione dell'amministrazione provinciale, del Comune e dell'Azienda di soggiorno di Pescara. - Pescara : Istituto artigianelli abruzzesi, 1973

6)    Donatangelo Lupinetti, Il carnevale nelle tradizioni popolari abruzzesi - Pescara : stab. tip. ed. Amoroso, 1958

7)    Quinto Matricardi, Note su alcuni pittori abruzzesi e altri scritti. - Pescara : A cura del Centro studi abruzzesi, 1971

 

Bibliografia essenziale di Francesco Amoroso e della rivista Attraverso l’Abruzzo – Centro Studi Abruzzesi

* Il Centro Studi Abruzzesi non esiste più, Pescara, Centro Studi Abruzzesi, 1959

*Attraverso l’Abruzzo: saggi critici, bibliografici e storici, Pescara, edizioni Attraverso l’Abruzzo

* Federico Mola vessillifero dell’ideale, Chieti, Solfanelli, 1963

*Modesto Della Porta – Il poeta della gente d’Abruzzo, prefazione di Ottaviano Giannangeli, Pescara, edizioni Attraverso l’Abruzzo, 1966

* La mano di sangue : tragedia dell'epoca masanelliana : atto unico in due quadri con saggio introduttivo dell'Autore; prefazione di Raffaello Biordi, Pescara, Centro Studi Abruzzesi, 1967

* Note storiche sul Convento di Isola del Gran Sasso, Pescara, Centro Studi Abruzzesi, 1967

* La strega del Cavallone : leggenda della montagna abruzzese : tragedia pastorale in tre atti; prefazione di Maria Teresa Gentile, Pescara, Centro Studi Abruzzesi, 1967

*”La fratte” di Cesare De Titta – “Il discorso della siepe” di Gabriele d’Annunzio, traduzione dal dialetto di Ottaviano Giannangeli, Pescara, edizioni Attraverso l’Abruzzo, 1969

* Ceneri e faville: 70 anni di lotte, Pescara, Centro Studi Abruzzi, 1971

* Modesto della Porta – Ricostruzione dell’uomo e del poeta, prefazione di Vittorio Clemente, versioni metriche di Ottaviano Giannangeli, Pescara, Centro Studi Abruzzesi, 1971

* Il dramma della croce, oggi : con una lettera di Achille Fiocco, Pescara, Centro Studi Abruzzesi, 1973

* (a cura): Bibliografia delle opere risorgimentali abruzzesi pubblicate in occasione delle celebrazioni centenarie dell'unita d'Italia, Pescara : Attraverso l'Abruzzo, 1975

* La transumanza in Capitanata e i suoi riflessi economici e sociali, Pescara, Centro Studi Abruzzesi, 1977

 

Bibliografia delle pubblicazioni di Attraverso l’Abruzzo – Centro Studi Abruzzesi

·        Attraverso l'Abruzzo : rassegna mensile di cultura e di vita regionale organo del Centro Studi Abruzzesi. - [S. l. : s. n., 1975- (Pescara : tip. abruzzese).

·        AA.VV., Prospettive per il teatro abruzzese : convegno dell'11 giugno 1962 a Loreto Aprutino, Pescara, Centro Studi Abruzzesi, 1967

·        Antonio Del Pizzo[8], Tra le botte de martielle – Centro Studi Abruzzesi – Poeti dialettali di oggi, n. 1, introduzione di Francesco Amoroso, Pescara 1971

·        Francesco Brasile, Canti della selva dell'Orinoco : tradotti in dialetto abruzzese, Pescara, Centro Sturi Abruzzesi, 1972

 

Le prospettive sul teatro dialettale abruzzese e conclusione

L’Amoroso, insieme al Giuliante, e ad amici come Di Donato, Merciaro e il poeta Giulio Sigismondi, nel 1959 parteciparono a un convegno sul teatro abruzzese a Chieti. Si propose una commissione culturale per organizzare una rassegna periodica di teatro dialettale abruzzese, ma l’iniziativa non ebbe seguito. Nel 1962, come pubblicato in un quaderno di atti, a Loreto Aprutino si tenne un ulteriore convegno sul valore del teatro abruzzese e sulle prospettive per avviare una rassegna ufficiale e in pianta stabile di lavori da presentare nei teatri regionali[9]. Addirittura furono proposte 4 commissioni per le 4 province regionali, il che già rese, come osserva il Moretti, macchinoso l’avvio di questo progetto, che di fatto si arenò immediatamente.

Traendo le nostre conclusioni, su questa prospettiva a Loreto, Giuliante prese una sua personale strada per la composizione di lavori teatrali, alternando produzione in lingua, produzione favolistica per bambini e produzione dialettale, come L’Emigrante e Giovannella di Scanno, o sacra, come Le tre primavere d’amore su musica di Ottavio de Caesaris. Non sta qui commentare il suo lavoro, magari in altra sede. Merciaro, Sigismondi & colleghi lavorarono ad altri copioni teatrali, presentati a varie rassegne, comprese le Settembrate pescaresi.

L’intento tuttavia, da sempre agognato dagli abruzzesi, di “costruire” un teatro identitario e soprattutto unitario, rimane tutt’ora una chimera. Forse per la stessa “pluri-identità” degli abruzzesi, siamo destinati a non avere una pièce teatrale, una storia, una leggenda, che possa accontentare tutte le micro-realtà regionali, una storia che funziona a Pescara, a L’Aquila non verrà accolta con lo stesso entusiasmo, gli abitanti non si riconosceranno in quei personaggi, così come una leggenda sacra, più congeniale alla cultura tradizionale aquilana, verrebbe presa dalla fascia adriatica come una “medievalata di costume”.

Da sempre in Abruzzo si è cercato, con dibattiti, fiumi di inchiostro sui giornali, polemiche tra autori quali Evandro Marcolongo, Luigi Antonelli, Cesare De Titta ed Eduardo Di Loreto, di fornire alla regione una identità teatrale. Nel 1923 ci si è provato allestendo la versione in vernacolo detittiana de La figlia di Jorio di D’Annunzio, alla Settimana abruzzese di Pescara, con la regia di Antonelli. Il risultato fu deludente per mala organizzazione e per “macchinosità” del progetto. Ma questi autori pur avevano già composto e continuarono a comporre farse, sketch, operette musicali in abruzzese, e in lingua, così come la seconda generazione dell’epoca del Centro Studi Abruzzesi produsse i suoi lavori, alcuni sulla falsa riga del “mito dell’età dell’oro” cantato nel Trittico di Terra d’oro di Dommarco e Albanese alle Maggiolate ortonesi. E così anche la terza e quarta generazione dagli anni ’80 ad oggi ha continuato e continua a proporre i propri lavori abruzzesi.

La peculiarità forse, sta proprio nel fatto che in Abruzzo, retaggio degli storici “Abruzzi” divisi dalla Pescara e dai confini montani, abbiamo molteplici micro-realtà culturali, ciascuna delle quali ha una propria identità. E questo tessuto connettivo molto labile, che sembra trovare l’ostacolo proprio negli incontri/sconti tra le varie culture nella stessa provincia, nella stessa macro-area, hanno generato grandissimi lavori, collegati in un certo senso da un fil-rouge per la ripetitività della storia, dell’intreccio, quasi sempre di gusto agreste, con situazioni paesane. Ma siamo assai lontani, e forse è inutile, affannarsi a proporre la ricerca e il conseguimento di partorire una “grande opera” di stampo regionale abruzzese.

Negli archivi delle associazioni culturali e teatrali abbiamo fin troppe pagine di copioni già dimenticati, già abbandonati, che però ogni tanto “risorgono” grazie all’interesse di qualcuno, come per il caso di Nu marite pe’ Catarine di Virgilio Sigismondi, figlio del celebre Giulio. Forse quanto a “larga distribuzione” e “reclàme” questa è la commedia abruzzese contemporanea meglio riuscita, portata un turnè per tutta la regione. Ne abbiamo certamente altre, insieme a drammi, operette e altro.

La ricerca è ancora in essere!


Quanto al Centro Studi Abruzzesi, con la morte di Francesco Amoroso nel 1978, cessarono i lavori, cessò la ricerca. Esso tuttavia, insieme alla rivista Attraverso l’Abruzzo, si pose in prima linea nel campo culturale regionale, nell’ambito di un ventennio, quando l’identità dell’Abruzzo era ancora da riformare, quando predominavano ancora gli scontri politici e culturali per trarre acqua al mulino di questa o quella provincia, quando nel 1949 ancora si lottava affinché la regione avesse un capoluogo, e L’Aquila e Pescara si contendevano il primato, dibattito reso ancora più aspro nel 1971, quando l’Abruzzo, prima del 1963 era ancora legato amministrativamente al Molise, quando l’Abruzzo-Molise non aveva ancora una Università statale degli Studi, e lo stesso Raffaele Paolucci, con Giuliante, se ne lagnava con articoli e discorsi pubblici. E immancabilmente L’Aquila faceva la voce grossa, Chieti per la sua “centralità” territoriale ambiva al riconoscimento dovuto, perché Teramo era troppo fuori mano.

Problemi orografici, che per scontri politici e forze centrifughe sociali, alimentate da ideali di comodo, ancora oggi attanagliano la regione. Il Centro Studi Abruzzesi ebbe l’onere di valorizzare la nostra regione, che usciva gravemente martoriata dalla Seconda guerra mondiale, i poeti della vecchia guardia, che appoggiarono il fascismo, come Marcolongo, Sigismondi, Merciaro, Dommarco, ebbero modo di avere una “rivalsa sociale e culturale”; il dibattito continuava, i nuovi poeti ebbero modo di farsi sentire ed essere bravamente apprezzati, come il Brasile, ma ancor più il poeta ciabattino Antonio Del Pizzo. Il nostro ricordo sarà sempre ad essi presente, col cuore, e la riconoscenza.



[1] Per le informazioni biografiche, ringrazio Andrea Giampietro, custode dell’Archivio “Ottaviano Giannangeli” di Raiano, il quale ha fornito informazioni biografiche sull’Amoroso, nel suo Studi di letteratura abruzzese, Ortona, edizioni D’Abruzzo, 2021

[2] La Rivista fu una delle più longeve del secondo novecento in Abruzzo, dal 1953 fino al 1978. Vita a parte ebbe il Centro Studi Abruzzesi di Chieti-Pescara, chiuso nel 1959, come si vedrà.

[3] Postumo, Fagiani morì nel 1964.

[4] La stessa curerà il volume di tutte le poesie di Evandro Marcolongo: A chiuse ciglia.

[5] Già edito nell’an. VIII de Attraverso l’Abruzzo.

[6] Postumo, Merciaro era nato nel 1892 a Pescara.

[7] Postumo, Dommarco morì nel 1969.

[8] Del Pizzo pubblicò anche Lu Palazzo de le Fate, ossia La Grotta del Cavallone, con relazione storica e introduttiva di Giampietro Tabassi, tenuta nel Congresso speleologico di Chieti del 4, 5, 6, 7, 8 agosto 1946, litografia Pascucci, Guardiagrele, 1978

[9] Ne parla anche Vito Moretti nella prefazione a Guido Giuliante, Teatro, Chieti, Solfanelli, 2023.

6 ottobre 2025

Taddeo Salvini architetto abruzzese di Orsogna, la costruzione del teatro comunale e alcune vicende sociali dell’800.

 Il teatro comunale nei primi del Novecento – archivio Marco Jajani

Taddeo Salvini architetto abruzzese di Orsogna, la costruzione del teatro comunale e alcune vicende sociali dell’800.

di Angelo Iocco

A Camillo De Nardis, illustre musicista e professore orsognese (1857-1951), nel 1994 il Comune di Orsogna ha intitolato il teatro civico. Scarse sono le notizie storiche sulla sua costruzione e sulle vicende della sua stagione lirica e di prosa. Essso si trova nell’area dell’ex Porta nuova, accanto la doganella del dazio e l’imbocco dell’antica strada grande (oggi via Roma), che dal tratturro della piazza immetteva al paese antico. Sulla sinustra, guardandolo dalla piazza, il teatro era affiancato da una piccola gradinata eretta alla fine dell’800, e dalla mole del palazzo-castello della famiglia Colonna, andato distrutto e successivamente demolito per i gravi danni della seconda guerra mondiale. Al suo posto oggi vi sorge un anomino caseggiato, ma l’impianto fortificato del paese vecchio, che guarda allo spuntone del belvedere verso la vallata e la Majella, è ancora ben riconoscibile nel suo assetto medievale.

Tornando al teatro, esso è legato alla storia del palazzo municipale, collegato mediante un’appendice che affaccia su via Roma. Nel 1744 fu costruita la nuova casa dell’Univerasità orsognese[1]. Precedentemente l’area del teatro-palazzo comunale era occupata da case private, un trappeto, una taverna e un giardino[1]. Nella taverna si riuniva il Parlamento cittadino con i capi-famiglia, per discutere le delibere, le decisioni più importanti per pagamenti, azioni varie, emergenze, al suono di una campana. Per ovviare alle modeste dimensioni, i convenuti sedevano su dei palchi ligneo montati appositamente. Si decise dunque, da lì in poi, con l’avanzare della cultura illuminista francese, di costruire un teatro vero e proprio. E dalle delibere del 1790 iniziarono ad essere fatte le prime proposte. Vennero stipulati i primi contratti con le compagnie, ma non sappiamo quali fossero, né di che natura fossero gli spettacoli, ma dai bilanci, si ricava che gli spettacoli non procuravano successo, né sufficienti introiti per le spese di gestione, anzi le deputazioni teatrali finivano indebitate[2]!

La storia vera e propria del teatro civico, come si presenta oggi, risale alla prima metà dell’800, quando sulla scena politica di Orsogna comparve Taddeo Salvini (1778-1849) orsognese[3]. Nacque dallo scultore Modesto e Celesta Ceccarossi. Sposò Maria Pasquale de Jacobis, figlia di Ottaviano e  Maria De Santis[4]. Viveva nel quartiere di recente costruzione della “Villagrande”, ossia l’attuale area della piazza Mazzini, corso Umberto e via Adriatico. In una di queste case affacciate sulla piazza, egli morì. Uomo ambivalente e avventuriero, influenzato inevitabilmente dagli atteggiamenti positivistici dell’illuminismo francese, portato da Giacchino Murat e Napoleone a Orsogna e nel resto d’Abruzzo nel 1798-99, Taddeo Salvini continuò l’attività di ebanista e scultore, come il padre Modesto. Egli oggi è ricordato per aver scolpito i bellissimi pulpiti lignei delle principali chiese di Chieti[5], di Lanciano[6], di Orsogna[7], di Guardiagrele[8], di Catignano[9], i confessionali di alcune chiese dell’area chietina[10], e le statue di diversi comuni abruzzesi dell’area chietino-pescarese[11].

Taddeo non seguì l’arte paterna, o almeno ne apprese gli stilemi per l’architettura civile, avendo progettato il teatro S. Ferdinando di Vasto, poi dedicato al poeta Gabriele Rossetti (1819), nel 1841 progettò la facciata e gli interni del teatro Maria Carolina, poi S. Francesco di Lanciano[12], riadattandolo dalla sconsacrata chiesa degli Scolopi, infine veniva chiamato a Foggia per il progetto del teatro civico, dedicato attualmente al musicista Umberto Giordano.

Ma avevamo soggiunto che il Salvini nel 1831 era sindaco di Orsogna. Con la sua professione di architetto e scultore, aveva dato avvio a dei cantieri in paese, suscitando le ire dell’arciprete d. Filippo Didone, il quale andava a denunciare all’Intendente di Chieti e all’Arcivescovo Mons. Carlo M. Cernelli delle modifiche non consone, e l’apertura di una finestra posteriore nella chiesa di S. Giovanni[13].

Nella deliberazione decurionale del 24 dicembre 1830, il Sottintendente di Lanciano lo citava come proprietario terriero ascritto alla carboneria. Nel documento di delibera egli risulta gregario, e veniva richiesto dalla popolazione come sindaco. Eletto, il Salvini deliberò l’acquisizione da parte del Comune del teatro. Esso infatti, come riportato sopra, era sorto circa nel 1790 come locale annesso al Comune, ma era gestito da privati cittadini, quando era camerlengo[14] d. Francesco Peregrini; nel 1791 alcuni palchetti lignei furono presi in appalto, la qual cosa divenne successivamente una vera e propria appropriazione privata per poter assistere agli spettacoli. La controversia andò avanti fino al tempo del Salvini. La Municipalitò lo fece presente all’Intendenza il 23 ottobre 1830[15]. La cosa dunque fu riconosciuto come puro abusivismo in suolo pubblico, senza Regio assenso, ed essendoci sospetto di peculato privato, in violazione dell’art. 19 della Legge organica amministrativa del 1816[16].

Il Comune acquisì il teatro con i 9 palchi esistenti. I proprietari presunti erano d. Vincenzo Cucchiarelli, d. Vincenzo Rosica, d. Filippo Cucchiarelli, d. Francescopaolo Cucchiarelli, che inoltrarono ricorso. L’usciere del Regio Giudicato di Orsogna: Giuseppe Rizzacasa, per mezzo dei proprietari, dichiarò che il Decurionato di Orsogna non avesse competenza nel diritto di esproprio dei palchi, poiché tale azione è di competenza del potere giudiziario[17].

Nel 1833 era sindaco d. Camillo Di Bene, che risolse la controversia sul teatro in forma bonaria, facendo firmare ai propriatri ina formale rinuncia, da far pervenire al Ministero degli Affari esteri, compensando la rinuncia con 13 ducati a ciascuno. In quegli anni tuttavia si agitavano le cause tra l’arciprete d. Filippo Didone (1755-1846)[18] e il Salvini. Ad esempio durante il suo mandato nel 1832, il 18 novembre per l’onomastico della Regina Madre Maria Isabella di Spagna, il Salvini aveva dato mandato all’arciprete di suonar ele campane e intonare il Te Deum, litigando però per la questione del pagamento della cera per le candele, avendo dovuto, per l’occasione fausta, utilizzare i fondi per le feste civili[19]. Per non parlare, come riferito brevemente nelle note, delle liti sui restauri della chiesa di S. Giovanni.

Teatro comunale di Vasto – fondale del sipario con L’Incoronazione di Lucio Valerio Pudente, dipinto da G. Franceschini di Orsogna, 1832

2 ottobre 2025

Giuseppe Dell’Orefice (Fara Filiorum Petri, 1848 – Napoli, 1889), compositore e direttore d'orchestra abruzzese.


Giuseppe Dell’Orefice (Fara Filiorum Petri, 21 agosto 1848 – Napoli, 4 gennaio 1889) compositore e direttore d'orchestra.
Nacque da Antonio e da Vienna De Matteis. Fu avviato agli studi musicali dallo zio frate Alessandro di Fara e dai fratelli Nicola e Biagio, insegnanti rispettivamente di clarinetto e tromba. Dal 1862 studiò composizione come allievo interno presso il conservatorio Conservatorio di San Pietro a Majella di Napoli.
Dopo aver iniziato come direttore di coro e d'orchestra in vari teatri napoletani, esordì al Teatro S. Carlo nel 1872 con il balletto I fantasmi, seguito l'anno successivo da Ilda, entrambi con coreografia di Federico Fusco.
Nel 1874 compose la sua prima opera teatrale in tre atti, Romilda de' Bardi, su libretto di Nunzio Federico Faraglia, rappresentata al Teatro Mercadante (già Teatro del Fondo) di Napoli e successivamente al Teatro Regio di Parma (1876) e al Teatro Fenaroli di Lanciano (1877). Nel 1875 compose il dramma in quattro atti Egmont, sempre su libretto di Faraglia con lo pseudonimo di Graziano Fulina, rappresentato nel 1878 al Teatro San Carlo con Giuseppe Capponi (tenore), Giuseppina De Giuli Borsi (soprano), Michele Medica (baritono). Entrambe le opere riscossero un notevole successo di pubblico e di critica favorendo anche la carriera di Dell'Orefice come direttore al San Carlo, incarico che ricoprì dal 1877 al 1882.
Compose inoltre l'opera comica Il segreto della duchessa, su libretto di Enrico Golisciani, rappresentata dal 1879 a Palazzo Cassano, sede della Società Filarmonica di Pizzofalcone, ma anche musica sacra, per orchestra, per pianoforte, per voce e pianoforte, oltre a romanze e canzoni napoletane, alcune su testi di Salvatore Di Giacomo e Roberto Bracco.
Ammalatosi gravemente dopo la morte della moglie, morì nel manicomio di San Francesco di Sales il 4 gennaio 1889, appena quarantenne.
La sua casa nativa di Fara Filiorum Petri è stata adibita a museo dedicato alla sua memoria, nonché sede della biblioteca comunale.